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Autore: Sarugaki145    03/06/2014    5 recensioni
Ataru era in una stanza tetra e spoglia, in un lato della stanza imponente stava un grosso mobile in acciaio, che il ragazzo non riusciva a capire cosa contenesse.
E al centro della stanza stava un lettino, con un lenzuolo disteso sopra.
Lui voleva arrivare al letto e scostare il lenzuolo, per capire cosa vi fosse nascosto sotto.
Una strana consapevolezza che doveva raggiungerlo lo attanagliava, doveva arrivare li al più presto, prima che accadesse qualcosa.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atarù Moroboshi, Lamù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nightmare.

 

Ataru era in una stanza tetra e spoglia, in un lato della stanza imponente stava un grosso mobile in acciaio, che il ragazzo non riusciva a capire cosa contenesse.

E al centro della stanza stava un lettino, con un lenzuolo disteso sopra.

Immediatamente arrivò alle sue narici un forte odore di medicinali e, osservando anche un tavolo pieno di siringhe, medicine e altri oggetti prettamente medici, capì di trovarsi in un ospedale o qualcosa di simile.

Ataru si avvicinò al letto, sentendosi stranamente pesante mentre camminava, facendo fatica a compiere ogni passo.

Voleva arrivare al letto e scostare il lenzuolo, per capire cosa vi fosse nascosto sotto.

Una strana consapevolezza che doveva raggiungerlo lo attanagliava, doveva arrivare li al più presto, prima che accadesse qualcosa.

Non fece in tempo a raggiungerlo perché la porta si spalancò e una forte luce bianca penetrò da quella, abbagliando il ragazzo per qualche secondo.

Entrarono tre persone e quello in capo al gruppo accese la luce, mostrando ad Ataru di trovarsi in un obitorio.

Un brivido lo percorse e con sconcerto si accorse che i presenti sembravano non averlo notato, nonostante fosse quasi in centro alla stanza e avesse la consapevolezza di non doversi trovare li.

I nuovi arrivati avanzarono nella stanza ed entrarono nell’area visiva del ragazzo.

Il primo era un medico a giudicare dal camice bianco e dallo stetoscopio che dondolava dal suo collo. Era un ometto calvo, con degli occhiali che cadevano sul naso e un’aria severa.

Alle sue spalle stavano un uomo e una donna, che si tenevano per mano.

I tre arrivarono al centro della stanza, a pochi passi da Ataru, ma la loro attenzione non verteva sul ragazzo.

Moroboshi non riusciva a mettere a fuoco i volti della coppia, nonostante si fosse già sfregato più volte gli occhi e ormai fossero a pochi metri da lui.

Era come se esistesse un velo tra il ragazzo e il gruppetto, che non permetteva al medico e alla coppia di vedere Ataru.

Quest’ultimo provò ad avvicinarsi, per capire meglio la situazione. Arrivò alle spalle del medico e si accorse che quello non riusciva veramente a vederlo, quindi allungò una mano e si attraversò il corpo di quello.

Un urlo stridulo uscì dalla sua bocca e cadde a terra terrorizzato, ma i presenti non sembrò sentissero nulla.

Il medico aveva infatti alzato di poco il lenzuolo, mostrando alla coppia il volto della figura sotto il lenzuolo, senza battere ciglio.

Quando la donna scoppiò a piangere e singhiozzare, dopo che si era portata una mano alla bocca con un’esclamazione, Ataru riconobbe Shinobu.

Balzò in piedi per consolarla ma trovò le possenti braccia di Mendo che la stringevano, consolandola.

Sembrava disperata e anche il bel volto di Shutaru venne rigato da qualche lacrima.

Perché quei due si trovavano in quel posto e non riuscivano a vederlo?

-La riconoscete quindi?-

Domandò il medico con voce glaciale, attirando l’attenzione di un confuso Moroboshi.

“La riconoscete?” Si trattava quindi di una donna e il cervello di Ataru iniziò a cercare di capire di chi si trattasse.

-Si, è lei.-

Rispose Mendo con aria grave, mentre la fidanzata tratteneva un altro singhiozzo.

-Dove l’avete trovata?-

Chiese con un filo di voce Shinobu, come se lei stessa avesse paura della risposta che poteva ricevere.

-Era in fondo ad un pozzo, è stata trovata per caso da un falegname.-

La ragazza venne percorsa da un brivido, mentre Mendo la stringeva più a se.

-Com’è successo per lei?-

Domandò Shutaru con voce sconvolta, osservando con occhi vitrei la figura distesa.

-Non so se la signora voglia ascoltare.-

Rispose il dottore posando lo sguardo sulla donna.

-No, per favore me lo dica. Lei era la mia migliore amica.-

Ataru si chiese chi fosse la migliore amica di Shinobu. Ryunosuke? Ran? O qualcuna che in quel momento non riusciva a ricordare? Più cercava di ricordare più una nebbia si formava nella sua testa.

-Sul corpo abbiamo trovato una grande quantità di lividi, probabilmente causati dalla caduta. Pensiamo si sia sporta sul pozzo per trovare dell’acqua, non sapendo che fosse asciutto e poi è scivolata cadendo di sotto.-

-La prego, mi dica che è morta in seguito alla caduta.-

Sussurrò Shinobu tremando, guardando dritto negli occhi il medico, cercando di farsi forza.

-No, è morta di fame.-

Rispose quello abbassando lo sguardo, come se si sentisse in colpa per aver pronunciato quelle parole.

-Perché? Lei non era abbastanza forte! Lui doveva proteggerla!-

Strillò Shinobu isterica, crollando a terra distrutta tra le lacrime.

-Quel bastardo non merita di vivere!-

Mendo la strinse a se, rimettendola in piedi e cercando di consolarla.

-E` meglio andare.-

Mormorò il medico a disagio, invitando i due a seguirlo verso la porta, ma prima di uscire la ragazza tra le lacrime si fermò e fissando negli occhi Ataru urlò, piena di rancore:

-Ataru! Perché non l’hai protetta? Brutto bastardo!-

Il gelo si impossessò del ragazzo, che piombò affianco al lettino, sollevando piano il lenzuolo.

La riconobbe immediatamente.

Bella come una regina, nonostante quel volto pallido pieno di lividi violacei e scarno sulle guance.

I capelli incorniciavano dolcemente il viso che tante volte Ataru aveva ammirato.

Fu solo un sussurro, prima che tutto tornasse nero:

-Lamù.-

 

***

 

Ataru si svegliò di scatto, mettendosi a sedere sul futon, con il volto intriso di sudore e il fiatone per l’incubo che aveva appena fatto, mentre le labbra trattenevano un urlo.

Si voltò immediatamente, cercando con lo sguardo il soggetto del suo incubo.

La trovò a pochi passi da lui, profondamente addormentata, e subito sospirò di sollievo, notando le guance rosate nonostante la penombra.

Era solo un incubo.

Lamù respirava ed era li al suo fianco, come sempre.

I capelli di quel colore indefinito, che si avvicinava al verde marino, erano scompigliati sul cuscino, le labbra sottili leggermente aperte, lasciavano intravedere i canini appuntiti.

In quel momento appariva tremendamente fragile e innocua, tutto il contrario di quella che era realmente da sveglia.

Ataru respirò profondamente, cercando di far tornare il respiro regolare, mentre ripensava a quel terribile incubo.

La luce della luna piena penetrava dalle finestre illuminando in modo quasi spettrale la ragazza distesa al centro della stanza.

Il ragazzo scese dal letto, andando a sedersi accanto a lei e ad accertarsi che stesse respirando.

Il respiro era leggero e costante, ma il ragazzo non poté trattenersi dal toccare una mano esile per accertarsi che fosse calda.

Lamù stava bene, respirava ed era calda.

Eppure il timore di perderla era ancora nel suo cuore, di perderla prima che lui potesse ammettere quanto si fosse affezionato a lei.

Perché alla fine non poteva nasconderlo, si era affezionato fin troppo a lei e la paura di perderla era probabilmente la sua più grande angoscia.

Lui lo dava per scontato il volerle bene, in fondo la sopportava da un sacco di tempo ormai, ma mai le aveva detto le fatidiche parole, neanche quando i funghi giganti avevano invaso la terra.

Era un testone e uno stupido, lo sapeva anche lui.

Le sistemò i capelli dietro all’orecchio, ammirando le lunghe ciglia dei suoi occhi chiusi.

Aveva voglia di specchiarsi in quegli oceani chiari, di perdersi nel guardarla e poi di mascherare il tutto con un tono burbero.

Quante volte aveva sentito i brividi guardandola?

Quante volte la gelosia l’aveva distrutto?

Quante volte si era trattenuto dall’ammettere quanto bene le volesse?

Era però difficile vivere con un uragano come lei. Spesso nella sua testa la paragonava al mare, non solo per quei capelli che gli ricordavano qualsiasi riflesso delle acque, ma anche perché, come il mare, sapeva all’improvviso scatenare una tempesta, per poi tornare calma.

Prese il lenzuolo e coprì la ragazza, in modo che non prendesse freddo, poi fece per alzarsi, per tornare a dormire.

Una mano però lo trattenne, facendolo tornare a sedere.

Il ragazzo si girò leggermente spaventato e trovò gli occhi assonnati di Lamù che lo osservavano, quindi lei chiese:

-Tesoruccio, resta ancora un po’ qui con me, per favore.-

Ed Ataru sorrise e senza una parola si distese accanto a lei, stringendola a se.

Perché quella notte avrebbe lasciato da parte insicurezze, orgoglio e paure, dedicandosi solo a stare accanto alla donna della sua vita.

Le baciò leggero le labbra prima di chiudere gli occhi, sentendo il suo calore che lo rassicurava, sicuro che non l’avrebbe mai e poi mai lasciata andare.

  
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