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Autore: bibersell    07/06/2014    3 recensioni
Annabelle è una ragazza che ama trascorrere le sue giornate alla stazione.
Osserva i passeggeri di quei treni ormai rotti e pieni di scritte ed immagina le loro storie.
La storia di un bambino o di un'anziana signora con il viso segnato dall'età.
Quella di una ragazzo, al quale la vita ha voltato le spalle.
Ma più dolorosa sarà la battaglia, più grande sarà il trionfo.
Una storia d'amore fuori dal comune.
Due ragazzi ai poli apposti della Terra.
Un amore che sboccerà fermata dopo fermata.
STORIA IN REVESIONE. I PRIMI CAPITOLI SONO DA MODIFICARE.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                            Lo so che questo ragazzo non centra nulla con la storia, ma non la trovate stupenda questa foto?
E non so perchè, ma secondo me è azzeccata-passatemi il termine- per il capitolo

                                                           


Underground

Nuovo inizio: lunedì dopo le vacanze




Dee's point of view.

Stava là, steso sul letto.
Il suo corpo sarebbe potuto passate per una carcassa morta se non fosse stato per l'addome che si alzava e si abbastanza ad intervalli regolari.
Il braccio dietro la nuca ad accarezzare i capelli. Come se fosse solo e l'unica persona che avrebbe potuto prendersi cura di lui fosse se stesso.

-Dai Justin, alzati. Ti ha dato un’opportunità di lavoro mica ti ha puntato una pistola alle tempie- gli dissi cercando di farlo ragionare. - Perché non capisci che questa é una vera e propria botta di culo? Tutti, qui dentro, avrebbero corso nudi per l'intera Chicago solo per sentirsi dire quello che Annabelle avevo detto a te- continuai.

-Lo so, e le sono grato per questo. Ma non avrebbe potuto chiedermelo qualcun'altro?- chiese sfoderando una faccia da bambino capriccioso.

Mi sedetti sul bordo del letto e lui si portò a sedere.

Parlai con un tono pacato e delicato, al contrario delle miei parole che furono dirette.
-Justin, ma chi offrirebbe un'opportunità di lavoro ad un senzatetto? Lei ti conosce, ha visto l'uomo responsabile che si nasconde dietro quel cappotto logoro e si è fidata di te.-

Lui non disse nulle. Accusò il colpo e la sua mente assorbì quelle parole.
Io continuai. -Su non fare Il bambino che sei cresciuto da un pezzo. Hai ventidue anni, diamine. É ora di sistemarti. Mica é una pensione questa, eh?-. Scherzai nella speranza di veder comparire un sorriso sul quel volto che aveva un'espressione malinconica che non gli si addiceva per niente.

Le sue labbra si stesero in un sorriso forzato. Non mi potevo ritenere soddisfatta, ma era un inizio.

-Non é il momento di scherzare- rispose lui tornando serio e fedele a quell'espressione triste.

-No, hai ragione. Pensa solo che se accetterai e ti farai aiutare potrai mettere da parte qualche soldo. Volendo potresti ritornare dove sei nato e rivedere tua nonna. Sarebbe carino portarle un saluto. Oppure potresti provare a cercarlo. Magari troveresti una solida spalla- gli spiegai cercando di essere il più delicata possibile, ma allo stesso tempo, di fare breccia in quel dannato orgoglio.

-Dee non lo nominate nemmeno. Non voglio avere niente a che fare con quello. Preferirei passare una notte in gabbia in compagnia di una dolce leonessa affamata che cercare aiuto da lui.- rispose facendosi prendere dalla rabbia.
Il viso aveva acquistato colore e le mani erano chiuse a pugno lungo i fianchi.

-Va bene, come vuoi. Non lo nominerò più. Però pensaci, okay? Non sprecare la tua unica opportunità. - gli dissi mentre mi alzavo dal letto ed uscivo dalla stanza.

Richiusi la porta alle mie spalle e mi sembrò di sentire la voce di Justin dire: l'ho già fatto. Le ho detto di si.




Annabelle's point of view.


Ero tornata a casa verso le dieci di sera.
I miei erano stesi sul divano mentre guardavano un film alla tv.

Quella mattina, il giorno di Natale, mi ero svegliata presto ed ero scesa in cucina. Avevo trovato i miei genitori nel salotto intenti a parlare a telefono. Molte carte era sparpagliate sul tavolino vicino al camino.

Lavoro.

Con loro era sempre la stessa storia. Non cambiavano mai.
Nemmeno la mattina di Natale.

All'una avevamo pranzato. Un pranzo lunghissimo, come ogni anno. Fatto da discorsi lavorativi, seguiti dall'interessamento al mio rendimento scolastico.
Dopo mangiato ci eravamo riuniti intorno all'albero e avevamo scartato i regali.

Alle sei ero uscita.
Non ce la face più a respirare quell'aria.
E ora li trovavo stesi sul divano mentre guardavano un film natalizio?
Mi sarei aspettata di tutti, anche trovare un biglietto da parte loro in cui si scusavano per non essere a casa ma c'era stato un inconveniente in azienda.

Mia madre si voltò verso di me sorridendomi. -Finalmente sei tornata. Ci stavamo preoccupando. Dove sei stata tutto questo tempo?- aveva chiesto.

-Ho fatto un giro al cento- risposi alzando le spalle.

-Tu sola?- era stato mio padre questa volta a parlare.

-Con amici- mentii mente mi toglievo il cappotto.

I miei avevano annuito per poi riportare la loro attenzione al film.
Già lo avevi visto, il film. Lo davano ogni anno la notte di Natale.
Era uno dei miei preferiti.

Sembravano tranquilli.
Quello era il momento giusto per lanciare la bomba.
Mi avvicinai alle loro figure ed iniziai a parlare con disinvoltura. -Sapete mi chiedevo come andassero le cose in azienda. Sapevo che sareste stati impegnati nel cercare nuovi impiegati-

Fu mia madre a parlare. -Si tesoro, non sai quanto sia stancante. Al giorno d'oggi é difficile trovare persone oneste e competenti-

-Ecco, era proprio di questo che volevo parlarvi- dissi abbassando la testa e prendendo ad osservare le mani.

-Credo che questo sia davvero un miracolo natalizio. Mia figlia che vuole parlare di lavoro- disse mio padre passando un braccio intorno la vita di mia madre e tirandola a sé.

-Si, ci sarebbe questo mio a-amico che avrebbe bisogno di un lavoro e mi chiedevo se gli potreste dare un'opportunità-. Ecco ci ero riuscita.
L'avevo detto.
Mi sembrava quasi irreale.

-Ma certo tesoro. Non appena finiscono le vacanze di Natale, fallo venire in azienda che lo incontro per un colloquio-. Mio padre aveva risposto con tutta calma.

-in realtà speravo che lo assumesse direttamente essendo mio amico-. Avevo ribattuto non mollando.

-Cara, ma non possiamo assumere qualcuno senza nemmeno averci parlato o aver visto il suo curriculum- aveva risposta mio padre con tranquillità. Come se stessimo parlando di come cucinare il tacchino.

-Ecco, questo mio amico non ha nessuna esperienza in campo lavorativo- dissi abbassando nuovamente lo sguardo.

-Annabelle ma.- aveva iniziato a controbattere mio padre, ma mia madre lo aveva fermato.

-Non preoccuparti cara. Fallo venire lunedì in azienda. Vedremo cosa possiamo fare. Ora và a dormire-. Era stata risoluta.

Gli avevo augurato la buonanotte ed ero salita nella mia stanza.


Un'ora dopo, lavata e col pigiama indosso, mi ero stesa nel letto.
Le braccia mi Morfeo mi avevano accolta immediatamente senza darmi il tempo di riflettere su quello che era accaduto in poche ore.

Dal mio incontro con Justin, allo scontro coi miei genitori.

*****
14 giorni dopo...

Dal giorno di Natale erano passate due settimane precise.
Il giorno dopo, il 16 Dicembre avevo parlato con mia madre e lei aveva ribadito che il mio amico avrebbe potuto fare un colloqui di lavoro il primo lunedì dopo le feste.
Stesso quel pomeriggio ero andata alla stazione nella speranza di trovare Justin.
Speranza vana.
Ero andata alla casa di tutti, dove l’avevo trovato.
Avevamo parlato.

Il ricordo di quella conversazione di tormentava da giorni.
Anche adesso si stava impossessando prepotentemente della mia mente.


 

-Ehi, come sati?- gli avevo chiesto per smorzare la tensione che si era creata.
Ci trovavamo in cucina. Dee stava pelando le patate facendo finta di non ascoltare la nostra conversazione.

-Annabelle saltiamo i convenevoli e dimmi perché sei qui?- aveva risposto.

Sembrava arrabbiato. Quasi come se la mia sola presenza gli desse fastidio.
Non lo capivo. Il suo atteggiamento era strano. Non mi meritavo quel comportamento freddo e distaccato.

-Ieri ho parlato con mio padre. Hai detto che se vuoi un posto di lavoro nella sua azienda, dovrai presentarti per un colloquio il primo lunedì dopo le vacanze di Natale. Quindi come puoi vedere, il posto te lo devi guadagnare. Non ti ho raccomandato o cose simili. Ti sto solo mostrando la porta, ora sta a te aprirla e, soprattutto, trovare un modo per farlo- gli avevo risposto il tono placido.

Ma con quelle parole avevo cercato di tirar fuori tutto quello che provavo.
Non capivo davvero perché si stesso comportando in quel modo.

Lui assottigliò lo sguardo e poi parlò. -Per un colloquio..mmh. Forse è meglio se non mi presento proprio-

A quel punto non ce la feci più e parlai. -Senti, ma cos’hai? Non vuoi essere aiutato? Vuoi davvero passare tutta la tua vita e vendere ombrelli e mangiare zuppa di pomodoro? Giuro che non ti capisco. Ti ho detto che io voglio aiutarti. Per i vestiti non c’è problema. Puoi darti una ripulita. Ti aiuterei. Non capisci ch- ma lui mi interruppe con un gesto della mano.

-Perché mi vuoi aiutare? Ti faccio pena? No, grazie. Non voglio la tua compassione- rispose alzando la voce.

-Justin, ma non lo capisci, davvero? Io ti conosco. Ho conosciuto la persona che sei veramente e ti meriti tutto l’aiuto del mondo se questo servirà a tirarti fuori da qui. Perché non mi piace pensarti un questo posto freddo mentre io dormo in un bel letto caldo. Perché non mi piace vederti rabbrividire. Perché vorrei che avessi quegli spiccioli nelle tasche per comprarti tutti i dolci che vorrai la notte di Natale. Perché, perché i-io ci tengo a te. E perché non c’è un perché. I-io lo voglio fare per t-te- conclusi portandomi una mano alla testa e sbuffando sonoramente.

Justin non disse nulla. Mi guardava immobile. Sembrava congelato. E lo sguardo, era qualcosa di spaventoso. Non sembrava vivo. Quasi vitreo.

-Io me ne vado. Quello che dovevo dirti te l’ho detto. Arrivederci Dee.- Presi la borsa ed uscii.

Qualche minuto dopo, quando ero fuori e intenta ad incamminarmi verso casa, sentii una mano prendermi il polso e bloccarmi.
Non mi ero voltata.
Ero rimasta immobile, pietrificata.
Avevo sentito dei passi poi un petto toccarmi la schiena. La presa sul polso si era alleggerita mentre sentivo un’altra mano circondarmi il bacino.

-Scusa- mi disse all’orecchio, quasi come se fosse un segreto. Come quando i bambini devono confessare qualche marachella che hanno combinato.
Io non risposi.

Si era allontanato di qualche centimetro, ma la mia schiena toccava ancora il suo petto.

-Non volevo farti arrabbiare. Mi dispiace. Non so cosa mi sia preso. Non sai quante volte, in questi anni,  ho provato a cercare un lavoro e non sai quanti colloqui ho fatto, ma mi dicevano tutti la stessa cosa: "Lei non può lavorare adesso, in queste condizioni, per noi. Ci dispiace".
Mi sbattevano una porta in faccia e se ne andavano. E ogni volta mi chiedevo sempre la stessa cosa: se nessuno mi da un’opportunità, come faccio a sistemarmi i trovare un lavoro decente?
Così ho iniziato ad andare alla stazione.
Ho mollato.
Ho rinunciato.
Mi sono arreso.
Mi sono lasciato trasportare dalla corrente.
Questo non è vivere, ma sopravvivere.
E p-poi sei arrivata tu e la tua proposta.
Non sopporterei di sentirmi dire di nuovo le stesse cose. Di essere osservato con quello sguardo disgustato e derisorio. Non da tuo padre.- disse a voce bassa.

Io mi voltai e lo vidi in tutta la sua fragilità. Era proprio come un bambino.
Gli accarezzai una guancia.
Riportai immediatamente la mano in tasca e parlai. -Questa volta non andrà così se ti lascerai aiutare da me. Mi padre, al colloquio vedrà il tuo vero essere se mi permetterai di levarti di dosso questi panni e se ne accetterai di nuovi-.
Lo sguardo era basso.

In quel momento quella a sentirsi in imbarazzo ero io e non lui.
Justin rimase in silenzio per qualche secondo, forse minuto.

Poi sorrise e disse semplicemente. -Hai detto il primo lunedì dopo le vacanze, no?-


 
Dopo quel 26 di Dicembre non ci eravamo più visti. Ero andata alla stazione qualche volte, ma non l’avevo mai incontrato. La maggior parte del tempo l'avevo trascorsa in casa a studiare per il compito di latino.
Uno dei più importanti. Domani sarebbe ricominciata la scuola e sarebbero finite definitivamente le vacanze di Natale. Mancava poco a quel famoso lunedì in cui tutto sarebbe cambiato.
Mancavano ancora quattro giorni.
Domani era venerdì.
Poi sarebbe venuto sabato seguito dalla domenica.

Mancava poco.





CHIARIMENTI!
Okay, in questo capitolo ho ripetuto più volte il concetto dei vestiti. In sontanza tutti giudicano Justin dall'apparenza. E' vestito come uno straccione, non ha una casa e tanto meno un lavoro, risultato un fallito della società.
Annabelle gli propone di fare un cambio d'abito, se così possiamo definirlo. La cosa vi sembrerà frivola e senza senso o una frivolezza. Ma non lo è affatto. Ho valuto ribbadirlo più volte nel capitolo proprio perchè al giorno d'oggi si tende troppo a giudicare dalle apparenzesenza cononoscere nemmeno la persona. Ma un libro non si giudica dalla copertina e tantomeno l'abito non fa il monaco, no?
Un justin, senza tetto può valere molto di più di un giovane ragazzo proveniente da una buona famiglia.

Passando alla storia, all'inizio del capitolo viene nominato un LUI, chi sarà mai?
Siete curiose? Secondo voi chi potrebbe essere?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutte quelle che seguono, leggono e recensiscono.
Un bacione
-bibersell

p.s. AGGIORNAMENTO! come vedete ho aggiornato prima del previsto, io e i tempi non andiamo d'accordo. Non so ancora quando pubblicherò il prossimo capitolo. Baci baci e alla prossima
:)


Quasi dimenticavo. Ecco una gif di Justin. Salutate!


 
  
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