Nightmare.
Ataru era in una
stanza tetra e spoglia, in un lato della
stanza imponente stava un grosso mobile in acciaio, che il ragazzo non
riusciva
a capire cosa contenesse.
E
al centro della stanza stava un
lettino, con un lenzuolo disteso sopra.
Immediatamente
arrivò alle sue narici un forte odore di
medicinali e, osservando anche un tavolo pieno di siringhe, medicine e
altri
oggetti prettamente medici, capì di trovarsi in un ospedale
o qualcosa di
simile.
Ataru si
avvicinò al letto, sentendosi stranamente
pesante mentre camminava, facendo fatica a compiere ogni passo.
Voleva arrivare
al letto e scostare il lenzuolo, per
capire cosa vi fosse nascosto sotto.
Una strana
consapevolezza che doveva raggiungerlo lo
attanagliava, doveva arrivare li al più presto, prima che
accadesse qualcosa.
Non fece in
tempo a raggiungerlo perché la porta si
spalancò e una forte luce bianca penetrò da
quella, abbagliando il ragazzo per
qualche secondo.
Entrarono tre
persone e quello in capo al gruppo accese
la luce, mostrando ad Ataru di trovarsi in un obitorio.
Un brivido lo
percorse e con sconcerto si accorse che i
presenti sembravano non averlo notato, nonostante fosse quasi in centro
alla
stanza e avesse la consapevolezza di non
doversi trovare li.
I nuovi arrivati
avanzarono nella stanza ed entrarono
nell’area visiva del ragazzo.
Il primo era un
medico a giudicare dal camice bianco e
dallo stetoscopio che dondolava dal suo collo. Era un ometto calvo, con
degli
occhiali che cadevano sul naso e un’aria severa.
Alle sue spalle
stavano un uomo e una donna, che si
tenevano per mano.
I tre arrivarono
al centro della stanza, a pochi passi da
Ataru, ma la loro attenzione non verteva sul ragazzo.
Moroboshi non
riusciva a mettere a fuoco i volti della
coppia, nonostante si fosse già sfregato più
volte gli occhi e ormai fossero a
pochi metri da lui.
Era come se
esistesse un velo tra il ragazzo e il
gruppetto, che non permetteva al medico e alla coppia di vedere Ataru.
Quest’ultimo
provò ad avvicinarsi, per capire meglio la
situazione. Arrivò alle spalle del medico e si accorse che
quello non riusciva
veramente a vederlo, quindi allungò una mano e si
attraversò il corpo di
quello.
Un urlo stridulo
uscì dalla sua bocca e cadde a terra
terrorizzato, ma i presenti non sembrò sentissero nulla.
Il medico aveva
infatti alzato di poco il lenzuolo,
mostrando alla coppia il volto della figura sotto il lenzuolo, senza
battere
ciglio.
Quando la donna
scoppiò a piangere e singhiozzare, dopo
che si era portata una mano alla bocca con un’esclamazione,
Ataru riconobbe
Shinobu.
Balzò
in piedi per consolarla ma trovò le possenti
braccia di Mendo che la stringevano, consolandola.
Sembrava
disperata e anche il bel volto di Shutaru venne
rigato da qualche lacrima.
Perché
quei due si trovavano in quel posto e non
riuscivano a vederlo?
-La riconoscete
quindi?-
Domandò
il medico con voce glaciale, attirando
l’attenzione di un confuso Moroboshi.
“La
riconoscete?” Si trattava quindi di una donna e il
cervello di Ataru iniziò a cercare di capire di chi si
trattasse.
-Si,
è lei.-
Rispose Mendo
con aria grave, mentre la fidanzata
tratteneva un altro singhiozzo.
-Dove
l’avete trovata?-
Chiese con un
filo di voce Shinobu, come se lei stessa
avesse paura della risposta che poteva ricevere.
-Era in fondo ad
un pozzo, è stata trovata per caso da un
falegname.-
La ragazza venne
percorsa da un brivido, mentre Mendo la
stringeva più a se.
-Com’è
successo per lei?-
Domandò
Shutaru con voce sconvolta, osservando con occhi
vitrei la figura distesa.
-Non so se la
signora voglia ascoltare.-
Rispose il
dottore posando lo sguardo sulla donna.
-No, per favore
me lo dica. Lei era la mia migliore
amica.-
Ataru si chiese
chi fosse la migliore amica di Shinobu.
Ryunosuke? Ran? O qualcuna che in quel momento non riusciva a
ricordare? Più
cercava di ricordare più una nebbia si formava nella sua
testa.
-Sul corpo
abbiamo trovato una grande quantità di lividi,
probabilmente causati dalla caduta. Pensiamo si sia sporta sul pozzo
per
trovare dell’acqua, non sapendo che fosse asciutto e poi
è scivolata cadendo di
sotto.-
-La prego, mi
dica che è morta in seguito alla caduta.-
Sussurrò
Shinobu tremando, guardando dritto negli occhi
il medico, cercando di farsi forza.
-No,
è morta di fame.-
Rispose quello
abbassando lo sguardo, come se si sentisse
in colpa per aver pronunciato quelle parole.
-Perché?
Lei non era abbastanza forte! Lui doveva
proteggerla!-
Strillò
Shinobu isterica, crollando a terra distrutta tra
le lacrime.
-Quel bastardo
non merita di vivere!-
Mendo la strinse
a se, rimettendola in piedi e cercando
di consolarla.
-E` meglio
andare.-
Mormorò
il medico a disagio, invitando i due a seguirlo
verso la porta, ma prima di uscire la ragazza tra le lacrime si
fermò e
fissando negli occhi Ataru urlò, piena di rancore:
-Ataru!
Perché non l’hai protetta? Brutto bastardo!-
Il gelo si
impossessò del ragazzo, che piombò affianco al
lettino, sollevando piano il lenzuolo.
La riconobbe
immediatamente.
Bella come una
regina, nonostante quel volto pallido
pieno di lividi violacei e scarno sulle guance.
I capelli
incorniciavano dolcemente il viso che tante
volte Ataru aveva ammirato.
Fu solo un
sussurro, prima che tutto tornasse nero:
-Lamù.-
***
Ataru si
svegliò di scatto, mettendosi a sedere sul
futon, con il volto intriso di sudore e il fiatone per
l’incubo che aveva
appena fatto, mentre le labbra trattenevano un urlo.
Si
voltò immediatamente, cercando con lo sguardo il
soggetto del suo incubo.
La
trovò a pochi passi da lui, profondamente
addormentata, e subito sospirò di sollievo, notando le
guance rosate nonostante
la penombra.
Era solo un
incubo.
Lamù
respirava ed era li al suo fianco, come sempre.
I capelli di
quel colore indefinito, che si avvicinava al
verde marino, erano scompigliati sul cuscino, le labbra sottili
leggermente
aperte, lasciavano intravedere i canini appuntiti.
In quel momento
appariva tremendamente fragile e innocua,
tutto il contrario di quella che era realmente da sveglia.
Ataru
respirò profondamente, cercando di far tornare il
respiro regolare, mentre ripensava a quel terribile incubo.
La luce della
luna piena penetrava dalle finestre
illuminando in modo quasi spettrale la ragazza distesa al centro della
stanza.
Il ragazzo scese
dal letto, andando a sedersi accanto a
lei e ad accertarsi che stesse respirando.
Il respiro era
leggero e costante, ma il ragazzo non poté
trattenersi dal toccare una mano esile per accertarsi che fosse calda.
Lamù
stava bene, respirava ed era calda.
Eppure il timore
di perderla era ancora nel suo cuore, di
perderla prima che lui potesse ammettere quanto si fosse affezionato a
lei.
Perché
alla fine non poteva nasconderlo, si era
affezionato fin troppo a lei e la paura di perderla era probabilmente
la sua
più grande angoscia.
Lui lo dava per
scontato il volerle bene, in fondo la
sopportava da un sacco di tempo ormai, ma mai le aveva detto le
fatidiche
parole, neanche quando i funghi giganti avevano invaso la terra.
Era un testone e
uno stupido, lo sapeva anche lui.
Le
sistemò i capelli dietro all’orecchio, ammirando
le
lunghe ciglia dei suoi occhi chiusi.
Aveva voglia di
specchiarsi in quegli oceani chiari, di
perdersi nel guardarla e poi di mascherare il tutto con un tono burbero.
Quante volte
aveva sentito i brividi guardandola?
Quante volte la
gelosia l’aveva distrutto?
Quante volte si
era trattenuto dall’ammettere quanto bene
le volesse?
Era
però difficile vivere con un uragano come lei. Spesso
nella sua testa la paragonava al mare, non solo per quei capelli che
gli
ricordavano qualsiasi riflesso delle acque, ma anche perché,
come il mare,
sapeva all’improvviso scatenare una tempesta, per poi tornare
calma.
Prese il
lenzuolo e coprì la ragazza, in modo che non
prendesse freddo, poi fece per alzarsi, per tornare a dormire.
Una mano
però lo trattenne, facendolo tornare a sedere.
Il ragazzo si
girò leggermente spaventato e trovò gli
occhi assonnati di Lamù che lo osservavano, quindi lei
chiese:
-Tesoruccio,
resta ancora un po’ qui con me, per favore.-
Ed Ataru sorrise
e senza una parola si distese accanto a
lei, stringendola a se.
Perché
quella notte avrebbe lasciato da parte
insicurezze, orgoglio e paure, dedicandosi solo a stare accanto alla
donna
della sua vita.
Le baciò leggero le
labbra prima di chiudere gli occhi,
sentendo il suo calore che lo rassicurava, sicuro che non
l’avrebbe mai e poi
mai lasciata andare.