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Autore: Madness in me    30/05/2014    4 recensioni
"Quando incrociai i suoi occhi così distaccati, realizzai.
Realizzai che non sarebbe mai stato mio, realizzai che il mio stare male per lui non lo sfiorava affatto, realizzai che lui era giù di morale solo per la notizia di Zacky ma non per me.
Non gli importava e non gli sarebbe mai importato.
Mi avrebbe sempre e solo visto come Jimbo il fratello, Jimbo il migliore amico.
Non mi avrebbe mai guardato con gli stessi occhi stracolmi d’amore con cui io guardavo lui.
E in quel momento, quando il mio cuore si ridusse ad un cumulo di cenere, solo allora mi rassegnai."
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Johnny Christ, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Va tutto bene, davvero. Sono solo parecchio stanco, credo che andrò a riposare un po’ prima del soundcheck.” Ed era, circa, la sesta volta che mi trovavo costretto a ripetere la stessa fottuta bugia, in un solo giorno.
Girai l’angolo e, quando fui sicuro di essere fuori dalla vista di chiunque, salii le scale ed uscii in terrazza.
Riuscivo a sentire i fan i fila che, ignari totalmente della mia presenza, cantavano, ridevano, gridavano.
Il tutto, in attesa del nostro concerto.
Sbuffai sedendomi a terra per evitare di correre il rischio di essere notato e mi accesi una sigaretta, poggiando la schiena al muro e fissando il cielo.
Era tutto nuvoloso, nuvoloso da far schifo.
Quella notte aveva piovuto ininterrottamente ed il pensiero di tutti quei ragazzi al freddo e al gelo sotto la pioggia, mi faceva salire il mal di cuore che aumentava se aggiungevo l’aggravante che quei ragazzi avevano sofferto il freddo, il gelo e la pioggia solo per vedere me e i ragazzi.
Generalmente, mi piaceva uscire fuori dai locali in cui suonavamo e, furtivamente, infilarmi in mezzo alla folla di fan per poi togliermi il cappuccio, svelarmi e vedere le reazioni assurde e meravigliose di tutti.
Ma non quel giorno.
Quel giorno era tutto diverso, tutto mi appariva più scuro intorno e l’aria sembrava più pesante, al punto di farmi sentire schiacciato, sottomesso ad un qualcosa che non mi piaceva ma a cui non potevo ribellarmi.
Il mio cellulare vibrò, lo tirai fuori dalla tasca e buttai un occhio sullo schermo che segnava il nome “Leana” a lettere cubitali, lampeggiando.
Attesi che smettesse di vibrare, sbuffai alla vista della scritta “30 chiamate perse da Leana” e infilai di nuovo l’aggeggio malefico in tasca.
“Al diavolo anche tu.” Furono le uniche parole che uscirono dalla mia bocca.
Tornai a concentrarmi sulla mia sigaretta e sorrisi pensato a cosa avrebbe detto la mia dottoressa.
Signor Sullivan, le ho detto e ripetuto che deve smettere di fumare!” gnegnegne.
Quella vocina gracchiante e fastidiosa risuonava nella mia testa, innervosendomi ancora di più.
Continuavo a fissare il vuoto e rimasi così per parecchio tempo, senza muovermi o battere le palpebre, almeno non finché la porta si aprì, lentamente.
Lo vidi avvicinarsi con il suo solito cappello nero ben piazzato in testa ed i capelli neri e lunghi che uscivano liberi, andando in ogni direzione, le mani nelle tasche dei Jeans strappati e gli occhiali da sole fissi in faccia, pur non essendoci la minima traccia di sole.
Prese posto di fianco a me senza dire niente.
Rimanemmo in silenzio, silenzio rotto solo dal rumore dell’accendino e dal leggero bruciare della punta della Marlboro che teneva stretta tra le dita.
Non lo stavo guardando ma non sarebbe servito.
Sapevo ogni sua mossa, ogni suo respiro.
Lo conoscevo, forse, anche meglio di come conoscevo me stesso.
Senza forse.
“Cos’è successo ?” quasi sussurrò.
Scrollai le spalle, buttai la sigaretta finita e me ne accesi un’altra.
“Servirebbe a qualcosa spiegare ? Parlarne ?” domandai.
“Servirebbe a me.” Rispose.
Sbuffai.
Era così fastidioso, a volte.
“Mi ha respinto di nuovo, fine della favoletta.” La frase uscì dalle mie labbra più tremante di quanto avessi in realtà immaginato.
Lo sentii bestemmiare sottovoce e lo colpii, leggermente, dietro la testa, sentendolo poi borbottare “Scusa” e sorrisi appena.
“Brian, ti prego, se stai per farmi il colossale discorso sul non mollare mai i propri sogni, alzati e lanciati a volo d’angelo dal cornicione del palazzo, o sarò costretto a buttartici io stesso e non voglio avere morti sulla coscienza.” Dissi, fissandomi i piedi.
“Fanculo, Jimbo.” Fu la sua unica risposta.
Rimanemmo in silenzio ancora un po’ finché lui non poggiò la testa sulla mia spalla ed io poggiai la mia testa sulla sua, sospirando in sincrono.
Era così, da sempre, che funzionava tra me e Brian.
Ci capivamo.
Bastava anche il silenzio.
Senza neanche guardarci.
E andava bene così.
Ma, dal suo essere più rigido del solito, sapevo bene che non aveva intenzione di mantenere a lungo quel piacevole silenzio.
Tirai su la mia testa e mi volta, per la prima volta, verso di lui.
“Avanti, parla. So che non riesci più a tenerti.” Annunciai, sbuffando e vedendolo tirarsi su.
“L’ho visto piangere, Jim.”
Rimasi a fissarlo, confuso.
“Hai capito bene, non guardarmi con quella faccia da coglione. Stava piangendo quando sei uscito dal camerino.” Aggiunse ancora, sospirando.
Tornai a fissare il pavimento.
Silenzio, di nuovo.
“Dì qualcosa, Jimmy, cazzo!” sbottò improvvisamente Brian.
Non risposi.
Passò qualche altro istante poi lui sbuffò.
“Basta. Questa storia non può andare avanti! Vi ferite a vicenda, ogni giorno di più e fa male a tutti noi vedervi sempre in questo continuo stato di morte interiore, Jimmy. Dovete trovare una soluzione!”
Fu alla fine di quella frase che qualcosa si infranse dentro di me.
Risi amaramente e mi volta, lanciando la sigaretta finita a qualche metro da me.
“Una soluzione, dici, Brian ? Te la do io la soluzione: Me ne vado a fare in culo con tutti i miei stupidi, inutili sentimenti e tutti saremo più felici. Fine della storia, tanti cari saluti al cuore di Jimmy.”
“Ma che cazzo dici ?” domandò, sfilandosi gli occhiali.
“Brian, non lo capisci ? Non mi ama. Non l’ha mai fatto. Mai lo farà. Fine, chiusa la storia.” E ancora una volta, il tremore nella mia voce mi stava tradendo.
“Non puoi lasciare finisca così, andiamo, ci sarà una soluzione!” parlava velocemente, nervoso.
“Non stavolta, Brian.” Dissi ma non mi ascoltò, continuando a parlare a macchinetta.
“BRIAN.” Gridai facendolo zittire.
“Non. Questa. Volta.” Ripetei.
Rimase a fissarmi, confuso e stupito dal tremore sempre più evidente nella mia voce.
“Mi sono dichiarato, una volta per tutte. Gli ho detto tutto, gli ho spiattellato in faccia, chiari e tondi, tutti i sentimenti che per anni ho tenuto dentro, gli ho detto di amarlo, gli ho detto che sarei pronto a perdere ogni singola parte di me, per averlo. Mi sono inginocchiato davanti a lui, rendendomi ridicolo e penoso, aggrappandomi alla sua maglietta, piangendo e pregandolo di credere alle mie schifose parole.” Le parole  uscivano sole, libere, furiose, taglienti come lame.
“E.. e lui ?” domandò, titubante.
Non me ne faccio niente di tutto questo, Rev. Non è ciò che cerco. Non è ciò che voglio. TU non sei ciò che voglio., sono state le sue esatte maledettissime parole.” Quasi sussurrai.
“Ma non ha senso! L’ho visto piangere, Jim, te lo giuro.” Mi disse Brian, portando una mano sulla mia spalla.
“Mi ha detto di essere innamorato di Zacky, di volersi dichiarare e io, preso dalla rabbia, gli ho rivelato che tu e Zacky state insieme da anni e che lui non lascerebbe mai te per uno stronzo come lui e me ne sono andato sbattendo la porta.” La mia voce era ridotta ad un debole sussurrio tremolante.
Brian rimase a fissarmi, gli occhi leggermente sgranati e le labbra socchiuse.
“Scusa.” Sussurrai.
“No.. No, non fa niente. Io e Vee ci saremmo dichiarati ai ragazzi a breve. E’ che.. io credevo piangesse per te.” Fu tutto ciò che riuscì a dire, abbassando poi lo sguardo.
Mi voltai anche io, guardando poi il cielo e sospirando.
Chiusi gli occhi e lo sentii appoggiarsi di nuovo alla mia spalla.
“Non dirlo.” Sussurrai.
“Cosa ?” chiese.
“So che stai per dirmi che ti dispiace ma non dirlo.”
Brian annuì, sospirando.
“Non è destino. Non mi vuole. Non sono adatto. Non sono ciò che cerca. Me ne farò una ragione, col tempo e, forse, un giorno riuscirò ad andare avanti senza lui.” Sorrisi amaramente.
“Ma non è giusto..” sussurrò Brian, ancora poggiato sulla mia spalla.
“Impara, fratello mio: Non esiste mai nulla di veramente giusto, qui. Siamo noi a sistemarci le cose e farcele andare bene, farcele apparire giuste.” Sussurrai.
E finì come sempre.
Come finiva da anni e anni.
Brian, raggomitolato tra le mie braccia, piangeva.
Piangeva e mi sussurrava “Mi dispiace, Jimbo, non è giusto che io pianga, tu dovresti sfogarti, non io è che tutto questo fa schifo! Tu non meriti di soffrire così!”
Il Brian che conoscevo io, mio fratello, era completamente opposto a quello che il mondo esterno vedeva.
Quello senza lacrime, con la faccia da cazzo e il sorriso sempre in tasca.
Il Brian che conoscevo io, mio fratello, senza la maschera, era solo un fragile ragazzo, spaventato, calpestato più e più volte dal mondo che trovava conforto solo sulla mia spalla.
Sorrisi, amareggiato ma anche intenerito.
“Va bene così, Brì. Un giorno troverò il mio posto. Un giorno starò bene. Un giorno.. non oggi. Ma mi va bene così.” Sospirai ancora “Ho te, ho i ragazzi, ho la band, i fans. Mi va bene così. Solo, non essere in pena per me, Brì perché io non lo sono.” Bugiardo. “A me va bene così.” Doppiamente bugiardo.
Alzò la testa, in cerca di conferma nei miei occhi e fui veramente, veramente bravo a mentire perché lo vidi sorridere ed annuire.
Rimanemmo lì, sotto quel cielo grigio come era diventato il mio cuore ormai marcio, per quasi tre ore, finché Dan non venne a chiamarci per avvisarci che avevamo il soundcheck.
Quando vidi Johnny, capii.
Quando incrociai i suoi occhi così distaccati, realizzai.
Realizzai che non sarebbe mai stato mio, realizzai che il mio stare male per lui non lo sfiorava affatto, realizzai che lui era giù di morale solo per la notizia di Zacky ma non per me.
Non gli importava e non gli sarebbe mai importato.
Mi avrebbe sempre e solo visto come Jimbo il fratello, Jimbo il migliore amico.
Non mi avrebbe mai guardato con gli stessi occhi stracolmi d’amore con cui io guardavo lui.
E in quel momento, quando il mio cuore si ridusse ad un cumulo di cenere, solo allora mi rassegnai.
Sorrisi a Matt che mi guardava preoccupato e proposi di cambiare la prima canzone della scaletta di quella sera.
“Cosa vorresti suonare ?” domandò, curioso, Zacky.
“I won’t see you tonight pt.1” annunciai e tutti approvarono.
Tutti tranne uno che non si espresse, limitandosi a continuare a darmi le spalle.
Johnny non si voltò mai, quella sera, neppure per sbaglio verso di me.
E la cosa mi rese felice.
Finché quegli occhi maledetti non incrociavano i miei, potevo ritenermi salvo.
Salvo dalla mia autodistruzione, salvo da quel senso di perfetto vuoto dentro, salvo dalle sue perfide mani che stritolavano i resti del mi povero cuore ormai da buttare.
Ma per quanto ancora sarei stato salvo ?
“Must have stabbed him fifty fuckin’ times, i can’t believe it, ripped his heart out right before his eyes.” Risi come non ci fosse un domani, a crepapelle, da perfetto pazzo.





Un mese dopo.

La TV era sempre stata fastidiosa, per me.
Ma non quella sera.
La notizia che attendevo era vicina.
“Questa notte, le strade di Huntington Beach si tingono di rosso. Il bassista degli Avenged Sevenfold, Johnathan Lewis Seward è stato trovato morto nella sua residenza, brutalmente mutilato da quelle che si contano essere 50 pugnalate, inoltre gli è stato asportato il cuore. Gli agenti di polizia sono in completa allerta e cercano il colpevole mentre alcune scorte si dirigono a casa dei rimanenti membri della band, per paura che si possa trattare di qualche fan fuori di testa che-“ spensi la TV, sorridendo.
Fissai la mia maglietta sporca di sangue, ignorando il continuo vibrare fastidioso del cellulare e, senza smettere di sorridere, carezzai il piccolo organo sanguinante poggiato vicino a me sul divano.
You had my heart, at least for the most part..” sussurrai, poi la mia risata isterica irruppe nella stanza, divorandomi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei dire qualcosa di sensato, ma non trovo nulla da dire.
E' stata ispirata da un pessimo momento mentre in sottofondo la voce e la risata psicopatica di Rev in A little piece of heaven mi trapanavano il cervello.
Spero sia piaciuto.
Somuchlove,
Sah. 

  
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