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Autore: Hermione Weasley    06/06/2014    6 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Disclaimer: Clint Barton, Natasha Romanoff, i loro alias, e tutti i personaggi che appaiono in questa storia non mi appartengono, ma sono tutti proprietà di Marvel & Disney.
Warnings: situazioni e tematiche sessuali forti (underage, stupro) non sono mai né descritte né affrontate esplicitamente, ma menzionate più di una volta. Sono invece presenti descrizioni (non esageratamente dettagliate) cruente/violente/di sangue/etc.


EDIT 08/08/2014: metto qui un bellissimo e apprezzatissimo poster che Blackmoody (x) ha fatto per questa storia. Grazie :'))



Per ulteriori note vi rimando in fondo al capitolo. Buona lettura :)

 




Don’t Get Too Close

(It's Dark Inside)

 

1

 

Arm yourself because no-one else here will save you
The odds will betray you
And I will replace you

(Chris Cornell – You Know My Name)

 

 

 

Il clic della pistola caricata si disperse nel fragore della pioggia che stava affogando quella notte londinese. Si calcò maggiormente il cappuccio sulla testa, asciugandosi il viso bagnato con una mano: avrebbe avuto bisogno della migliore delle visuali per portare a termine quella missione.

Tre uomini, due dei quali le erano ormai familiari (aveva studiato i loro file ossessivamente), il terzo completamente sconosciuto. Non aveva ricevuto disposizioni in proposito ed era ormai troppo tardi per contattare il suo supervisore e chiederne. D'altro canto, lasciare che quell'individuo ne uscisse vivo sarebbe stato un colpo da principiante: e se l'avesse vista? Se l'avesse potuta, in seguito, riconoscere? No. Avrebbe dovuto toglierlo di mezzo insieme agli altri due, non era colpa di nessuno se si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non era colpa sua se non poteva non obbedire agli ordini ricevuti.

C'era uno scambio in corso: segreti, informazioni, non ne era sicura. Non era compito suo conoscerli, solo mettere i suoi capi in condizione di farlo. Uno strumento e nient'altro, ecco cos'era: raccontava le loro bugie, risolveva i loro problemi, rendeva la loro vita più... semplice.

Si spostò leggermente di lato, stando ben attenta che la macchina dietro cui era nascosta la riparasse a dovere mentre montava il silenziatore sull'arma. Studiò ancora per qualche secondo le mosse dei tre uomini appostati sotto una tettoia poco distante, prima di decidere che era arrivato il momento di intervenire. Contò mentalmente alla rovescia da dieci a zero, inspirando ed espirando ripetutamente per calmare l'ansia che le cresceva nello stomaco, spaventosa e rassicurante in egual misura.

Dieci, nove...

Trattenne il respiro ed entrò in azione. Si rimise in piedi, pistola alla mano, aggirò l'automobile che l'aveva celata da sguardi indiscreti fino a quel momento (complici la pioggia e la notte), prese la mira e fece per attraversare la strada e sparare...

Il tempo, il mondo, il suo cuore parvero rallentare innaturalmente.

In un primo momento, ebbe l'impressione che una forza invisibile l'avesse spinta bruscamente all'indietro. Le ci volle qualche secondo di troppo per accorgersi di essere stata colpita. Barcollò pericolosamente, mantenendo l'equilibrio solo per miracolo.

Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.

Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.

Comparve e sparì insieme alla luce, lasciandola col dubbio di esserselo solo immaginato.

Il sangue, caldo e vischioso, aveva cominciato a scenderle lungo il braccio. Le voci dei tre uomini, inevitabilmente messi all'erta, si alzarono di volume.

No, fermi!
Il più grosso, lanciando occhiate di fuoco nella sua direzione, sbraitava ordini in un grosso telefono cellulare, un altro le stava andando incontro con quello che sembrava un coltello serramanico stretto in pugno, il terzo era scappato al primo segnale di pericolo senza voltarsi neppure una volta.

Nonostante il pericolo in agguato e la presenza di un dannato arciere che tentava di farle la pelle, tutto ciò che riuscì a pensare fu che aveva fallito la missione, che sarebbe stata punita, che non gliel'avrebbero fatta passare perché lo sai che il tuo paese conta su di te? Lo sapeva, lo sapeva a memoria, lo sapeva meglio di chiunque altro. Il terrore la invase, e non aveva niente a che vedere con l'energumeno che stava per avventarlesi contro.

Fu la paura a rimettere in moto il suo cervello, a costringere il mondo a riprendere a muoversi con la sua consueta velocità.

Schivò l'attacco dell'uomo, correndo verso il marciapiede opposto, laddove le frecce dell'arciere non avrebbero potuto raggiungerla. Si voltò in corsa, e sparò, atterrando l'obbiettivo che la stava inseguendo. Decise che avrebbe almeno dovuto togliere di mezzo anche l'altro, il ciccione al telefono, ma quando guardò sotto la tettoia si accorse che era deserta. Il rumore di auto in avvicinamento, però, quello le apparve piuttosto chiaro. Sono qui per me.

La consapevolezza di non poter affrontare più di tre uomini da sola e non a distanza, la colpì come un pugno in pieno viso. Non c'era modo di raddrizzare l'esito disastroso di quella missione. L'unica cosa che poteva fare era scappare e sperare che i suoi superiori fossero in vena di... magnanimità.

Mentre scattava in una corsa disperata, sapeva già che non c'era niente di simile alla magnanimità nei comportamenti dei suoi superiori. Ho fallito, si ricordò, la delusione che quasi le toglieva il respiro, al pensiero che lei non sbagliava mai. Aveva smesso di fallire tanto tempo prima ed era diventata la migliore. E i migliori non possono permettersi errori, non senza essere in grado di porvi rimedio.

Mi cancelleranno. Mi cancelleranno. Mi cancelleranno. Mi cancelleranno.

Continuò a ripeterselo come in un mantra ossessivo, tenendosi istintivamente rasente agli edifici per paura che una seconda freccia potesse raggiungerla. Una netta sensazione emerse dal panico che continuava a minacciare di ottenebrarle il cervello; che chiunque avesse cercato di ucciderla, aveva mancato. Si era mossa nel momento meno opportuno e il dardo aveva trovato la sua spalla. Ma ferirla non aveva alcun senso, perché non ucciderla? Perché mi ha mancato, mi sono spostata e mi ha... mancato.

Si fermò in un angolo particolarmente buio per riprendere fiato. Sentì il rumore del fiume e capì di aver sbagliato direzione: il campo era troppo aperto per chi, come lei, aveva un bersaglio sulla schiena. Afferrò la freccia e azzardò ad estrarla, ma il dolore lancinante la convinse che era meglio aspettare. Avrebbe perso troppo sangue e, in quel momento, aveva bisogno di tutte le energie e della concentrazione di cui disponeva per limitare i danni. Per uscirne almeno viva.

Si puntellò alla parete con la schiena, rinfoderò la pistola e usò entrambe le mani per spezzare l'asta del dardo. Un gemito le sfuggì dalle labbra, facendola vergognare profondamente. I migliori non si lamentano. I migliori agiscono, si rammentò severamente.

Annuì a se stessa, prese un'improvvisa decisione e ricominciò a correre, dritta verso il fiume: era vero che il campo era fin troppo aperto, ma il temporale notturno aveva portato con sé il vento, e il vento avrebbe potuto deviare le frecce. Senza contare che, imboccando il ponte, e presumendo di poter riuscire a percorrerlo in tutta la sua lunghezza, avrebbe annullato il vantaggio dell'arciere: non c'era nessun palazzo abbastanza alto dal quale avrebbe potuto raggiungerla fino alla riva opposta.

Accelerò di colpo: il Blackfriars Bridge si stendeva sul Tamigi a meno di un centinaio di metri di distanza. Il sangue le pulsava furiosamente nelle tempie, il dolore alla spalla cominciava a farsi insopportabile, e la vista... la vista sembrava appannarsi ad ogni passo. Le fu chiaro che, a breve, avrebbe pagato carissimo quello sprint.

Un sibilo alle sue spalle.

Si gettò di lato, invadendo la corsia delle auto – attualmente deserta – senza fermarsi. Non ci fu bisogno di guardarsi alle spalle per capire che un'altra freccia aveva rischiato di far centro.

Una freccia, pensò, quasi instupidita dal pensiero, una parte di lei convinta di essere vittima di uno scherzo di pessimo gusto. Se non fosse già stata colpita, l'avrebbe deriso, quel dannato arciere. Non solo l'aveva ferita, ma era pure riuscito a mandare al diavolo tutti i piani delicatamente predisposti per quella missione. Lo sapeva quanto ci aveva messo ad individuare i due obbiettivi? Aveva la più pallida idea di cosa aveva dovuto fare per ottenere le informazioni sull'ora e il luogo di quello scambio?

Aveva fallito e non era stata colpa sua. Non è colpa mia, si ripeté, ben sapendo che, per i suoi superiori, non esisteva niente di remotamente accettabile ad un'ammissione di discolpa. La missione era la sua, lei ne era la responsabile, e se qualcosa andava storto era lei che ne avrebbe pagato le conseguenze. Nessuno sconto, nessuna scusante. Alla Red Room, tutti si prendevano le proprie responsabilità, tutti pagavano le conseguenze delle proprie azioni.

Sfrecciò sulla riva opposta, concedendosi di rallentare impercettibilmente l'andatura (o almeno si convinse di averlo deciso, ma fu piuttosto il suo corpo a non darle alcuna alternativa). Aveva bisogno di un posto sicuro da cui poter chiamare rinforzi. Andare in ospedale era fuori questione: come avrebbe potuto spiegare una freccia conficcata nella spalla nel bel mezzo della notte?

No, non poteva rischiare di essere scoperta, non dopo il fiasco della nottata.

La cupola di Saint Paul, a malapena distinguibile nell'oscurità, le dette un'idea (ingenua, se ne rendeva conto, ma comunque l'unica che le pareva anche solo lontanamente attuabile).

Chi avrebbe avuto il coraggio di ucciderla in una chiesa?

 

*

 

Doveva ammetterlo: era veloce.

La memoria non lo soccorreva granché in proposito, ma era del tutto convinto che fosse la persona più veloce in cui si fosse mai imbattuto: per uno che aveva lavorato al circo, quel primato non era poi così scontato.

L'aveva guardata mentre sfrecciava su quel ponte quasi non avesse avuto alcun peso, come se non fosse stata in possesso di un corpo. Un corpo vero, fatto di carne ed ossa. Se non le avesse piantato quella freccia nella spalla, si sarebbe convinto di avere a che fare con un fantasma privo di consistenza. La velocità con cui era fuggita dal luogo dello scambio mancato in direzione del fiume, non gli aveva dato che il tempo di appostarsi sul tetto dell'ultimo edificio disponibile prima che il Tamigi tagliasse in due il suo campo giochi. A quel punto era già lontana, ma non abbastanza da impedirgli un tentativo. Non era stato il vento, il problema, o il calcolo della gittata, era stata lei... lei che spariva sempre più rapidamente dalla sua visuale. Come diavolo avesse fatto, poi, a schivare quell'ennesimo colpo, non l'aveva ancora capito.

Ci manca solo che ne fermi una con la mano e poi sono a posto, pensò lugubremente.

Uccidere la gente non era esattamente la parte che preferiva del suo lavoro, anzi. Ma se c'era qualcosa che gli dava sinceramente alla testa era mancare due colpi di fila, uno dopo l'altro. Lui, nel cui vocabolario non esisteva neanche la parola mancare. Eppure, la fantomatica Vedova Nera, era riuscita a rendere quello che doveva essere un centro mortale, una ferita alla spalla, e il colpo di grazia, un fallimento totale. Era vero che aveva delle attenuanti: il vento, la pioggia, l'oscurità... il fatto che i suoi stupidi occhiali per la visione notturna non stessero affatto collaborando.

Fatto sta che la cosa gli bruciava, gli bruciava eccome.

L'aveva seguita oltre il ponte e in direzione della cattedrale di Saint Paul. Era praticamente impossibile seguire le tracce di sangue che la donna stava spargendo sulla strada, lavate via com'erano dall'acqua e dal buio. Non aveva comunque avuto grossi problemi a capire dov'era andata a nascondersi, anche se – in tutta sincerità – l'aveva trovata una scelta a dir poco bizzarra.

In ogni caso, le impronte rosse che aveva lasciato sotto il colonnato dell'ingresso (dove la pioggia non arrivava) non mentivano: decise che doveva aver cercato di aprire uno dei tre portoni principali senza successo, prima di scendere di nuovo i gradini e magari cercare un ingresso secondario. O altro.

Tutto ciò a cui riusciva a pensare era quella scena strappalacrime di Mary Poppins in cui la famosa vecchietta vende mangime per i piccioni. Era sicuro di ricordare anche le parole con precisione, ma... quello non era esattamente il momento più adatto per le sue esibizioni canore.

Seguì la propria intuizione e aggirò la chiesa alla ricerca di un'entrata di servizio, una sagrestia o... qualcosa del genere (le chiese non erano proprio la sua specialità). Sorrise a se stesso quando si imbatté in ciò che cercava: una porticina seminascosta che la donna doveva aver forzato per poi essersi dimenticata di chiuderla alle proprie spalle.

La serata stava decisamente migliorando: forse sarebbe riuscito a finire prima dell'alba e a godersi almeno un po' di riposo prima dell'estrazione da concordare con Phil.

L'aria gelida della cattedrale lo fece rabbrividire: si ricordò cos'era che non gli piaceva nell'atmosfera solenne e apocalittica di certe chiese del Vecchio Continente. Ti facevano sentire piccolo ed insignificante, ecco cosa.

Scosse il capo, come per scrollarsi di dosso l'inquietudine, cercando e trovando quella scia scarlatta che adesso, la Vedova Nera, non poteva più nascondergli. Le gocce dense e scure brillavano impercettibilmente sulle porzioni bianche del pavimento di marmo. Seguì il percorso che la donna gli aveva inconsapevolmente segnato, ritrovandosi a salire delle strette scale per il piano superiore.

Dove sei andata a cacciarti?

Mentre camminava più o meno lentamente, i sensi all'erta, l'arco teso, gli parve di capire perché l'aveva portato là dentro: possibile che fosse tanto sciocca da credere che avrebbe rimandato il suo lavoro ad un altro giorno solo perché si trovavano all'interno di una cattedrale?

Probabilmente lo farei se fossi disperato, ragionò, chiedendosi se la Vedova Nera si sentisse veramente arrivata al capolinea. Era stato scettico quando il direttore Fury l'aveva scelto per quella missione: per quel tipo di lavoro, ci voleva qualcuno che lavorasse da una certa distanza. Tutti coloro che avevano affrontato la donna a tu per tu ne erano inevitabilmente usciti sconfitti, con modalità che per altro l'avrebbero fatto ridere, se non ci fosse comunque stato un cadavere di mezzo. Clint, d'altro canto, era da quel punto di vista impossibile da ingannare. La Vedova Nera aveva bisogno di una certa vicinanza per operare la sua magia, vicinanza che Occhio di Falco non le avrebbe mai concesso. Un'accoppiata vincente. Per lui, ovviamente.

Un rumore improvviso lo distolse dalle proprie elucubrazioni: una macchia nera, uno scorcio di capelli rossi ad un livello ancora superiore e poi più niente. Doveva aver trovato il modo di salire ancora più in alto, magari persino di raggiungere la cupola.

Non ebbe il tempo, né il bisogno di pensarci su eccessivamente: c'erano le sue briciole di sangue a indicargli la strada. Non gli serviva nient'altro per trovarla.

Velocizzò comunque l'andatura, deciso a concludere quell'affare nel modo più rapido ed indolore possibile. Salì gradini su gradini, percorse stretti corridoi, e poi altri gradini, e poi persino una scala a pioli finché non si ritrovò su quella che non poteva essere che la via per il tetto.

Mossa azzardata, pensò sorpreso. Era sicuro che la donna l'avesse visto, che si fosse accorta di lui in cima a quell'edificio, solo pochi minuti prima. E allora perché permettergli di giocare in casa?

Il vento e la pioggia tornarono a fargli compagnia quando riemerse al di sotto del colonnato che cingeva la cupola. I suoi occhi si riabituarono prontamente all'oscurità e alle intemperie, individuando la figura scura della Vedova che si gettava a capofitto giù dal parapetto e sui tetti secondari della cattedrale, per poi tuffarsi su quello centrale e perpendicolare alla facciata.

Sei in trappola.

Decise di seguirla fino alla fine, per evitare che qualche altra controindicazione non richiesta neutralizzasse anche il terzo colpo della serata. Il suo ego non l'avrebbe sopportato, senza contare che tre è il numero perfetto, nonché l'ultimo tentativo che Clint si concedeva per far centro. Ne andava della sua reputazione.

Ci mise qualche secondo a trovare l'equilibrio su quel lungo tetto spiovente. La donna era corsa fino all'ultimo limite concesso, all'ombra della statua che si ergeva più alta sul frontone. Solo quando parve essersi accorta di non avere più alcuna via d'uscita, si voltò verso di lui, la pistola ancora stretta in pugno, la presa incerta: la mano le tremava.

Forza Clint, fallo, si incoraggiò una volta di più quando le fu sufficientemente vicino. Era pur sempre armata e sicuramente dotata di un'ottima mira, sarebbe stato stupido darle il tempo di agire.

“Per chi lavori?” La voce lo raggiunse, roca ma alta al di sopra della pioggia incessante.

“Per qualcuno che ti vuole morta,” non esitò a replicare, l'arco ben teso, il colpo pronto a partire.

“Dovrai restringere un po' il campo,” lo invitò lei. Gli apparve inquietantemente padrona di sé, solo una minuscola incertezza nel suo tono, l'accento russo che emergeva nell'inflessione che dava a certi suoni.

“Ha importanza?”

“Voglio sapere per chi lavori,” insisté, un improvviso calo di tensione sull'ultima parola. Aveva perso molto sangue, velocizzato l'inevitabile con quella folle corsa. Il suo cuore non avrebbe resistito molto a lungo: c'era una vaga possibilità che Clint l'avesse, in un certo senso, già uccisa. Il pensiero, si accorse, non lo consolò in alcun modo.

“Dimmi per chi lavori!” Lo ripeté di nuovo, stavolta senza nascondere rabbia e frustrazione. Era davvero arrivata al capolinea.

Clint esitò, ma dopotutto che male c'era a farle sapere per conto di chi la stava togliendo di mezzo? Tutti hanno diritto ad un ultimo desiderio e la Vedova Nera aveva espresso il suo. Adesso stava a lui decidere se esaudirlo o meno.

“Lavoro per lo SHIELD,” confessò infine. Perché non mi spari?

Stava tenendo sott'occhio l'arma da fuoco puntata nella sua direzione, quando un lampo illuminò a giorno il cielo. Solo in quel momento si accorse della figura estremamente minuta della donna: le gambe magre, le rotondità dei fianchi a malapena accennate. Un giubbotto di pelle aderente le disegnava il profilo del busto... forme acerbe, realizzò, di ragazzina. Il vento le fece cadere il cappuccio sulle spalle, rivelando una massa scura di capelli bagnati, ciocche rosse che le rimanevano appiccicate sul viso umido. Gli occhi verdi, profondi, attenti eppure – gli sembrò – non a fuoco (ecco perché non gli sparava, comprese, non riusciva a vederlo per bene). Il naso piccolo, le labbra piene e pallide, non un filo di trucco.

Lo stomaco gli sprofondò mentre la consapevolezza si faceva strada dentro di lui.

E' una ragazzina, pensò. Quanti anni poteva avere? Sedici? Quindici? Forse meno... forse... forse di più? Tentò di ricordare un qualsiasi dettaglio sulla sua figura nel fascicolo che Phil gli aveva consegnato quando l'aveva informato della missione. No, nessuno conosceva l'età della Vedova Nera. Eppure, una donna tale da guadagnarsi un soprannome del genere doveva avere delle capacità piuttosto specifiche, capacità che non avrebbe mai potuto (o voluto) associare ad una ragazzina.

L'avevano mandato ad ammazzare una... una bambina.

“Quanti anni hai?” Le chiese, la voce prosciugata di ogni sarcasmo. Indietreggiò di un passo, assicurandosi che le fosse impossibile prendere la mira.

La Vedova non rispose.

Ritentò.

“Quanti anni hai?”

La vide espirare ed inspirare profondamente: si stava preparando a sparare. Prese una fulminea decisione: scoccò la sua terza freccia, quella che avrebbe dovuto ucciderla, per disarmarla. La pistola schizzò via dalla sua presa, cadendo giù dal tetto e fuori dalla sua portata.

Si avvicinò lentamente di un paio di metri, tenendola sottotiro, come in attesa di vederla estrarre un'altra arma. Non lo fece. A giudicare dal suo modus operandi doveva avere qualche coltello nascosto tra i vestiti, ma doveva anche essersi accorta che immischiarsi in un corpo a corpo in quelle condizioni non le avrebbe fatto alcun favore. (Il pensiero che i corpo a corpo a cui era abituata erano tutt'altri, lo nauseò.)

Abbassò lentamente l'arco, cercando il suo sguardo: stava combattendo per restare sveglia.

“Quanti anni hai? Posso... posso aiutarti, lo sai?”

“Non trattarmi d-da idiota. Non sono una bambina,” gli rispose astiosamente, alzando il mento in un gesto che sarebbe risultato sprezzante se non fosse stata sul punto di perdere i sensi (e la vita).
“Non ne sono... del tutto sicuro,” formulò con cautela.

“Non sono una b-bambina,” ribadì.

Clint fu improvvisamente certo che non lo fosse mai stata realmente. Che razza di spostati assoldano ragazzine per fare il loro lavoro sporco? Chi è che si mette in condizione di farsi raggirare da una quindicenne? Che... che schifo.

“Ascoltami, lo SHIELD ti può aiutare.”

“A-Aiutarmi?” Si mise a ridere. “A far cosa? A... c-combattere con una clava?”

In qualsiasi altra circostanza, si sarebbe complimentato per la battuta, ma quello non era il momento.

“No, ascoltami. I miei superiori possono proteggerti dai tuoi capi, possono tenerti al sicuro, non dovrai p -”

“NON SONO UNA BAMBINA!”

L'urlo l'aveva zittito di colpo: solo in quell'istante si era accorto di quanto suonasse giovane la sua voce. La rendeva più roca e adulta di proposito? Possibile che...

“Sono la Vedova Nera!” Esclamò, adesso disperatamente, “uccido le persone! Uccido le persone per il mio paese e sono la migliore in ciò che faccio! La migliore!” Si indicava furiosamente, come per sottolineare la cosa. “Lo sai quante persone ho ucciso? Lo sai quante missioni s-sono riuscita a portare a termine?” Scoppiò a ridere, una risata acuta e innaturale. “Sono la migliore,” stabilì per l'ennesima volta, “e ho fallito perché tu ti sei messo nel mezzo!”

L'accusa lo colpì alla sprovvista, rabbiosa. La paura le si era dipinta su tutto il volto, nella postura, nella voce.

“Ti sei messo nel mezzo e adesso io sarò punita! Ricominceranno da capo di nuovo! Di nuovo!

“Te l'ho detto, se vieni con me, i miei su -”

“NO!” Un colpo di tosse la zittì per qualche secondo, finché non riprese pieno controllo di sé (o almeno quel tanto che le era concesso in quelle condizioni). “No... s-siete tutti uguali. Tutti uguali.”

Aveva cominciato a scuotere la testa, a sbattere le palpebre sempre più rapidamente. Si portò una mano al mozzicone di freccia che le fuoriusciva dalla spalla, premendo con forza: il dolore la riportò all'attenzione, violentemente.

Gli si gelò il sangue nelle vene. Che cazzo ti hanno fatto per farti diventare così?

“Non m-mi avrete mai,” dichiarò con convinzione, indietreggiando lentamente verso la facciata. Guardò giù, una solta volta. “V-Voi siete tutti u-uguali. Mi punirete... l-loro...,” l'ennesimo tuono si portò via le sue parole.

Il tempo sembrò rallentare.

La pioggia cadeva fitta e un lampo imbiancò il cielo quando la Vedova Nera si lasciò cadere nel vuoto.

Clint scattò in avanti, pescando dalla faretra ed incoccando una freccia ben specifica.

L'istinto prese il sopravvento: si gettò dal parapetto, l'arco teso. Ruotò a mezz'aria mentre precipitava nel vuoto: scoccò il dardo, sentendolo sibilare nel vento. La differenza di stazza lo aiutò a raggiungere la ragazza, ad afferrarla miracolosamente per la vita, ad attirarla a sé che era già svenuta.

La freccia trovò un appiglio, il cavo ultrasottile e ultraresistente a cui Clint era appeso per la cintura si tese bruscamente, imponendosi violentemente alla forza di gravità. Si morse a sangue le guance nel tentativo di trattenere il dolore del contraccolpo.

La Vedova Nera, nient'altro che una ragazzina, giaceva inerme nella presa del suo braccio, il capo riverso all'indietro. Si sentì agghiacciare: quindici anni? Ne avrà a malapena tredici.

Restò in contemplazione della sua figura per un lungo istante, mentre il cavo li faceva scendere lentamente fino alla gradinata sottostante. Le impellenti necessità del momento tornarono a reclamare tutta la sua attenzione non appena la suola dei suoi stivali ritrovò il suolo. Si impedì di ragionare sulle implicazioni di ciò che aveva appena fatto, limitandosi ad adagiare la ragazza al suolo.

Tirò fuori il suo microscopico cellulare – tecnologia SHIELD d'ultimo grido – in fretta e furia, digitando forsennatamente il numero di Phil Coulson. Trattenne il respiro finché la voce del suo agente supervisore non gli fece eco dall'altro capo del telefono.

“Phil... non ti piacerà.”

 

*

 

Si stava tamponando il viso con un asciugamano quando Phil riemerse dall'infermeria allestita nel retro del quinjet che li stava riportando a casa. Clint si limitò a guardarlo, un misto di preoccupazione e speranza sul volto, insieme ad una quantità indecente di sensazioni che aveva giurato a se stesso di non voler provare mai più.

“Ha perso molto sangue, ma vivrà se sarà in grado di superare la notte,” lo informò, sedendoglisi di fianco sulla panca metallica che occupava quella parete del velivolo.

“Credi che Fury lo sapesse?” Si ritrovò a chiedere, scrutando con attenzione il volto di Coulson per essere sicuro che ne fosse stato all'oscuro tanto quanto lui.

“Che la donna che ha ucciso un centinaio di persone nell'ultimo anno, ha meno di quindici anni?”

Clint annuì.

“Non credo,” scosse il capo. “Le uniche foto che abbiamo di lei sono quelle incluse nel fascicolo.”

Le ricordava bene, macchie sgranate, cappucci neri, il retro di una testa rossa. Nient'altro. L'unico motivo per cui aveva supposto che si trattasse di una donna era per via del nome in codice, non perché l'avesse desunto da quegli scatti di fatto inutilizzabili.

Rimasero in silenzio per qualche attimo, in contemplazione dello scenario che si stagliava di fronte ai loro occhi. Dovevano averle fatto il lavaggio del cervello: era solo una bambina, cosa avrebbe potuto saperne di intrighi internazionali, omicidi su commissione, segreti... ?

“Non potevo ammazzarla,” sussurrò Clint, turbato. “Non potevo e basta.”

Phil abbozzò un sorriso nella sua direzione, insieme ad una leggera pacca sulla spalla.

“Hai fatto bene.”

Gliene chiese conferma con lo sguardo, incerto. Phil comprese ed annuì.

“La missione era mettere la Vedova Nera nella condizione di non poter uccidere di nuovo. E' quello che hai fatto.”

“E Fury?”

“Il direttore capirà, vedrai,” decretò, rimettendosi in piedi con un sospiro. “Vado a parlare con il pilota. Tu riposati. Avrai una quantità infinita di verbali da redigere domani.”

Clint fece una smorfia inorridita.

“Era proprio quello che volevo sentirmi dire, grazie Phil. Tu sì che sai come consolare un uomo.”

Coulson si mise a ridere, sparendo dalla sua visuale. Lo seguì con lo sguardo finché il retro della sua giacca di sartoria (una delle tante) non sparì oltre l'ingresso della carlinga.

Si distese sulla panca dopo aver appallottolato l'asciugamano a mo' di cuscino. Ci appoggiò la testa e si sistemò su un fianco, rannicchiandosi su se stesso in quello spazio scomodo e ristretto.

Non gli ci volle molto per prendere sonno.

Il suo ultimo pensiero, prima di scivolare nell'incoscienza, fu per la Vedova Nera.

 

****************




Questa storia nasce per un treno (sì, un treno XD) partito improvvisamente nel leggere una speculazione secondo cui nell'MCU, Clint sarebbe stato mandato ad uccidere Natasha quando la Vedova Nera aveva a malapena tredici anni (facendo i conti con il suo anno di nascita - il 1984 - rivelato in Captain America 2 e altri riferimenti), il che non ha fatto altro che ridipingere un po' tutta l'idea che avevo di loro a tinte (ancora) più fosche. Ci saranno frequenti salti temporali, POV alternati (ma con una predilezione per il personaggio di Natasha), e cercherò *più o meno* di seguire il canon dei film, aggiungendoci ovviamente del mio :P (Ci tengo anche a precisare che sono estremamente monotematica, e quando dico che questa storia è su Clint e Natasha, intendo che sono anche gli unici - salvo apparizioni e secondari - personaggi sulla scena ù_ù)
Un ringraziamento particolare va all'Eli, of course, perché ci si foga a vicenda, perché mi ispira con le sue storie, e perché ha betato la presente :*
E ovviamente a chi è arrivato fin qui a leggere i miei sproloqui!
Alla prossima,
S.

 

  
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