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Autore: Deirbhile    30/05/2014    0 recensioni
L'amore assume contorni sfumati, per gli artisti, soprattutto in un delicato pomeriggio di sabato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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La sua pelle contro la mia è un’unica sensazione di tenerezza, qualcosa che non ho mai sperimentato prima. E’ il calore di qualcosa di umano, di vivo e corrotto esattamente come me, che mi avvolge tutta, non mi lascia quasi respirare. Mi sta di fronte, con la testa adagiata sul cuscino, gli occhi di luna come appannati da una nebbiolina che le dà l’aria confusa. Ha i capelli neri disordinati come le file di auto che si affollano lungo la via principale della città, qualche metro sotto di noi. Mi passa un braccio lieve attorno alla vita, mi stringe a lei come se fossi il suo giocattolo preferito. Ma non lo sono. Io sono il suo amore e me lo dicono i suoi occhi, chiaramente, perché ora non sono capaci di mentire.

Mi ha baciata tante e tante volte, questo pomeriggio. Il sabato il tempo sembra fermarsi, verso le tre e le quattro, sotto al sole, caricandosi di succulente immagini che presagiscono una notte di follie. Mi ha baciata ripetutamente, dicendomelo sottovoce senza mai aprire la bocca che io sono il suo amore. Ha questa capacità di parlarmi anche senza pronunciarle, quelle parole che questo mondo carica di una banalità indicibile. Mi guarda, mi getta a terra con uno sguardo e non mi permette di correre per la mia strada, da sola, con le mie paure. Mi insegue come una bellissima aquila che si diverte a beccarmi il fegato, a me incatenata a questo voluttuoso monte Caucaso. Se Prometeo avesse avuto una pena così dolce, se fossero state le labbra della mia donna a solleticargli il ventre squarciato, avrebbe benedetto l’ira di Zeus come la più alta delle magnanimità. Mi ama, la mia donna. Io lo so.

Adesso le sue mani mi stanno dicendo che i giorni passeranno e gli attimi moriranno tutti nello stesso destino d’oblio, ma io rimarrò sempre sua. La mia bocca è sigillata, non parla, non emette suono. Ho tante poesie in testa, vorrei recitargliele una ad una per ammaliarla. Le parole sono le uniche cose che ho. Ho imparato a trattenerle sulla lingua, a maturarle, manipolarle. A dar loro una veste così bella che la novella più funesta sembra agli orecchi di chi mi ascolta un bellissimo canto. Ma con lei non riesco a farle venire fuori. Perché lei non parla la mia lingua, né quella di qualcun altro. Lei quando parla sta zitta e quando sta zitta parla. E’ per questo che sono sua, in tutto il buio cosmico che è il nostro universo. Ecco che avvicina le sue guance alle mie. Mi sta dicendo che non devo lasciarla. Se solo sapesse quant’è bella la strada, qui fuori, l’asfalto caldo e il vento contro cui correre. Ma è fortunata, io sono fortunata. Non me ne andrò. Il sabato pomeriggio ha qualcosa di sacro. Il suo viso, schiacciato contro il cuscino, sembra uno spicchio di sole che squarcia la cortina del mattino.

Il bianco delle lenzuola le dà l’aria di una vergine. Lei è la mia vergine. Lei è la mia musa, io sono la sua poetessa. La sua stanza è piena di libri, se mi guardo in torno posso sentirli sussurrare. Qualunque cosa in questa stanza parla, eppure sta in silenzio. In questo non vedo nessun paradosso. L’amore non è mai stato capace di corrompersi in parole aspre e ruvide sulla lingua come quelle che pronunciano gli uomini. Per questo esistono gli scrittori, per questo esistono i poeti, i pittori, gli scultori. L’amore ha bisogno di mezzi coi quali entrare in questo mondo e lasciare un segno della sua esistenza. L’amore è l’universo che ci sviscera e tira fuori i nostri sogni, ci chiama per nome con la sua bocca di muto e ci fa alzare gli occhi verso le stelle. Lei è la mia ninfa.

 Me la immagino, ora, con questi stessi capelli neri sparsi all’aria ristagnare sul ciglio di un lago, col verde del muschio a rendere onore al suo pudore. Me la immagino poi riflettere i colori del cielo e circondarsi di fiori, danzare sull’acqua con un solo movimento delle braccia, col volto sempre fisso verso le nuvole che l’adombrano d’oro. Io sono la sua poetessa. Vorrei alzarmi e prendere un foglio di carta, qualunque cosa per scrivere. Ma lei mi tiene inchiodata, mi dice che non è il momento. Nella vita non ti aspettare mai di sentirti dire cose importanti. L’essenziale passa sotto la cappa del silenzio.

Sul pavimento ci sono dei vestiti, i nostri vestiti. Il soffitto è bianco come le lenzuola, solo che noi non siamo macchie di muffa. Siamo due esistenze che giacciono nello stesso letto. Siamo due forme d’arte che vive, siamo il modo in cui l’universo profonde il suo amore. Siamo degli strumenti, siamo due belle donne. I giorni passeranno e la nostra bellezza passerà. Ma questo momento è cristallizzato orami nei suoi occhi, mi trafigge col suo riflesso. Ecco, è andato. Un altro attimo del nostro amore è fuggito. Ma eccone pronto subito un altro, una perla lucente di desiderio che sporge sulla punta delle sue labbra. Così si susseguiranno gli attimi della nostra vita: io dipingo nella mia mente il suo volto milioni di volte con parole sempre diverse, lei mi stupisce sempre con lo stesso volto. Gravito attorno a lei come un satellite attorno alla Terra. Sono la sua Luna, mi dice spesso che sono lunatica. Lei è il mio Sole. E’ Giove, Saturno, Marte, Plutone. E’ immensa, lontana, rossa come il deserto, irraggiungibile. Sul suo volto si aprono crateri che mi inghiottono, come buchi neri. I suoi baci esplodono su di me formando tante stelle quante sono quelle che guardiamo ogni sera, assieme, abbracciate, su nel cielo. Io sono la sua poetessa, ma non le scrivo poesie. Non ci riesco. Se solo potesse leggermi nel pensiero saprebbe che ci provo, che ci sto provando anche ora.

 A volte vorrei poterle dire tutto ciò che penso, farla entrare nell’angolo della mia mente dove sono rifugiata ora, a pensare queste cose. Un altro pensiero è andato via, come il tempo. E lei non lo saprà mai. Mi bacia ancora, piano, perché il sabato pomeriggio è lungo e non c’è fretta. Le macchine vanno sonnolente, si sa. Il sabato pomeriggio non va a nessuno di affaccendarsi, c’è la sera che ci assorbe già come un sogno. Il sabato si sogna anche senza dormire. Il mio corpo nudo ha freddo, la sua stanza ha una grande finestra che lasciamo sempre aperta. Le pareti sono verdi, come le olive, come le foglie secche degli alberi bagnati. Ci ha appeso su qualche quadro, dipinge ad acquerello. Altre sono stampe in bianco e nero, delle fotografie dai colori sbiaditi. Le ho detto che alcuni volti non si vedono più bene ed è inquietante. Non sai quali anime si nascondono dietro quelle chiazze espressive, macchie di vita. Lei parla anche così, c’è la sua vita in tutto ciò che fa. Mi beo della sua anima, osservandone il riflesso tutt’attorno, come un’aureola. Lei è un raggio che si proietta sul muro della mia esistenza. Divento un po’ lei, quando stiamo insieme. Non riesco a scriverlo, la sensazione è troppo prepotente. Vuole che io mi concentri sui sensi, non c’è tempo per spiegare. Anche questo attimo è fuggito.

Il letto è un po’ piccolo, per tutte e due. Ci costringe a stare vicine, anche quando litighiamo. Lei odia discutere, alzare la voce non è ammesso. Ha paura che la sua vita venga scossa. Io sono calma, placida, mi conformo al suo ritmo. Dopotutto anche io ho paura di litigare. Per questo non litighiamo mai. A volte ci è capitato di odiarci, ci siamo semplicemente voltate l’una contro l’altra e non ne abbiamo parlato più. L’amore porta sempre con sé un po’ di odio, come la luce con l’ombra, basta non darci troppa importanza. Lei ride, ora. E questo istante vorrei che durasse ancora, così rido anche io. Ridiamo per cinque minuti buoni, ora piano ora forte. Quando ride scopre i denti, ritti e bianchi, come un animale selvatico. Ma ride. Lo sa che non ha bisogno di difendersi, nel nostro letto troppo stretto. Dopotutto è un po’ come la vita, se hai fortuna riesci a farci entrare qualcun altro, se sei brava a stare in equilibrio non lo lasci più andare e così state tutti e due al caldo. Nei suoi acquerelli ha ritratto anche me, qualche volta. Le piacciono i miei capelli scuri, lunghi. Infatti ora ci sta giocando, sfiorandomi le orecchie con la punta fredda delle dita. Dice che ho il volto di sua madre, che sono bella. Io le rispondo che sono viva e che la lascerò solo alle cinque, quando parte il treno. Fino ad allora sarà sua. Sarò sua comunque.

  
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