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Autore: MadAka    07/06/2014    1 recensioni
"Chiamano questo posto il Banco dei Sogni, perché è proprio questo che fa, compra sogni.
Le persone qui vendono ciò che hanno di più evanescente, ma anche di più profondo. Racchiudono la loro speranza all’ interno della loro firma, la scrivono su un foglio bianco candido, lo ripongono in una busta e vengono fin qui per farsela valutare, farsi valutare il prezzo della propria anima, come diceva mio padre."
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riding on winds

Walking on sand

Digging in case to find the treasures of the land

And if we find gold

Well, we’ll just throw it away

 

 

 

Lo sferragliare delle ruote del treno e il suo costante oscillare dovrebbero rendere tutto più monotono. Di fronte a me Mark perde la concentrazione, a tratti i suoi occhi si chiudono e la testa ciondola debolmente, quasi sul punto di cadere; ma non dura mai a lungo, si sveglia in fretta e torna a puntare il suo sguardo, ancora spento, fuori dal vetro. È vero che il treno oscilla, che il suo rumore è monotono, ma io non riesco ad annoiarmi, no di certo. È da quando ci siamo allontanati dalla città che tutto è cambiato; da quando abbiamo raggiunto l’orizzonte e lo abbiamo superato niente è più come l’ho sempre visto. Il grigio si è fatto più debole e incerto, sovrastato dalla magnificenza dell’azzurro del cielo, che lo ha lentamente consumato fino a farlo scomparire. E il verde, quello è ovunque, nei prati , sulle fragili gemme che cominciano ad affiorare sugli alberi, in chiazze caotiche dislocate in mezzo ai boschi che non rimarranno solo chiazze a lungo. Quel verde è dappertutto, con la sua brillantezza domina incontrastato ogni angolo che i miei occhi incuriositi vanno a cercare.

Non avrei mai pensato di assistere un giorno a tutto questo, di vedere che tutte le cose che immaginavo insieme a Mark quando ero poco più di un bambino in realtà sono vere. Crescendo in una città come quella in cui siamo cresciuti noi mi sono abituato al grigio più totale, ovunque; mi sono abituato a non riuscire a intravedere niente di più libero di un ratto che passa di fretta per strada, niente di più selvatico di un arbusto infragilito. Ma per mia fortuna il mondo non è così, è ricco di bellezza e io ne sto sicuramente ammirando solo una minuscola parte; mi pento di non aver mai trovato il coraggio sufficiente per partire tempo fa e incontrare tutto questo.

Le rotaie si arrampicano sulle colline, le scalano portandoci lontano; più il tempo passa più i chilometri aumentano, ci allontaniamo dalla città immergendoci sempre più in qualcosa di unico, in cui uomo e mondo convivono perfettamente, prendendosi reciprocamente cura l’uno dell’altro.

Le ore scorrono, una dopo l’altra, diventano quattro ma quasi non me ne rendo conto, perché per quanto silenzio regni nella carrozza in cui sono seduto, fuori c’è tutta la vita che ho sempre cercato e questo mi basta a far passare piacevolmente il tempo. La mia mente si libera, i miei pensieri si trasformano in fantasie, in voglia di vedere un posto piuttosto che un altro, si evolvono in ricordi che spero di ottenere un giorno, in memorie che custodisco nel più profondo, in sentimenti di dolcezza verso quello che ho lasciato dietro di me. Tutto mi si amalgama dentro, tutto va ad accrescere me, il mio sogno e la mia anima, facendomi sentire più vivo che mai.

Quando la voce del capotreno annuncia che la prossima è la stazione a cui dovremo scendere, ci prepariamo. Mi sembra di essermi allontanato tantissimo dal luogo in cui vivevo prima, guardando fuori dal finestrino niente è come un tempo, assolutamente niente, ed è una cosa dannatamente eccitante. Finalmente avrò nuovi luoghi da scoprire, nuove persone da conoscere; potrò alzarmi la mattina rendendomi effettivamente conto che sceglierò io dove andare e cosa fare, consapevole che, una volta voltato un angolo, non mi troverò davanti l’ennesimo grattacielo grigio, ma qualcosa che non ho mai visto.

Il treno rallenta sempre più, fino ad arrestare la sua corsa. Né io né Mark sappiamo esattamente cosa stiamo per incontrare in questa minuscola stazione immersa nel verde, per questo nessuno dei due dice niente. Quando le porte si aprono ci guardiamo e basta, lui si carica in spalla il borsone e mi precede scendendo dal mezzo. Lo seguo e, appena poso piede sulla banchina, subito vengo accolto da una brezza e dal suo profumo. È come se il vento fosse venuto ad accoglierci, come se volesse dirmi che, finalmente, dopo tanto ci riamo rincontrati.

Insieme a me e al mio amico sono scese dal treno solo poche altre persone, queste si allontanano senza fretta, dirigendosi verso la loro vita. Solo una figura rimane immobile, si guarda intorno fino a notarci e poi si avvicina. È un ragazzo giovane, avrà al massimo ventiquattro anni, i curati baffi rossicci si incurvano ulteriormente quando ci sorride, mentre gli spettinati capelli sfumati di rame ondeggiano nel vento.

«Voi dovete essere Steve e Mark.» dice, con un tono che ricorda tanto Vincent, guardando prima Mark poi me.

«Steve è lui.» precisa il mio amico.

Il ragazzo sorride nuovamente:

«Ah, ma certo.»

Prende fiato:

«Ben arrivati. Io sono Jason.»

Stringe la mano ad entrambi e rimane fermo a guardarci, i suoi luminosi occhi nocciola paiono intenti a sorriderci.

«Immagino che Vinny ti abbia già detto tutto quello che c’è da sapere su di noi.»

Mark rompe il silenzio con questa frase, che appare più come un’affermazione che altro.

Jason annuisce:

«Naturalmente. Avremo modo di parlare della vostra storia, vorrei che un giorno poteste raccontarmela.»

Posa lo sguardo su di me e io acconsento con un debole cenno del capo.

Riprende subito parola:

«Bene, vogliamo andare?»

Ci da le spalle e si incammina, ma un paio di passi dopo si ferma, voltandosi nuovamente:

«Spero non vi dispiaccia camminare un po’.» dice.

Io e Mark ci guardiamo, quasi scoppiamo a ridere all’espressione fortemente dispiaciuta del giovane. È un ragazzo sicuramente vivace e chiaramente premuroso.

«No.» rispondiamo infine, all’unisono.

Jason sorride e riprende a camminare, noi gli rimaniamo dietro, ma con l’intenzione di farlo solo per poco. Mark si china verso di me e sussurra:

«È un Vincent in miniatura.»

Un sorriso si fa largo spontaneo sul mio volto; effettivamente è vero, per tanti versi il primo incontro con questo ragazzo ricorda molto quello avuto con Vinny e questo non può che essere positivo per me. Conoscere Vincent mi è stato d’aiuto e sono certo che anche con Jason le cose non andranno diversamente.

Il tragitto si dimostra alquanto lungo, ma non è importante; lungo la strada Jason parla di qualunque cosa gli passi per la mente, ci racconta di Vinny, del perché lo raggiunge di tanto in tanto fin qui e ci indica dove posare lo sguardo per ammirare i primi e più coraggiosi fiori primaverili. Ancora stento a capacitarmi di tutta la bellezza presente intorno a noi, più passi compio più mi sento vivo. Non mi era mai successo, mai mi sarebbe potuto accadere in quella città, dove tutto e tutti non hanno fatto altro che schiacciare il pezzo di mondo su cui hanno avuto la fortuna di trovarsi.

Cosa può averli spinti ad uccidere così tanta vita? Cosa? Proprio non riesco a capirlo.

La strada che stiamo percorrendo svolta improvvisamente e, fra le fronde, compare un paese, una piccola città dove si sentono le voce delle persone e il suono della loro esistenza. È un luogo rustico che ricorda tanto le illustrazioni dei libri di avventure. Continuiamo a camminare fino ad una casa di due piani, chiaramente suddivisa in piccoli appartamenti.

Jason si volta verso di noi:

«Eccoci arrivati, seguitemi.»

Ci fa strada lungo le scale, fino ad un ingresso. Gira con calma la chiave nella serratura e ci fa spazio, lasciandoci entrare per primi nel piccolo, ma accogliente, appartamento. Mi osservo rapidamente intorno e una cosa attrae immediatamente la mia attenzione: la finestra. Mi avvicino e guardo fuori, incredulo. Al di là del vetro è come se ci fosse tutto il mondo, ci sono prati, colli e foreste, che presto saranno un amalgama incredibile dei più bei verdi che possa immaginare e il cielo incornicia tutto con il suo azzurro, talmente splendente da risultare accecante.

«Spero sia di vostro gradimento.» sento dire a Jason, dietro di me.

Sto per rispondergli ma vengo preceduto da Mark, che utilizza le stesse parole che avrei usato io, come se mi avesse letto nel pensiero:

«È perfetto.»

Mi volto in tempo per vedere entrambi sorridermi. Il più giovane allora prende a mostrarci il resto della casa, senza utilizzare più parole di quelle necessarie per descriverci le stanze, o almeno non le utilizza finché non raggiungiamo una delle camere da letto. Si ferma sulla soglia, parendo un filo imbarazzato:

«Purtroppo non ho avuto tempo di spostare uno dei due letti nell’altra stanza.»

«Non c’è problema, ci penseremo noi domani.» rispondo.

Lui annuisce e si incammina verso l’ingresso:

«Vi lascio disfare i vostri bagagli, ok? Fate pure con calma, noi ci vediamo dopo.»

Mark acconsente e si dirige nella camera con il borsone in spalla. Io temporeggio più del dovuto prima di fermare Jason, proprio sulla soglia:
«Posso chiederti una cosa?»

Il ragazzo si volta:

«Certamente.»

Lo lascio in attesa per qualche secondo, cercando le parole giuste per evitare di far apparire la mia richiesta assurda o ridicola:

«Vedi, mi piacerebbe molto poter andare a vedere l’alba domani. Sai… sai se c’è un posto da cui si riesce a vedere bene?»

Lui sorride, un sorriso dolce e cordiale:

«Eccome. È un po’ distante da qui, però. Devi arrivare fino alla valle, è rivolta proprio a est e da lì vedrai sicuramente una bellissima alba. Posso prestarti la mia bicicletta per arrivare fin là.»

«Grazie.»

Sorride nuovamente e mi rendo conto di non sapere esattamente come sentirmi. Mi sta aiutando anche lui, c’è un’altra persona per cui mi sto probabilmente rendendo un peso, qualcun altro per cui non farò tanto quanto vorrei, proprio come quando ero in città, proprio come per Vinny, Jocelyn, Gabriel e Mark.

Jason deve notare la mia espressione assente, il mio silenzio deve sicuramente averlo reso dubbioso, perché quasi subito mi chiede:

«C’è qualcosa che ti turba?»

Alzo gli occhi su di lui:
«No, è solo che… stavo pensando a Vincent e a tutti gli altri. Mi fa uno strano effetto sapere che loro sono ancora là mentre io no.»

È la verità, mi fa sentire in colpa l’averli abbandonati così. Io ora ho un nuovo orizzonte da poter guardare tutti i giorni, loro, invece, hanno sempre lo stesso.

Il ragazzo respira a fondo prima di prendere parola, lo fa con un tono pacato che ricorda Vinny stesso:

«Posso capire. Ma hai dovuto affrontare una scelta difficile e non avevi alternativa.»

Scuoto la testa:

«Invece l’avevo. Credo solo di aver scelto la via più semplice. Avrei dovuto rimanere insieme a loro, continuare ad aiutarli. Invece sono scappato.»

«Steve, io so cos’è successo e conosco le persone di cui stai parlando molto bene. Se tu fossi rimasto avresti sofferto e basta e avresti fatto soffrire anche loro. C’è ancora tanto che puoi fare, anche se decidessi di non rimanere qui per sempre. Se conosci Vinny allora sai a cosa mi riferisco.»

Soppeso le sue parole rimanendo in silenzio, lui lo rispetta per svariati secondi prima di ricominciare a parlare, come per darmi il tempo di assimilare perfettamente quanto mi ha appena detto:

«Tu non sei scappato. Non lo hai fatto, credimi.»

Gli sorrido, decidendo di credere alle sue parole, così simili in tutto e per tutto a quelle che potrebbero uscire dalla bocca di Vincent. Forse entrambi hanno ragione, forse posso riuscire a fare qualcosa un giorno. So solo che non voglio deludere nessuno e farò in modo di mantenere la mia promessa: proteggerò e vivrò fino alla fine il mio sogno.

 

***

 

La sveglia trilla per parecchio tempo prima che riesca a spegnerla; sento Mark muoversi nel letto accanto al mio ma non fare altro, io mi alzo pensando che sto per affrontare il primo giorno di una vita completamente nuova. Quando scendo dal letto rimango immobile un momento osservando il bozzolo di coperte dentro il quale è rinchiuso il mio migliore amico, indeciso se proporgli o meno di unirsi a me per la mattinata. Alla fine, decido di farlo.

«Mark… Ehi

Si muove appena, mugugnando qualcosa di indecifrabile.

«Mark andiamo, svegliati.» ci riprovo.

Solleva la testa, i capelli castani spettinati, gli occhi socchiusi:

«Che c’è?» domanda, la sua voce è bassa e impastata.

«Vado a vedere l’alba, vuoi venire?»

Si passa una mano sugli occhi, voltandosi verso l’orologio:

«Ma che ore sono?» domanda.

«Le cinque.»

Pare pensarci, ma forse non così tanto:

«Sorgerà anche domani il sole, vero?»

Alzo le spalle, ma lui non può vederlo:

«Direi di sì.»

«Allora vengo domani.»

Detto ciò torna ad avvolgersi nelle coperte, strappandomi un sorriso; vorrà dire che andrò da solo.

Prima di uscire di casa passo dal bagno, mi rado accuratamente il viso, riscoprendolo totalmente dopo l’ultimo periodo in cui la mia barba, fin troppo folta, lo aveva nascosto. Mentre mi asciugo la faccia, quasi involontariamente, incontro i miei occhi nello specchio; noto le sfumature verdi di cui parlava Jocelyn, che non sono molto intense per via della luce elettrica ma che esistono veramente. Effettivamente non le avevo mai notate e mi chiedo se ci siano sempre state, in mezzo al grigio acquoso dei miei occhi, o se siano comparse solo in un secondo momento, quando ho avuto modo di tornare a credere in qualcosa.

Esco dall’appartamento cercando di fare meno rumore possibile, in modo da non disturbare Mark. Giù, all’inizio del vialetto, trovo una bicicletta rossa parcheggiata e un biglietto indirizzato a me da parte di Jason, su cui scrive il modo per arrivare al posto di cui mi parlava ieri, augurandosi che vada tutto per il meglio. Dopo un lungo sospiro monto il sella e mi avvio; lungo la strada l’aria mi sferza il viso e la bici corre veloce e silenziosa per le vie, come se conoscesse esattamente ogni buca e ogni passaggio, come se fosse lei a guidarmi verso dove devo andare. Una volta raggiunto il punto indicatomi dal ragazzo, una possente quercia ormai centenaria che si erge maestosa, continuo a piedi, parcheggiando la bicicletta ai piedi del grande albero e pregandolo di sorvegliare il mezzo prestatomi. Proseguo salendo sempre più su lungo il colle, calpestando l’erba tenera che si piega sotto il mio peso, per poi rialzarsi quando il mio passo si è allontanato. Continuò così, mentre il cielo lentamente si schiarisce, il blu si dirada e i primi bagliori rosati preannunciano l’imminente arrivo del sole. Raggiungo il punto più alto della collina di terra e verde su cui cammino e rimango immobile ad osservare la bellezza che ho davanti. Mi sembra di avere il mondo sotto di me, di vederlo in tutto il suo splendore; si estende in ogni direzione, fino all’orizzonte, un orizzonte che sembra chiamarmi, invitandomi a scavalcarlo per poi iniziare ad inseguirne uno nuovo. Alle mie spalle rimane l’esatto punto in cui si trova la città, quella da cui sento di essere scappato, quella che mi sono lasciato dietro, proprio come adesso. È ad ovest, nell’esatto luogo in cui il sole va a morire; è quando si avvicina a quella città che esso, ogni giorno, viene ucciso. Ma non ora, ora lui sta per sorgere e non voglio perdermi questi momenti. Mi siedo sul prato, accarezzando l’erba fresca di rugiada, decidendo di fare anche un’altra cosa che mi ero prefissato. “Dentro di te ci sono tutti gli iris che vuoi” aveva detto Gabriel quel giorno; ora so che ha ragione e voglio farne sbocciare uno nuovo, voglio ringraziare il mondo per la nuova possibilità che mi ha dato. Dalla tasca dei jeans estraggo la penna e il pezzetto di carta che mi sono portato dietro, un lembo non tanto più grande di quello da cui tutto ha avuto inizio là al Banco dei Sogni. Vi scrivo sopra il mio nome, Steve, caricando le cinque lettere di tutta la profondità, la speranza e il desiderio che ho dentro di me. Infine adagio il foglio sul prato e rimango ad osservarlo mentre scompare piano, sostituito da uno stelo su cui sboccia, nuovamente, il mio iris bianco.

E anche ora sento un forte senso di quiete rinascermi dentro, un calore impalpabile che mi riempie totalmente, facendomi sentire in pace con me stesso. È una sensazione che ho avuto modo di provare solo pochissime volte nell’arco della mia esistenza, quando ero piccolo e ancora ignoravo tutto il dolore che avrei patito in futuro e quando ho capito il legame che ci unisce a tutto ciò che ci circonda, quel legame forte, un misto di magia e follia che nessuno ha ancora saputo spiegare, ma che esiste veramente e me lo ha appena dimostrato per la seconda volta.

Ad est la prima fetta di sole si sta affacciando timida e più rossa che mai, intorno ad essa il cielo rosato sfuma fino al viola per poi divenire celeste. Infilo le mani nelle tasche del cappotto, ma con l’indice destro tocco qualcosa; sorpreso estraggo questo dalla giacca. È un piccolo cartoncino scritto a mano da una persona a me nota. Le sottili e frettolose lettere eleganti compongono una frase che i miei occhi scorrono una volta sola, sufficiente ad assaporarne tutta la dolcezza.

 

Il mio sogno è amare qualcuno.

Jocelyn

 

Sorrido, ripensando alla donna; il suo, sì, che è un bel sogno, forse è per questo motivo che i suoi occhi sono tanto sorprendenti. Vorrei farle sapere che la penso, che penso a lei anche ora che sono finalmente libero. La risposta mi appare in un lampo, mentre il sole continua a sorgere diventando sempre più lucente. Quando il mio iris è sbocciato io ho sentito la speranza tornare dentro di me, sento che se il fiore di Jocelyn sbocciasse lei allora potrebbe sentire l’amore dentro di sé.

Poso il cartoncino con la sua confessione accanto al mio iris e rimango ad osservarne la trasformazione. Un sottile e fragile stelo cresce sempre di più, arrampicandosi e attorcigliandosi sul gambo del mio fiore fino a sbocciare in un azzurro myosotis , quello che la gente comunemente chiama “non ti scordar di me”. Per quanto piccolo e fragile, il suo fiore è anche coraggioso e bellissimo, esattamente come Jocelyn. Mi dispiace non averla qui ora, accanto a me, mi dispiace averla lasciata ad ovest insieme agli altri, ma ho dovuto prendere una scelta, per quanto dolorosa, e Jason ha ragione: se fossi rimasto avremmo sofferto tutti molto di più. Le cose si sistemeranno, un giorno, non vedo perché non credere che tutto questo sia possibile; ma fino a quel momento io continuerò imperterrito a proteggere il mio sogno, il sogno che ora sto vivendo. Perché se punto gli occhi davanti a me, su quel cielo, mi rendo conto che tutto quello che desideravo da una vita intera sono finalmente riuscito a trovarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ebbene, è finita.

Sono riuscita a concludere un’altra storia a più capitoli e spero di averlo fatto in un modo decente.

Non sono il tipo di persona che chiede agli altri di leggere e recensire assolutamente qualcosa e non lo vorrei diventare in questa circostanza, tuttavia ammetto che mi piacerebbe sapere il vostro parere, positivo o negativo che sia, anche brevemente.

Mi sono impegnata molto per scrivere questa storia, l’ho voluta caricare di un sacco di sentimenti (frustrazione, rabbia, tristezza, desiderio, speranza, amore) che ognuno prova sulla propria pelle nell’arco della propria vita. Ho voluto far diventare Steve una persona riconducibile a tante altre, o almeno ci ho voluto provare.

Spero vivamente di essere riuscita a trasmettere qualcosa con questo racconto, spero di essere riuscita a comunicare ciò che provavo mentre scrivevo, mentre confrontavo il mondo vero con il mio e con quello di Steve e tutti gli altri.

 

Un paio di righe vanno utilizzate per parlare dei titoli e di tutte le frasi che introducevano i capitoli. Sono tutte canzoni dei Kodaline (eccetto Gabriel, cover eseguita da loro). Le ho utilizzate perché questa storia la devo proprio alle loro canzoni. Ogni brano si sposava a meraviglia con quello che volevo scrivere nel capitolo, anche se è meglio dire il contrario, ossia che ogni capitolo trovava la perfetta colonna sonora in una loro canzone.

 

Ultimo appunto, per quanto riguarda la scelta dei fiori sbocciati da Steve e Jocelyn. Nel caso del primo, l’iris bianco, l’ho scelto perché la sua simbologia è quella della speranza, ciò che Steve cerca di proteggere dal primo all’ultimo capitolo. La scelta del myosotis per Jocelyn invece è dovuta al fatto che quel fiore simboleggia l’amore vero e credo non serva aggiungere altro.

 

Concludo ringraziando tutti voi che avete letto ancora una volta.

E ringrazio Federica, Rigmarole, a cui ho dedicato questa storia, per il suo sostegno, il suo supporto e per aver letto ogni singolo capitolo convincendomi, infine, a pubblicare questa long.

 

Alla prossima ;)

MadAka

  
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