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Autore: stillaseeker    02/06/2014    6 recensioni
"L'amore è così breve, ma dimenticare è così lungo." (Pablo Neruda)
Di tutti posti in cui imbattersi nel suo ex, doveva essere da Tesco mentre indossa il suo maledetto pigiama. Alle cazzo di tre del mattino.
[University!AU]
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice: Buonsalve a tutti! Per chi non mi conoscesse sono Ellipse, affetta da compulsione alla traduzione XD nell’attesa che vengano aggiornati gli altri racconti di cui mi occupo, non ho potuto fare a meno di dedicarmi a una storia che è tra le mie preferite e che spero possa piacere anche a voi. L’autrice, la meravigliosa stillaseeker, è stata così gentile da accordarmi il permesso di tradurla per Efp (link all’originale qui).

In questa fic John e Sherlock, ancora studenti universitari, si sono lasciati.

La narrazione è svolta dal punto di vista di John, e sinceramente credo di aver letto davvero molte poche storie in cui questo pov è gestito così bene, non solo per come l’autrice riesce a rendere il personaggio in sé, ma anche per il modo in cui descrive tutti gli stati d’animo e i momenti che John affronta. Come vedrete non ci saranno grandi misteri sui motivi della sua rottura con Sherlock, nessun evento rocambolesco: è una storia alternativa, in cui a fare da protagonista sono le emozioni.

La storia è composta da quattro capitoli, è già completa e non troppo lunga, quindi la aggiornerò piuttosto in fretta, e tranquilli, è a lieto fine XD ma a quello arriveremo poi. Nel testo sono presenti alcuni riferimenti a note che troverete in fondo alla pagine e che spero possano chiarire alcuni punti della lettura. Come sempre, se doveste avere suggerimenti o notaste degli errori, non esitate a farmi sapere ^_^

Grazie mille per la pazienza di aver letto fin qui <3 Vi lascio al capitolo, buona lettura e a prestissimo!

Ellipse

 

PS: ripetizioni, uso dei tempi presente/passato/ecc. alternati sono voluti

 

 

HOW TO BE BRAVE

 

 

Ci sono cose che John non desidera ricordare.

Per la maggior parte sono piccolezze – cose abbastanza infinitesimali da essere spazzate come polvere sotto il tappetino della sua coscienza, dove giacciono inermi e tranquille, brillando appena nel buio. Cose mezze dimenticate che sapeva prima, come il fatto che i capezzoli di Sherlock sono sensibili al freddo, e il ricordo del loro contorno attraverso la sua t-shirt grigia preferita lavata troppe volte. Come il fatto che i capezzoli di Sherlock sono più rosei che marroni, con le punte che si drizzano per l’aria fredda ogni volta che lui, mezzo addormentato, esce barcollando dal bagno dopo la sua doccia mattutina, con l’asciugamano avvolto intorno alla vita.

Questi ricordi vanno − bene. John può infilarli tutti in una cartellina mentale etichettata come Baker Street, e può più o meno ignorarne la presenza fino a che qualcosa non li metta fuori posto. Come il fruscio di un cappotto costoso in un corridoio affollato, o il taglio degli zigomi di un modello su un qualche cartellone pubblicitario, o qualcuno con indosso una t-shirt sbiadita, proprio di quella sfumatura di grigio. Quando succede, i ricordi si rimescolano, le loro pagine pizzicano come i tagli che ci si fa con la carta, prima di ritornare al loro posto, ben nascosti.

Alcuni sono più facili da ignorare rispetto ad altri. John era andato a rileggere dei vecchi messaggi, cercando un riferimento a un documento che aveva menzionato il professor Higgleston e che Mike gli aveva mandato via sms, quando aveva avvertito un colpo allo stomaco.

Non dimenticare il latte. Compra anche i cerotti alla nicotina. – SH

Uno stupido messaggio. Uno che era stato trascurato nel corso della Grande Pulizia[1], quando John si era costretto a cancellare ogni singolo messaggio che Sherlock gli avesse mai mandato, scorrendo indietro fino al primo; quello che aveva dato inizio a tutto.

221 Baker Street. Alle 19. Non fare tardi. – SH

Era ridicolo, ridicolo che un sms riguardo al latte, fra tante cose, potesse far sentire John come se qualcuno gli avesse ficcato una mano nel petto e gli avesse strappato il cuore. Aveva dovuto chiudere gli occhi – lì, proprio in mezzo al dipartimento di anatomia – e prendere un respiro. Il dolore – la sofferenza – si erano attenuati dopo un minuto o due. Era spuntato fuori Bill Murray, dandogli una pacca sulla spalla e dicendo un qualcosa sul prendersi una pinta insieme dopo le lezioni, e John era riuscito a controllare la propria espressione per renderla quasi compiacente e a cancellare il messaggio, le dita che armeggiavano sui tasti.

Un giorno per volta. Quello era stato il motto del nonno, e il nonno era stato un veterano della seconda guerra mondiale. John può sopravvivere a molto più che a questo.

Ci sono alcuni ricordi, certo, a cui John non si accosta mai, mai e poi mai. Pensieri da cui si tiene lontano, anche quando è rintanato al sicuro nella sua nuova camera, sdraiato al buio sul materasso rigido e con le bozze del suo letto singolo. Quando non riesce a dormire – quando sente che gli manca l’aria.

Il fumo, che si arriccia dalle labbra di Sherlock, bello come una fotografia in bianco e nero.

Il sollevarsi incerto e sghembo della bocca di Sherlock ogni volta che John riusciva a sorprenderlo - per farlo sorridere.

Il sapore indescrivibile di nicotina e catrame mischiato a qualcosa di dolce in modo stuzzicante, come il miele.

Come appariva tutta quelle pelle chiara, allungata su un divano di pelle scura.

Quella spolverata di peli, che si fanno più scuri verso l’inguine di Sherlock.

Come ansimava Sherlock, con l’arco della bocca che si spalancava, quando John-

Basta. Smettila. Smettila e basta.

John chiude con forza gli occhi, volta la testa contro il cuscino e respira.

 

::

 

Si era trasferito, ovviamente. Davvero, non c’era stata alternativa.

Si era accampato sul divano di Mike, poi su quello di Bill, poi di Sarah. Era diventato disperato abbastanza da pensare di chiamare Harry – col cuore a sprofondargli nel rendersi conto di avere a malapena un centinaio di sterline che gli sarebbero dovute bastare fino alla fine del semestre – quando era comparso Mycroft.

John non aveva mai propriamente capito il suo rapporto con Mycroft. Aveva sentito che erano stati alleati, per un po’. Due soldati impegnati nella guerra più inutile al mondo – la lotta per il benessere di Sherlock. Mycroft aveva persino cominciato a piacergli – il modo in cui sorrideva con le sopracciglia, non con gli occhi; il tono condiscendente che usava quando era affettuoso ma non voleva che Sherlock lo capisse; persino quel suo gesto plateale e drammatico con l’ombrello, a picchiettare sul loro pavimento.

John non aveva previsto come la vista di Mycroft potesse strappargli l’aria dai polmoni, e sembrare tanto simile a una sconfitta.

Non riesce a ricordare bene la loro conversazione, ora, ma ricorda il disinvolto suggerimento di Mycroft sul prendere una camera nello studentato – abbandonata all’ultimo minuto, il tipo se n’è andato in Brunei per studiare gli oranghi nella foresta pluviale del Borneo, la stanza è già pagata, ovviamente – e la sensazione travolgente nel proprio petto quando aveva accettato.

Mycroft non aveva detto una parola riguardo a Sherlock, ma le sue sopracciglia sembravano indicare che si era reso conto della condizione di John – jeans più larghi del normale (troppo magro), borse sotto agli occhi (difficoltà a dormire), tre punti sfuggiti alla rasatura (distratto), braccio ancora fasciato.

John non si era guardato indietro.

Se lo avesse fatto, avrebbe potuto vedere qualcosa che non avrebbe mai pensato potesse attraversare il volto di Mycroft – qualcosa di abominevolmente simile a dispiacere.

 

::

 

Il tempo passa, ovviamente.

Prima che John se ne accorga è trascorso un mese, poi tre mesi, poi sei. Si butta sui corsi, ed è un caso fortuito che non si sia mai ritrovato tanto impegnato in tutta la sua vita. I suoi compagni di corso brontolano, ma lui si fa carico degli oneri aggiuntivi della sua facoltà senza l’ombra di una protesta, e cerca di dare il massimo in ogni prova. I suoi professori lo notano.

I suoi amici lo criticano dicendogli che è un secchione e un leccapiedi, ma un paio di weekend giù al pub, bevendo più di tutti loro, pone rimedio a quelle sciocchezze. Osservando attorno a sé quella cerchia di facce allegre – il sorriso timido di Mike mentre si china verso una moretta con gli occhiali e il viso dolce, e il brutto muso di Bill, che canta You’ll never walk alone quando la sua squadra del cuore vince una partita contro l’Arsenal – John si sente… meglio. Ride quando Bill rovescia un boccale addosso ad Anderson, e sghignazza con Dimmock quando Sally perde il suo tempo con un tipo che non capisce il concetto di spazio personale. Si butta nella mischia quando il pub esplode in una rissa, gli studenti di medicina contro i ragazzi viziati di città che non riescono ad accettare un “no” come risposta, e trattiene un ragazzo panciuto dall’abito su misura mentre Sally gli dà una ginocchiata alle gonadi. Lo fa con un sorrisetto sulla faccia.

Sono quasi otto mesi, e John ancora non riesce a dormire, ma le cose stanno migliorando, lui sta migliorando, quando rivede Sherlock.

 

::

 

C’è un Tesco[2] aperto 24 ore su 24 a circa quindici minuti di camminata dallo studentato di John.

A volte, quando se ne sta sdraiato al buio per ore e sente di non riuscire a respirare, come se stesse soffocando nell’aria ferma e pesante del suo dormitorio, John si mette il cappotto sopra al pigiama e afferra il portafogli, le chiavi. Il silenzio di Londra alle tre del mattino lo calma sempre, anche quando viene spezzato dalle risate ubriache di studenti che barcollano per strada dopo un’uscita, dalle ruote degli autobus notturni e delle macchine che superano i semafori troppo in fretta, e dalle immancabili ombre nei vicoli, che si trascinano verso di lui offrendogli funghi o eroina. Londra alle prime ore del mattino è una creatura ambigua, spogliata degli ornamenti che ha di giorno e di quella patina amichevole. È la Londra spogliata fino alle ossa dopo una giornata trascorsa a fingere – freddamente noncurante, pronta a mostrare tutti i propri spigoli. John non è immune alla sua bellezza, proprio come non è mai stato immune al fascino delle cose pericolose.

Se ne sta nel corridoio di un reparto, intento a decidere con gli occhi appannati fra latte scremato e parzialmente scremato, quando vede quella familiare sagoma ricurva. I ricci neri sopra a un colletto tirato su. Le mani infilate mollemente nelle tasche del cappotto.

Si volta, istintivamente.

Sherlock sembra – praticamente sempre lo stesso. Forse più magro di qualche chilo, ma è difficile a dirsi con indosso quel cappotto. I suoi occhi vagano rapidi sugli scaffali del supermercato con quel fare calcolatore e concentrato che significa che sta pensando alla velocità della luce, facendo triangolazioni e riferimenti incrociati, tracciando senza sforzo mappe di costellazioni fra una miriade di punti fissi in cui John vede solo delle stelle. A John si ferma il respiro nel petto.

Di tutti posti in cui imbattersi nel suo ex, doveva essere da Tesco mentre indossa il suo maledetto pigiama. Alle cazzo di tre del mattino.

Sherlock non lo ha visto – John è mezzo nascosto dietro al cartellone alto due metri di un nuovo yogurt da bere al melograno. John si sente arrossire in viso – è come se tutti i suoi ricordi accuratamente archiviati si siano riversati sul suo volto, il modo in cui Sherlock infila i suoi piedi gelati nello spazio fra le cosce di John, facendolo squittire; il verso che fa Sherlock quando John gli mordicchia quel punto sul collo, proprio dove si trova il suo neo; il modo in cui Sherlock dice “John” quando ─

“John.”

Gli occhi di John si sollevano, incontrando quell’indimenticabile sguardo grigio-azzurro, ed è come guardare dritto nel cielo di Londra. Del chiaro macchiato di nuvole. Ha sempre amato quel colore.

Per un attimo, non fanno nient’altro che fissarsi l’un l’altro.

Ora che John può vedergli il viso, i cambiamenti sono più evidenti. Le grinze intorno agli occhi di Sherlock sembrano un po’ più accentuate, come se Sherlock li avesse tenuti affondati senza tregua nel suo microscopio. La sua sciarpa – quel pezzo di tessuto blu morbido e logoro – gli pende un po’ più liberamente dal collo; ha decisamente perso un po’ di peso. Probabilmente approfittando del fatto di non avere più John attorno, ad assillarlo perché mangi a intervalli regolari.

John sussulta, di riflesso.

Gli occhi di Sherlock diventano illeggibili. Il suo volto, che non è mai stato un libro aperto, si fa cautamente indifferente.

Con sorpresa di John, è Sherlock il primo a interrompere il contatto visivo. Abbassa gli occhi sui propri piedi, ancora lo stesso paio di eleganti mocassini italiani che gli ha regalato Mycroft per lo scorso Natale – ma non se ne va. Rimane lì, a fissare il pavimento come una statua nel corridoio del supermercato. Di tutte le volte in cui John ha desiderato che Sherlock fosse più confacente alle norme sociali, non avrebbe mai pensato che sarebbe capitato così – Sherlock che prova l’imbarazzo del trovarsi faccia a faccia con un ex ragazzo dopo la rottura.

La cosa è talmente inaspettata da paralizzare John sul posto. Esita per un attimo, i pensieri a rimbombargli nella testa, ma a quanto pare a lungo abbastanza perché Sherlock arrivi a una qualche conclusione in quella sua mente geniale e idiota. Sherlock si volta, il cappotto che si solleva attorno a lui in un modo che fa dolere il petto a John, e sta già avanzando a grandi passi verso l’uscita quando John riesce a raggiungerlo.

“Sherlock. Sherlock – aspetta.”

John allunga una mano per afferrarlo per una spalla, ma si ricorda giusto a un pelo di distanza prima che le sue dita lo tocchino: Lui non è tuo, non puoi toccarlo. Non più.

Alza lo sguardo sul viso di Sherlock. Ogni angolo è dolorosamente familiare, e freddamente inscrutabile. Sono proprio accanto all’uscita; la cassiera li sta osservando con interesse da dietro la sua copia della rivista Heat.

“Io – volevo solo dirti.” John si schiarisce la gola, si sforza di farsi uscire le parole di bocca. “È – bello vederti. Ti trovo – a posto. Voglio dire… bene. Ti trovo bene.”

L’angolo della bocca di Sherlock si incurva in maniera impercettibile verso l’alto.

“Volevo solo che tu sapessi che-“ Cristo, perché sto ancora balbettando? “Che – eravamo amici prima di ogni cosa, prima di tutto quanto. E – io lo apprezzerò sempre.” Un respiro profondo. John chiude gli occhi. “Tu eri – il migliore amico che io avessi mai avuto.”

Gli occhi di Sherlock sembrano più azzurri che grigi, quando John trova finalmente il modo di aprire i propri. Anche se la sua espressione non è cambiata, anche se non si è miracolosamente ritrasformato nello Sherlock che conosceva - c’è un accenno di morbidezza, ora, nella linea della sua mascella, della sua bocca.

“Ben articolato come sempre, John.”

Quella profonda voce baritona – sentirla di nuovo è come una scarica di adrenalina. In modo perverso, a John fa venir voglia di ridacchiare. Di prendere un respiro profondo e di respirare.

“C’è posto per un solo genio nel supermercato.”

È incredibilmente facile sorridere a Sherlock. In fondo a tutto quanto – in fondo a tutto lo schifo che hanno attraversato insieme, John non può fare a meno di provare un senso d’affetto. Ha amato questo ragazzo, un tempo; forse – Dio non voglia – lo ama ancora. Tutto quello che sa è che è terrificante quanto lui voglia far sorridere Sherlock di nuovo.

“Bè.” John china la testa, facendo cenno al proprio cestino della spesa, con tre soli prodotti – sedano, fagioli e marmellata di ciliegie. “Non ti trattengo. So quanto tu sia – quanto tu sia impegnato di solito.”

Il silenzio torna a farsi impacciato, e John decide che quando è troppo è troppo. “Ti – lascio fare, allora.”

Si costringe ad allontanarsi, avvertendo lo sguardo di Sherlock su di sé ad ogni passo.

Non si guarda indietro.

 

::

 

La volta successiva in cui John vede Sherlock è a malapena una settimana dopo.

Ha trascorso troppo tempo in laboratorio, col suo studio sulla virologia delle cellule molecolari, e adesso è in ritardo di dieci minuti al suo turno alla libreria dell’UCL[3]. Miss Bowen, il capo-bibliotecaria, è terribilmente irascibile; John non può permettersi di inimicarsela, non quando si sente ancora a due passi dal ritrovarsi a vendere il Big Issue[4] o – peggio – a implorare Harry per avere dei soldi. Sta correndo lungo Gower Street, lo zaino a rimbalzargli contro la schiena, quando cadono le prime, grosse gocce di pioggia.

La pioggia sta giusto iniziando a prendere intensità – fantastico, è il rombo di un tuono, quello? - quando John si scontra con una figura alta, snella e familiare. Cadono entrambi sull’asfalto bagnato, le scarpette di John che gli slittano sotto ai piedi.

John sussulta per le abrasioni sulle proprie mani. Grandioso, i suoi jeans sono completamente bagnati; questo era l’ultimo paio pulito. Si alza tremante, appoggiandosi sulle ginocchia con le mani. “Cristo, stai bene – Sherlock?”

“John?”

I capelli di Sherlock sono fradici, appiccicati in ciocche umide sulla sua fronte. Sta proprio piovendo a dirotto. La sua pelle sembra pallida; i suoi occhi affondano in quelli di John. John non riesce a ricordare quand’è stata l’ultima volta in cui ha visto Sherlock tanto sorpreso.

“Sherlock, stai bene?”

Sherlock fa cenno di sì con la testa. John lo aiuta a rimettersi in piedi, il cuore che gli martella nel petto mentre tocca il braccio di Sherlock, tirandolo su. Non riesce proprio a frenare l’impulso di dargli una controllata, notando che le sue braccia sembrano più magre di prima, anche attraverso la lana pesante del suo cappotto. Dà un’inutile spazzolata allo sporco che ha macchiato la camicia bianca di Sherlock, che già si sta facendo trasparente per la pioggia, prima di ricordare.

Cristo.

La sua faccia si arrossa. Ritrae le dita richiudendole sul palmo.

Sherlock lo sta ancora guardando mentre John si volta per raccogliere i libri bagnati che sono caduti sul marciapiede. Ovviamente Sherlock, il grandissimo stronzo, non lo aiuta.

“Bene. Mi – dispiace.” Buon Dio, quando la finirà di essere così imbarazzante? John evita gli occhi di Sherlock mentre si getta di nuovo lo zaino sulle spalle. Cazzo, ora dev’essere in ritardo di almeno venti minuti. “Ehm – passa una buona giornata.”

Passa una buona giornata? John resiste all’impulso di battere la testa contro il marciapiede.

È quasi a cinque metri di distanza, ancora intento a evitare lo sguardo di Sherlock e imponendo al proprio viso di smettere di imitare un pomodoro, quando sente la risposta di Sherlock al di sopra del picchiettio del pioggia.

“Ci si vede in giro, John.”

 

::

 

Dopo quell’episodio, sembra che John veda Sherlock ovunque.

Non è un idiota – chiaramente Sherlock non lo avrebbe sopportato per una settimana, figurarsi per diciotto mesi, se le sue facoltà mentali fossero state pari a zero – ma ancora non riesce a capire per quale ragione Sherlock dovrebbe andarsene in giro a cercarlo, dopo tutto quel che è successo. E comunque non è che si parlino.

Qualunque cosa rimanga, per quanto improbabile, deve essere la verità. Sherlock deve aver smesso di evitarlo deliberatamente, ecco tutto. Sono sopravvissuti allo shock del rivedersi; Sherlock deve aver deciso che astenersi dall’andare nei posti che frequenta John non merita più spazio nel suo hard disk mentale. Non è una conclusione improbabile a cui arrivare – fanno la stessa università, anche se Sherlock sta già facendo il dottorato e John si sta ancora trascinando nel suo terzo anno di Medicina. Il fatto che Sherlock sia di un anno più giovane di John e che abbia già una laurea di primo livello in Chimica intascata a Cambridge prima che lo cacciassero – quello non ha importanza.

John vede Sherlock allo studentato, mentre sfoglia alcuni libri di storia dell’università. Lo sorprende mentre mangiucchia un muffin al Costa di Waterstone’s[5], mentre fissa intensamente – Cristo, sono macchie di sangue quelle? Ma che diavolo? Sherlock che attraversa a grandi passi il cortile interno dell’università, il cappotto che svolazza dietro di lui, le mani in tasca. Sherlock che aspetta l’autobus a Tottenham Court.

Ogni volta che si incrociano, John ne avverte lo shock come se gli trapassassero il petto con una lancia. Anziché sbiadire col tempo, i ricordi sembrano vorticargli tutt’attorno come fumo che esce da un portello, facendosi più vividi ogni volta che lo vede. Sherlock che striscia a letto di primo mattino dopo aver finito uno dei suoi esperimenti, gettando un braccio attorno al petto di John e intrecciando le loro dita sotto alle coperte. Il modo in cui, quando è di cattivo umore, si raggomitola a mo’ di palla sul divano in pelle, avvolto nella sua vestaglia blu preferita, ma solleva comunque il viso per un bacio. Il suono del suo violino – armonioso, bello in modo struggente, suonato con quel lieve arricciarsi delle sue labbra –

Una volta, col cuore che si ferma, gli sembra di vedere Sherlock in una discoteca, proprio prima dell’orario di chiusura, quando la ragazza con cui ha ballato svogliatamente fino a quel momento si arrende e raggiunge di nuovo le sue amiche. John ha appena dato le spalle al bar, tracannando dell’acqua per togliersi il sapore di burro-cacao dalle labbra, quando vede una testa ricciuta e mora che si china verso un’altra. Le bocche che si muovono in sincronia, prese da un bacio appassionato.

Si sente come tramutato in pietra. Stordito. Il sangue che corre alle orecchie.

Non è Sherlock, ovviamente. Salta fuori che è quel tipo idiota di Geografia, che ficca la lingua in gola fino alle tonsille a una qualche ragazza che John ricorda vagamente di aver visto allo studentato. Ma da una certa distanza – Cristo. Cristo santissimo.

John fugge nel vicolo fuori della discoteca, accovacciandosi fra i mozziconi di sigarette gettate a terra, evitando accuratamente di pensare all’inevitabile odore di piscio e tabacco. Si tiene la testa fra le mani, respirando dal naso.

Devo dimenticarlo.

È ingiusto – incredibilmente, maledettamente ingiusto – come quel pensiero lo faccia sentire come se il cuore gli si stesse spezzando, ancora una volta.

 

::

 

 

 

Note alla traduzione:

[1] Con “Grande Pulizia” si intende, nel caso non si capisse bene, quell’operazione che bene o male mettono in atto quasi tutti dopo una rottura, cioè l’eliminare tutti i messaggi/foto/ecc della persona con cui ci si è lasciati dal proprio cellulare. Rilassa i nervi, fidatevi u.u

[2] Tesco è una catena di supermercati molto diffusa e dai prezzi relativamente bassi.

[3] UCL sta per University College London.

[4] Il Big Issue è un giornale di strada edito in otto nazioni, scritto da giornalisti professionisti e venduto da persone senza fissa dimora. Fondato da John Bird e Gordon Roddick nel settembre 1991, è una delle maggiori società cooperative di interesse collettivo nel Regno Unito. La sua ragione d'essere è offrire ai senzatetto l'opportunità di guadagnare un salario legittimo e aiutarli nel contempo a reintegrarli nella società (fonte: Wikipedia).

[5] La Costa Coffee è una società di caffè del Regno Unito, in cui gestisce circa 665 negozi. Waterstone’s è una catena britannica di librerie, con attualmente 200 negozi nel Regno Unito.

   
 
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