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Autore: TheVirginQueen    31/05/2014    1 recensioni
Elisabeth e Robin si conoscono sin da bambini. Il loro rapporto muta, mantenendosi sempre forte dalla fanciullezza sino all'età adulta. Il regno dei Tudor è la cornice di questa storia, la regina Elisabetta I ne è la protagonista, la storia di un amore mai compiuto ne è l'intreccio.
Si tratta di uno scorcio sull'umanità di un grande personaggio storico ed un umile tentativo di delinearne il profilo psicologico, mettendo in rilievo gli aspetti della vita privata della protagonista, piuttosto che i fatti storici per cui ella è nota. L'amore tra Elisabeth e Duddley è un fatto storicamente accertato. Qui si prova a dargli forma, immaginando i sentimenti e le contraddizioni in cui esso è sbocciato e maturato.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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Elisabeth stava per compiere dieci anni quell’estate. Le giornate trascorrevano tutte uguali, presso la dimora di campagna in cui l’aveva relegata il suo amorevole padre mentre era impegnato a cercare la sesta moglie, pochi mesi dopo aver fatto giustiziare la quinta.
 
Elisabeth temeva quel padre che non l’amava e che la scrutava sempre con lo sguardo truce, quasi a cercare continuamente in lei l’ombra di sua madre.
 Di Anna, sua madre, che suo padre stesso aveva fatto uccidere sette anni prima, quando lei aveva appena due anni, la bambina non aveva alcun ricordo e nessuno le parlava mai di lei. Pare si fosse macchiata di qualche colpa di cui lei non potesse sapere ne capire, in quanto era solo una bambina. Ma quando Elisabeth metteva il muso, puntando i piedi, per qualche stupido capriccio da bambina o le si gonfiavano gli occhi di lacrime quando il maestro la puniva per una traduzione dal latino o dal greco non ben riuscita le veniva detto, tra i denti, come la peggiore delle offese che era tutta sua madre.
Eppure lei stessa riconosceva nel suo modo di essere capricciosa e caparbia l’ostinata testardaggine di suo padre. La sua sorellastra Maria in ciò era molto più simile alla di lei madre Caterina, dolce e mite. Elisabeth al contrario era ostinata tanto da apparire spesso capricciosa. La sua testardaggine, la sua voglia di affermarsi, l’innocente candore con cui finiva per essere sempre al centro dell’attenzione facevano presagire un cieco narcisismo secondo solo a quello del grande re, suo padre.
Anche guardandosi allo specchio grande, dalla cornice dorata, appoggiato alla toeletta di fronte al suo letto circondato di tende di broccato, Elsabeth non riconosceva in sé nessuno, se non l’odiato padre. Lui stesso aveva perso col tempo la voglia di metterne in dubbio la paternità, perché era evidente che fosse una sua creatura, molto più di quanto fosse evidente in Mary, la figlia maggiore avuta da Caterina D’Aragona o nel piccolo Edward, figlio di Jane Seimour.
La sua immagine allo specchio la spaventava, appunto, perché così rassomigliante a quella di Henry, seppur più fine ed esile rispetto a quella oramai appesantita del vecchio re. I lunghi capelli color rame, che portava raccolti in trecce le incorniciavano il volto ovale e pallido. Sotto le bionde sopracciglia, quasi inesistente, due grandi occhi mobili ed intelligenti, del colore dell’ambra  si guardavano attorno curiosi ed acuti, mai timorosi, anche in presenza del grande padre. La bocca sottile si apriva raramente ad un sorriso di denti bianchissimi e regolari, ed era più spesso piegata in un espressione singolare che, assieme all’acume degli occhi le rendeva il volto troppo poco dolce e assai troppo maturo per una ragazzina. La sua figura era sottile, le dita bianche e delicate, gli arti agili e scattanti. Seppur esile di costituzione, Elisabeth era piuttosto alta per la sua età, ma il suo corpo era ancora quello di una bambina. Essa stessa non si piaceva molto e non sapeva se temere o attendere con ansia i cambiamenti che sarebbero arrivati con l’adolescenza e le avrebbero permesso di indossare quei sontuosi abiti di seta e velluto che tanto ammirava in quelle rare occasioni in cui le era data la possibilità di presenziare alla vita di corte.
Per ora la principessa doveva accontentarsi dei suoi pesanti e altrettanto scomodi, ma non molto eleganti abiti da bambina. Quel giorno ne indossava uno di un rosso sangue, che rendevano il pallore del suo volto ancora più opalescente e ultraterreno. Terminate le sue ore di studio, le preghiere e l’esercizio al virginale la ragazza chiese il permesso di fare una passeggiata in giardino. Le fu accordato, anche in assenza di una dama che le tenesse compagnia. E ciò ovviamente era immensamente piacevole per la bambina, che amava più di tutto esplorare il grande parco da sola, piuttosto che in compagnia della noiosa sorellastra che la costringeva a recitare le preghiere cattoliche in latino, contro il volere del padre, o delle dame, le quali non parlavano altro che di amanti e matrimoni.
Il raro sole inglese risplendeva in un terso cielo azzurro quel giorno, e la piccola principessa scese di corsa le scale di marmo precipitandosi entusiasta nel grande parco. Gli alberi, tagliati tutti della stessa forma, tracciavano i contorni di diversi sentieri e ovunque si snodavano labirinti di giardini curatissimi e fioriti. La bambina s’incamminò lungo la strada che conduceva al bosco, distante poche miglia. Il bosco era un’immensa macchia verde e incolta in cui il re Henry e i suoi uomini di corte si dilettavano a cacciare cervi o volpi quelle rare volte in cui egli decideva trascorrere del tempo in quella dimora di campagna in cui teneva lontani dalla corte le figlie e il piccolo Edoardo, futuro re d’Inghilterra.
Elisabeth aveva percorso appena pochi metri nel bosco quando qualcosa di piccolo la colpi sulla nuca, non fece in tempo a rendersene conto che altri colpettini seguirono al primo inducendola a girarsi. Voltatasi e sollevati gli occhi, tra il fogliame rigoglioso la ragazzina scorse il viso divertito di un ragazzo che poteva avere più o meno la sua età. Era Robert, il figlio più giovane di John Duddley. Robert aveva l’età di Elisabeth e spesso aveva trascorso del tempo nella dimora di campagna, rappresentando per la principessa un occasionale compagno di giochi. Era un ragazzo robusto, con gli occhi di un blu profondo e una zazzera di capelli castani che glicadevano disordinati sulla fronte. Aveva ilvolto arrossato dal sole, a causa dei lunghi allenamenti a cavallo a cui lo costringeva il fratello Guilford.
“Ti stai divertendo un mondo immagino!” sbraitò Elisabeth aggrottando la fronte e piantando i pugni chiusi sulla sottile vita con aria di sfida.
“Non fare i capricci come al solito princpessa” cinguettò lui, trattenendo a stento la risata argentina da bambino e mostrando il suo enigmatico sorriso, a cui mancavano ancora alcuni denti “Vieni quassù, tutto è più bello da quassù!”.
Lei, per nulla preoccupata delle sue pesanti vesti girò attorno al grande albero cercando il punto migliore per arrampicarsi e salire. La mano tesa di Robin l’accolse e la issò su un ramo abbastanza forte da reggere entrambi.
 
 
I ragazzi trascorsero due ore spensierate sopra all’albero a chiacchierare. Quel ragazzo rappresentava per la giovane principessa l’unico legame concreto con la sua età.
Con lui non doveva fingere, ne stare composta, ne parlare in latino o francese, con Robin non doveva disquisire di geografia o di classici greci e latini.
 
Le bastava fare una di quelle smorfie che la sua istitutrice e le dame aborrivano come sconvenienti, perché gli occhi di lui si riempissero di fanciullesca allegria e la sua risata contagiosa accendesse il suo volto arrossato dal sole.
 
Con Robin sull’albero spariva per qualche tempo la principessa, l’istruzione, il vecchio re e le sue bizzarre beghe matrimoniali, la malefica madre assassinata, la sorellastra cattolica e invidiosa, gli intrighi di corte, tutte le tristi cose che la sua mente bambina non sapeva ne voleva comprendere.
 
Con lui era solo Elisabeth. E a lui bastava. E a lei bastava che lui fosse solo Robin, e non il brillante rampollo dei Duddley che sarebbe dovuto diventare.
 
Le dame esagitate che la andarono a cercare nel parco all’imbrunire, la trovarono così, con le trecce scarmigliate, le gote arrossate dalle risate e le sottili gambette tra le pesanti vesti che penzolavano dall’albero, accanto a quelle robuste e tornite, avvolte in alti stivali da equitazione del giovane Dudley.
 
“Principessa, cosa fate là sopra? Scendete immediatamente!” La richiamò la dama che prima delle altre l’aveva vista “Vostro padre il re sarà presto a palazzo, con la futura regina e desidera che voi la conosciate!”
 
Elisabeth si voltò verso Robin e mentre, non vista, faceva una delle sue smorfie di disgusto disse ad alta voce, affinchè le dame potessero udire bene “La sesta non voglio conoscerla, chiamatemi quando avrà fatto tagliare la testa alla decima!”
 
L’insolenza che fece impallidire e scandalizzò le giovani dame divertì molto il giovane Duddley, che non riusciva a trattenere la sua risata spontanea e argentina.
 
A quel punto la principessa aveva dato abbastanza spettacolo e decise di concludere il suo pezzo saltando dall’albero come faceva spesso con Robert, quando ovviamente non era vista dal suo seguito di dame aristocratiche.
 
Si voltò a salutare il piccolo amico, che aveva anch’egli deciso di scendere dall’albero, dato che la venuta del re rappresentava un evento degno di nota anche per lui. Poi si incamminò verso il palazzo con le dame, che la rimbrottarono per tutto il tragitto su come fosse sconveniente per una fanciulla dai suoi natali comportarsi come un ragazzaccio e mettere in atto comportamenti francamente pericolosi come salire sull’albero.
 
“Sua maestà Henry soffrirebbe molto se vi succedesse qualcosa” disse una giovane dama bruna, che tra tutte era la preferita di Elisabeth.
 
“Sua maestà Henry troverebbe facilmente una moglie che le produrrebbe un’altra piccola principessa che sia ben educata e di suo gradimento” disse. E dopo quest’ultima irriverenza corse veloce verso il palazzo che era già parzialmente illuminato da numerose candele nelle sue stanze pricipali.
 
Le dame, che non si facevano ragione del caratteraccio e dell’irriverenza della giovane principessa, le perdonavano però quelle parole di astio e odio verso il vecchio sovrano.
 
 
 
 
   
 
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