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Autore: TsubasaShibahime    31/05/2014    1 recensioni
" Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino.
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. -
- Hyung, non... -
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava.
- Non lasciarmi solo hyung.. - "
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Yongguk, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 - Memorie

" Ordini? " 
" Nessuno. 
Da oggi avrai un po' della tua agognata libertà, Bang Yongguk. "
" Dunque ha preso in considerazione le motivazioni per la quale ho accettato di seguirla, signore? " 
" Ho organizzato tutto. " 
" Ogni cosa? " 
" Fidati di me " 
" Pf... L'ho fatto per quasi 8 anni, non smetterò di farlo proprio adesso. "
-
Yongguk tornò a casa stanco alle primissime luci dell'alba. 
Il cielo era di un azzurro scuro ed opaco. Così, senza nuvole, sembrava presagio di una bella giornata. La luce pomeridiana probabilmente non avrebbe neanche sfiorato il suo volto quel giorno poichè quando, dopo qualche ora di sonno, avrebbe riaperto gli occhi, sarebbe dovuto uscire di casa che era già calata sera. 
Ormai viveva alla stregua di un vampiro.
Quella notte tuttavia, nonostante la sua mente stanca lo implorasse di spegnersi, l'agglomerato di ansia che si era venuto a creare all'altezza dello stomaco lo tenne sveglio più del dovuto. I ricordi si fecero avanti, catapultandolo in una realtà troppo lontana. 

- Ridammela, è mia. -
Yongnam battè un piede sullo sterrato sabbioso e il bimbo davanti a lui fece un passetto indietro, incerto, mentre stringeva la pallina azzurra in mano. 
- Yah! Ho detto ridammela! -
Sembrava che il più piccolo, dagli occhi color nocciola, confusi e incerti, non volesse lasciar andare il giocattolo che era rotolato fino alle sue gambette bianche e sottili. Aveva l'aria di chi stava confabulando qualcosa, ma che al contempo era pronto a scappare su quelle belle gambette se qualcosa fosse andato storto. 
- Allora vuoi essere picchiato! - 
Yongnam fece un altro passo. Il piccino arretrò ancora, poi spiazzato si fermò. Ci vedeva doppio o davvero un secondo ragazzino perfettamente identico al primo si era materializzato davanti a lui?
- Che stai facendo? - chiese Yongguk squadrando il bimbo minuto di fronte a sè che, con le guanciotte tutte rosse, sembrava non voler cedere e tornare la pallina al legittimo proprietario. 
- Non vuole ridarmi la palla. - 
- Aish, e allora cosa vorresti fare? Picchiarlo? Non vedi che è un bambino? Dovresti prenderlo con le buone. - 
Al piccino lì di fronte, che non si era più mosso neanche di un centimetro, Yongguk sembrava andare improvvisamente molto più a genio di suo fratello gemello. Allora Yongguk si avvicinò e si accovacciò di fronte a lui, data la differenza di altezza. 
- Ciao- .... - 
Restò a guardarlo perdendo le parole. Era ridicolo che un bimbo così piccolo lo mettesse a disagio, ma improvvisamente quegli occhioni si erano fatti stranamente speranzosi, sembrava brillassero per il semplice fatto che l'altro si stesse dimostrando gentile con lui.
Yongguk abbassò lo sguardo e ritrovò la concentrazione.
- ...Puoi ridarmi la palla? E' nostra, sai? -
Per la prima volta da quando i due avevano incontrato quel bizarro bimbetto lo videro sorridere e le sue guanciotte sembrarono un po' più piene. Allungò piano la palla azzurra verso Yongguk, che fece lo stesso incontrando le sue mani nel reggerla, ma nonostante questo il più piccolo non lasciò andare il giocattolo e rimase lì a fissare il viso del maggiore. 
- Giochiamo hyung? - domandò con un filo di voce, armoniosa e infantile, che avrebbe fatto sciogliere il cuore di chiunque. Anche quello di Yongguk, ovviamente, che tuttavia, avendo già undici anni, non poteva cedere e quindi mettersi a  giocare con un bimbo che ad occhio e croce doveva averne cinque o poco più. 
Yongnam dietro di lui sbuffava, ricordando al gemello minore che tra non molto la mamma sarebbe tornata a casa e che se non li avesse trovati seduti alle loro scrivanie a fare i compiti li avrebbe messi in punizione entrambi. Yongguk che era un gran fifone da quel punto di vista sentì allora di dover concludere la questione in fretta. Si disse che probabilmente non l'avrebbe più rivisto e che non poteva stare lì a perdere tempo con i capricci di un bambino. Così, tutto d'un tratto e con un po' di forza in più, tolse di mano la palla al più piccolo, il cui sorriso si spense in un attimo, mentre le manine bianche restavano ancora a mezz'aria, troppo deluse e speranzose perchè cadessero lungo i fianchi coperti da una camicetta a quadri. Yongguk avvertì un groppo in gola, ma mentre Yongnam esultava, non potè che scappare alla svelta da lì, lasciando il piccolo lì immobile, con le scarpe sporche della sabbia dello sterrato e gli occhi lucidi. 

La notte stessa, così come nei giorni successivi, Yongguk non riuscì a smettere di pensare a quel breve incontro. Il senso di colpa lo stava divorando vivo poichè dentro di sè qualcosa gli diceva di aver fatto un torto imperdonabile a quel piccino. Così, qualche giorno dopo, nonostante continuasse a darsi dell'idiota, decise di tornare a cercarlo. Un bambino così piccolo di certo non avrebbe potuto fare che qualche passetto lontano dalla porta di casa, dunque Yongguk aveva più che il sentore la certezza che l'avrebbe trovato nei paraggi del loro primo incontro. 
Quando raggiunse il luogo si guardò intorno curioso. Dal punto esatto nel quale aveva visto il bimbo per la prima volta si diramavano due sentieri, uno a destra, uno a sinistra. Essendo nella tipica età dell'impulsività, scelse di andare a destra, dove dell'erbetta costeggiava il sentiero stretto tra due pareti rurali.
Avanzando per il sentiero raggiunse allora una muraglia di cespugli verdi tanto più alta di lui. A primo impatto non poteva che sembrare un vicolo cieco, certo, un vicolo cieco di una certa eleganza dato che dei cespugli così curati dovevano far parte di un terreno privato. Spinto dalla curiosità avrebbe davvero voluto riuscire a vedere oltre. Diede le spalle ai cespugli, posando spazientito le mani sui fianchi e chiedendosi perchè fosse venuto a cercare quel tipetto bizarro, quando sentì qualcosa sbattere sul polpaccio con delicatezza. Alzò le sopracciglia e si voltò, abbassò lo sguardo, e anzichè trovare un qualche animaletto, vide un corpicino avvolto in una salopette blu notte, che gattonava oltre uno spazietto che forse si era appositamente creato tra i cespugli, e che, con la sua testolina di capelli liscissimi, aveva appena sbattuto su di lui. Quando sollevò il viso e incontrò i suoi occhi seppe che per un bizarro caso del destino l'aveva davvero trovato. 
Il piccolo fuggitivo si destò all'istante, un po' goffamente, e come un soldatino davanti al suo comandante si appiattì rigidamente contro il fogliame verde vivido che formava una parete alle sue spalle. Come poteva sapere se si trattava del fratello buono o di quello cattivo? Non sapeva cosa aspettarsi, semplicemente. E poi a pensarci bene... anche quello buono l'aveva tradito. 
Yongguk imbarazzato fece un passo indietro, neanche si trovasse davanti ad un suo coetaneo. Doveva trovare le parole, ma non sapeva neanche se un bambino così piccolo l'avrebbe capito e preso sul serio. Allora si accovacciò come aveva fatto la prima volta davanti a lui e il più piccolo sgonfiò il petto che conteneva tutta la sua ansia, ora era certo che fosse Yongguk. 
- Mi dispiace per l'altra volta, ma non potevo giocare con te, dovevo andare. - cercò di spiegare, mentre il piccolino abbassava gli occhi. Sembrava davvero un bambolotto con quelle guance sempre rosee. Allora Yongguk prese a rovistare nella sacca che si era portato dietro. C'era giusto un portamonete, dei fazzoletti, un taccuino e una matita arancione. E poi c'era una pallina fucsia. Se la rigirò tra le mani un paio di volte e poi la tese verso il più piccolo, che emozionato la afferrò all'istante. 
- A me non importava niente della palla, ma non saresti dovuto essere egoista dato che la palla non è tua. Ecco, questa era di mia sorella maggiore, ma non importa, adesso te la regalo, è tua e dovrai averne cura, intesi? - 
Il più piccolo annuì diverse volte con un bel sorriso in viso, mentre stringeva la sua nuova pallina come fosse la sua amata. 
Yongguk aveva di nuovo la coscienza pulita, missione compiuta. Tornò in piedi per bene e chiuse la sacca, pronto ad andare. 
- Allora ciao. - 
Disse con un piccolo sorriso. Si voltò e alzò un piede, prima di sentire una stretta decisa e autoritaria sull'orlo della sua maglietta.
- Hyung, giochiamo... - la vocina scoraggiata del più piccolo lo raggiunse e anzichè sciogliersi, il suo cuore tremò. Vide la pallina rotolare accanto al suo piede. L'aveva lasciata andare per riuscire a trattenerlo. Fu allora che Yongguk si rese conto di come effettivamente stavano le cose.
Capì che se quel bimbo teneva tanto gelosamente la pallina azzurra tra le mani era perchè avrebbe voluto chiedere anche allo scontroso Yongnam di giocare con lui, consapevole che se l'avesse lasciata andare avrebbe perso l'occasione di giocare con qualcuno e, allo stesso modo, quella volta pur di trattenere Yongguk aveva lasciato andare la pallina. Non era importante il giocattolo, quanto la compagnia. 
Yongguk, che aveva fondamentalmente un cuore molto tenero, si voltò e tornò accovacciato, riconsegnandogli la pallina fucsia appena raccolta da terra. 
- Insomma, non ti ho appena detto di averne cura? Se mia sorella scopre che l'ho regalata a te mi uccide! - 
L'altro afferrò la pallina con una mano, mettendosela subito sotto braccio, mentre con l'altra mano andava a coprirsi la bocca mentre ridacchiava. 
- Ridi? Credi sia divertente? Mia sorella è un vero maschiaccio, potrebbe farmi malissimo! - 
- ...Hyung, giochiamo? - 
Yongguk battè gli occhi, sembrava volesse proprio giocare. Il più grande si guardò attorno, sperando nessuno lo vedesse, poi tornò con lo sguardo sul bambino e sospirò. 
- E va bene, giochiamo. - 
A quella risposta positiva, il piccino saltellò sul posto un paio di volte, poi gli diede le spalle e tornò a gattonare attraverso quel grande buco tra i cespugli. 
- Vieni hyung! - lo chiamò con la sua vocina allegra. 
Addirittura entrare in una proprietà privata? Ah beh, tanto voleva comunque vedere cosa nascondevano quei cespugli. 
Gattonò con un po' di fatica attraverso quel buco troppo stretto per lui e quando sollevò lo sguardo si trovò di fronte uno spettacolo come pochi. Una lussuosa villa ad almeno tre piani si affacciava su un giardino a dir poco immenso. Riusciva ad intravedere una statua in marmo raffigurante una bella sirena dai capelli lunghi e voluminosi, bagnata dai getti coreografici della fontana e tutt'intorno cespugli di rose e primule dei più svariati colori. Una volta fuori dal cespuglio si trovarono sotto una grande quercia che ombreggiava sull'erba fresca di quel prato curato da chissà quanti addetti. Quel bimbo era una sorta di principe o cosa? Sembrava improvvisamente troppo ridicolo che uno come lui, la cui famiglia lottava quotidianamente per arrivare a fine mese, fosse venuto in contatto con un moccioso tanto altolocato. 
Yongguk si mise a sedere a gambe incrociate sotto l'albero, con la schiena poggiata al suo tronco rugoso, mentre il bimbo si posizionava poco distante da lui e gli lanciava la palla fucsia con poca forza, Yongguk gliela ri-lanciava e questo sembrava bastare a farlo ridere un sacco. 
- Come ti chiami? - domandò poi Yongguk, mentre il piccino si metteva a sedere a gambe incrociate di fronte a lui, imitandolo. Iniziò a giocare con le mani nell'erbetta morbida, strappandone qualche filo come se volesse creare un mucchietto di coriandoli. 
- Junhongie - rispose allora e Yongguk capì subito che si trattava di un vezzeggiativo. Dunque, doveva essere "Junhong". 
- Io sono Yongguk. -
- Yo-Yongguk hyung! - 
- Si, esatto. - scoppiò a ridere per il suo troppo entusiasmo e poi tornò a curiosare su di lui. - E quanti anni hai Junhongie? - 
- Cinque e mezzo. - gli rispose sollevando le dita della manina destra. 
- Oh, cinque e mezzo? Sei proprio un ometto allora. - Aveva ben sei anni più di lui. - E perchè un ometto come te dovrebbe scappare via da un buchetto tra i cespugli per andare a giocare se qui ha così tanto spazio? - 
Junhong sembrò rifletterci un attimo. Aveva smesso di giocherellare con l'erba e aveva sollevato il nasino all'insù, verso le foglie grandi della quercia sopra di loro. 
- Appa non vuole mai giocare con me. - 
- Appa? Non hai un fratellino? - 
Junhong scosse il capo. 
- E umma non gioca con te? - 
Junhong scosse di nuovo il capo. 
- E giochi sempre da solo? - 
E questa volta Junhong annuì. A Yongguk sembrava assurdo che un bambino tanto piccolo e adorabile stesse tutto il tempo da solo. Lui era cresciuto in un ambiente povero, ma aveva sempre avuto dalla sua l'affetto dei suoi genitori, di sua sorella e di suo fratello. 
- Però adesso c'è Yongguk hyung. - aggiunse, mentre un sorriso timido si dipingeva sul suo viso e le guanciotte diventavano rosse rosse. Gattonò verso il più grande e prese la sua mano, stringendola piano con la propria, poi si accucciò al suo fianco. Yongguk era sbigottito, ma l'altro come un gattino aveva già preso posto, appiccicato a lui, pronto a fare un sonnellino pomeridiano e forse, inconsapevolmente, aveva preso già posto anche nel suo cuore. 

Da quel giorno Yongguk visitò il bel giardino di rose e quell'allegro principino ogni giorno. Junhong tirava fuori sempre nuovi giocattoli  e insieme inventavano storie fantastiche e nuove avventure. Anche se Yongguk aveva già 11 anni, sentiva che trascorrere del tempo con Junhong anzichè con i suoi compagni di scuola lo faceva sentire più libero, non solo di viaggiare con la fantasia, ma di avere potere sull'umore di un piccolo gioiello che giorno dopo giorno vedeva crescere tra mille risate e giochi. 

-

6:50AM

Yongguk aprì gli occhi, non aveva dormito neanche un secondo nonostante fosse passata anche più di mezz'ora. Sentì la gola arsa e abbandonò il letto dalle lenzuola stropicciate per trascinare i piedi scalzi in cucina. Sfortuna o noncuranza volle che allungando la mano verso la credenza per afferrare un bicchiere di vetro, ne urtò un altro che cadde rovinosamente per terra, infrangendosi in mille pezzi.
In quella notte di ricordi bastò quel fastidioso rumore a risucchiarlo in un vortice e riportarlo indietro nel tempo. 

La tazza cadde a terra e si ruppe con un rumore assordante. 
- Non vengo! Non verrò mai! Resto qui a Seoul, resto anch'io con papà! - urlò Yongguk, stringendo in una mano un peluche di Tigro, voleva portarlo a Junhong e fargli vedere il suo giocattolo preferito. 
- Smettila Yongguk, non sei tu a decidere. Ti ho già spiegato come stanno le cose. E' meglio per noi andare via, non è sicuro. Papà si occuperà di questi affari e poi ci raggiungerà a Brooklin, il nonno ci aspetta già. - sua madre tentava di stare calma mentre gli spiegava le cose, ma era evidentemente agitata, le occhiaie che figuravano sul suo viso raccontavano di quanto avesse tenuto gli occhi aperti durante le ultime notti. 
- Perchè Yongnam deve restare?! Perchè lui e non io? Perchè non entrambi? - 
- Non è sicuro per noi, lo capisci? Yongnam è il più grande tra voi due, resterà lui perchè papà non resti da solo e ci raggiungerà presto. - 
- Ma mamma io- -
- Yongguk, basta! - si era appena spazientita, conscia e ansiosa all'idea che gli "affari" della quale il marito doveva occuparsi non erano esattamente leciti. - Partiamo domattina, alle sei. Adesso vai a fare il bagno, poi indossa il pigiama e mettiti a letto. Alle valige ci penso io. - 
Non voleva andare. Non voleva partire. 
Sollevò lo sguardo verso l'orologio a cucù in corridoio e strinse tra le braccia il tigro. 
" Junhong mi starà aspettando " pensò, per poi lanciarsi fuori dalla porta di casa ed incontrare il diluvio che bagnava strade, alberi e persone. Lui compreso. Sua madre chiamò il suo nome, imprecò contro quel figlio degenerato e così poco comprensivo e si preparò ad andarlo a riprendere. Yongguk iniziò a correre a perdifiato, con una mano reggeva il tigro per una zampa ed entrambi si infracidivano. Di solito si incontravano tutti i pomeriggi alle cinque e invece erano già le nove di sera. Il problema non era tanto mancare all'appuntamento, quanto l'immagine che sapeva si sarebbe trovato davanti agli occhi. 
Il luogo in cui si erano incontrati la prima volta quasi un anno prima. Ora i piedi di Junhong erano un po' più grandi, aveva compiuto sei anni da tre mesi, ma sembrava comunque molto minuto nel bel mezzo di quella strada sterrata, ora piena di pozzanghere e fanghiglia, accovacciato come un gattino infreddolito.
- Junhong! Junhong cosa fai ancora qui fuori?! - domandò ansioso, prendendolo in braccio senza pensarci un attimo e portandolo sotto un balconcino perchè si riparasse. - Guardati dannazione, sei completamente fradicio! - 
Junhong sollevò gli occhioni verso di lui e accennò un sorriso. 
- Avevo paura non venissi più hyung. Però hai portato Tigro! - non gli importava nulla della pioggia, del freddo, del fatto che le sue labbra fossero tremanti e viola. Allungò le braccia e abbracciò il peluche che aveva assorbito tantissima acqua piovana. Junhong si bagnò ulteriormente i vestiti, ma non smise di abbracciarlo. 
- Oggi non possiamo giocare tanto, vero hyung? - chiese il più piccolo guardando il cielo grigio tristemente.
Come poteva lasciarlo andare? Junhong aveva così tanto bisogno di lui. 
- Junhongie... noi, non possiamo più giocare... - mormorò e giurò di aver visto negli occhi scuri di Junhong il suo cuore spezzarsi all'improvviso. - Ma... ma lo hyung tornerà presto, se tu lo aspetterai. E non come hai fatto questa sera, non sotto la pioggia, non solo per qualche ora. Dovrai aspettarmi un po' di più Junhongie... questa volta non potrò giocare con te per tanto tempo, ma se sorriderai e farai il bravo tutto il tempo vedrai che il tempo scorrerà più veloce solo per noi due e allora potremo rivederci presto. - parlava rapido, come per evitare che l'altro gli ponesse domande. Junhong stava evidentemente per piangere, o forse qualche lacrima rigava già il suo viso, ma era troppo bagnato perchè si notasse, ma sembrò capire, annuì piano, gli angoli delle labbra rivolti verso il basso, la frangetta umida sulla fronte, la pelle pallida come la luna che brillava su entrambi. 
Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. 
Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino. 
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. - 
- Hyung, non... - 
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava. 
- Non lasciarmi solo hyung... - sussurrò lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. 

L'ultima cosa che Yongguk ricordava di quella notte erano i singhiozzi del principino che aveva abbandonato.
" Tornerò, giuro che tornerò. " 

-

L'aeroporto di New York era affollato come sempre. 
Yongguk non aveva viaggiato molto in quegli ultimi anni. Al massimo si era spostato più a sud, senza andare più in basso di Cuba, dove aveva trascorso i pochi giorni di vacanza che gli spettavano anche quell'anno durante Agosto. L'inverno era tornato più rigido che mai nella grande mela e forse la sua speranza era di trovare un inverno meno austero nel suo Paese nativo.
Non era mai tornato a Seoul da quando l'avevano abbandonata. Non era tornato lì neanche per il funerale di suo padre e suo fratello, appena un anno dopo la sua partenza per gli Stati Uniti. Si era ripromesso che l'avrebbe fatto quando sarebbe stato il momento, ed il momento era arrivato. 

All'arrivo ad Incheon un maggiordomo vestito di tutto punto lo stava aspettando con un cartellone in mano con su scritto il suo nome. Non dovevano esserci molti Bang Yongguk provenienti da New York quel giorno, quindi nessun altro oltre lui si approcciò al maggiordomo. 
Educatamente si inchinò davanti al maggiordomo che fece lo stesso. Aveva un po' perso l'abitudine di inchinarsi, dato che in America non lo faceva mai. 
- Salve. Sono Bang Yongguk, il nuovo tutor d'inglese di casa Jung. La ringrazio per essermi venuto a prendere. - 

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E' la primissima fan fiction che pubblico, siate magnanimi ㅠㅠ So che dal primo capitolo è un po' difficile intuire su che linee si muoverà la trama, ma spero riesca ad attrarre qualcuno, pubblicherò presto il seguito ! :3
   
 
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