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Autore: virginbell    01/06/2014    7 recensioni
Isabelle non aveva avuto tanta paura come quando aveva scoperto per la prima volta di essere incinta: questa volta era una paura diversa. Una paura primordiale.
Qualcuno minacciava la vita del suo bambino.
Genere: Fluff, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Isabelle non era mai stata una ragazza particolarmente credente, ma quel pomeriggio era sicura di aver invocato tutti i santi del Paradiso a lei conosciuti: si trovava da circa un quarto d'ora dentro una squallida toilette della metropolitana, a fissare un bastoncino bianco dal quale aveva la netta sensazione che dipendesse tutta la sua vita, quasi come un moderno oracolo.

Ti prego, se mi ami fa che sia sbagliato...

Il suo ciclo era da sempre stato regolare come un orologio svizzero ed un ritardo di una settimana le aveva già fatto scattare il suo personale campanello d'allarme; quando poi le settimane divennero due il trillo da lontano eco fastidioso divenne sempre più forte ed insistente, così non le rimase altra scelta che comprare al volo un test di gravidanza e di intrufolarsi nel bagno più vicino, dal momento che non ce l'avrebbe mai fatta a resistere fino a casa sua.
Ed ora stava lì in piedi inebetita davanti al lavandino a fissare quell'aggeggio infernale, come se con uno sguardo particolarmente insistente potesse fargli cambiare idea.

Ti prego, non voglio dare l'esame con le doglie, ti prego...

Le istruzioni non lasciavano dubbi: una striscia rossa risultato negativo, due strisce rosse positivo. E il bastardo sembrava quasi sorriderle con le sue due strisce, facendosi beffe del suo volto frustrato e divertendosi un mondo a sbatterle in faccia la verità.

Hai voluto la bicicletta, tesoro? Sembrava dirle. Nuova fiammante e tutta per te, proprio all'ultimo grido, non è vero? Dunque pedala, pedala che quasi quasi mi faccio un giro anch'io...

"Chi cazzo c'è qui dentro? Qualcuno è caduto nel cesso per caso?" La voce stridula di una donna ruppe quella bolla di irrealtà nella quale Isabelle si trovava: scagliò il bastoncino contro il muro, si prese il viso tra le mani lasciandosi scivolare sul pavimento sudicio, le ginocchia raccolte al petto, pianse tutte le sue lacrime incurante del bussare alla porta sempre più insistente, il bastoncino che continuava a sorriderle con le sue due linette rosse.

Non voleva un bambino, o forse sì, non ci aveva mai veramente pensato: perdio, aveva appena vent'anni! Fino ad allora le sue sole preoccupazioni erano presentarsi puntuale agli appelli e prepararsi un piano di studio per dare in tempo tutti gli esami, non certo prepare pappe e cambiare pannolini. Quando però la sua pancia cominciò ad ingrossarsi sentì di desiderare sempre di più quella vita che piano piano prendeva forma, scalciando e dimenandosi dentro di lei. Le veniva sempre più naturale immaginarsi un bimbetto sorridente sulle giostrine del parco con  in mano un gelato, mai stanco dei giochi e di tanto divertimento: l'avrebbe fatta sicuramente disperare.
Quando infine Caleb nacque e lo tenne per la prima volta tra le braccia, un fagottino così piccolo e fragile che temeva quasi di poterlo rompere, il visetto roseo e grinzoso incorniciato da ciuffi di capelli scuri, le manine che si allugavano a strigerle il dito, occhi che esprimevano solo tanta meraviglia per quel mondo e quegli stimoli così nuovi e sconosciuti, Isabelle si rese conto tranquillamente che avrebbe potuto dare la sua vita per lui.

Victor, il suo ragazzo, aveva deciso di salire a bordo con lei su quella bicicletta, mentre magari per un altro sarebbe stato facile intimarle di pedalare lontano e lavarsi così le mani da ogni traccia di responsabilità: cinque anni più grande, era stato semplicemente più in gamba di altre persone da rimboccarsi le maniche anche dopo la laurea ed infine riuscire ad accapparrarsi un posto fisso come biologo, e la notizia di una futura paternità, anche se inaspettata, non aveva fatto altro che coronare una vita già perfetta di suo. Anche se ciò significava meno tempo libero e meno birre tra colleghi.
Fino al primo anno di Caleb avevano vissuto nel piccolo ma accogliente bilocale di Victor; Isabelle aveva preteso che la culla fosse sistemata proprio accanto al suo lato del letto in modo tale da poter sentire anche il più fievole dei suoi respiri: sia lei che Victor però capivano che il bambino non avrebbe potuto continuare a dormire in eterno con loro, stavano attenti a fare l'amore solamente quando lui dormiva ma mano a mano che lui cresceva stavano sempre più stretti, specialmente Isabelle che aveva lasciato l'università con la segreta speranza di poter riprendere i suoi studi una volta che Caleb fosse diventato grande a sufficienza da non aver più bisogno di lei a tempo pieno. 

Ogni giorno era una sorpresa, una continua scoperta! Caleb che gattonava sul lettone e Isabelle che gli afferrava il piedino per evitare cadesse di sotto, Caleb che acchiappava una delle apine montate sopra la sua culla e per poco non faceva cascare tutto il carillon, Caleb che durante il bagnetto spingeva sott'acqua le ochette schizzando schiuma dappertutto, Caleb in veranda che correva ridendo come un matto sul girello -"Non mi ferma più nessuno!" esclamava Victor nel mettersi ad inseguirlo facendolo ridere ancora di più - Caleb che muoveva i suoi primi passetti, Caleb che balbettava le sue prime paroline. 
Isabelle sapeva bene che non avrebbe voluto trovarsi in nessun altro posto. Ricordava a malapena il bastoncino sogghignante: che se ne andasse pure al diavolo, erano così felici! L'unico suo cruccio era che Caleb, nonostante stesse con lei ventiquattr'ore su ventiquattro, non aveva ancora pronunciato la parola mamma. Le sorrideva, la cercava, ma ancora non la chiamava. Quanto l'aveva infastidita il fatto che avesse detto prima papà, nonostante il papà lo vedesse così poco! Ricordava bene quella sera: Victor si era appena preparato per andare a lavoro, aveva preso una sedia e si era seduto di fronte al seggiolino di Caleb.
"Tu ed il tuo papà avete qualcosa da dirvi, non è vero ometto?" Aveva esordito. "Sappi che papà non se ne andrà da qui fino a quando non gliela dirai, ed il tuo papà è un papà molto paziente." Aveva continuato a ripetere la parola papà per circa una decina di minuti fino a quando Caleb, rosso per lo sforzo, non aveva sbottato con un bel "pa-pap-pappone!" Incredibilmente alle aspettative di Isabelle, che si preparava a sfotterlo per il resto dei suoi giorni, Victor aveva convalidato il suo tentativo.
"Bravo il mio ometto." Sorridendo soddisfatto gli aveva dato un buffetto in testa per poi andarsene a lavoro tutto contento.
Almeno con lui ci ha provato... Isabelle però non voleva forzarlo, voleva che fosse qualcosa di naturale e spontaneo. Quando poi finalmente gli avrebbe sentito pronunciare quelle  sillabe dal suono così magico, sarebbe stato il giorno più felice della sua vita.

I problemi iniziarono tutti con il trasferimento nella nuova casa.
Victor continuò a distinguersi sempre di più sul lavoro fino ad ottenere una promozione come ricercatore, così il suo stipendio già dignitoso di per sé aumentò considerevolmente al punto da potersi permettere il pensiero dell'acquisto di una casa più grande. Lui ed Isabelle visitarono parecchi appartamenti, ognuno di essi però era o troppo piccolo, o troppo stretto, o troppo in alto, o troppo in basso, o troppo inclinato, o troppo inadatto ad un bambino , fino ad imbattersi finalmente in quello apparentemente perfetto: una villetta ad un solo piano in una bella zona residenziale, circondata da un giardino e due stanze per gli ospiti: Caleb avrebbe potuto avere finalmente una cameretta tutta per sé.
Isabelle scelse quella più grande e soleggiata e con Victor si divertì un mondo a decorarla ed arredarla: passarono giorni a dipingere le pareti di un bel giallo acceso, montare il lettino a sbarre e sistemare i vari giochi. Davanti al lettino fecero montare un armadio a muro spazioso a sufficienza da contere tutti i cambi di stagione del guardaroba di Caleb.
La sera del trasloco effettivo lo misero a letto molto presto, per poi festeggiare seduti sul dondolo del portico affacciato sul giardino con un bicchiere di Porto.

Quella notte Isabelle venne svegliata da un pianto che da debole diventò sempre più insistente. Diede un'occhiata alla sveglia: i caratteri verde luminoso segnavano le tre e dieci. Sospirando, scese dal letto con addosso solo la maglietta di Victor per dirigersi verso la cameretta di Caleb: una volta accesa la luce lo trovò dritto nel letto che allugava entrambi i braccini nella sua direzione.
"Amore della mamma, cosa c'è?" Gli disse mentre lo sollevava per prenderlo in braccio. "Non ti piace la cameretta nuova?" Cullandolo si accorse che l'anta dell'armadio era appena appena accostata, sufficiente ad intravvedere un sottile spiraglio nero: probabilmente si era dimenticata di chiuderla quando quella sera l'aveva aperta per scegliere il suo pigiamino.
Dopo aver calmato Caleb, lo rimise a letto e se ne tornò anche lei a dormire. Non si verificarono altri incidenti per il resto della nottata.

Una settimana più tardi Victor annunciò ad Isabelle che avrebbe dovuto trasferirsi per un mese in una piattaforma sull'Atlantico con il suo team per un'importante ricerca. "Devi stare per forza via così a lungo?" Gli chiese dopo aver smesso di imburrare il pane per la colazione con un gesto stizzito sul tavolo dell'ampia cucina. Non le piaceva la prospettiva di stare da sola con Caleb in quella casa che non aveva ancora imparato a conoscere bene.
"Voglio dire, è proprio necessario star lì a vigilare sull'accoppiamento delle balene? Non vorranno un po' di privacy?"
"Mi piaci quando fai la gelosa." Ridacchiò allusivo Victor.
Isabelle fece il broncio e lui si chinò per baciarla.
"Sarò di ritorno prima che ti accorga che me ne sono andato. Sono certo che tu e Caleb vi divertirete un mondo anche senza di me, non è vero ometto?" Si girò in direzione del seggiolino. "Se qualche bamboccio dovesse scocciare la tua bella mamma tu dagli un bel gancio sinistro così." Prese tra le sue la mano minuscola del bambino. "E digli che te l'ha detto papà."
A suo malgrado Isabelle abbozzò un sorriso.

Quando Victor partì, quella sera stessa, la ragazza venne bruscamente svegliata da un urlo proveniente dalla stanza di Caleb; mentre correva sentiva l'urlo smorzarsi fino a diventare un pianto disperato. Il bambino era in piedi aggrappato alla sbarra del lettino, singhiozzante, che indicava col ditino in direzione dell'armadio.
"Bu! Bu!" Balbettò mentre la madre lo stringeva a sé, sentendo il pannolino completamente zuppo. Aveva smesso di bagnare il letto da mesi ormai... L'anta dell'armadio era di nuovo accostata, nonostante Isabelle ricordasse bene di averla chiusa mentre lo preparava per la notte. Dal momento che il bambino non accennava a calmarsi, decise di portarlo a dormire con lei dopo averlo cambiato.

Gli aveva comprato un lumino notturno, una lampadina luminosa che rifletteva sul soffitto un cielo stellato sorridente: dopo giorni di apparente tranquillità, Caleb aveva nuovamente urlato e stavolta Isabelle era certa di aver visto un'ombra muoversi, strisciare quasi, in un angolo della cameretta. Non voleva che Caleb crescesse con la paura del buio ma le era sembrato l'unico modo per combattere quegli attacchi notturni e sincerarsi soprattutto che non ci fosse davvero niente. Si era anche arrischiata a sbirciare dentro l'armadio, ma non c'erano altro che scarpette e vestitini piegati e ben in ordine. Si diede mentalmente della stupida per essersi fatta suggestionare così. 

I giorni successivi Isabelle cominciò a prendere seriamente in considerazione l'idea di chiamare Victor e supplicarlo di mollare tutto per tornare subito da loro e 'fanculo le dannate balene: ogni mattina al suo risveglio trovava le ante del suo armadio e di quello di Caleb socchiuse, appena uno spiraglio come se qualcuno spingesse l'anta con un dito dall'interno. Inizialmente aveva pensato fossero difettosi -e li abbiamo pagati pure un occhio della testa- ma si faceva via via strada in lei la sensazione preoccupante ed opprimente di essere spiata. Aveva ripreso Caleb a dormire con sé: la notte continuava a piangere e quando, esasperata, gli aveva chiesto cosa diamine avesse, aveva contratto la manina ad artiglio.
Non aveva quasi il coraggio di aprire le ante dell'armadio per vestirsi o metterci le scarpe: continuava a pensare e se ci fosse qualcuno accucciato pronto a saltarmi addosso? A volte le sembrava di sentire qualcosa di viscido muoversi all'interno dell'armadio, furtivo ma non troppo: si svegliava nel cuore della notte con la sensazione di qualcosa di freddo e fradicio a sfiorarle la faccia ma si ritrovava sempre come una ragazza spaventata e semivestita seduta sul letto, occupata a frenare il grido che si faceva strada lungo la sua gola per non svegliare il bimbo che dormiva placidamente accanto a lei. 

Uno dei giochi preferiti di Caleb erano i dadi di gomma: si divertiva a costruire grandi torri che puntualmente crollavano e, tra una risata ed un balbettìo, gattonava per recuperare i pezzi sparsi per poi rimettersi al lavoro, i ricciolini neri che gli rimbalzavano in fronte.
Isabelle di tanto in tanto gli gettava un'occhiata mentre, accucciata sul divano del soggiorno, sottolineava e rileggeva i suoi vecchi appunti di economia e diritto. Non studiava più ma aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa che non fossero paranoie malefiche, come lei le definiva. 

L'organizzazione è stata, ed è ancora oggi, oggetto di attenzioni da parte di molti autori provenienti da diverse discipline, quali la psicologia, la sociologia, l'economia industriale.

Isabelle rabbrividì leggermente nella sua canotta, forse aveva lasciato qualche finestra aperta? Si sincerò di controllare e riprese a leggere.

Le prime riflessioni sui principi e gli strumenti dell’organizzazione si ebbero all’inizio del ’900 quando Max Weber, analizzando i concetti di potere e di autorità...

Sobbalzò violentemente al rumore di uno schianto, un fortissimo schianto in continua successione: dopo aver gettato un ultimo sguardo al bambino, si avventurò per il corridoio e ciò che vide le fece scendere di parecchi gradi la temperatura corporea. 
Le foto, tutte le foto di Caleb ma anche quelle di lei sola o in coppia con Victor, erano per terra, il vetro delle cornici sparpagliato in frammenti per tutto il pavimento.

Ma che cazzo...

Ferma a contemplare quel disatro Isabelle tremava leggermente, del tutto incapace di formulare un pensiero logico.
Un ultimo schianto, stavolta proveniente dalla cameretta di Caleb.
Con le gambe sempre più molli la ragazza si costrinse ad andare a controllare, stando attenta a non tagliarsi i piedi mentre il cervello le urlava di prendere suo figlio e correre via lontano da quella casa.
Avevano fatto una foto lei, Victor e Caleb appena dopo il trasloco che li ritraeva in primo piano, messa in un quadretto e posizionata in uno scaffale della cameretta: quella stessa foto giaceva dall'altro capo della stanza come se qualcuno l'avesse scagliata con violenza contro il muro in preda ad un attacco di rabbia.
Le venne in mente quella vecchia canzoncina: è arrivato l'uomo nero, quando il buio ancora dura tu sei il solo ad aver paura che al suo orecchio suonava con un tono molto più macabro. Peccato che, per quanto ne sapeva, il cosiddetto uomo nero veniva allo scoperto solo la notte e non in pieno giorno.
Se qualcosa in quella casa c'era davvero stava diventando decisamente più audace. 

Non è possibile... Non può essere... Sono solo favolette per bambini... Quel genere di favoletta che non avrebbe mai e poi mai raccontato a suo figlio, nemmeno davanti alla peggiore delle marachelle. Dal canto suo era stata una bambina coraggiosissima, sempre la prima ad entrare in casa per accendere la luce fino a quando non si era "riempita la testa di porcherie", citando testualmente le parole di sua madre. 
Mentre raccoglieva la foto e ciò che restava del quadretto, si rese conto che la finestra era leggermente aperta: ciò avrebbe potuto spiegare la corrente. Si affrettò a chiuderla, sicuramente era stato qualche idiota ad intrufolarsi di nascosto per farle questo bello scherzetto, uno sfigato che credeva che tutto questo fosse divertente...
L'antina dell'armadio si chiuse bruscamente con un gran risucchio.

"Chi cazzo c'è?!"

Stavolta non se l'era immaginato, proprio no, qualcosa stava burlandosi di lei e della sua sanità mentale. Quasi quasi si aspettava di vedere uno di quei mostri uscito dritto da uno di quei film horror di serie B, tutto artigli e zanne che le faceva buuu! da un angolo della stanza. Si accorse di avere la canotta sudata dalla parte della schiena.
Dopo aver raccolto un frammento di vetro da terra, Isabelle si avvicinò cautamente all'armadio e ci appoggiò l'orecchio: sentì un leggero ticchettio, come unghie che battono sul legno. Dopo aver fatto un paio di respiri profondi, lo spalancò: all'interno solo magliette, pantaloncini, pigiamini, scarpette e giubottini. Nient'altro. Con un urlo frustrato, Isabelle lanciò tutto il suo contenuto per terra per poi scoppiare in lacrime.

Poco tempo prima del ritorno di Victor gli strani fenomeni cessarono così com'erano iniziati e le ante di entrambi gli armadi tornarono a restare ben chiuse. Isabelle attribuì tutto allo stress di essere sola con un bambino piccolo da accudire.
La vigilia del suo ritorno Victor le aveva mandato un messaggio al cellulare che lesse una volta infilata sotto le coperte, dopo aver acceso il baby phone sul comodino accanto alla sveglia luminosa. Aveva riportato Caleb a dormire nella sua cameretta, ormai convinta che le sue crisi fossero dovute al fatto che non era ancora abituato a staccarsi da lei, ma si era comunque fatta prestare un baby phone dalla sua vicina di casa, la signora Norris - che aveva un debole per Caleb e cinque figli ormai alle medie e alle elementari - per poter comunque continuare a tenerlo sotto controllo.

"Aspettami domattina, verrò a svegliarti con una sorpresa. Ti amo."

Sorridendo come una scolaretta alla prima cotta, la ragazza spense la luce e cercò di dormire cullata dal ritmo del respiro regolare di Caleb. Stava quasi per assopirsi quando, all'improvviso, sentì il cigolio di un'anta che si apriva: spalancò di scatto gli occhi, i muscoli irrigiditi. Ci fu una breve serie di tonfi molli, sordi e pesanti ed il fruscio come di qualcosa che viene sollevato, al suono di un respiro rasposo.
Isabelle non aveva avuto tanta paura come quando aveva scoperto per la prima volta di essere incinta: questa volta era una paura diversa. Una paura primordiale.
Qualcuno minacciava la vita del suo bambino.
Si rese conto solo in quel momento di quanto davvero l'amasse precipitandosi per il corridoio con le ali ai piedi quasi col rischio di inciampare, il cuore in punto da esplodere nel petto straziato dal panico.
Una volta arrivata alla soglia della cameretta il suo cuore interruppe i suoi battiti fino a fermarsi: sentì la vescica allentarsi fino a cedere del tutto.
Davanti al lettino una figura completamente nera e dalle spalle ingobbite teneva in braccio Caleb, rigido come un pezzo di legno e gli occhi fissi e dilatati, sul soffitto la luna e le stelline luminose che sorridevano come spettatrici impotenti. Segno che in realtà la luce non allontana i demoni ma, al contrario, li attira.
Ad uno sguardo più attento, Isabelle si rese conto che non stava affatto cullando il bambino... lo stava scrollando.
"Lascialo..." Avrebbe voluto urlare ma le uscì solo un sussurro cavernoso, inchiodata alla soglia della stanza.
Lentamente l'essere si girò verso di lei puntandole addosso gli occhi senza sguardo e neri come i pozzi dell'inferno, sollevando il bambino per la collottola ed iniziando a leccargli il petto con la lingua biforcuta.

"FIGLIO DI PUTTANA!"

Singhiozzando Isabelle si avventò sul mostro, che lasciò cadere Caleb sul lettino: iniziò a piangere forte, ma per Isabelle era come sentire un coro di violini dal momento che significava soltanto che suo figlio stava bene, anche se terrorizzato a morte.
La creatura afferrò la ragazza per la gola e la scagliò contro la parete; cadde in posizione fetale, un rivolo di sangue che le scorreva lungo la tempia. Mentre tentava di allontanarsi strisciando una mano le afferrò una caviglia con una presa molle ma decisa e la trascinò via, verso l'armadio. Prima di perdere i sensi, vide Caleb sporgersi dal lettino verso di lei esclamando: "Mamma!"




Virginbell's corner:
Ebbene sì, è la mia prima storia "horror" *emozione*
Lo so che non è il tema più originale del mondo e che non fa paura manco a pagarla, io stessa sono quasi assuefatta al genere, ma spero lo stesso che apprezziate lo sforzo ^^
Un enorme e riconoscente grazie va alla mia carissima amica
Kalì Shinova che mi ha dato una mano a revisionarla e a migliorarla.
Me lo lasciate anche voi un commentino ino ino? Mi farebbe molto piacere, sia per sapere se tutto sommato è accettabile o se al contrario ho cannato *-* 
A presto,

Virgi <3
  
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