Anime & Manga > Death Note
Ricorda la storia  |      
Autore: DorotheaBrooke    02/06/2014    4 recensioni
L invita Light a cena e per rendere l'occasione speciale decide di improvvisarsi cuoco, proponendo un menù speciale.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Light/Raito, Watari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
"Watari, puoi chiedere alla reception di lasciarmi usare le cucine dell’albergo?”. Appollaiato sulla poltrona, L inclinò il capo di lato, rimanendo in silenzio, mentre l’anziano compagno assorbiva la frase appena pronunciata. “Ryuzaki, ma che …” Nessuno si sarebbe potuto accorgere del cieco terrore che si stava impadronendo dell’uomo, se non fosse stato per il fremito del sopracciglio destro. L non poté fare a meno di essere decisamente compiaciuto dell’effetto sortito dalle proprie parole “Ho invitato Light a cena per festeggiare la sua liberazione. È consuetudine che la consumazione di un pasto sia più intima, qualora esso sia  stato preparato dall’ospite con ingredienti da lui stesso scelti” spiegò, versandosi il caffè. “E Light è stato informato di questa tua idea?” chiese Watari, sistemandosi gli occhiali sul naso. Un sorriso obliquo si dipinse sul volto del giovane detective “Ovviamente no, voglio fargli una sorpresa”. “Molto bene” fu la risposta dell'anziano che, nonostante il suo turbamento, era riuscito a recuperare abbastanza calma per rispondere con il suo usuale tono composto. “Ti ringrazio” annuì soddisfatto L “Un’ultima cosa, è di fondamentale importanza che io  mi assicuri che la regola dei 13 giorni sia vera”. Se avesse pronunciato le medesime parole di fronte qualunque altro dei membri della squadra, sarebbe stato tempestato da domande incredule, indignate, contrariate, ma Watari era diverso. Riusciva a cogliere non solo il senso di ciò che diceva, ma soprattutto di ciò che taceva, il che, oltre a permettere di economizzare una discreta quantità di tempo, attenuava la sua solitudine. “Capisco, informerai gli altri?”. Al tono pacato del suo anziano compagno si era aggiunta una nota  grave, cupa, che non sarebbe sfuggita neanche a un bambino. “Solo all’ultimo secondo, se la regola fosse falsa …”  “...sarebbe vitale cogliere Kira di sorpresa” completò Watari, che non deludeva mai le sue aspettative di comprendere ciò che voleva ancora prima che ne facesse parola. Tuttavia rimaneva qualcosa da aggiungere “Kira… e lo shinigami”. L’amara contrazione della fronte dell’anziano fu rapida, quasi impercettibile, ma avevano passato troppo tempo insieme perché potesse sfuggirgli. Sospirò, prendendo una manciata di zollette di zuccherò “Ti ho trascinato per un cammino aspro …” mormorò, allentando la presa, una dopo l’altra, le zollette iniziarono a precipitare nel caffè, affondavano nel liquido scuro, sparendo in un cupo abisso. “Ci sono venuto di mia volontà e non nego di aver infinitamente apprezzato la compagnia”. Sollevò lo sguardo dalla tazzina, non aveva bevuto neanche una goccia di caffè, eppure un calore strano gli scorreva nelle vene, portando le guance ad avvampare. Una persona normale avrebbe detto qualcosa, mormorato un ringraziamento, mostrato della gratitudine, ma ancora una volta lo sguardo di Watari comunicava molto più di quanto mille parole potessero dire. Socchiuse le palpebre e lasciò che il significato di quel silenzio lo prendesse tra le braccia.

 
Mancava poco, pochissimo. Presto il suo trionfo sarebbe stato totale. La punizione del dio del nuovo mondo si sarebbe abbattuta terribile e definitiva come il tuono su chi aveva osato sfidarlo. Presto anche la patetica recita che era stato costretto a condurre si sarebbe conclusa, ma ancora il momento non era giunto. Era deciso a interpretare alla perfezione il suo ruolo fino alla fine, quindi non c’era modo di rifiutare l’invito a cena da parte della persona che sarebbe dovuta essere il suo più caro amico. Con un grazioso sorriso aveva accettato, pregando Ryuzaki di non ordinare solo dolci e il ragazzo, con altrettanta gentilezza, aveva giurato sul suo onore che non avrebbe fatto nulla del genere. Dal brivido che gli aveva percorso la schiena in quel momento avrebbe dovuto capire di aver commesso uno degli errori più grandi della sua vita.

 
Per sua fortuna il più vicino negozio di alimentari si trovava in un vicolo proprio accanto all’albergo, non avrebbe dovuto sopportare a lungo il raschiare delle scarpe da ginnastica contro i suoi piedi nudi. La bottega era ristretta, umile, qualcuno l’avrebbe definita malfamata per via dell’aspetto decisamente minaccioso del proprietario – un uomo corpulento con un forte accento russo – e dei suoi clienti. Il giovane, varcando le soglie del locale con  le mani in tasca, non poté fare a meno di chiedersi se il negozio non fosse una copertura per qualche affare più losco, ma era troppo occupato con il caso Kira per prendersi cura anche di tali faccende e, del resto, era lì in qualità di avventore, non di detective. Sotto lo sguardo diffidente del gestore, raccolse in fretta un paio di barattoli, un pacco di basta, un tubetto di ketchup e una bottiglia d’olio di semi, che, a giudicare dallo strato di polvere che la ricopriva, sarebbe benissimo potuta essere lì da secoli. Infine, dal fondo di un freezer, il cui compressore produceva un fracasso infernale, recuperò una confezione di torta gelato. Notò che la data di scadenza era tanto sbiadita da essere ormai illeggibile, ma era abbastanza certo che la roba confezionata non scadesse. In fondo non era così difficile fare compere, si disse ponendo tutto sul bancone. “ Сколько это стоит?” la bocca del proprietario si dischiuse appena in segno di sorpresa nel sentirsi chiedere il prezzo della merce nella propria lingua natia, ma, ripresosi dallo stupore, infilò con un ampio sorriso la merce in una busta di carta e dichiarò che per chi parlava la dolce lingua della grande, madre patria Russia avrebbe fatto uno sconto. Di ottimo umore, una volta rientrato, il ragazzo raggiunse le cucine e, ignorando, il vecchio cuoco che brontolava scuotendo la testa, iniziò a mettere insieme il pasto.

 
Quando aprì la porta della camera fu colto da una certezza: lo chef dell’albergo doveva essere stato colto da un attacco di schizofrenia. I cibi, tutt’altro che invitanti, raccolti su un tavolo avevano l’aria di essere stati preparati da un bambino o da un uomo bendato. “Riuzaki, ma questa … ehm … roba sarebbe …” provò a chiedere chiarimenti al ragazzo che se ne stava placidamente rannicchiato su una sedia di fonte al tavolo. “Sarebbe la cena. Devi sapere che ho cucinato tutto io, è un’occasione speciale, stiamo festeggiando la tua innocenza”. Innocenza. Non si sarebbe mai stancato di sentire il suo avversario ripetere quella parola. Significava vittoria.  Significava giustizia divina. Il senso di trionfo che lo pervase non poté tuttavia attenuare la sgradevole sensazione di essere in un pericolo mortale. “Oh è stato molto gentile da parte tua, Ryuzaki, grazie” disse, costringendosi a incurvare le labbra in un sorriso. “Non c’è di che. Prego siediti, non ti dispiace se io passo direttamente al dessert, vero?” rispose il giovane, afferrando un piatto su cui era stata posta una fetta di una torta, informe e di un colore che richiamava vagamente il grigio tombino, senza aspettare la sua replica. Sedendosi, Light ebbe modo di osservare meglio quel disastro. Come prima portata, era stato preparato un piatto di spaghetti talmente scotti da trasformarsi in una pappetta informe al minimo contatto con la forchetta. Il sugo al pomodoro che avrebbe dovuto accompagnarli era stato sostituito con una quantità assurdamente abbondante di ketchup. Quella ovviamente era la parte migliore del pasto. Il resto della cena consisteva sostanzialmente in un’insalata composta di olive ancora con il nocciolo, mais e pomodorini secchi, il tutto affogato nell’olio di semi. Infine veniva la torta gelato, Light si accorse di non aver mai visto un dessert meno invitante. Alzò lo sguardo e si rese subito conto che L stava osservando la sua reazione. La bocca era spalancata nel tentativo di accogliere un pezzo di torta, ma, dato che gli occhi sgranati erano fissi su Light, la forchetta continuava urtare contro la guancia. “Sembra delizioso” mentì con il più amichevole dei suoi sorrisi e, presa in mano la forchetta, iniziò a ingurgitare cibo più in fretta che poteva, nel tentativo di terminare quel pasto orrendo il prima possibile.
 

L’orgoglio che provava per la propria impresa svanì di colpo, quando Light scattò verso il bagno. Aveva appena finito di pulirsi la bocca con il tovagliolo dai resti della torta, che un pallore mortale aveva pervaso il suo volto e, senza dire una parola, era schizzato via tenendosi la mano di fronte alla bocca. Per circa sei secondi era rimasto impalato con il piatto vuoto in mano e un’espressione da ebete sul volto, poi i rumori dei conati di vomito avevano iniziato a provenire dalla stanza accanto. Realizzando solo allora cos’era successo, si alzò e si diresse a sua volta verso la toilette. Fermatosi sulla soglia, si sentì sprofondare dalla vergogna. Piegato sul gabinetto, quel ragazzo alto, bello e forte, desiderato da tutte le ragazze dell’università, sembrava un moribondo agonizzante. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte e il suo volto aveva assunto una sfumatura grigiastra. Era tutta colpa sua e della sua stupida idea di improvvisarsi cuoco. L’aveva fatto soffrire ancora una volta. Non bastava che l’avesse sospettato di crimini infami, l’avesse tenuto segregato, l’avesse costretto a subire una falsa esecuzione, lo avesse umiliato, tenendolo ammanettato a sé. Non era sufficiente che, perfino ora, continuasse a dubitare della sua innocenza, agendo per rivelare chissà quali intrighi. Lo aveva intossicato e non solo fisicamente. Con ogni sua azione, ogni sua parola continuava a servirgli veleno, su veleno. Inganno, su inganno. Come poteva un amico fare ciò? Voleva dimostrare la colpevolezza di Light, ma forse per trovare il vero mostro, avrebbe dovuto guardarsi allo specchio.
 

Non era dignitoso. Non era elegante. Non era igienico. Era solamente disgustoso. Tali erano le riflessioni del dio del nuovo mondo, mentre, piegato sul cesso, era costretto a rivedere, una a una, tutte le olive che aveva ingerito. Sentiva la schiena continuamente scossa da brividi, mentre le gambe stantavano a sorreggere il suo peso. Come poteva una cosa tanto insignificante come il pasto che gli era stato servito causare un danno così grande? Odiava stare male. Quando ebbe finito di rimettere, riuscì solamente ad allontanarsi dal gabinetto, lasciandosi cadere seduto sul pavimento gelido, le spalle posate contro il muro. Attraverso la palpebre socchiuse vide L. Dannato bastardo! Non potendo provare la sua colpevolezza, aveva deciso di giustiziarlo in quel modo! E lui stupido che c’era cascato! Era così ricolmo di rabbia, che non sentì l’acqua del lavandino scorrere.  Fu quindi colto di sorpresa, quando sentì una mano scostargli delicatamente i capelli dalla fronte e, a seguito di ciò, il tocco fresco di un tessuto bagnato. Aprì gli occhi. Ryuzaki si era inginocchiato di fronte a lui e gli stava detergendo la fronte con un asciugamano inumidito. “Forse avrei dovuto ordinare la cena al cuoco dell’albergo dopotutto”mormorò il giovane detective. Light si ritrovò a pensare che i suoi occhi spalancati assomigliassero a quelli di un cervo illuminato dai fari di un’automobile. “Le probabilità che tu sia Kira e stia tentando di uccidermi salgono all’88%, Riuzaki”. Aveva pronunciato quella battuta per recitare al meglio la sua parte o perché davvero gli importava di rasserenare il suo nemico? Mentre scoppiava a ridere, si rese conto di non volerlo sapere.

 
Le parole di Light erano arrivate come una gentile pioggia primaverile a lavare via dalle sue mani il fango della vergogna e della colpa. Rispose alla risata con il sorriso più ampio e grato che riusciva a fare. L’amico che aveva ferito tante volte, gli stava di fronte pronto a perdonarlo, a ridere insieme ancora e ancora. Eppure ancora una volta fu colto dal dubbio, dal sospetto, che dietro a quell’essere dalle sembianze gentili e dalle parole rette, dietro quella risata interminabile si nascondesse un architetto malvagio e senza palpiti. Chi tra loro due era l’avvelenato e chi l’avvelenatore? Chi sarebbe perito? Light rideva e la sua risata assomigliava a un grido. Mentre l’asciugamano gli sfuggiva di mano, si rese conto che in lontananza le campane di una chiesa avevano iniziato a suonare.
 
 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: DorotheaBrooke