La
sua pelle contro la mia è un’unica sensazione di tenerezza, qualcosa che non ho
mai sperimentato prima. E’ il calore di qualcosa di umano, di vivo e corrotto
esattamente come me, che mi avvolge tutta, non mi lascia quasi respirare. Mi
sta di fronte, con la testa adagiata sul cuscino, gli occhi di luna come
appannati da una nebbiolina che le dà l’aria confusa. Ha i capelli neri
disordinati come le file di auto che si affollano lungo la via principale della
città, qualche metro sotto di noi. Mi passa un braccio lieve attorno alla vita,
mi stringe a lei come se fossi il suo giocattolo preferito. Ma non lo sono. Io
sono il suo amore e me lo dicono i suoi occhi, chiaramente, perché ora non sono
capaci di mentire.
Mi
ha baciata tante e tante volte, questo pomeriggio. Il sabato il tempo sembra
fermarsi, verso le tre e le quattro, sotto al sole, caricandosi di succulente
immagini che presagiscono una notte di follie. Mi ha baciata ripetutamente,
dicendomelo sottovoce senza mai aprire la bocca che io sono il suo amore. Ha
questa capacità di parlarmi anche senza pronunciarle, quelle parole che questo
mondo carica di una banalità indicibile. Mi guarda, mi getta a terra con uno
sguardo e non mi permette di correre per la mia strada, da sola, con le mie
paure. Mi insegue come una bellissima aquila che si diverte a beccarmi il
fegato, a me incatenata a questo voluttuoso monte Caucaso. Se Prometeo avesse
avuto una pena così dolce, se fossero state le labbra della mia donna a
solleticargli il ventre squarciato, avrebbe benedetto l’ira di Zeus come la più
alta delle magnanimità. Mi ama, la mia donna. Io lo so.
Adesso
le sue mani mi stanno dicendo che i giorni passeranno e gli attimi moriranno
tutti nello stesso destino d’oblio, ma io rimarrò sempre sua. La mia bocca è
sigillata, non parla, non emette suono. Ho tante poesie in testa, vorrei
recitargliele una ad una per ammaliarla. Le parole sono le uniche cose che ho.
Ho imparato a trattenerle sulla lingua, a maturarle, manipolarle. A dar loro
una veste così bella che la novella più funesta sembra agli orecchi di chi mi
ascolta un bellissimo canto. Ma con lei non riesco a farle venire fuori. Perché
lei non parla la mia lingua, né quella di qualcun altro. Lei quando parla sta
zitta e quando sta zitta parla. E’ per questo che sono sua, in tutto il buio
cosmico che è il nostro universo. Ecco che avvicina le sue guance alle mie. Mi
sta dicendo che non devo lasciarla. Se solo sapesse quant’è bella la strada,
qui fuori, l’asfalto caldo e il vento contro cui correre. Ma è fortunata, io
sono fortunata. Non me ne andrò. Il sabato pomeriggio ha qualcosa di sacro. Il
suo viso, schiacciato contro il cuscino, sembra uno spicchio di sole che
squarcia la cortina del mattino.
Il
bianco delle lenzuola le dà l’aria di una vergine. Lei è la mia vergine. Lei è
la mia musa, io sono la sua poetessa. La sua stanza è piena di libri, se mi
guardo in torno posso sentirli sussurrare. Qualunque cosa in questa stanza
parla, eppure sta in silenzio. In questo non vedo nessun paradosso. L’amore non
è mai stato capace di corrompersi in parole aspre e ruvide sulla lingua come
quelle che pronunciano gli uomini. Per questo esistono gli scrittori, per
questo esistono i poeti, i pittori, gli scultori. L’amore ha bisogno di mezzi
coi quali entrare in questo mondo e lasciare un segno della sua esistenza.
L’amore è l’universo che ci sviscera e tira fuori i nostri sogni, ci chiama per
nome con la sua bocca di muto e ci fa alzare gli occhi verso le stelle. Lei è
la mia ninfa.
Me la immagino, ora, con questi stessi capelli
neri sparsi all’aria ristagnare sul ciglio di un lago, col verde del muschio a
rendere onore al suo pudore. Me la immagino poi riflettere i colori del cielo e
circondarsi di fiori, danzare sull’acqua con un solo movimento delle braccia,
col volto sempre fisso verso le nuvole che l’adombrano d’oro. Io sono la sua
poetessa. Vorrei alzarmi e prendere un foglio di carta, qualunque cosa per
scrivere. Ma lei mi tiene inchiodata, mi dice che non è il momento. Nella vita
non ti aspettare mai di sentirti dire cose importanti. L’essenziale passa sotto
la cappa del silenzio.
Sul
pavimento ci sono dei vestiti, i nostri vestiti. Il soffitto è bianco come le
lenzuola, solo che noi non siamo macchie di muffa. Siamo due esistenze che
giacciono nello stesso letto. Siamo due forme d’arte che vive, siamo il modo in
cui l’universo profonde il suo amore. Siamo degli strumenti, siamo due belle
donne. I giorni passeranno e la nostra bellezza passerà. Ma questo momento è
cristallizzato orami nei suoi occhi, mi trafigge col suo riflesso. Ecco, è
andato. Un altro attimo del nostro amore è fuggito. Ma eccone pronto subito un
altro, una perla lucente di desiderio che sporge sulla punta delle sue labbra.
Così si susseguiranno gli attimi della nostra vita: io dipingo nella mia mente
il suo volto milioni di volte con parole sempre diverse, lei mi stupisce sempre
con lo stesso volto. Gravito attorno a lei come un satellite attorno alla
Terra. Sono la sua Luna, mi dice spesso che sono lunatica. Lei è il mio Sole.
E’ Giove, Saturno, Marte, Plutone. E’ immensa, lontana, rossa come il deserto,
irraggiungibile. Sul suo volto si aprono crateri che mi inghiottono, come buchi
neri. I suoi baci esplodono su di me formando tante stelle quante sono quelle
che guardiamo ogni sera, assieme, abbracciate, su nel cielo. Io sono la sua
poetessa, ma non le scrivo poesie. Non ci riesco. Se solo potesse leggermi nel
pensiero saprebbe che ci provo, che ci sto provando anche ora.
A volte vorrei poterle dire tutto ciò che
penso, farla entrare nell’angolo della mia mente dove sono rifugiata ora, a
pensare queste cose. Un altro pensiero è andato via, come il tempo. E lei non
lo saprà mai. Mi bacia ancora, piano, perché il sabato pomeriggio è lungo e non
c’è fretta. Le macchine vanno sonnolente, si sa. Il sabato pomeriggio non va a
nessuno di affaccendarsi, c’è la sera che ci assorbe già come un sogno. Il
sabato si sogna anche senza dormire. Il mio corpo nudo ha freddo, la sua stanza
ha una grande finestra che lasciamo sempre aperta. Le pareti sono verdi, come
le olive, come le foglie secche degli alberi bagnati. Ci ha appeso su qualche
quadro, dipinge ad acquerello. Altre sono stampe in bianco e nero, delle
fotografie dai colori sbiaditi. Le ho detto che alcuni volti non si vedono più
bene ed è inquietante. Non sai quali anime si nascondono dietro quelle chiazze
espressive, macchie di vita. Lei parla anche così, c’è la sua vita in tutto ciò
che fa. Mi beo della sua anima, osservandone il riflesso tutt’attorno, come
un’aureola. Lei è un raggio che si proietta sul muro della mia esistenza.
Divento un po’ lei, quando stiamo insieme. Non riesco a scriverlo, la
sensazione è troppo prepotente. Vuole che io mi concentri sui sensi, non c’è
tempo per spiegare. Anche questo attimo è fuggito.
Il
letto è un po’ piccolo, per tutte e due. Ci costringe a stare vicine, anche
quando litighiamo. Lei odia discutere, alzare la voce non è ammesso. Ha paura
che la sua vita venga scossa. Io sono calma, placida, mi conformo al suo ritmo.
Dopotutto anche io ho paura di litigare. Per questo non litighiamo mai. A volte
ci è capitato di odiarci, ci siamo semplicemente voltate l’una contro l’altra e
non ne abbiamo parlato più. L’amore porta sempre con sé un po’ di odio, come la
luce con l’ombra, basta non darci troppa importanza. Lei ride, ora. E questo istante
vorrei che durasse ancora, così rido anche io. Ridiamo per cinque minuti buoni,
ora piano ora forte. Quando ride scopre i denti, ritti e bianchi, come un
animale selvatico. Ma ride. Lo sa che non ha bisogno di difendersi, nel nostro
letto troppo stretto. Dopotutto è un po’ come la vita, se hai fortuna riesci a
farci entrare qualcun altro, se sei brava a stare in equilibrio non lo lasci
più andare e così state tutti e due al caldo. Nei suoi acquerelli ha ritratto
anche me, qualche volta. Le piacciono i miei capelli scuri, lunghi. Infatti ora
ci sta giocando, sfiorandomi le orecchie con la punta fredda delle dita. Dice
che ho il volto di sua madre, che sono bella. Io le rispondo che sono viva e
che la lascerò solo alle cinque, quando parte il treno. Fino ad allora sarà
sua. Sarò sua comunque.