C’era una ragazza.
Un pensiero grezzo, lapalissiano. C’erano milioni di ragazze.
Ma, pensò lui, la verità stava nella trasparenza della
semplicità ed era accessibile a tutti, alla portata di orecchie
e sotto gli occhi di qualunque stolto pronto a vederla, ma non a osservarla.
Quindi sì, c’era una ragazza.
Altezza nella media, capelli castani e occhi scuri, corporatura
filiforme, ossa fini. Minuta, una voce limpida e uno sguardo quieto,
distante, sul chi va là.
C’era una ragazza che vestiva abiti dimessi e di inequivocabile taglio maschile. Uomo, cinquantasette anni.
Saltava i pasti alla mensa con regolarità – nulla di cui stupirsi, il cibo servito era una poltiglia immangiabile -
e con altrettanta persistenza Sherlock s’imbatteva in lei in
biblioteca, nelle zone morte in cui erano esiliati le collezioni di
libri mortalmente monotoni.
I medici non deprecavano la curiosità, ma l’indiscrezione
e l’assoluta mancanza di empatia – l’ipocrisia del
non fingere emozioni compartecipi: compassione e pietà –
con il paziente erano deficienze deplorevoli per un Dottore.
Sherlock non comprendeva quale fosse il problema della loro assenza.
Perché fingere di interessarsi al malato, mero portatore, quando
era la malattia l’unica fonte di attrattiva e coinvolgimento?
Perché quella verità era morbosa, gli era stato fatto
notare. Ciò nonostante era la verità e la verità,
aveva deciso Sherlock tempo immemore, era l’unica fonte di
nutrimento irrinunciabile, tutto ciò che gli occorreva per
sostenersi.
C’era questa ragazza ed era vero che fosse diversa in modo
sottile, sensibile, che si discostasse dal pattume in cui
universalmente si gettava il resto del mondo.
Ed era guardata come uno strano animale esotico.
Sherlock non si curava di quello che la gente pensava di lui, ma per
caso aveva scoperto Molly Hooper e altrettanto casualmente aveva
scoperto di essere interessato a ciò che la gente diceva di lei.
Della ragazza minuta dalla bocca troppo piccola e dagli occhi grandi,
profondi, che si appuntavano su tutto senza darne l’impressione;
dall’intelligenza acuta e dalla mente vivace ed esuberante.
Un tempo, Sherlock si era interessato alla ragazza, prima che al medico.
Di quel tempo Molly Hooper, quasi dieci anni dopo, avrebbe ricordato ben poco.
Nulla si crea
-
-
-
Nella
biblioteca studentesca, Sherlock si inoltrò nello stretto
corridoio tra gli scaffali dedicati a Genetica e a Medicina Genetliaca.
Captò il chiacchiericcio in sottofondo e in breve il mormorio
blaterante del ragazzo nella corsia a ridosso divenne disperatamente
comprensibile.
Uno stupido ragazzo cercava di convincere una ancora più stupida
ragazza a partecipare a una serata a tema in un bar della East London.
Sherlock ne ascoltò un frammento con una smorfia di irritazione.
Aveva messo in conto di non essere il solo ad avvalersi della pausa
pranzo, comunque generalmente si trattava di seccatori da cui era
facile tenersi alla larga. Non questa volta.
Si fermò al suono della voce femminile che rispondeva al
disturbatore principale con una pacatezza e un eloquio degni di
considerazione.
Sherlock poteva figurarsela con precisione, anche senza lo scorcio che
ne aveva tra uno scaffale e l’altro. La postura rigida della
schiena, le spalle tirate indietro, l’espressione accigliata e la
pila di manuali stretti al petto come una barriera di difesa posta tra
sé e la ferocia del mondo esterno.
Quando si voltò per controllare l’attendibilità
delle sue deduzioni, aggiunse al quadro d’insieme un paio di
occhiali dalle piccole lenti rotonde e un viso pallido e corrucciato.
“No, Archie”, la sentì dire. “Sei molto
carino, ma la settimana prossima ho la verifica di metà semestre
del professor Brook e-”
“Lo so, Molly. Seguiamo quel corso insieme. Ricordi?”
“Oh, Archie, non intendevo…” Un sospiro nervoso, vibrante. “Sai cosa intendevo.”
“Sì, lo so. Intendevi solo che non hai tempo da perdere con noi comuni mortali.”
Una risata forzata da parte del ragazzo che la ragazza accolse pestando
il piede con insospettata energia, seccata. “Non lo merito.”
“Neppure io merito di essere costretto ad elemosinare il tempo e
l’attenzione della mia migliore amica. Volevo presentarti
Freddie.”
“Sono sicura che Winifred capirà.”
Ripresero a camminare. La ragazza – Molly Hooper frugava tra gli
scaffali con dita rapaci, tastando i frontespizi mentre camminava.
Sherlock poteva intravedere la tonalità accesa del maglione
amorfo che indossava, la matita colorata fissata in cima alla testa per
mantenere il nido di rondine dei capelli castani.
“Ha già capito al punch di Natale e al rinfresco a casa dei Miller. Ormai ti conosce come la stacanovista. Credo che il resto del campus ti chiami Miss Perfettini.”
“Beh, questa Miss Perfettini non passerà a nessuno i suoi appunti, tanto per cominciare.”
“Questa è una bugia e anche di pessima qualità, sai.”
Molly si fermò, le braccia artigliate attorno ai libri di testo.
Il suo tono cambiò completamente, si fece basso e prudente, in
qualche modo esitante. “Ci provo, Archie. Ci provo davvero,
ma-”
Archie – diminutivo idiota di Arthur – tese una mano
verso di lei, le sfiorò una spalla, scremando la consistenza
della lana pesante. “Senti, io capisco, Molly, ti capisco. La tua situazione è qualcosa di terribile e assurdo, ma non puoi precluderti la felicità.”
“Dubito che un gruppo di sballati e qualche birra possano mostrarmi la strada della felicità.”
Sherlock si ritrovò a combattere contro la curvatura sospetta
che gli aveva fatto sollevare le labbra. Nascose il sorriso irrazionale
dietro il pollice, punteggiandolo come qualcosa di insalubre e
pericoloso.
L’opera di persuasione del ragazzo era agli accordi finali.
“E chi può dire il contrario?” stava chiedendo.
“Di sicuro non io. Neppure tu se non provi almeno una volta.
Goditi questi anni, Molly, perché non ritorneranno. Tra dieci
anni vuoi davvero guardare indietro e sapere di avere solo un mucchio
di libri e serate trascorse vicino al fuoco o in laboratorio?”
“Non c’è niente di male-”
“Certo che non c’è”, la troncò con
forza. “È quello che ti rende Molly, una persona
fantastica tra parentesi e non solo perché sei stata il mio
primo amore non corrisposto.”
Per l’amor di Dio. Il
ragazzo innamorato che cercava di sedurre l’oggetto delle sue
attenzioni, usando la scusa di un’altra ragazza che fungeva da
specchietto per le allodole. Che tattica patetica.
Molly Hooper non lesse la verità, non la osservò nelle
manovre forzate del suo amico, probabilmente fraintendendo quei
tentativi di sollecitudine come premure. Rise, invece, di una risata
intensa e vitale e assurdamente briosa. E inammissibile, si
ritrovò a considerare, era del tutto soddisfacente ascoltarla.
“Ridi pure, ma il tuo secco ‘no’ è stato una batosta sentimentale di tutto rispetto.”
Lei commentò il fatto che ‘Freddie’ potesse non apprezzare quel particolare dei loro trascorsi in comune.
“Oh, Freddie lo sa”, rispose l’altro con
levità. “È per questo che vuole incontrarti, per
stringerti la mano o qualcosa di simile. Dice che deve assolutamente
conoscere la ragazza che ha avuto la pazienza di un santo nel
sopportarmi tutti questi anni.”
“Non è stato così brutto.”
“Spero proprio di no.”
Molly Hooper continuò la sua ricerca. Si fermò di fronte
allo scaffale che si affacciava su quello davanti al quale lui sostava.
Sherlock la vide prendere un trattato usurato, nascosto tra due
più grandi e nuovi dalle copertine rigide, con la sicurezza di
trovarlo. La vide mordersi il labbro inferiore, pensierosa, mentre lo
aggiungeva alla colonna degli altri.
“Archie… dov’è hai detto che è per stasera?”
“Una serata Drum and bass. La organizzano al-”
Una parte del cervello di Sherlock registrò data e luogo
dell’appuntamento, un’altra annotò il modo in cui le
labbra di Molly si presentassero rosse, i suoi occhi carichi di ombre e
pensieri.
Il
Worship Street Whistling Shop esibiva un arredamento all’antica,
in pieno stile anni ’20. Si trattava di un locale buio, fatto di
luci soffuse e scaffali pieni di libri ingialliti.
Il gruppo che lo interessava occupava un punto mediano: il divano di
pelle rossa e un paio di poltrone nella zona centrale, non distante dal
bancone.
Erano tre ragazze, due bionde e una mora, Molly e il ragazzo rosso con le lentiggini dal nomignolo idiota.
Una delle due ragazze bionde, la più alta, sorrise a Molly,
l’abbracciò come un’amica di lunga data. “La
famosa Molly”, la salutò, approvandone con uno sguardo la
figura da elfo dei boschi. “Se fossi un tipo geloso, starei
già pianificando il tuo omicidio per quanto Archie parla di
te.”
Molly rispose al sorriso della ragazza con uno aperto e simpatizzante.
“Smette di essere una cosa sospetta, conoscendo Archie. Trovato
un argomento di suo gusto è difficile che lo abbandoni. Ricordo
che al primo anno si era fissato con Neil Gaiman. È stato
impossibile farlo parlare di altro per tutto il trimestre.”
Vertice del triangolo che formavano, Archie imprecò con vigore. “Neil Gaiman merita ogni-”
Molly lo interruppe con uno svolazzo della mano, scambiando
un’occhiata significativa e complice con la ragazza bionda.
“Sì, lo ricordo.”
La ragazza bionda la prese familiarmente a braccetto, le
presentò le due ragazze sul divanetto. “Molly, queste sono
Daria e Carrie. Ragazze, questa è Molly.”
“Molly?” fece la bionda gracile, inarcando le sopracciglia e accentando il nome d’enfasi. “Molly Hooper? La prima del corso di biochimica?”
“E di molti altri”, le rispose l’amica bruna, bassa e
dalla scollatura generosa. La squadrò con interesse e una punta
d’irriverenza. “Dovresti cominciare a vendere i tuoi
appunti, cara”, aggiunse in tono provocante, rivolta a Molly.
“Faresti un mucchio di soldi.”
“Non credo che rientri nei suoi interessi”, disse la bionda alta con un'espressione stiracchiata e nervosa.
La bruna non colse l’invito al silenzio. “Chi ti
sovvenziona gli studi?” proseguì imperterrita, con
incredibile faccia tosta. “Ho sentito dire che se ne occupa
il-”
“Daria!” esclamò l’amica bionda che le era
seduta accanto. Le diede una gomitata che la spinse a tacere.
“Molly vuoi qualcosa?” intervenne la bionda alta.
Nell’opinione di Sherlock la più dotata delle tre a
livello cerebrale.
Molly la guardò con trasparente simpatia. “No, grazie.”
“Oh, andiamo!” esclamò la bruna procace di nome Dalia o Dacia. Il diavolo si porti il suo nome. “Non fare la santarellina, Molly. Prendi una birra. Che senso ha venire al pub se non bevi neppure?”
Un'altra gomitata dell’amica, una breve pausa imbarazzata e tesa
che Molly spazzò via con un’osservazione cortese sul
trucco delle ragazze, facendo seguire una battuta di spirito sulla
propria incapacità in quel settore.
“Sabato sera c’è un rave party, perché non fai un salto?” le propose la bionda bassa.
Molly scosse la testa. “Devo studiare.”
“E chi non deve qua in mezzo? Sentiamo, cosa devi studiare?”
Di nuovo la mora.
Se fosse stata rivolta a lui quell’impertinenza, Sherlock
l’avrebbe freddata con uno sguardo capace di ghiacciare l’Inferno.
Molly le rivolse uno sguardo fermo e un sorriso irremovibile.
“Terreni di coltura. Vorrei provare ad isolare il Bacillus
anthracis.”
“Hai un pass per i laboratori? Non sei dell’ultimo anno.” La bionda alta si accigliò.
Archie le passò un braccio dietro le spalle, se la strinse
contro e intanto indirizzò un sorriso a Molly. “Molly sta
facendo il possibile per laurearsi con un anno di anticipo”,
spiegò.
“Buon Dio e perché?” domandò la bruna.
“Cosa c’è di sbagliato nel laurearsi nei tempi
stabiliti?”
Molly non rispose, cosa di cui entrambe le ragazze bionde sembrarono grate.
“E cosa ti aspetta dopo la laurea, Molly?” chiese la bionda
non abbarbicata al ragazzo. “Hai già qualcosa in mente o
ti butterai a pesce su Chirurgia?”
“Pensavo a Patologia”, confessò lei con uno dei sorrisi genuini del suo repertorio.
“Non ti sembra un po’… morbosa, come specializzazione?” domandò Daria - Darma?
“Uno scalpello in mano e un paziente che non può
lamentarsi. No, credo di riuscire a reggere il silenzio e ad
apprezzarne i risvolti piacevoli”, ribatté Molly,
strappando una risata collettiva.
“Sapete chi si vocifera che lascerà,
quest’anno?” iniziò la bionda insipida dalla voce
irritante. “C’è stata una vera diatriba tra i
professori. C’è chi ha inneggiato al miracolo e chi ne era
mortificato e l’ha presa come una questione personale.”
“Parli del genio. Sherlock Holmes.”
“Se ne va? Perché?”
Era stata la bionda provvista di una dose di ragionevolezza ad avanzare la domanda.
“Forse non si sente apprezzato.” L’altra scosse la
testa e si strinse nelle spalle con un’espressione vuota.
“Forse disintossicarsi per la
seconda volta gli ha spappolato una parte del cervello”,
intervenne con un ghigno acido Dacia-Daria.
Sherlock si inoltrò nella penombra. In questo modo non poteva più guardarli, ma solo ascoltarli.
“O forse è semplicemente stanco delle chiacchiere sul suo conto.”
“Un brindisi a Molly, avvocato delle cause perse. Formereste una
bella coppia: strano più strana. Non lo pensi anche tu,
Carrie?”
“Penso che tu abbia bevuto troppo.”
“Oh, andiamo! La festa è appena cominciata!”
“La accompagno al bagno.”
Sherlock sentì le due ragazze alzarsi e allontanarsi. Si
girò per controllare chi fosse rimasto. Il ragazzo rosso, la
bionda alta e Molly.
“Mi dispiace per Daria. Non voleva essere cattiva, è solo che- oh, dannazione!”
La ragazza alta aveva guardato nella sua direzione.
“Cosa c’è, Freddie?”
“Guardate là”, indicò verso di lui nel modo
meno discreto che Sherlock riuscisse a concepire. “Non è
Sherlock Holmes quello al bancone? Dite che ha sentito?”
“Se anche fosse, non vedo dove starebbe il problema. Non è
come se Daria avesse detto niente che non sia vero. Com’è
che gli piace dire? La verità non è sempre gentile. Non
è quello che ha detto a quella povera ragazza dopo averle
rivelato che il suo ragazzo la tradiva perché lo aveva dedotto
dallo stato dei suoi pantaloni o un’altra diavoleria? Ve lo dico
io: quel ragazzo è il demonio. Per colpa sua sono scoppiate non
so quante coppie. Si dice che anche la professoressa Vernet sia stata
lasciata dal marito. Questo perché durante una delle sue
letture, Sherlock ha argomentato la sua presunta relazione con uno
studente del terzo anno, davanti all’intera classe. La Vernet
è stata sospesa e si parla di sanzione disciplinare.”
“Era vero?”
“Molly non starai prendendo le sue difese, spero!”
“Assolutamente no. Non c’è giustizia
nell’essere deliberatamente crudeli e nessuno merita un esame di
coscienza pubblico. Per quello esistono i tribunali.”
“Preparati al ‘ma’, Freddie. Molly è la regina
dei ‘ma’, te lo assicuro. Una volta è stata capace
di trovare un ‘ma’ dopo un’intossicazione al
ristorante coreano in cui l’avevo portata.”
“Dico solo che è da ipocriti rinfacciare a qualcuno un
proprio errore. Non è come se sia stato Sherlock a tradire
quella ragazza o ad avere una relazione clandestina con un
docente.”
Una risatina alle sue spalle. Le due ragazze erano tornate, ma qualcosa
le frenava dal tornare al tavolo. Probabilmente un minimo di buonsenso
da parte di una e l’evidente mancanza dello stesso
nell’altra. Avevano discusso.
“Lei ne sa qualcosa al riguardo, vero?”
La bionda la scosse per il braccio. Aveva cercato di convincerla a
tornare a casa, ma aveva fallito e ora tentava di portarla fuori,
sperando che una boccata d’aria la facesse rinsavire. Speranza
vuota. Nessuna notte o miracolo avrebbe potuto uccidere la
meschinità.
“Sul serio, Daria, dovresti smetterla. Sei fortunata che Winifred non ti abbia sentita o altrimenti-”
“Altrimenti cosa? Ma guardala! Pende dalle labbra di quella
secchiona solo perché ha paura che il fidanzato la lasci se non
se la fa piacere.”
“Le cose non stanno esattamente così.”
“Le cose stanno esattamente così, ti dico! È ora di
dare una lezione a Miss Perfettini.” Tirò fuori qualcosa
che teneva nel corsetto del vestito. Sherlock imprecò.
“Cosa stai facendo?” chiese la bionda, spaventata.
“Secondo te? Vediamo se questo la scuote un po’. Un
po’ di fantastica Molly per l’agnellino Molly. Potrebbe
cadere dal piedistallo e smettere di guardare tutti con
quell’aria sdegnata.”
“A me sembra una apposto. Riservata, ma non un mostro di
presunzione come la dipingi tu. Si può sapere perché ce
l’hai tanto con lei? Che ti ha fatto?”
“Persone così non ti danno fastidio? Perfette e talmente buone da far venire il diabete.”
“Abbassa la voce”, la pregò l’altra.
“Sherlock Holmes è proprio dietro di noi. Credo che ci
abbia sentito.”
La bruna fece spallucce e si sistemò i capelli. “Figurati
se quello sballato presta attenzione alle conversazioni di
‘un’oca’! E se anche fosse pensi che sprecherebbe
tempo a difendere le virtù di qualcuno? Specie di una come la
Hooper?”
Sherlock la vide avvicinarsi al barista. Osservò le sue manovre,
le moine con cui lo comprò e la banconota da cinquanta sterline
che gli passò.
A due metri di distanza, intanto, Molly Hooper rideva e mangiava olive, ignara.
La avvicinò senza averne l’intenzione.
“Non berrei se fossi in te.”
Lei incrociò i suoi occhi, sollevò le sopracciglia. “Cosa? Perché?”
Sherlock non rispose.
Molly agitò il bicchiere e la bevanda produsse una sorta di
schiuma, infrangendosi contro il bordo. “Lo hanno drogato.”
Non appariva impressionata, nemmeno stupita in tutta franchezza.
Sherlock contrasse un angolo della bocca sarcasticamente. Cosa ti aspettavi da una serata del genere?
Lei rimase a fissare in modo passivo il liquido dolciastro nel
bicchiere tra le sue mani. “Perché mi hai
avvertito?” chiese alla fine.
“Avresti preferito che non lo facessi?”
Il tono tagliente non funzionò.
“Dico solo che avresti potuto non farlo”, disse lei con
voce mite, lo sguardo mercuriale tra le ciglia scurissime.
“Avvertirmi, intendo. Sei stato gentile.”
“Gentile. Non è quello che dicono di me di solito.” Sherlock schioccò la lingua contro il palato.
Lei annuì, gli scoccò il lampo di un sorriso canzonatorio. “Lo so.”
La seguì quando uscì dal locale, quindici minuti dopo, portata a braccio da quel suo amico smilzo e rosso.
“Cosa diavolo le hanno dato? Molly? Molly!” Il ragazzo le
diede schiaffi leggeri sulle guance con il dorso della mano.
Molly riaprì gli occhi brevemente, gli rivolse la miniatura di
un sorriso, poi rovesciò la testa all’indietro e quella
ciondolò, oltre la spalla del ragazzo, inerte e senza vita.
“Fai la brava, appoggiati a me, su”, disse lui,
sostenendola.
L’altra ragazza li seguiva a breve distanza, in evidente
difficoltà sui tacchi scomodi che si era imposta di indossare
per risultare più attraente.
“Archie, Daria ha esagerato, ma giuro che non avevo idea che-” cominciò ad articolare a vanvera.
“Belle amiche che hai, davvero!” Lui la interruppe,
furioso. “Gli amici sono lo specchio di chi siamo davvero.”
“O di chi desideriamo”, mormorò lei, mordendosi le
labbra colorate e rimanendo indietro ancora una volta. Quando se ne
accorse, lo rincorse. “Archie, lascia che vi accompagni alla
macchina!”
“Non credi di aver fatto abbastanza danni per una sera?”
“Hai un’opinione così bassa di me?”
“La gelosia fa fare le cose più pazze.”
“Anche l’amore.”
“Senti, Freddie, non è proprio il momento per-”
“Non è mai il momento adatto!” esplose la ragazza.
“Sei sempre impegnato con lei, con la tua Molly! Voglio la
verità. Per una volta, una soltanto, Arthur, dimmi la
verità. Non importa se non sarà gentile. Tu la ami, non
è così?”
Arthur scosse la testa, guardando entrambe le ragazze con fare
impenetrabile. “Lei non mi ama. Non la conosci, Freddie. Non
potrebbe mai.”
La ragazza scoppiò in una risata acuta, ferita. Il trucco
attorno agli occhi chiari era sbavato in rivoli scuri di bistro
sciolto: se per i vapori del locale o per altre ragioni era superfluo
definirlo.
“La storia più vecchia del mondo. Ragazza ama ragazzo che
ama l’amica più stretta. Sai come finiscono le storie
così? Con tanti cuori spezzati.”
Il ragazzo la accompagnò fino al dormitorio. Rimase cinque minuti più del necessario.
Quando Sherlock lo vide uscire, non sprecò tempo a decifrarne l’espressione.
Scassinò la finestra. La stanza era nella penombra. Mucchi di
vestiti sulla moquette del pavimento. Poster alle pareti e una bacheca
di sughero tappezzata di volantini fissati con le puntine, un vecchio
baule e – Sherlock batté le palpebre – un duplicatore stencil?
“Sapevi cosa sarebbe successo. Lo stesso hai bevuto. Perché?”
Nel letto, un fagotto di lenzuola, capelli scarmigliati buttati sulla
spalla nuda e una maglietta della squadra di canottaggio di Cambridge,
Molly Hooper gli restituì lo sguardo senza battere ciglio.
Labbra gonfie di baci, guance paonazze, pupille dilatate. Fremito alle mani e agli occhi.
“Coscienza.”
Sherlock fece un verso derisorio. “Persone di quel calibro non hanno una coscienza.”
“Sciocchezze”, sbottò lei. “Tutti ne hanno
una. Anche tu. È ciò che ti ha spinto a dirmi di non
bere.” Allungò le gambe nude e stirò le braccia
all’indietro. Sorrise, con l’aria di un gatto soddisfatto
del pasto rubato. “Qualunque cosa mi abbiamo dato, la sensazione
è fantastica.”
Sherlock si fece avanti nel caos della stanza. “Sai cosa sta
succedendo? Il meccanismo di azione si basa sull’interazione con
i mediatori chimici. Acetilcolina, adrenalina, istamina e serotonina. Tramite loro si propagano gli impulsi sensoriali fra le cellule nervose del sistema nervoso centrale.
Se la dose è abbastanza potente isolerà l’assuntore
dal campo visivo abituale e produrrà delle allucinazioni.”
Molly prese atto della sua vicinanza remissivamente. Tuttavia
c’era una certa fierezza nel modo schietto in cui si
lasciò studiare, di dignitoso.
“Non hai bevuto solo per dare loro la possibilità di
dimostrarsi migliori”, ponderò Sherlock, sedendosi sulla
sponda del letto. “Hai bevuto perché volevi farlo, quindi
la mia domanda è: perché?”
“Cosa spinge una persona ad assumere sostanze stupefacenti? Io
volevo dimenticare. Volevo provare ad essere libera, sperimentare una
felicità folle e innaturale. Tu perché lo fai?”
Gli trovò il braccio e glielo strinse, proprio il raccordo
angolato del gomito, lì dove Sherlock aveva cognizione dei fori
delle iniezioni. “Per le stesse ragioni”, rispose in tono
grave, indigesto. “Provo a dimenticare chi sono.”
“Scioglie davvero i lucchetti che ti ingabbiano la mente?
Prigionieri di se stessi. Dio mio, che persone complicate siamo.”
Sherlock le concesse un rapido cenno d’assenso. Non voleva
mostrare di essere stato lusingato dal quel ‘noi’.
“Potrebbe essere altrimenti?”
Si alzò per andarsene. Temeva la sottile granulosità
della pelle di lei alla luce artificiale dei lampioni esterni. La
curiosità, avulsa da qualsiasi contesto, di saggiarla al tatto,
tastarla con le mani e la lingua, era angosciante. Il desiderio
impenetrabile per quella ragazza esile…
Lei lo afferrò per il polso. Aveva le dita bollenti, il viso accaldato, gli occhi lucidi e febbrili. “Resta.”
Sherlock non arretrò, non sciolse quella presa tenace e forte.
“Domani non ricorderai niente”, si limitò a farle
presente, incolore.
Il baluginio di un sorriso candido nei tratti gradevoli di lei. “Questo rende tutto più facile, no?”
No, non lo era, perché non
voleva essere l’unico a ricordare. Non voleva essere
l’unico a subire il tormento della memoria.
Lo stesso rimase. Lo stesso, quando lei lo baciò, Sherlock
non la respinse - profumo di lavanda sulla pelle, il retrogusto
amarognolo del liquore sulle labbra sottili e screpolate, la morbidezza
languida e oscura delle droghe nelle pupille dilatate. Noce moscata,
vaniglia, radice di acoro, safrolo nell’alito rovente del suo
respiro.
Pura Molly.
“Signor
Holmes, gradirei che ripensasse alla questione con maggiore
scrupolosità di pensiero. È inaccettabile che una mente
come la sua, che un giovane talentuoso con le sue qualità si
precluda la quantità smisurata di alternative che…”
Sherlock non lo lasciò concludere, raddrizzò le spalle
con un gesto inequivocabile. “Sono venuto a prendere
congedo.”
Il professor Knight gli dedicò uno sguardo di limpida amarezza.
Quel sentimento, perlomeno, tra tanti altri impenetrabili, gli era
sempre stato facile da riconoscere. “Niente di quello che
dirò servirà allo scopo di farle cambiare idea, non
è così?” domandò e scosse la testa,
osservandosi le mani. “Per Dio, com’è devastante e
meravigliosa quella libertà. Sentire tutto quel potere
decisionale! Disporre del vigore della gioventù, dei mezzi e
della forza necessari ad autodeterminarsi! Avessi vent’anni di
meno, la seguirei a briglie sciolte, ma queste mani mi ricordano i miei
doveri e i miei doveri mi ricordano cosa sono diventato e cosa non
posso più essere.”
L’orologio a muro suonò l’ora e lui sussultò,
rivolgendo all’oggetto un’occhiata contrita. “Sacripante,
è già così tardi? Temo che dovremo rinviare il
bicchiere della staffa al nostro prossimo incontro. L’ultimo
appuntamento in agenda tende ad una vergognosa
puntualità.”
Sherlock inarcò le sopracciglia.
Knight sorrise, i vecchi occhi brillanti di un sentimento inespresso.
“Si tratta della mia figlioccia. Una ragazza con la testa sulle
spalle, affidabile e seria, figlia di un amico di vecchia data, il
più caro in effetti.”
Sherlock annuì, compito, non dandosi pena di chiedere a chi si
stesse riferendo, a fingere interessamento quando era ben lontano dal
provarlo.
Quando il professore gli porse la mano, Sherlock gli porse a propria
volta la sua. Knight gliela strinse, sovrapponendola con le sue. “Spero
in tutta sincerità che la vita le sorrida, mio caro ragazzo. Se
avessi una sterlina la scommetterei ad occhi chiusi su di lei. Ha
già dei progetti nell’immediato avvenire? Non che abbia la
presunzione di ritenerla di una qualche rilevanza per lei, ma per quel
che vale ha ottenuto la mia benedizione. Nihil obstat quominus imprimatur.”
Lo accompagnò alla porta e quando la aprì, Sherlock batté le palpebre, interdetto.
“Oh, eccola qui, Miss Hooper.”
Molly Hooper era di fronte a lui, in un’improbabile maglione
arancione che metteva in risalto il suo pallore. Gli rivolse uno
sguardo vacuo e un cenno, prima di sorridere in modo fiacco e
addolorato. “Buonasera, professore.”
Knight guardò entrambi e Sherlock intuì l’evidenza di quella che sarebbe stata la sua prossima mossa.
Si scusò e se ne andò prima che lui potesse metterla in atto.
Non avrebbe lasciato ad altri il compito di presentarlo. Non a lei.
Il laboratorio del dipartimento di Batteriologia.
Ricordava di averla sentita dire che ci sarebbe andata per eseguire dei
test, in vista dell’esame di metà trimestre, quel
pomeriggio in biblioteca.
Era successo una settimana fa. Era bastato così poco? Era
bastato averla una notte, pensarla sua e farla diventare sua e sentirla
sua solo una notte perché tutto fosse cambiato in modo
irrimediabile e detestabile?
Molly Hooper lo guardò – occhi sgranati in
un’espressione di sincero stupore, costernazione. Lo
guardò e il suo sguardo non lo attraversò come fumo, ma
si soffermò in modo astratto sul suo viso. Occhi che
incontravano per caso quelli di uno sconosciuto.
Non lo riconobbe. Non ricordava.
Sherlock sentì di odiarla. E fu in quell’odio che si
sciolse il sollievo, che trovò strada con cautela il balsamo
dell’indifferenza reciproca, che cantò con trionfante e
largo anticipo la sua liberazione.
Tuttavia non aveva fatto i conti con la gentilezza di Molly, con la sua
vena deprecabile di cortesia e bontà d’animo. Stucchevole,
tediosa.
Nei giorni successivi si ritrovò a dover combattere contro di
lei come contro i sintomi di una crisi d’astinenza.
Disintossicarsi della sua assenza.
Non ci riuscì.
“I tuoi occhi hanno pigmenti di cinabro.”
Sherlock era sicuro che avrebbe riso. Naturalmente lei fece l’esatto opposto di quanto si era aspettato.
“I tuoi invece mi ricordano il
calomelano”, rispose Molly con aria pensierosa, dopo una breve
pausa. “E anche il palladio.”
“Sotto la luce del neon diventano acqua regia”, aggiunse Sherlock.
Molly corresse la sua posizione,
puntellandosi su un fianco e mantenendosi su un gomito per guardarlo in
viso. Aveva le sopracciglia inarcate e un sorriso che non era divertito
o irriverente, ma lusingato e luminoso. “È un modo
grazioso per dirmi che ho uno sguardo che liquefa-”
Sherlock la baciò e se la
tirò contro con urgenza. Il bacio non spense il sorriso di lei,
lo rafforzò soltanto.