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Autore: Ruta    01/06/2014    2 recensioni
Un tempo, Sherlock si era interessato alla ragazza, prima che al medico.
Di quel tempo Molly, quasi dieci anni dopo, avrebbe ricordato ben poco.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. '
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nulla

C’era una ragazza. 
Un pensiero grezzo, lapalissiano. C’erano milioni di ragazze.
Ma, pensò lui, la verità stava nella trasparenza della semplicità ed era accessibile a tutti, alla portata di orecchie e sotto gli occhi di qualunque stolto pronto a vederla, ma non a osservarla.
Quindi sì, c’era una ragazza. 
Altezza nella media, capelli castani e occhi scuri, corporatura filiforme, ossa fini. Minuta, una voce limpida e uno sguardo quieto, distante, sul chi va là.
C’era una ragazza che vestiva abiti dimessi e di inequivocabile taglio maschile. Uomo, cinquantasette anni.
Saltava i pasti alla mensa con regolarità – nulla di cui stupirsi, il cibo servito era una poltiglia immangiabile - e con altrettanta persistenza Sherlock s’imbatteva in lei in biblioteca, nelle zone morte in cui erano esiliati le collezioni di libri mortalmente monotoni.
I medici non deprecavano la curiosità, ma l’indiscrezione e l’assoluta mancanza di empatia – l’ipocrisia del non fingere emozioni compartecipi: compassione e pietà – con il paziente erano deficienze deplorevoli per un Dottore.
Sherlock non comprendeva quale fosse il problema della loro assenza. Perché fingere di interessarsi al malato, mero portatore, quando era la malattia l’unica fonte di attrattiva e coinvolgimento?
Perché quella verità era morbosa, gli era stato fatto notare. Ciò nonostante era la verità e la verità, aveva deciso Sherlock tempo immemore, era l’unica fonte di nutrimento irrinunciabile, tutto ciò che gli occorreva per sostenersi.
C’era questa ragazza ed era vero che fosse diversa in modo sottile, sensibile, che si discostasse dal pattume in cui universalmente si gettava il resto del mondo. 
Ed era guardata come uno strano animale esotico.
Sherlock non si curava di quello che la gente pensava di lui, ma per caso aveva scoperto Molly Hooper e altrettanto casualmente aveva scoperto di essere interessato a ciò che la gente diceva di lei. Della ragazza minuta dalla bocca troppo piccola e dagli occhi grandi, profondi, che si appuntavano su tutto senza darne l’impressione; dall’intelligenza acuta e dalla mente vivace ed esuberante.

 

Un tempo, Sherlock si era interessato alla ragazza, prima che al medico.
Di quel tempo Molly Hooper, quasi dieci anni dopo, avrebbe ricordato ben poco.

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Nulla si crea

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Nella biblioteca studentesca, Sherlock si inoltrò nello stretto corridoio tra gli scaffali dedicati a Genetica e a Medicina Genetliaca.
Captò il chiacchiericcio in sottofondo e in breve il mormorio blaterante del ragazzo nella corsia a ridosso divenne disperatamente comprensibile.
Uno stupido ragazzo cercava di convincere una ancora più stupida ragazza a partecipare a una serata a tema in un bar della East London.
Sherlock ne ascoltò un frammento con una smorfia di irritazione. Aveva messo in conto di non essere il solo ad avvalersi della pausa pranzo, comunque generalmente si trattava di seccatori da cui era facile tenersi alla larga. Non questa volta.
Si fermò al suono della voce femminile che rispondeva al disturbatore principale con una pacatezza e un eloquio degni di considerazione.
Sherlock poteva figurarsela con precisione, anche senza lo scorcio che ne aveva tra uno scaffale e l’altro. La postura rigida della schiena, le spalle tirate indietro, l’espressione accigliata e la pila di manuali stretti al petto come una barriera di difesa posta tra sé e la ferocia del mondo esterno.
Quando si voltò per controllare l’attendibilità delle sue deduzioni, aggiunse al quadro d’insieme un paio di occhiali dalle piccole lenti rotonde e un viso pallido e corrucciato. “No, Archie”, la sentì dire. “Sei molto carino, ma la settimana prossima ho la verifica di metà semestre del professor Brook e-”
“Lo so, Molly. Seguiamo quel corso insieme. Ricordi?”
“Oh, Archie, non intendevo…” Un sospiro nervoso, vibrante. “Sai cosa intendevo.”
“Sì, lo so. Intendevi solo che non hai tempo da perdere con noi comuni mortali.”
Una risata forzata da parte del ragazzo che la ragazza accolse pestando il piede con insospettata energia, seccata. “Non lo merito.”
“Neppure io merito di essere costretto ad elemosinare il tempo e l’attenzione della mia migliore amica. Volevo presentarti Freddie.”
“Sono sicura che Winifred capirà.”
Ripresero a camminare. La ragazza – Molly Hooper frugava tra gli scaffali con dita rapaci, tastando i frontespizi mentre camminava. Sherlock poteva intravedere la tonalità accesa del maglione amorfo che indossava, la matita colorata fissata in cima alla testa per mantenere il nido di rondine dei capelli castani.
“Ha già capito al punch di Natale e al rinfresco a casa dei Miller. Ormai ti conosce come la stacanovista. Credo che il resto del campus ti chiami Miss Perfettini.”
“Beh, questa Miss Perfettini non passerà a nessuno i suoi appunti, tanto per cominciare.”
“Questa è una bugia e anche di pessima qualità, sai.”
Molly si fermò, le braccia artigliate attorno ai libri di testo. Il suo tono cambiò completamente, si fece basso e prudente, in qualche modo esitante. “Ci provo, Archie. Ci provo davvero, ma-”
Archie – diminutivo idiota di Arthur – tese una mano verso di lei, le sfiorò una spalla, scremando la consistenza della lana pesante. “Senti, io capisco, Molly, ti capisco. La tua situazione è qualcosa di terribile e assurdo, ma non puoi precluderti la felicità.”
“Dubito che un gruppo di sballati e qualche birra possano mostrarmi la strada della felicità.”
Sherlock si ritrovò a combattere contro la curvatura sospetta che gli aveva fatto sollevare le labbra. Nascose il sorriso irrazionale dietro il pollice, punteggiandolo come qualcosa di insalubre e pericoloso. 
L’opera di persuasione del ragazzo era agli accordi finali.
“E chi può dire il contrario?” stava chiedendo. “Di sicuro non io. Neppure tu se non provi almeno una volta. Goditi questi anni, Molly, perché non ritorneranno. Tra dieci anni vuoi davvero guardare indietro e sapere di avere solo un mucchio di libri e serate trascorse vicino al fuoco o in laboratorio?”
“Non c’è niente di male-”
“Certo che non c’è”, la troncò con forza. “È quello che ti rende Molly, una persona fantastica tra parentesi e non solo perché sei stata il mio primo amore non corrisposto.”

Per l’amor di Dio. Il ragazzo innamorato che cercava di sedurre l’oggetto delle sue attenzioni, usando la scusa di un’altra ragazza che fungeva da specchietto per le allodole. Che tattica patetica.
Molly Hooper non lesse la verità, non la osservò nelle manovre forzate del suo amico, probabilmente fraintendendo quei tentativi di sollecitudine come premure. Rise, invece, di una risata intensa e vitale e assurdamente briosa. E inammissibile, si ritrovò a considerare, era del tutto soddisfacente ascoltarla.
“Ridi pure, ma il tuo secco ‘no’ è stato una batosta sentimentale di tutto rispetto.”
Lei commentò il fatto che ‘Freddie’ potesse non apprezzare quel particolare dei loro trascorsi in comune. 
“Oh, Freddie lo sa”, rispose l’altro con levità. “È per questo che vuole incontrarti, per stringerti la mano o qualcosa di simile. Dice che deve assolutamente conoscere la ragazza che ha avuto la pazienza di un santo nel sopportarmi tutti questi anni.”
“Non è stato così brutto.”
“Spero proprio di no.”
Molly Hooper continuò la sua ricerca. Si fermò di fronte allo scaffale che si affacciava su quello davanti al quale lui sostava.
Sherlock la vide prendere un trattato usurato, nascosto tra due più grandi e nuovi dalle copertine rigide, con la sicurezza di trovarlo. La vide mordersi il labbro inferiore, pensierosa, mentre lo aggiungeva alla colonna degli altri.
“Archie… dov’è hai detto che è per stasera?”
“Una serata Drum and bass. La organizzano al-”
Una parte del cervello di Sherlock registrò data e luogo dell’appuntamento, un’altra annotò il modo in cui le labbra di Molly si presentassero rosse, i suoi occhi carichi di ombre e pensieri.

 

*

 

Il Worship Street Whistling Shop esibiva un arredamento all’antica, in pieno stile anni ’20. Si trattava di un locale buio, fatto di luci soffuse e scaffali pieni di libri ingialliti.
Il gruppo che lo interessava occupava un punto mediano: il divano di pelle rossa e un paio di poltrone nella zona centrale, non distante dal bancone.
Erano tre ragazze, due bionde e una mora, Molly e il ragazzo rosso con le lentiggini dal nomignolo idiota.
Una delle due ragazze bionde, la più alta, sorrise a Molly, l’abbracciò come un’amica di lunga data. “La famosa Molly”, la salutò, approvandone con uno sguardo la figura da elfo dei boschi. “Se fossi un tipo geloso, starei già pianificando il tuo omicidio per quanto Archie parla di te.”
Molly rispose al sorriso della ragazza con uno aperto e simpatizzante. “Smette di essere una cosa sospetta, conoscendo Archie. Trovato un argomento di suo gusto è difficile che lo abbandoni. Ricordo che al primo anno si era fissato con Neil Gaiman. È stato impossibile farlo parlare di altro per tutto il trimestre.”
Vertice del triangolo che formavano, Archie imprecò con vigore. “Neil Gaiman merita ogni-”
Molly lo interruppe con uno svolazzo della mano, scambiando un’occhiata significativa e complice con la ragazza bionda. “Sì, lo ricordo.”
La ragazza bionda la prese familiarmente a braccetto, le presentò le due ragazze sul divanetto. “Molly, queste sono Daria e Carrie. Ragazze, questa è Molly.”
“Molly?” fece la bionda gracile, inarcando le sopracciglia e accentando il nome d’enfasi. “Molly Hooper? La prima del corso di biochimica?”
“E di molti altri”, le rispose l’amica bruna, bassa e dalla scollatura generosa. La squadrò con interesse e una punta d’irriverenza. “Dovresti cominciare a vendere i tuoi appunti, cara”, aggiunse in tono provocante, rivolta a Molly. “Faresti un mucchio di soldi.”
“Non credo che rientri nei suoi interessi”, disse la bionda alta con un'espressione stiracchiata e nervosa.
La bruna non colse l’invito al silenzio. “Chi ti sovvenziona gli studi?” proseguì imperterrita, con incredibile faccia tosta. “Ho sentito dire che se ne occupa il-”
“Daria!” esclamò l’amica bionda che le era seduta accanto. Le diede una gomitata che la spinse a tacere.
“Molly vuoi qualcosa?” intervenne la bionda alta.  Nell’opinione di Sherlock la più dotata delle tre a livello cerebrale.
Molly la guardò con trasparente simpatia. “No, grazie.”
“Oh, andiamo!” esclamò la bruna procace di nome Dalia o Dacia. Il diavolo si porti il suo nome. “Non fare la santarellina, Molly. Prendi una birra. Che senso ha venire al pub se non bevi neppure?”
Un'altra gomitata dell’amica, una breve pausa imbarazzata e tesa che Molly spazzò via con un’osservazione cortese sul trucco delle ragazze, facendo seguire una battuta di spirito sulla propria incapacità in quel settore.
“Sabato sera c’è un rave party, perché non fai un salto?” le propose la bionda bassa.
Molly scosse la testa. “Devo studiare.”
“E chi non deve qua in mezzo? Sentiamo, cosa devi studiare?”
Di nuovo la mora.
Se fosse stata rivolta a lui quell’impertinenza, Sherlock l’avrebbe freddata con uno sguardo capace di ghiacciare l’Inferno.
Molly le rivolse uno sguardo fermo e un sorriso irremovibile. “Terreni di coltura. Vorrei provare ad isolare il Bacillus anthracis.”
“Hai un pass per i laboratori? Non sei dell’ultimo anno.” La bionda alta si accigliò. 
Archie le passò un braccio dietro le spalle, se la strinse contro e intanto indirizzò un sorriso a Molly. “Molly sta facendo il possibile per laurearsi con un anno di anticipo”, spiegò.
“Buon Dio e perché?” domandò la bruna. “Cosa c’è di sbagliato nel laurearsi nei tempi stabiliti?”
Molly non rispose, cosa di cui entrambe le ragazze bionde sembrarono grate.
“E cosa ti aspetta dopo la laurea, Molly?” chiese la bionda non abbarbicata al ragazzo. “Hai già qualcosa in mente o ti butterai a pesce su Chirurgia?”
“Pensavo a Patologia”, confessò lei con uno dei sorrisi genuini del suo repertorio.
“Non ti sembra un po’… morbosa, come specializzazione?” domandò Daria - Darma?
“Uno scalpello in mano e un paziente che non può lamentarsi. No, credo di riuscire a reggere il silenzio e ad apprezzarne i risvolti piacevoli”, ribatté Molly, strappando una risata collettiva.   
“Sapete chi si vocifera che lascerà, quest’anno?” iniziò la bionda insipida dalla voce irritante. “C’è stata una vera diatriba tra i professori. C’è chi ha inneggiato al miracolo e chi ne era mortificato e l’ha presa come una questione personale.”
“Parli del genio. Sherlock Holmes.”
“Se ne va? Perché?”
Era stata la bionda provvista di una dose di ragionevolezza ad avanzare la domanda. 
“Forse non si sente apprezzato.” L’altra scosse la testa e si strinse nelle spalle con un’espressione vuota.
“Forse disintossicarsi per la seconda volta gli ha spappolato una parte del cervello”, intervenne con un ghigno acido Dacia-Daria.
Sherlock si inoltrò nella penombra. In questo modo non poteva più guardarli, ma solo ascoltarli.
“O forse è semplicemente stanco delle chiacchiere sul suo conto.”
“Un brindisi a Molly, avvocato delle cause perse. Formereste una bella coppia: strano più strana. Non lo pensi anche tu, Carrie?”
“Penso che tu abbia bevuto troppo.”
“Oh, andiamo! La festa è appena cominciata!”
“La accompagno al bagno.”
Sherlock sentì le due ragazze alzarsi e allontanarsi. Si girò per controllare chi fosse rimasto. Il ragazzo rosso, la bionda alta e Molly.
“Mi dispiace per Daria. Non voleva essere cattiva, è solo che- oh, dannazione!”
La ragazza alta aveva guardato nella sua direzione.  
“Cosa c’è, Freddie?”
“Guardate là”, indicò verso di lui nel modo meno discreto che Sherlock riuscisse a concepire. “Non è Sherlock Holmes quello al bancone? Dite che ha sentito?”
“Se anche fosse, non vedo dove starebbe il problema. Non è come se Daria avesse detto niente che non sia vero. Com’è che gli piace dire? La verità non è sempre gentile. Non è quello che ha detto a quella povera ragazza dopo averle rivelato che il suo ragazzo la tradiva perché lo aveva dedotto dallo stato dei suoi pantaloni o un’altra diavoleria? Ve lo dico io: quel ragazzo è il demonio. Per colpa sua sono scoppiate non so quante coppie. Si dice che anche la professoressa Vernet sia stata lasciata dal marito. Questo perché durante una delle sue letture, Sherlock ha argomentato la sua presunta relazione con uno studente del terzo anno, davanti all’intera classe. La Vernet è stata sospesa e si parla di sanzione disciplinare.”
“Era vero?”
“Molly non starai prendendo le sue difese, spero!”
“Assolutamente no. Non c’è giustizia nell’essere deliberatamente crudeli e nessuno merita un esame di coscienza pubblico. Per quello esistono i tribunali.”
“Preparati al ‘ma’, Freddie. Molly è la regina dei ‘ma’, te lo assicuro. Una volta è stata capace di trovare un ‘ma’ dopo un’intossicazione al ristorante coreano in cui l’avevo portata.”
“Dico solo che è da ipocriti rinfacciare a qualcuno un proprio errore. Non è come se sia stato Sherlock a tradire quella ragazza o ad avere una relazione clandestina con un docente.”
Una risatina alle sue spalle. Le due ragazze erano tornate, ma qualcosa le frenava dal tornare al tavolo. Probabilmente un minimo di buonsenso da parte di una e l’evidente mancanza dello stesso nell’altra. Avevano discusso.  
“Lei ne sa qualcosa al riguardo, vero?”
La bionda la scosse per il braccio. Aveva cercato di convincerla a tornare a casa, ma aveva fallito e ora tentava di portarla fuori, sperando che una boccata d’aria la facesse rinsavire. Speranza vuota. Nessuna notte o miracolo avrebbe potuto uccidere la meschinità.  
“Sul serio, Daria, dovresti smetterla. Sei fortunata che Winifred non ti abbia sentita o altrimenti-”
“Altrimenti cosa? Ma guardala! Pende dalle labbra di quella secchiona solo perché ha paura che il fidanzato la lasci se non se la fa piacere.”
“Le cose non stanno esattamente così.”
“Le cose stanno esattamente così, ti dico! È ora di dare una lezione a Miss Perfettini.” Tirò fuori qualcosa che teneva nel corsetto del vestito. Sherlock imprecò.
“Cosa stai facendo?” chiese la bionda, spaventata.
“Secondo te? Vediamo se questo la scuote un po’. Un po’ di fantastica Molly per l’agnellino Molly. Potrebbe cadere dal piedistallo e smettere di guardare tutti con quell’aria sdegnata.”
“A me sembra una apposto. Riservata, ma non un mostro di presunzione come la dipingi tu. Si può sapere perché ce l’hai tanto con lei? Che ti ha fatto?”
“Persone così non ti danno fastidio? Perfette e talmente buone da far venire il diabete.”
“Abbassa la voce”, la pregò l’altra. “Sherlock Holmes è proprio dietro di noi. Credo che ci abbia sentito.”
La bruna fece spallucce e si sistemò i capelli. “Figurati se quello sballato presta attenzione alle conversazioni di ‘un’oca’! E se anche fosse pensi che sprecherebbe tempo a difendere le virtù di qualcuno? Specie di una come la Hooper?”
Sherlock la vide avvicinarsi al barista. Osservò le sue manovre, le moine con cui lo comprò e la banconota da cinquanta sterline che gli passò.
A due metri di distanza, intanto, Molly Hooper rideva e mangiava olive, ignara.

 

 

La avvicinò senza averne l’intenzione.
“Non berrei se fossi in te.”
Lei incrociò i suoi occhi, sollevò le sopracciglia. “Cosa? Perché?”
Sherlock non rispose.
Molly agitò il bicchiere e la bevanda produsse una sorta di schiuma, infrangendosi contro il bordo. “Lo hanno drogato.” Non appariva impressionata, nemmeno stupita in tutta franchezza.
Sherlock contrasse un angolo della bocca sarcasticamente. Cosa ti aspettavi da una serata del genere?
Lei rimase a fissare in modo passivo il liquido dolciastro nel bicchiere tra le sue mani. “Perché mi hai avvertito?” chiese alla fine.
“Avresti preferito che non lo facessi?”
Il tono tagliente non funzionò.
“Dico solo che avresti potuto non farlo”, disse lei con voce mite, lo sguardo mercuriale tra le ciglia scurissime. “Avvertirmi, intendo. Sei stato gentile.”
“Gentile. Non è quello che dicono di me di solito.” Sherlock schioccò la lingua contro il palato.
Lei annuì, gli scoccò il lampo di un sorriso canzonatorio. “Lo so.”

 

 

La seguì quando uscì dal locale, quindici minuti dopo, portata a braccio da quel suo amico smilzo e rosso.
“Cosa diavolo le hanno dato? Molly? Molly!” Il ragazzo le diede schiaffi leggeri sulle guance con il dorso della mano.
Molly riaprì gli occhi brevemente, gli rivolse la miniatura di un sorriso, poi rovesciò la testa all’indietro e quella ciondolò, oltre la spalla del ragazzo, inerte e senza vita. “Fai la brava, appoggiati a me, su”, disse lui, sostenendola.
L’altra ragazza li seguiva a breve distanza, in evidente difficoltà sui tacchi scomodi che si era imposta di indossare per risultare più attraente.
“Archie, Daria ha esagerato, ma giuro che non avevo idea che-” cominciò ad articolare a vanvera.
“Belle amiche che hai, davvero!” Lui la interruppe, furioso. “Gli amici sono lo specchio di chi siamo davvero.”
“O di chi desideriamo”, mormorò lei, mordendosi le labbra colorate e rimanendo indietro ancora una volta. Quando se ne accorse, lo rincorse. “Archie, lascia che vi accompagni alla macchina!”
“Non credi di aver fatto abbastanza danni per una sera?”
“Hai un’opinione così bassa di me?”
“La gelosia fa fare le cose più pazze.”
“Anche l’amore.”
“Senti, Freddie, non è proprio il momento per-”
“Non è mai il momento adatto!” esplose la ragazza. “Sei sempre impegnato con lei, con la tua Molly! Voglio la verità. Per una volta, una soltanto, Arthur, dimmi la verità. Non importa se non sarà gentile. Tu la ami, non è così?”
Arthur scosse la testa, guardando entrambe le ragazze con fare impenetrabile. “Lei non mi ama. Non la conosci, Freddie. Non potrebbe mai.”
La ragazza scoppiò in una risata acuta, ferita. Il trucco attorno agli occhi chiari era sbavato in rivoli scuri di bistro sciolto: se per i vapori del locale o per altre ragioni era superfluo definirlo.
“La storia più vecchia del mondo. Ragazza ama ragazzo che ama l’amica più stretta. Sai come finiscono le storie così? Con tanti cuori spezzati.”

 

 

Il ragazzo la accompagnò fino al dormitorio. Rimase cinque minuti più del necessario.
Quando Sherlock lo vide uscire, non sprecò tempo a decifrarne l’espressione.
Scassinò la finestra. La stanza era nella penombra. Mucchi di vestiti sulla moquette del pavimento. Poster alle pareti e una bacheca di sughero tappezzata di volantini fissati con le puntine, un vecchio baule e – Sherlock batté le palpebre – un duplicatore stencil?
“Sapevi cosa sarebbe successo. Lo stesso hai bevuto. Perché?”
Nel letto, un fagotto di lenzuola, capelli scarmigliati buttati sulla spalla nuda e una maglietta della squadra di canottaggio di Cambridge, Molly Hooper gli restituì lo sguardo senza battere ciglio.

Labbra gonfie di baci, guance paonazze, pupille dilatate. Fremito alle mani e agli occhi.  
“Coscienza.”
Sherlock fece un verso derisorio. “Persone di quel calibro non hanno una coscienza.”
“Sciocchezze”, sbottò lei. “Tutti ne hanno una. Anche tu. È ciò che ti ha spinto a dirmi di non bere.” Allungò le gambe nude e stirò le braccia all’indietro. Sorrise, con l’aria di un gatto soddisfatto del pasto rubato. “Qualunque cosa mi abbiamo dato, la sensazione è fantastica.”
Sherlock si fece avanti nel caos della stanza. “Sai cosa sta succedendo? Il meccanismo di azione si basa sull’interazione con i mediatori chimici. Acetilcolina,
adrenalina, istamina e serotonina. Tramite loro si propagano gli impulsi sensoriali fra le cellule nervose del sistema nervoso centrale. Se la dose è abbastanza potente isolerà l’assuntore dal campo visivo abituale e produrrà delle allucinazioni.”
Molly prese atto della sua vicinanza remissivamente. Tuttavia c’era una certa fierezza nel modo schietto in cui si lasciò studiare, di dignitoso.     
“Non hai bevuto solo per dare loro la possibilità di dimostrarsi migliori”, ponderò Sherlock, sedendosi sulla sponda del letto. “Hai bevuto perché volevi farlo, quindi la mia domanda è: perché?”
“Cosa spinge una persona ad assumere sostanze stupefacenti? Io volevo dimenticare. Volevo provare ad essere libera, sperimentare una felicità folle e innaturale. Tu perché lo fai?”
Gli trovò il braccio e glielo strinse, proprio il raccordo angolato del gomito, lì dove Sherlock aveva cognizione dei fori delle iniezioni. “Per le stesse ragioni”, rispose in tono grave, indigesto. “Provo a dimenticare chi sono.”
“Scioglie davvero i lucchetti che ti ingabbiano la mente? Prigionieri di se stessi. Dio mio, che persone complicate siamo.”
Sherlock le concesse un rapido cenno d’assenso. Non voleva mostrare di essere stato lusingato dal quel ‘noi’. “Potrebbe essere altrimenti?” 
Si alzò per andarsene. Temeva la sottile granulosità della pelle di lei alla luce artificiale dei lampioni esterni. La curiosità, avulsa da qualsiasi contesto, di saggiarla al tatto, tastarla con le mani e la lingua, era angosciante. Il desiderio impenetrabile per quella ragazza esile… 
Lei lo afferrò per il polso. Aveva le dita bollenti, il viso accaldato, gli occhi lucidi e febbrili. “Resta.”
Sherlock non arretrò, non sciolse quella presa tenace e forte. “Domani non ricorderai niente”, si limitò a farle presente, incolore.
Il baluginio di un sorriso candido nei tratti gradevoli di lei. “Questo rende tutto più facile, no?”

No, non lo era, perché non voleva essere l’unico a ricordare. Non voleva essere l’unico a subire il tormento della memoria.
Lo stesso rimase. Lo stesso, quando lei lo baciò, Sherlock non la respinse - profumo di lavanda sulla pelle, il retrogusto amarognolo del liquore sulle labbra sottili e screpolate, la morbidezza languida e oscura delle droghe nelle pupille dilatate. Noce moscata, vaniglia, radice di acoro, safrolo nell’alito rovente del suo respiro.
Pura Molly.

 

 *

 

“Signor Holmes, gradirei che ripensasse alla questione con maggiore scrupolosità di pensiero. È inaccettabile che una mente come la sua, che un giovane talentuoso con le sue qualità si precluda la quantità smisurata di alternative che…”
Sherlock non lo lasciò concludere, raddrizzò le spalle con un gesto inequivocabile. “Sono venuto a prendere congedo.”
Il professor Knight gli dedicò uno sguardo di limpida amarezza. Quel sentimento, perlomeno, tra tanti altri impenetrabili, gli era sempre stato facile da riconoscere. “Niente di quello che dirò servirà allo scopo di farle cambiare idea, non è così?” domandò e scosse la testa, osservandosi le mani. “Per Dio, com’è devastante e meravigliosa quella libertà. Sentire tutto quel potere decisionale! Disporre del vigore della gioventù, dei mezzi e della forza necessari ad autodeterminarsi! Avessi vent’anni di meno, la seguirei a briglie sciolte, ma queste mani mi ricordano i miei doveri e i miei doveri mi ricordano cosa sono diventato e cosa non posso più essere.”
L’orologio a muro suonò l’ora e lui sussultò, rivolgendo all’oggetto un’occhiata contrita. “Sacripante, è già così tardi? Temo che dovremo rinviare il bicchiere della staffa al nostro prossimo incontro. L’ultimo appuntamento in agenda tende ad una vergognosa puntualità.”

Sherlock inarcò le sopracciglia.
Knight sorrise, i vecchi occhi brillanti di un sentimento inespresso. “Si tratta della mia figlioccia. Una ragazza con la testa sulle spalle, affidabile e seria, figlia di un amico di vecchia data, il più caro in effetti.”
Sherlock annuì, compito, non dandosi pena di chiedere a chi si stesse riferendo, a fingere interessamento quando era ben lontano dal provarlo.
Quando il professore gli porse la mano, Sherlock gli porse a propria volta la sua. Knight gliela strinse, sovrapponendola con le sue. “
Spero in tutta sincerità che la vita le sorrida, mio caro ragazzo. Se avessi una sterlina la scommetterei ad occhi chiusi su di lei. Ha già dei progetti nell’immediato avvenire? Non che abbia la presunzione di ritenerla di una qualche rilevanza per lei, ma per quel che vale ha ottenuto la mia benedizione. Nihil obstat quominus imprimatur.”  
Lo accompagnò alla porta e quando la aprì, Sherlock batté le palpebre, interdetto.
“Oh, eccola qui, Miss Hooper.”
Molly Hooper era di fronte a lui, in un’improbabile maglione arancione che metteva in risalto il suo pallore. Gli rivolse uno sguardo vacuo e un cenno, prima di sorridere in modo fiacco e addolorato. “Buonasera, professore.”
Knight guardò entrambi e Sherlock intuì l’evidenza di quella che sarebbe stata la sua prossima mossa.
Si scusò e se ne andò prima che lui potesse metterla in atto.
Non avrebbe lasciato ad altri il compito di presentarlo. Non a lei.

  

 *

 

Il laboratorio del dipartimento di Batteriologia.
Ricordava di averla sentita dire che ci sarebbe andata per eseguire dei test, in vista dell’esame di metà trimestre, quel pomeriggio in biblioteca.

Era successo una settimana fa. Era bastato così poco? Era bastato averla una notte, pensarla sua e farla diventare sua e sentirla sua solo una notte perché tutto fosse cambiato in modo irrimediabile e detestabile?

Molly Hooper lo guardò – occhi sgranati in un’espressione di sincero stupore, costernazione. Lo guardò e il suo sguardo non lo attraversò come fumo, ma si soffermò in modo astratto sul suo viso. Occhi che incontravano per caso quelli di uno sconosciuto.
Non lo riconobbe.
Non ricordava.
Sherlock sentì di odiarla. E fu in quell’odio che si sciolse il sollievo, che trovò strada con cautela il balsamo dell’indifferenza reciproca, che cantò con trionfante e largo anticipo la sua liberazione.
Tuttavia non aveva fatto i conti con la gentilezza di Molly, con la sua vena deprecabile di cortesia e bontà d’animo. Stucchevole, tediosa.
Nei giorni successivi si ritrovò a dover combattere contro di lei come contro i sintomi di una crisi d’astinenza. Disintossicarsi della sua assenza.
Non ci riuscì.

 

 

 


“I tuoi occhi hanno pigmenti di cinabro.”
Sherlock era sicuro che avrebbe riso. Naturalmente lei fece l’esatto opposto di quanto si era aspettato.
“I tuoi invece mi ricordano il calomelano”, rispose Molly con aria pensierosa, dopo una breve pausa. “E anche il palladio.”
“Sotto la luce del neon diventano acqua regia”, aggiunse Sherlock.
Molly corresse la sua posizione, puntellandosi su un fianco e mantenendosi su un gomito per guardarlo in viso. Aveva le sopracciglia inarcate e un sorriso che non era divertito o irriverente, ma lusingato e luminoso. “È un modo grazioso per dirmi che ho uno sguardo che liquefa-”
Sherlock la baciò e se la tirò contro con urgenza. Il bacio non spense il sorriso di lei, lo rafforzò soltanto.  

Non c’erano state altre parole quella notte. Non ce ne furono per altri dieci anni.     

 

  
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