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Autore: ViolaNera    05/06/2014    5 recensioni
Si rese conto che il blocco era durato un attimo, un solo, insignificante, inutile battito di ciglia, lo spazio miserevole tra un battito di cuore e l'altro. L'attesa dopo una domanda importante, l'attesa troppo lunga, terribile, colma di paure e di ansie, di interrogativi e accuse.
Avrei fatto meglio a stare zitto, pensò.
Ho scelto un momento sbagliato, non era questo, si disse.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stata questione di un attimo.

Un istante prima tutto era pieno di colori, luminoso, l'aria era profumata e gli sfiorava il viso come ogni giorno. Poi tutto si era congelato; anche i suoni che aveva udito tanto perfettamente fino a una manciata di secondi prima erano svaniti come se non ci fossero mai stati dal principio.

Si rese conto che il blocco era durato un attimo, un solo, insignificante, inutile battito di ciglia, lo spazio miserevole tra un battito di cuore e l'altro. L'attesa dopo una domanda importante, l'attesa troppo lunga, terribile, colma di paure e di ansie, di interrogativi e accuse.

Avrei fatto meglio a stare zitto, pensò.

Ho scelto un momento sbagliato, non era questo, si disse.

Il tempo era pronto a riprendere il suo naturale svolgimento dopo la risposta che aspettava e per un altro incredibile secondo pensò che forse ce l'aveva fatta, che lui avrebbe detto qualcosa di bello, perché provava le stesse cose, era evidente, e tutto sarebbe finito bene. Doveva finire bene.

Per questo, quando le parole che infine sentì non furono quelle che si era aspettato (una minima parte di lui credeva di averle anche sognate, quelle parole, tanto nitidamente da poterle ripetere a memoria), il mondo tornò a respirare riempiendosi di luci e suoni, l'acqua a scorrere nella fontana alle loro spalle, ma i colori non erano più gli stessi e tutto sembrava aver ripreso a muoversi nel verso sbagliato, in una realtà parallela dove il grigio predominava come un tiranno.

«Mi dispiace», gli rispose con un piccolo sorriso, evitando il suo sguardo. «Sono davvero felice di piacerti, ma... non credo che dovremmo stare insieme.»

Si sentì guardare di sottecchi poco prima di un sospiro.

«In effetti non voglio che stiamo insieme, Rei-chan.»

Lì per lì aveva fatto il possibile per mascherare la delusione, la sorpresa (era innegabile che si fosse illuso, perché Nagisa era così affettuoso e amabile che tutti i suoi gesti potevano soltanto averlo portato a certe conclusioni) e il frastornante senso di aver preso un colpo in testa.

Non aveva reagito bene a quelle parole. Si era voltato, aveva stretto i pugni sulla panchina e se n'era uscito con una risata secca, frettolosa. Nagisa si era scusato un'altra volta, a voce più bassa.

Rei lo aveva zittito con un mugolio e se n'era andato.

Ogni passo lontano da lui, ogni respiro preso dopo quel rifiuto, non lo aveva fatto stare meglio. I polmoni erano gonfi di un dolore troppo forte, troppo bruciante e atroce. Era consentito sentirsi così male per un no? Oh, aveva immaginato quel momento così tante volte! Avrebbe messo la mano in tasca e ne avrebbe estratto quel bracciale di fili intrecciati e piccole conchiglie. Glielo avrebbe messo al polso, come una promessa solenne, poi gli avrebbe fatto vedere che ne aveva preso un altro identico e che avrebbe dovuto metterglielo allo stesso modo.

Forse si sarebbero baciati sorridendo, oppure avrebbero aspettato un po' anche solo a sfiorarsi le dita.

Le lacrime avevano tradito Rei in prossimità della stazione.

Volevano uscire con così tanta forza che non era più stato capace di trattenerle e le aveva quindi lasciate libere, sbattendo la spalla contro una salda recinzione.

La mano davanti al viso, aveva singhiozzato come un bambino. E non importava se si sentiva bruttissimo, le lenti si erano appannate ed era profondamente sbagliato reagire in quel modo infantile: Nagisa non voleva stare insieme a lui e tutto quello che desiderava fare era piangere.



* * *



Odiava l'alcol, il suo odore penetrante, il sapore che si attaccava alla lingua e non se ne andava nemmeno con una bella spazzolata di denti e una mentina senza zucchero. Pur detestando quel saporaccio infame, c'erano occasioni in cui era stato costretto a bere, perché tra amici si fa così, perché c'è sempre qualcosa da festeggiare e, anche se non c'è, bere è un modo per passare il tempo in compagnia attorno a un tavolo e rifiutarsi di partecipare è scortese.

Non aveva deciso volontariamente che bere l'avrebbe aiutato. Era ancora un salutista e uno sportivo, faceva stretching appena saltava giù dal letto, correva come prima cosa varcata la soglia di casa all'alba e camminava piuttosto che approfittare di tutte le fermate dell'autobus.

Si era soltanto ritrovato invischiato (un po' troppo spesso) in quel circolo vizioso. Una sera a settimana erano diventate due e alla fine un'emicrania era quasi meglio che stare a piangersi addosso per altri affanni decisamente incurabili.

D'altra parte non sarebbe diventato un alcolizzato e non si sarebbe fatto venire una cirrosi per qualche birra e bottiglia di sake.

Non era stato neppure lontanamente volontario farsi scovare da Nagisa, proprio sotto casa sua, in quello stato deplorevole dopo una delle tante serate di bagordi.

Erano passati quasi tre anni da quel pomeriggio di settembre e non stava certo pensando a lui. Erano rimasti amici, si sentivano e vedevano ancora, ma dopotutto rompere i ponti con qualcuno come Nagisa era impossibile. Aveva troppe cose da raccontare, troppi posti da far vedere, troppe idee strampalate da provare.

Rei si era comportato in maniera esemplare (ed era stato difficile, certo che lo era stato) rinchiudendo nel petto tutti i sentimenti romantici per l'amico: aveva evitato situazioni imbarazzanti, commenti acidi, e aveva fatto sempre del suo meglio per non dire frasi strane, per non riversare addosso a Nagisa un amore che non voleva e che l'avrebbe solo messo a disagio. Tuttavia era abbastanza sicuro sapesse che non gli era mai passata del tutto e si comportasse, di conseguenza, con riguardo. A volte Nagisa lo osservava in modo troppo tenero, quasi indulgente, e aveva smesso di saltargli addosso alla minima occasione favorevole.

Ecco, se Rei avesse saputo che tra loro sarebbe finita così, che avrebbe perso quegli abbracci violenti e le sue mani protese per rubargli gli occhiali, sarebbe rimasto zitto fino alla tomba. Poche cose gli mancavano come il suo tocco improvviso e il profumo delle caramelle alla fragola che mangiava in quantità industriali.

Prima, quando gli stava attaccato al braccio, quel profumo dolce, mentre parlava a macchinetta, gli annebbiava i sensi.

Aveva perso anche quello.

«Rei-chan?»

Nagisa lo aveva visto dalla finestra della sua camera.

Ultimamente si era messo in testa che l'astronomia era una materia talmente interessante che avrebbe voluto possederne ogni minima conoscenza disponibile. Si era comprato un telescopio professionale e passava le serate a casa a scrutare il cielo. (Quanto aveva lavorato per mettere i soldi da parte! Ma Nagisa era fatto così, si entusiasmava facilmente e partiva per la sua strada come un razzo fuori controllo.)

Stava osservando le stelle conosciute oppure era alla ricerca di qualche nuovo astro, Rei non ne aveva idea; sapeva soltanto che Nagisa si era scostato dalla lente e aveva guardato in basso, distratto dalla sensazione di essere a sua volta fissato.

Rei se ne stava appoggiato con le spalle al muretto fiocamente illuminato dal lampione, il viso all'insù, la testa vuota, i pensieri troppo ingarbugliati e leggeri per avere un senso. Gli piaceva sentirsi così, privo di logica, incapace di connettere e inseguire ragionamenti bui. Forse stava davvero diventando alcolizzato. C'era voluto qualche anno, ma alla fine la tristezza poteva aver vinto.

Se fosse stato sobrio sarebbe scappato in quel preciso momento. Beh, se fosse stato sobrio non si sarebbe nemmeno trascinato come un sacco sotto casa Hazuki, a dirla tutta. Invece era rimasto lì, ad aspettare che Nagisa scendesse, che lo raggiungesse, che gli toccasse il braccio e gli chiedesse se andava tutto bene.

Era cresciuto in altezza in quegli anni. La sua voce, soprattutto, era maturata, ma era sempre lo stesso ragazzo che gli faceva battere il cuore solo standosene lì in silenzio. Il solo, l'unico, il primo amore, l'ultimo viso che avrebbe voluto vedere la sera prima di chiudere gli occhi sul nulla.

Rei aveva aperto la bocca per chiedergli perché. Una domanda semplice, ma piena di complicazioni e nuove ferite con cui fare i conti.

Forse Nagisa era innamorato di una ragazza bellissima e dolce con cui non avrebbe mai potuto competere. O peggio, Nagisa era innamorato di un altro ragazzo, qualcuno che conosceva anche lui. Rei avrebbe puntato su Haruka, per l'ammirazione che aveva sempre dimostrato nei suoi confronti, ma non avrebbe escluso a priori gli altri due del gruppo.

Quello che importava era che non amava Rei, il resto poteva anche andare a farsi fottere.

E dire che, prima di Nagisa, prima che quel rompiscatole entrasse nella sua vita, scuotendo le fondamenta certe dei suoi programmi accurati, tutto aveva avuto un senso. C'era la scuola, c'erano i suoi hobby, c'era un futuro bellissimo e pieno di gratificazioni. Una famiglia, probabilmente, ma molto più avanti negli anni.

Perché, voleva chiedere al ragazzo che ora lo fissava con occhi preoccupati a pochi centimetri di distanza.

Perché non lo amava, prima di tutto, in che cosa era manchevole, in cosa poteva rimediare.

Perché la sua vita non sembrava avere importanza come prima.

Perché non c'era modo di andare avanti e superare quel rifiuto legittimo, pensando ad altro, magari trovando una persona che gli avrebbe voluto bene. Aveva respinto così tante ragazze (e anche qualche ragazzo), in quegli anni, che aveva perso il conto. Chissà se tra loro c'era stato qualcuno che sarebbe valso la pena conoscere davvero.

Non l'avrebbe mai saputo. Non gli importava. Specialmente adesso, mentre si lasciava cadere addosso a Nagisa e lo circondava goffamente con le braccia, un sorriso sciocco in volto.

«Stai con me», aveva biascicato. «Stai con me.»

Aveva promesso di non arrecargli fastidio, ma aveva fallito. Aveva resistito un po', ma non andava bene cedere in quel modo, alla fine. Vanificava ogni sforzo precedente, giusto?

Ridicolo, senza dubbio, e patetico.

Qualcun altro lo avrebbe sospinto via, infastidito dall'odore, e gli avrebbe gridato addosso di andarsene a casa a dormire. Un amico lo avrebbe probabilmente accompagnato a casa, tra pietà e rassegnazione.

Nagisa lo prese tra le braccia e, con una forza che non si aspettava, lo trascinò dentro casa, su per le scale e infine in camera sua.

Rei pensò che lo avrebbero fatto. Follemente, senza alcun senso logico (Nagisa lo aveva chiaramente respinto, non aveva ragione di pensare a sesso di conforto), si immaginò scagliare sul letto e prendere da lui con i vestiti addosso. Qualcosa di sbrigativo, un po' brusco, doloroso. Nagisa sembrava il tipo da poterlo fare.

Aveva sempre posseduto una certa sensualità, celata sotto un visetto angelico. Anche se aveva cercato di non pensarci, era finito talvolta a domandarsi quanto intensi potessero essere i baci e quanto violente le carezze di un Nagisa disinibito.

Nonostante l'alcol in corpo, Rei provò una fitta di vergogna quando Nagisa rifece la sua comparsa con una tazza di caffè forte e una bottiglietta d'acqua naturale.

Certo, era suo amico. Lo aveva trovato a pezzi e voleva aiutarlo, ma non sarebbe stato disposto a dargli l'unica cosa che davvero voleva solo perché era in quello stato. Non gli avrebbe dato il suo calore, non gli avrebbe offerto il primo posto in quel cuore grandissimo che possedeva.

«Dormi qui, Rei-chan, sei sfinito.»

Annuì, fermandosi dal rispondere in modo avventato bevendo un generoso sorso di caffè, ma la risposta era nel suo cervello, tenace come muffa, e non riusciva a mandarla via.

Per questo, una volta posata la tazza sul comodino, lo aveva guardato con occhi liquidi e aveva detto l'unica cosa che non avrebbe dovuto dire mai.

«Ti amo, Nagisa. Dormi con me.»

Ti amo, dove voleva dire che lo aveva sempre amato e lo avrebbe amato per sempre.

Dormi, dove voleva dire che avrebbe voluto fare l'amore con lui anche solo una volta, per tentare di annullare il peso di quel vuoto interiore.

Patetico.

Se avesse saputo che sarebbe finita così, che si sarebbe sentito tanto solo, dopo il suo rifiuto, se avesse saputo prima che Nagisa avrebbe preso le distanze di sicurezza (per non ferirlo, questo era chiaro, non certo per disgusto), mai avrebbe rivelato i suoi sentimenti scomodi.

«Rei-chan.»

Nagisa aveva smesso di sorridere in quel modo dolce, comprensivo, e gli aveva preso il viso tra le mani.

«Non sarebbe giusto.»

«Chi se ne frega?»

Che non sarebbe stato giusto era vero. Non sarebbe stato tante cose, soprattutto non sarebbe stato definitivo e non sarebbe servito a guarirlo, ma sarebbe stato bello e speciale: come rinunciare al calore, come rinunciare a essere scaldati poche ore, quando c'era ogni giorno tanta amarezza e quel gelo che sembrava diffondersi ovunque partendo dalle ossa?

Era sempre stato così intenso il suo amore per Nagisa? Era sempre stato così disperatamente necessario? Persino in quello stato Rei sentiva che quando erano insieme, seduti vicini come in quel momento, tutto sembrava girare nel verso giusto, come se Nagisa andasse a completare un rompicapo lasciato a metà.

«Rei-chan.»

Le labbra di Nagisa sul dorso della sua mano, caldissime come se avesse la febbre.

«Non voglio che stiamo insieme.»

Di nuovo quelle parole, piene di una tristezza ancora più profonda della sua.

Era possibile essere più addolorati della persona respinta? Non era più facile dire di no piuttosto che sentirselo sbattere in faccia?

Rei sfilò la mano dalla sua presa e strinse le braccia dietro la sua schiena.

La testa girava di meno, stare seduto lo aiutava. Il cuore era un tamburo senza controllo, ma la colpa era tutta di Nagisa, l'alcol non c'entrava.

«Non cambierai mai idea?»

C'era altro che avrebbe voluto chiedere.

Qual era la persona ideale per Nagisa? Avrebbe fatto di tutto per avvicinarcisi, avrebbe cambiato le sue abitudini, si sarebbe reso più interessante, meno noioso, meno serio, meno puntiglioso e pignolo. Avrebbe cambiato modo di vestire, di camminare, di parlare, di pettinarsi. Voleva essere migliore, voleva essere perfetto, lo aveva sempre voluto, fin da bambino, ma per Nagisa avrebbe fatto l'impossibile e avrebbe reinventato completamente il se stesso che non andava bene.

Chiedergli di cambiare sarebbe stato crudele e ingiusto, perché alla fine non avrebbe amato il vero Rei, ma una riproduzione adattata ai suoi gusti, però... a quel punto, era importante?

Come se Nagisa avesse seguito quel corso di pensieri, le sue mani gli si strinsero tra i capelli e la bocca si accostò all'orecchio.

«Rei-chan, sei bellissimo. Sei perfetto. Non devi bere più, però il resto va bene.»

Era riuscito a farsi scappare una risata per quella conclusione quasi imbronciata, ma poi era tornato serio, perché Nagisa aveva detto l'impensabile.

«Non... è vero», si schermì, abbassando lo sguardo e arrossendo.

Come poteva esserlo? Come poteva vederlo così? Non era innamorato di lui e l'ultima cosa di cui aveva bisogno erano complimenti vuoti, complimenti da amico.

Nagisa era scivolato via, gli aveva preso le gambe e le aveva accompagnate sotto le coperte, finendo per avvolgere l'intero corpo di Rei come un involtino. Senza una parola, solo con uno sguardo triste, talmente triste che non gli si addiceva per nulla.

Rei volse gli occhi da un'altra parte, un dolore insopportabile nel petto. Era ingiusto far stare male anche lui, se ne rendeva perfettamente conto.

Lasciò fluire le lacrime direttamente nel cuscino, chiudendo le palpebre quando le mani di Nagisa si fecero strada per sfilargli gli occhiali e metterli sul comodino. Senza dire nulla, ancora, aveva preso posto nel letto e l'aveva stretto da dietro premendogli la testa tra le scapole.

Rei continuava a sentire dolore, ma un po' meno pressante. Averlo vicino lo confortava, anche se non era suo e non lo sarebbe mai stato. Anche se non gli avrebbe mai regalato un anello e non avrebbero mai ordinato una torta improponibile con grassi pinguini di pasta di zucchero rosa per il loro fidanzamento.

Cercò le sue mani, artigliate al maglione sul petto. Le strinse forte e le portò fino alle labbra per baciarne le nocche, senza smettere un solo secondo di piangere silenziosamente.


*


A mattino inoltrato Rei si stiracchiò sul fianco con espressione serena. La fronte era leggermente aggrottata, ma le labbra erano incurvate in un mezzo sorriso.

Nagisa, ancora addormentato, era rimasto premuto contro la sua schiena.

Aprendo gli occhi ci mise qualche tempo a capire perché la stanza sembrava diversa dal solito, ma soprattutto era curioso sentire quelle fitte alla testa e allo stesso tempo stare divinamente.

Abbassò lo sguardo e scostò le coperte, trovando le mani di Nagisa sul suo maglione. Portava il solito anello d'acciaio al pollice, ma avrebbe comunque riconosciuto quelle mani ovunque.

Rei le sfiorò con timore, preoccupato di aver detto qualcosa di sconveniente che non riusciva a ricordare, ma cosa poteva aver fatto a parte rinnovargli i propri sentimenti, immutati dai tre anni passati da quando glieli aveva rivelati? Il peggio che avrebbe potuto chiedergli era di fuggire con lui da qualche parte e sposarsi, il meno era di fare l'amore.

Perciò, sicuramente, aveva detto entrambe.

Si voltò piano, stringendo i denti per le onde di malessere al cervello, finché non trovò quel viso e si mise a fissarlo con immensa calma.

Dietro quei lineamenti (belli, perché Nagisa era stato, fin dal primo momento, ai suoi occhi, incredibilmente bello) c'era la persona che amava. La persona per cui avrebbe fatto e dato tutto. E che non lo voleva, se non come amico.

Rei si rasserenò. Si arrese, in un certo modo, sapendo che non sarebbe riuscito a scacciare il dolore.

Poter restare al suo fianco era davvero molto, come aveva potuto non vederlo? Come aveva fatto a non capire che era già tanto fortunato a poter dormire al suo fianco in quel modo?

Cos'avrebbe fatto da quel momento in poi? Gli sarebbe stato vicino, certo. Gli sarebbe stato amico come prima, ridendo insieme, prendendolo in giro e facendosi sfottere a sua volta. Ci sarebbe stato quando Nagisa avrebbe amato o quando sarebbe diventato padre.

Continuava a fare male, non riusciva a ingannarsi così bene. Lo uccideva immaginarlo felice insieme a qualcun altro, eppure, da qualche parte, c'era un Rei buono e ragionevole che gli stava cercando di dire che l'importante era che Nagisa avesse quello che desiderava, sempre.

Gli sarebbe stato accanto e lo avrebbe vegliato, guidandolo nei problemi di tutti i giorni. Non era necessario che Nagisa vedesse ancora quanto soffriva, gli avrebbe solo avvelenato la vita.

Rei si avvicinò e gli baciò i capelli, annusandolo con lentezza. Prese a coccolarlo piano, cercando un contatto che era mancato, si era affievolito fin quasi a sparire.

Lo tenne tra le braccia, contento della vicinanza, grato per la sua semplice esistenza.

Un bacio dopo l'altro arrivò alla fronte e finì per disturbarlo, facendolo mugugnare. A quel punto si ritrasse, ma non smise di accarezzargli il braccio, gli occhi fissi alle sue palpebre chiuse.

«Rei-chan», bofonchiò con voce impastata, e lo fece sorridere perché sembrava ancora un ragazzino.

«Sono qui», si ritrovò a dire stupidamente.

Nagisa lo spiò, quindi richiuse gli occhi e abbozzò un sorriso.

«Stai meglio.»

Rei annuì, anche se non era stata una domanda. Se stava meglio era solo grazie a lui, alla dolcezza con la quale l'aveva raccolto dalla strada come un cane randagio e lo aveva portato al sicuro, al caldo.

Adesso si rendeva conto che se fosse accaduto qualcosa tra loro, qualcosa di improvviso e disperato, il suo cuore sarebbe stato in pezzi. Non avrebbe retto un'emozione così immensa per poi doverla abbandonare.

«Ho deciso», sussurrò, salendo con la mano a sfiorargli i capelli e spostando le ciocche bionde, scombinate, dalla tempia.

«Che cosa, Rei-chan?» Nagisa si stiracchiò con le gambe, lasciando un braccio di traverso sul suo fianco.

Era bello che non lo allontanasse, che non gli togliesse la mano dal viso per fargli capire che quel contatto era fastidioso. Al contrario, sembrava apprezzarlo, e Rei era felice. Non da morire, ma quasi.

«Ti starò sempre accanto. Così. Non voglio niente di più.»

Non erano parole sincere, perché Rei voleva qualcosa di più e non sarebbe mai riuscito a negarlo con abbastanza bravura. Poteva censurare le mille dichiarazioni sdolcinate che gli salivano alle labbra, poteva contenere l'istinto di strizzarlo come un tubetto di dentifricio, ma non poteva proprio smettere di guardarlo con occhi pieni di adorazione.

«Voglio dire che non sarò un peso», si spiegò meglio. «Non ti farò preoccupare, Nagisa. Non mi passerà mai, ma andrò avanti.»

A quella frase Nagisa aprì gli occhi di scatto. La sua espressione era strana, indefinibile, a metà strada tra sconvolgimento e paura.

«Non ce la faccio più, Rei», piagnucolò.

Si spinse in avanti per ficcare la faccia nel suo maglione, così forte che gli tolse il respiro. Lo strinse tra le braccia e aumentò il senso di oppressione al petto, privandolo della possibilità di cercare ossigeno in maniera naturale.

Solo in quel momento Rei si accorse che Nagisa stava piangendo e nel giro di pochi istanti stava addirittura singhiozzando. Immediatamente lo avvolse e prese a sfregargli la nuca con il palmo, agitato, chiamando il suo nome così tante volte da sembrare un disco rotto.

Non sapendo bene cosa fare per calmarlo, rimase a tenerlo abbracciato, dondolando appena, mormorando il suo nome con meno frequenza fino a zittirsi, in attesa che la crisi passasse da sola. Per sfinimento o per altro, prima o poi avrebbe smesso di piangere e gli avrebbe detto qualcosa, gli avrebbe spiegato come mai era scoppiato in lacrime.

Provò a calmarlo con tutte le sue forze, poi adocchiò la bottiglietta d'acqua sul comodino e il bicchiere. Si allungò, ne versò un poco e cercò di offriglielo, impacciato.

Nagisa singhiozzò ancora un paio di volte, prese il bicchiere e si mise seduto, mostrandogli solo le spalle tremanti. Guardandolo da lì sembrava così piccolo, così fragile, le ossa delle scapole in vista sotto il tessuto leggero della maglietta gialla. Non lo ricordava tanto magro.

Toccò una di quelle ossa e si mise seduto a sua volta, ignorando il senso di fastidio della camicia stropicciata dietro la schiena. Prese a scivolare con la mano su e giù, in ampie e calde carezze, finché Nagisa non appoggiò il bicchiere vuoto sul comodino e non lo fissò con un occhio solo, parzialmente voltato, curvo sulle ginocchia portate al petto.

«Rei-chan», mormorò, la voce debole, roca, incredibilmente seria e sofferente. «Lo sai come mi sono sentito quando hai detto che mi amavi?»

Infastidito, avrebbe voluto rispondere, ma sapeva che non era così.

I suoi occhi color ciliegia avevano brillato di una luce vividissima, tanto che era stato convinto gli sarebbe saltato al collo, arrabbiato per avergli rubato la confessione e non avergli permesso di essere il primo a dire le cose come stavano, chiarificando il loro rapporto.

Per questo era stato incredibile sentirsi respingere. Era stato così certo di essere ricambiato, fino all'ultimo secondo di silenzio.

«Eri felice», sussurrò, suonando come un vecchio brontolone.

Nagisa annuì e tornò a sprofondare tra le ginocchia.

«Ero davvero, davvero felice. Allo stesso tempo, sapere che tu eri innamorato di me mi ha riempito di angoscia. Lo sai perché?»

Era una domanda retorica, perché mai Rei avrebbe potuto immaginarselo, per quanto credeva di conoscerlo bene. Rimase in silenzio, le sopracciglia aggrottate, teso verso di lui e in attesa del seguito.

Non aveva smesso di accarezzarlo, anche se Nagisa non singhiozzava più. Di tanto in tanto vedeva il suo polso muoversi e capiva che si stava sfregando la mano sugli occhi per portare via le lacrime più recenti.

«Sei l'unica persona che non posso lasciare andar via, Rei. Sei l'unico che non posso permettermi di perdere. Sono fatto così: sono un ragazzo noioso, appiccicoso e le persone si stufano di me. Solo voi mi siete sempre stati sinceramente amici, ma non sai quanti mi hanno lasciato indietro. Se... se dico a Rei-chan di amarlo, se accetto di stare insieme a lui, quanto tempo passerà prima che mi getti via? Quanto ci vorrà prima che i suoi sentimenti si spengano e mi veda come un peso? Quanti giorni splendidi potrò passare vicino a lui prima che mi allontani?»

Rei ascoltava, gli occhi grandi per lo sconcerto.

Di tutto quello che Nagisa, il sorridente ed esuberante Nagisa, quello pieno di vita e sempre pronto a sparare cazzate, poteva pensare, questo era impensabile. Improponibile. Nagisa non poteva assolutamente produrre certi pensieri...

«Se io e Rei non stiamo insieme, io e Rei non potremo mai lasciarci», sussurrò, sparando un riflettore nel cervello di Rei, chiarendo con un concetto assurdo il perché di un rifiuto crudele.

Nagisa lo amava, probabilmente più di quanto lui non amasse Nagisa.

Quanto aveva sofferto? Quanto era stato più difficile, per lui che sapeva di essere amato, opporre un rifiuto netto? Quanta forza gli ci era voluta per negarsi la felicità?

«Sei... sei... sei un grandissimo idiota!»

Rei sentiva di nuovo gli occhi lucidi, le lacrime sulle guance, impossibili da fermare. Era così furioso, così meravigliato e stanco. Avrebbe voluto picchiarlo e ridurlo a un ammasso semovente di gelatina bionda, ma avrebbe anche voluto baciare il suo viso fino a consumarsi le labbra.

Erano emozioni così potenti da lasciarlo senza fiato.

Si riscoprì a tremare con le mani in grembo, due maracas di carne che vibravano, gelide, senza emettere suono.

«Se non sto con Rei non posso perderlo», ripeteva Nagisa, dondolandosi in avanti a testa china. «Non mi lascerà mai e lo avrò sempre vicino...»

«Smettila!», sbraitò di nuovo.

Scattò e lo chiuse tra le braccia, tirandolo indietro per farlo stendere, anche se era una pallina di arti rigidi e intrecciati. Lo costrinse a sciogliere quel nodo, a sdraiarsi interamente su di lui per farsi bloccare con braccia e gambe.

«Sapevo che eri stupido, ma non addirittura idiota!»

Nagisa era inerme, il viso nascosto nella sua spalla, le braccia lungo i fianchi. Anche se avesse voluto stringerlo di rimando non ci sarebbe riuscito, perché Rei lo stava praticamente soffocando.

«Na-Nagisa», ansimò, la bocca tra i suoi capelli, gli occhi chiusi, brucianti per le troppe lacrime.

Rei ricordava di aver patito molti tipi di affanno. Batticuori furiosi, strazi senza fine, sfarfallii teneri e ridicoli, presse che finivano per fargli scricchiolare anche le costole. Ma quel tipo di dolore era così struggente e profondo che non aveva precedenti, non alla sua memoria. C'era tutto, in quella tempesta di colpi e ruggiti insostenibili.

Nagisa era un idiota, lui era stato ancora più ottuso a non capire, ad arrendersi senza farlo parlare, senza rassicurarlo e convincerlo prima dell'assurdità di quelle preoccupazioni. Non erano paure infondate e ridicole, ma erano follia pura se riferite a lui, perché mai e poi mai si sarebbe sognato, un giorno, di gettare via Nagisa. Quel ragazzo era tutto ciò che voleva, avrebbe lottato contro il mondo intero per stare insieme e farlo sorridere. E se da adolescente quel sentimento poteva sembrare un timido fiore, pronto a chiudersi alla prima incomprensione, ora, dopo tutto quel dolore e quello scrutarsi dentro fino allo stremo delle forze, era pronto a mettere la mano sul fuoco sull'eternità e sincerità di quell'unione.

Il suo amore era nato piano, in sordina, un piccolo seme trasportato da un soffio di vento caldo. Adesso lo sentiva forte, stabile, un albero dalle radici profonde, i rami protesi al cielo alla ricerca della luce che solo Nagisa poteva offrirgli.

Sicuramente ci sarebbero stati autunni e inverni, l'albero si sarebbe stancato di essere sempre carico di foglie verdi e brillanti, ma la primavera sarebbe tornata regolarmente, perché le radici erano così saldamente affondate nella terra da opporsi a ogni tentativo di abbatterlo.

Rei raccolse tutto il suo coraggio e allentò la presa, improvvisamente conscio di essere sul punto di spaccarlo in due. «Sposami entro la fine dell'anno.»

Lo sentì fare un balzo, cercare di spostarsi per guardarlo in faccia, ma Rei era al colmo dell'imbarazzo, come se fossero ancora sulla panchina, in un tiepido pomeriggio autunnale, e fosse pronto a confessarsi per la prima volta.

Lo tenne contro il petto, affogando lo sguardo tra il cuscino e le piccole onde dei suoi capelli.

«Solo così non mi perderai mai.»

Incredibilmente la voce uscì tenera, dolce come avrebbe dovuto essere, ferma.

Sarebbe bastato vivere nella stessa casa, non era necessario sposarsi per rimanere insieme, ma Rei era stanco di incertezze e cose a metà, era arrabbiato e aveva bisogno di fargli capire quanto fosse serio.

Sarebbe stata questione di tempo, comunque, prima di proporglielo. Tanto valeva togliersi il pensiero e legare a sé quello stupido insicuro travestito da spensierato.

Nagisa l'aveva ingannato bene. Solo saltuariamente gli era venuto il dubbio che nascondesse qualcosa, in fondo al cuore, che i suoi sorrisi non fossero sempre sinceri e che deviasse lo sguardo quando c'era qualche ombra che voleva non fosse vista. Era bravo a fingere, anche a negare l'evidenza, ma Rei non glielo avrebbe permesso mai più. Lo avrebbe amato, sarebbe stato la sua forza, sarebbe stato quell'albero e avrebbe dato a Nagisa il motivo per brillare.

«Se rifiuti, io-», cominciò, senza sapere bene come minacciarlo.

Nagisa spostò la testa dalla sua spalla e lo interruppe con un bacio. Un contatto improvviso, incredibilmente morbido, una pressione leggera che gli mandò scariche violente in tutto il corpo.

Sentì distintamente la punta delle dita formicolare, mentre un calore meraviglioso cominciava a invaderlo partendo dalla bocca.

Nagisa lasciò libere le sue labbra e si asciugò ancora una lacrima con una nocca, gli occhi bassi.

«Se sposo Rei... stiamo insieme per sempre?»

Poteva davvero essere così carino? Così carino e stupido? Una combinazione mortale.

«Di più.»

Gli prese il viso tra le mani e lo avvicinò di nuovo per baciarlo su ogni centimetro di pelle, mentre il peso doloroso che lo aveva annientato per anni sembrava sollevarsi come per magia.

«Allora si può fare», ridacchiò Nagisa sotto la tempesta di baci, un suono debole e tremante.

   
 
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