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Autore: shimichan    07/06/2014    4 recensioni
L'organizzazione nera è ormai un ricordo, ma cominciare una nuova vita sarà, per Shiho, tutt'altro che semplice. Cosa aspettarsi quando non si ha un passato alle spalle? Come affrontare un mondo che i suoi occhi non hanno mai conosciuto?
"Così, seppur con leggera esitazione, aveva ingoiato la pillola, dicendo addio ad Ai Haibara, cercando di dimenticare per sempre Sherry e aspettando di scoprire quale futuro il destino avesse in serbo per Shiho"
[Post Black Organization] [ShihoxHigo] [Accenni ShinRan]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Hiroshi Agasa, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6. Il suo nome è Destino
 
“È inutile che continui a chiedertelo. La vita delle persone che vedi non potrebbe mai essere la tua”.
“Lo so. Stavo solo pensando. Come fa la gente a non accorgersi di nulla?”.
“Guarda da un’altra parte. Oppure interpreta a modo suo. Ricordati: non puoi giudicare le cose come chi ha gli occhi neri o blu. Il colore dello sguardo corrisponde fatalmente al colore del pensiero”.
“E tu? Qual è il colore del tuo pensiero, Gin? Come giudichi le persone che ti circondano?”.
“Come te”.

 
Aprì gli occhi, sprofondando nella quieta oscurità della stanza, e a fatica si districò dalle coperte, segno che la notte doveva essersi agitata parecchio.
Era quello che lei chiamava il peso delle conseguenze.
A volte diveniva tanto insopportabile che i suoi pensieri prendevano a girare sempre più veloci, in cerchi ancora più stretti e, nel sonno, incontrollabili.
Shiho c’era abituata, ormai. Un male incerto provoca inquietudine, perché, in fondo, si spera fino all'ultimo che non sia vero; un male sicuro, invece, infonde una sorta di squallida tranquillità. Quella in cui rimase immersa per alcune ore, prima di alzarsi e avvolgere le persiane. Il rumore dei listelli di plastica che si arrotolavano alla puleggia era confortante. Sapeva di reale, di pratico e dava al sole l’opportunità di bucare le finestre.
Fuori era mattino inoltrato.
La casa era pervasa da un silenzio piacevole, che lei cercò d’intaccare il meno possibile scendendo le scale in punta di piedi.
Sopra il tavolo del salone, Agasa le aveva lasciato un biglietto di buongiorno: era partito molto presto per tener fede alla promessa fatta ai detective boys di portarli a fare una gita al lago e almeno fino a sera Shiho fu sicura di non dover dare spiegazioni dei lamenti che lo stato del suo letto lasciava presupporre avesse bofonchiato durante la notte.
Trovò la cosa vagamente confortante. Così come quella solitudine che la avvolgeva.
Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa, e infinita quanto lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri, uno spazio abbastanza grande da concedere posto a chiunque lo cerchi, lei compresa.
Con dita leggere prese a tamburellare meditabonda l'orlo del tavolo.
Sentiva la testa pesante e gli occhi ancora gonfi di fantasmi, ma si sforzò ugualmente di non rivangare il passato, immaginando di aggrapparsi a quell'attimo, all'inestimabile tempo presente, come un alpinista in arrampicata libera che preme forte la faccia contro la parete di roccia, paralizzato dalla paura.
Gli aloni lasciati dai suoi piedi erano perfettamente visibili su alcune piastrelle, dalla sala alla cucina. Lei intanto ascoltava il borbottio della caffettiera elettrica, il tic meccanico dell’orologio, e il graffiare dei rami sulle finestre del piano superiore.
Il passato la travolse comunque.
L’eco di quel sogno risuonava ancora in qualche angolo della sua mente. Come te, diceva.
Shiho avrebbe potuto ripeterselo ogni giorno o, al contrario, seppellirlo sotto una miriade di esperienze e pensieri privi d’importanza, ma non l’avrebbe mai dimenticato.
Perché Gin aveva gli occhi verdi.
 
 
“Così domani è il grande giorno?”.
Higo annuì senza distogliere l’attenzione dalla finestra. Più che lo scorcio urbano, a tenere incollato il suo sguardo sul vetro era il proprio riflesso, in particolare ciò che i suoi occhi mostravano. Avrebbe tanto voluto fosse ansia. E forse c’era anche quella, ma si trattava di una sfumatura sul fondo delle pupille, troppo lieve per essere colta da un’occhiata sfuggente.
Tutt’intorno, a patinare le iridi chiare, quel velo, quel qualcosa d’indefinito, di cui Rikuo avrebbe chiesto sicuramente spiegazioni.
“Ma lo sostituiranno con un tutore” asserì distratto, come se non fosse davvero necessario precisarlo.
Endo si sedette sul divano con le braccia aperte, distese sullo schienale, e si guardò attorno.
L’appartamento era piccolo e confortevole, forse un po’ troppo freddo per i suoi gusti, ma era sicuro che a Higo non importasse, dopotutto la sua era una sistemazione provvisoria.
“Carino questo posto” buttò lì.
Higo alzò le spalle. “Un posto come un altro”.
“Tu non riesci proprio ad essere contento, eh?”.
“Lo sono”.
Rikuo fece filtrare un mmm affettuoso tra le labbra chiuse e pensò che quella barriera imbarazzante tra di loro non aveva alcun senso e tuttavia c’era, solida ed inespugnabile.
Era come se una conversazione già pronta alleggiasse sopra di loro, ma entrambi non sapevano da che parte afferrarla.
“Non si direbbe…” aggiunse, prendendo a grattare con un’unghia la cucitura in rilievo dei cuscini. “…mi chiedo se questo tuo malumore sia dovuto soltanto all’ansia oppure…”.
Lasciò volutamente la frase in sospeso per studiare la reazione dell’amico.
Higo contrasse le gambe e si staccò dalla finestra.
“…oppure…” riprese “…ciò che è nella tua testa non riguarda affatto l’infortunio perché i tuoi pensieri sono tutti rivolti a due occhi magnetici persi tra la folla dello stadio”
Sorrise. Lo fissava con le pupille dilatate. Le pupille si aprono quando gli occhi hanno fame come la bocca. Vogliono mangiare di più. Vedere di più.
E ciò Rikuo vide fu solo l’espressione smarrita del suo amico in preda alla sensazione che prova chi attraverso una fessura si sporge su un abisso fino a farsi cogliere da un’inebriante vertigine. Lo punzecchiò con una serie di battutine leggere, sminuendo quello che ancora non si sapeva definire come un cotta da elementari, l’età in cui ci si innamora ad ogni sguardo senza preoccuparsi di dargli un nome.
“Si chiama Shiho…” proruppe d’un tratto Higo, con le risa liberate dal moro per sdrammatizzare che si accalcavano ancora tra le pareti.  Gli raccontò del loro incontro fortuito, del caffè, della foga con cui l’aveva vista mescolarsi alla folla, ma non accennò alla paura che aveva cominciato ad avvertire una volta rientrato a casa, quando l’esaltazione era sfumata in un oceano di perché e di come: in quell’istante ciò che voleva, forse senza nemmeno saperlo, gli era apparso nella cosa più fragile che avesse mai visto, gli occhi di Shiho.
Rikuo ascoltò in silenzio e la sua espressione perse l’ilarità iniziale per far posto ad uno sguardo serio, simile a quello che hanno gli anziani, pieno di cose, di segreti, di verità ignare a chi li osserva. “E tu come le chiami queste? Il fatto che vi siate rivisti ad una partita e che lei abiti proprio accanto a Kudo?” chiese grave, aprendo la mano a ventaglio come se stesse presentando l’articolo in una televendita.
Le sopracciglia di Higo s’incresparono e aprirono un solco nel mezzo.
“Coincidenze?” azzardò.
L’altro si accomodò un cuscino sotto la testa e si prese alcuni secondi per conferire alle sue parole il tono di una rivelazione. “Sono più che coincidenze, caro mio. È Destino”.
“E con questo che vuoi dire, Rik?”.
“Che vi rincontrerete. Quindi smettila di pensarci e concentrati sulla riabilitazione: i campioni zoppi suscitano pena, non ammirazione e con la pena non si cucca!”.
Higo non ribatté. Torno a fissare la finestra e in essa il proprio riflesso, disteso in un impercettibile ed incoraggiato sorriso.
 
 
“Kudo…” sospirò, aprendo uno spiraglio della porta, quando il campanello cessò di trillare.
“Buongiorno, eh!” disse lui, con il tono di rimprovero che adoperava sempre alla vista dello sguardo scocciato che Shiho mostrava quando l’accoglieva. “E non ti avevo chiesto di chiamarmi Shinichi?”.
Shiho c’aveva provato, ogni tanto, ma quel nome le rimaneva sulle labbra, appiccicoso e inconsistente, come qualcosa da cui liberarsi alla svelta. Perciò gli preferiva il cognome e il rassicurante distacco emotivo che suggeriva.
“ ‘giorno. Che vuoi?” sibilò, mantenendo la presa sulla maniglia e sbilanciandosi in avanti con il chiaro intento di non farlo entrare.
Shinichi la squadrò in malo modo, ma non commentò il suo atteggiamento.
Si limitò solo a roteare gli occhi. “Mi annoiavo”.
“Hai una fidanzata, se non ricordo male”.
“Ran è con Eri oggi. Cose madre-figlia” spiegò, sollevando il labbro superiore e arricciando il naso per sottolineare l’inconcepibilità della cosa dal suo punto di vista.
 Shiho strinse gli occhi in due fessure, liberando un sorriso maligno.
“E così hai pensato a me? Una ragazza tutta sola, in una grande casa…qualcuno potrebbe credere che tu abbia cattive intenzioni”.
“Se accogli così i tuoi ospiti, non corri alcun rischio”.
Si squadrarono per un lungo istante e prima che lei potesse accorgersene, il volto di Shinichi si era disteso in un’espressione sconfortata. D’istinto portò due dita sotto gli occhi e abbassò il capo, cercando di nascondergli i segni dell’ennesima notte tormentata dagli incubi senza pensare che proprio quel repentino cambio d’umore era prova sufficiente per intuire che qualcosa non andava. Lui, tuttavia, non chiese nulla.
E Shiho si ritrovò a pensare che il Shinichi davanti a lei non fosse lo stesso che appena qualche istante prima  le era piombato in casa senza avvisare, come se nel tempo di un battito di ciglia il suo posto fosse stato preso da un altro ragazzo. Cercò di ripulirsi la mente da quel pensiero ridicolo, ma un senso di fastidio simile a quello dei bambini che si scoprono derisi le rimase comunque in bocca.
“Vai a prepararti. Ti aspetto qui”.
Sollevò lo sguardo. Shinichi le dava le spalle, immobile, con le mani cacciate nelle tasche.
Non era un invito e tantomeno un ordine, eppure a Shiho risultò impossibile ignorare le sue parole e quando richiuse la porta notò l’alone sul pomolo della maniglia lasciato dal suo palmo sudato. Era nervosa.
 
Ottobre, come tutti i mesi di transizione, cullava gli incerti.
Fuggiva in avanti con refoli d’aria fredda che sarebbe presto diventata invernale, si rifugiava in dietro nella luce ancora settembrina del cielo. E ciascuno poteva assaporare ciò che preferiva: foglie ancora pallide e appese strenuamente ai rami, nuvole veloci e senza pioggia, l’odore fresco dell’erba, quella che scricchiolava sotto i loro piedi, vittima della prima gelata.
Camminavano in fila, una dietro l’altro, la testa incassata tra le scapole un po’ per ripararsi dalle folate di vento proveniente dal nord, un po’ perché schiacciata dal peso dei propri pensieri. Di tanto in tanto Shiho puntava gli occhi sulle spalle dritte di Shinichi, vincendo il freddo che glieli faceva lacrimare, e s’interrogava sul legame che li univa.
Non c’era più l’organizzazione, non c’era più l’antidoto, eppure lui continuava ad essere una presenza costante nella sua vita. Forse era quella l’amicizia, una persona che ti cerca anche se non ha più nulla da chiederti.
“Qui può andare” lo sentì dire d’un tratto.
Erano di fronte ad una panchina che le fronde ombrose dei sempreverde avevano risparmiato, permettendo al sole di sciogliere la brina.
Si accomodò, lasciandole spazio, ma lei preferì restare in piedi, con la schiena addossata ai braccioli di piombo.
“Allora come ci si sente ad essere la più giovane tirocinante della facoltà di biochimica?”.
Shiho alzò le spalle e sorrise appena. “Uguali identici a prima, ma tu come…”.
“Il professore naturalmente”.
Naturalmente” ripeté lei, inarcando ironicamente le sopracciglia.
Le pause tra i loro discorsi erano silenzi carichi di dubbi, di domande, d’incertezze che sembravano non trovare parole adatte ad esprimersi.
“E per il resto? La Regina delle Nevi è riuscita a conficcare il suo frammento di ghiaccio nel cuore di qualche malcapitato?”.
Trovò quella metafora fuori luogo, ma assolutamente aderente alla sua persona. Era tipico di lei allontanare tutti e tutto. Forse infilare un ago in una persona come facevano le tribù afroamericane con le bamboline voodoo era davvero il metodo più semplice per legarsi a qualcuno. O quello meno rischioso.
“No. Però ho ricevuto un invito”.
Dalla sua voce priva di enfasi sembrava non fosse successo realmente.
“Da chi?”.
“Un ragazzo del mio corso di enzimologia”.
“E tu…”.
“Ho rifiutato”.
“Perché?”.
Shiho non rispose e guardò davanti a sé. Vide una ragazza fissare inebetita il display del cellulare, il volto parve staccarsi. Non pensò nulla. Non si fece trascinare dalla curiosità di sapere da dove venisse quel dolore così insignificante che bastava uno schermo a contenerlo.
Poi si girò verso Shinichi. Teneva i gomiti puntati sulle ginocchia e le dita affondate nelle guance tanto a fondo da distorcergli la voce. “Perché non sono pronta” disse piano, aggrappandosi alla speranza che lui non sentisse e cambiasse discorso.
“In che senso?”.
Sospirò, delusa, e rimpianse per un attimo le chiacchiere che si scambiavano in segreto mesi prima, chiacchiere che riguardavano i risultati degl’ultimi esperimenti, che vertevano insomma su argomenti di cui lei aveva pieno controllo.
“Non riesco ancora a capire come mi vedano gli altri”.
“Questo non si può sapere. Sono cose che nessuno sa di primo attrito. Per questo si esce, ci si conosce, ci si piace, si diventa amici…”. E magari qualcosa di più.
Trattenne per sé quest’ultimo pensiero, preferendo non sondare un campo in cui lui stesso avvertiva molte carenze. “…e anche a quel punto comprendere sino in fondo una persona è impossibile. Ognuno conserva nel proprio intimo un luogo segreto e impenetrabile. Nessuno può scoprirlo, entravi, perché nessuno si somiglia. È questo il bello della vita. Le cose che si sanno sono le cose normali, o le cose brutte, ma poi ci sono i segreti, ed è lì che si va a nascondere la felicità”.
“Detto da un detective suona fasullo. Tu e Ran, ad esempio, sembrate comprendervi a meraviglia…”.
“Questione di tempo. E comunque ci sono aspetti che né io né lei capiremo mai del tutto nell’altro”.
Shiho seguì le sue parole con assoluta concentrazione e si sentì smarrita dal fatto che non esistesse rimedio, che non vi fosse una formula da applicare in modo rigoroso per essere sicuri del risultato. Fece per ribattere, ma si ritrovò la bocca impastata di saliva e la voce persa chissà dove, in gola.
“Una volta non ti facevi tanti scrupoli…” constatò, aggrottando la fronte, confuso,  “…con Ayumi e gli altri, intendo. Eri riuscita a creare un bel legame”.
“Sono bambini. Se li deludevo, dimenticavano in fretta. Questa è la vita vera: sbagli una volta e il conto ti si ripresenta sempre, duro il doppio rispetto all’errore che hai commesso”.
Si morse le labbra, consapevole che quell’eccesso di confidenza rivelava più di quanto doveva e si ritrovò gli occhi di Shinichi puntati addosso, pieni di rassicurazioni che non poteva darle, di consigli che non sarebbero serviti.
“Per quel che vale…” disse infine, stiracchiandosi sulla panchina, incurante dell’umidità che gli avrebbe striato il giubbino, “…a me non dispiaci. Anche se sei permalosa, ti diverti a punzecchiarmi e ridicolizzi le mie capacità deduttive”.
Lo fissò, basita. Ogni lineamento del suo viso rimava perfettamente con la sincerità spontanea di quella confessione. “Sei arrogante, ti pavoneggi da super uomo e ho il sospetto che tu vada a cacciarti nei guai solo per dimostrare che nessun ostacolo è insormontabile per il grande Shinichi Kudo!” civettò. “Tuttavia, per quel che vale, anche a me non dispiaci”.
Scoppiarono a ridere. Risero e risero ancora, nel modo semplice che ha la vita quando smette di prendersi sul serio.
E Shiho ebbe l’impressione di aver risistemato il primo pezzetto di quel luogo segreto che non sapeva neanche di possedere dentro di sé.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Angolo Autrice

Salve a tutti! Lo so è da Pasqua tipo che non aggiorno, sono imperdonabile! T__T
Il problema è che al mondo oltre la fame, la povertà e una miriade di altre disgrazie, esistono pure gli esami, mannaggia! E io non volevo farmi prendere dalla foga rischiando di scrivere male….sono perdonata?
Dunque...il capitolo come lo avevo immaginato all’inizio non doveva concludersi così…però rileggendolo mi sono accorta che la parte finale avrebbe distratto troppo da tutto il resto (questi sono capitoli in cui, e chi mi segue lo sa, non capita nulla, ma servono a me per definire meglio i personaggi). Perciò rimandiamo il tanto sospirato rincontro e attenzione…perché…. quando avverrà…beh…eheheheheh ^^
Grazie a tutti!
Alla prossima
 
besos
  
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