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Autore: Mokusha    03/06/2014    2 recensioni
[Le Ceneri di Angela]
[Malachy McCourt - Le Ceneri di Angela]
Malachy si trova di nuovo a Londra, dopo aver abbandonato la sua famiglia. E’ ubriaco, è solo e si trova a dover affrontare la coscienza di un uomo disperato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al concorso "Robert Carlyle's Characters" di B e l l e

Nick autore EFP
:  Mokusha
Nick forum:  M o k u s h a_
Titolo: “We are such stuff as dreams are made on.”
Rating:  Giallo 
Genere: Angst, Introspettivo
Personaggi: Malchy McCourt - Le ceneri di Angela. 
Trama e NdA: Malachy si trova di nuovo a Londra, dopo aver abbandonato la sua famiglia. E’ ubriaco, è solo e si trova a dover affrontare la coscienza di un uomo disperato.
* “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, William Shakespeare, La Tempesta.
** “le gioie violente hanno violenta fine (…)”, William Shakespeare, Romeo e Giulietta.

 
We are such stuff as dreams are made on.

_______________________________

 


Fallito.”

Malachy McCourt traballa.
Sotto il peso dell’alcool.
Sotto il peso dei suoi sbagli.
Dei suoi tormenti.
Delle sue mancanze.
Dei suoi demoni.
“Fallito.”
Appoggia una mano sul muro umido di una delle case che costeggiano quella via londinese.
Malachy McCourt trema.
Sotto il peso del rimorso. Del senso di colpa. Della nostalgia. Della vergogna.
“Li hai abbandonati.”
Prova a respirare a fondo, ma l’aria pare un miracolo che sembra non essergli concesso.
Sente ancora in bocca il sapore dell’alcool che anche quella notte ha tracannato fino al delirio.
Ma non è servito a spegnere le voci. A scacciare i ricordi. Ad annebbiare i pensieri.
Sono lì, nella sua testa. Urlano e pretendono di essere ascoltati.

 
“Fallito, fallito. Sei solo un fallito. Hai distrutto la tua famiglia.”
Le sue ginocchia toccano l’asfalto bagnato.
Malachy McCourt crolla, assordato dalla voce della sua coscienza.
“Ubriacone. Incapace. Fallito. Non meriti di essere un padre.”
Si porta le mani alle orecchie, non vuole ascoltare.
La coscienza è maligna, gli sputa in faccia quella realtà da cui lui non vorrebbe fare altro che fuggire. Vuole continuare ad annegare nelle illusioni, nelle menzogne.

 
Malachy McCourt è distrutto. Un’ombra. Uno spettro. Invisibile.
Tutto quello che resta di lui sono macerie di un uomo. Briciole di un padre.
“Non sei degno di loro. Non sei degno del loro amore.”
Sa che la coscienza ha ragione.
Non ne è mai stato degno. 
Non osa evocare alla propria mente i volti dei suoi figli. Non osa rifugiarsi nel ricordo dell’affetto della sua famiglia. Nei sorrisi dei suoi bambini, negli occhi di cielo di Angela.
Angela.
La sua bellissima, bellissima, straordinaria Angela.
Così fragile, e così forte.
Angela che piange, che maledice il destino. Angela che cerca conforto in lui. Angela che lo insulta, Angela che lo ama, Angela che lo accoglie. Sempre.
Vorrebbe che fosse lì con lui. Vorrebbe che lo rimproverasse, arrabbiata. Una rabbia che colora solo il suo tono di voce, mai gli occhi.
Quelli rimangono sempre pieni d’amore per lui.
Vorrebbe che fosse lì, avvolta nel suo cappotto rosso. Vorrebbe toccarla, baciarla, stringerla a sé.
“Sei stato tu ad andartene. L’hai lasciata. Dimenticata. Abbandonata.”
La voce della coscienza insiste, pungente, beffarda, fastidiosamente sincera..
Malchy McCourt non può scappare da sé stesso.
E il suo sé stesso ha abbandonato la propria famiglia, lasciandoli senza un marito, senza un padre, senza un futuro, senza speranza.
Quella speranza che lui era solito mettere in tavola più spesso del pane, attraverso i suoi racconti, e le sue favole.
Era di questo che nutriva la sua famiglia.
Perché Malchy McCourt è un cantastorie, un sognatore, e come tale è fatto della stessa sostanza dei sogni*, fragile, impalpabile.
Ma non ha mai potuto mostrare la sua vera essenza, altrimenti sarebbe stato considerato ancora più vile, ancora più debole, ancora meno uomo.
Si è sempre sentito dire che è troppo qualcosa e troppo poco qualcos’altro.
Troppo ubriaco, troppo orgoglioso, troppo sbagliato, troppo imperfetto, troppo poco attento, troppo poco responsabile, troppo poco capace, troppo poco coraggioso.

 
Malchy McCourt non piange. Non piange mai, affoga la sua anima sanguinante nell’alcool, in modo da farla bruciare fino a non sentirla più.
Ha voluto fuggire dalla sofferenza di sua moglie, dalla disperazione dei suoi figli, convinto che sarebbero sicuramente stati meglio, senza di lui.
Ma i fantasmi del suo dolore l’hanno seguito, e lo stanno dannando, sfinendo, logorando.
Malchy McCourt odia sé stesso, ma ama la propria famiglia. In modo viscerale, struggente.
 
Piove, a Londra.
La pioggia gli cade addosso, incessante, fredda, lava via ogni traccia di speranza, ogni frammento di sogno, spazza via le ceneri in cui lo stesso Malchy McCourt è ridotto.
Vuole annullarsi, vuole disintegrarsi, sparire, morire.
Fa così freddo. Gela la sua pelle, gela il suo cuore, gela la sua anima.
E la memoria, crudele, sadica, assassina, gli riporta alla mente il calore.
Il calore del corpicino caldo della sua Margaret, la sua piccola principessa, il suo perfetto capolavoro.
Gioia violenta dalla violenta fine**, inizio di un abisso di distruzione senza via di scampo.
Strappandogli via Margaret, la vita gli aveva strappato un pezzo di sé stesso. Con i gemelli non era stato diverso.

 
Malchy McCourt è mutilato: padre senza figli, cantastorie senza favole, sognatore senza speranza.
Malchy McCourt traballa, trema, crolla, annega, gela.
Urla.
Si dispera.
Singhiozza.
Piange.
Finalmente, Malchy McCourt piange.
 
   
 
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