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Autore: Fragolina84    08/06/2014    0 recensioni
Sequel di "I belong to you"
"Non posso smettere di essere Iron Man perché il mio compito è proteggervi"
Il palladio gli sta avvelenando il sangue e l'America è di nuovo sotto attacco terroristico. Iron Man dovrà cercare la Chiave del Domani per salvare se stesso e le persone che ama.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qui all'ultimo capitolo di questa fanfiction.
Tony sta di nuovo giocando a scacchi con la Morte... 
ma non voglio anticiparvi nulla.
Voglio ringraziare chi mi ha seguita fin qui
sperando che anche questo capitolo si meriti gli stessi
entustiastici commenti.
Buona lettura!


PS: le due parti finali, una sorta di scene post titoli di coda in stile Marvel,
sono tratte (e riadattate) dal film Iron Man 2

 

Ironman atterrò appena fuori dello stadio: dall’alto vide diversi agenti dello S.H.I.E.L.D., tutti in abito scuro e assolutamente marziali nel portamento. Uno di loro si fece avanti quando fu a terra: «Signor Stark, sono l’agente Derek Mallory».
Tony sollevò la visiera e lo salutò. Poi chiese di essere portato alla bomba. Mentre scendevano nei sotterranei fino a raggiungere il livello più basso del complesso – quello di servizio – Derek gli spiegò che avevano fatto evacuare tutti con la scusa di una fuga di gas, ma che non si erano azzardati a far sloggiare la gente in superficie, per timore di allarmare i terroristi che sicuramente erano in zona.
«E il motivo per cui una fuga di gas dovrebbe essere seguita dai federali è parso chiaro a tutti?» chiese Tony con sarcasmo.
«Dall’undici settembre chiunque a New York non fa domande quando è il momento di sgomberare» replicò l’agente.
Finalmente arrivarono alla stanza che conteneva la bomba. Era più grossa di quanto gli era sembrata nel filmato. Il display segnava che mancavano quaranta minuti all’esplosione.
«Con permesso» disse a Derek, avvicinandosi all’ordigno e calando di nuovo la maschera sul volto. «Cos’abbiamo, Jay?»
I dati iniziarono a comparire all’interno della visiera, scorrendo davanti a lui.
«Signore, si tratta di un ordigno molto ben costruito. Da quel che posso vedere, il detonatore è alimentato dal reattore Arc. Le antenne che vede sulla parte alta serviranno per lanciare l’impulso per far detonare le altre sparse in città. Poi il meccanismo di autodistruzione dell’Arc farà detonare questa bomba».
«Riesci a verificare dove sono piazzate le bombe seguendo le radiofrequenze?»
«Verifico, signore» disse Jarvis, mentre Tony si chinava per osservare il reattore.
«Jay, credi che potremmo riuscire ad interrompere l’alimentazione dell’Arc?»
Jarvis effettuò una breve simulazione che però diede esito negativo. «No, signore. L’interruzione provocherebbe l’esplosione».
«Possiamo spostarla?» domandò Tony. Sembrava piuttosto pesante, ma Ironman non avrebbe avuto problemi. L’avrebbe scaricata in mezzo all’Oceano Atlantico e tanti saluti.
«Ha un sensore di movimento, signore. Se proviamo a spostarla, esploderà».
«Secondo te c’è modo di creare un bypass?» provò Tony. «Lavoriamo a valle del reattore e togliamo l’alimentazione ai sensori che lanceranno l’impulso, così eviteremo di far detonare gli ordigni sparsi per New York. Poi cercheremo una soluzione per questo».
Jarvis eseguì velocemente alcuni calcoli. «Potrebbe funzionare, signore».
«Potrebbe?» commentò Tony. «Tutto qui quello che sai fare?»
«Signore, sto verificando i segnali radio dei trasponder delle bombe, sto cercando una soluzione per evitare l’esplosione dell’intero isolato, sto ancora eseguendo dei test sul nuovo reattore Arc che lei porta addosso… se vuole che io sia più accurato o più veloce dovrebbe potenziarmi».
«Jay, passi troppo tempo con mia moglie: stai diventando indisciplinato quanto lei» mormorò Tony.
«Signore, ci sono altri sette ordigni sparsi per la città. Con questo sono otto in tutto» disse Jarvis.
«Dai, mettiamoci al lavoro» replicò Tony: mancavano trentotto minuti all’esplosione.
Gli uomini dello S.H.I.E.L.D. avevano a disposizione attrezzature e strumenti, ma senza uno schema elettrico, Tony doveva affidarsi quasi del tutto a Jarvis. Isolò il primo circuito, che Jarvis gli disse essere quello che comandava la bomba piazzata a Liberty Island, in otto minuti.
«Mancano trenta minuti, signore» gli ricordò Jarvis. «Temo che debba velocizzarsi o, con questo ritmo, non riusciremo a finire in tempo».
«Grazie, Jay» borbottò lui con sarcasmo, dedicandosi a proseguire nel suo lavoro. I due circuiti successivi gli portarono via dieci minuti in tutto, segno che si stava velocizzando.
«Sì, signore. Ma ora mancano solo venti minuti».
«Senti, Jay: piantala di dirmelo, mi fai stare in ansia. Mettilo sul monitor e limitati ad avvisarmi quando mancheranno cinque minuti». Le cifre gli apparvero su un lato della visiera, prendendo a scorrere in un inesorabile countdown.
 Tony aveva già bypassato tre comandi, togliendo loro l’alimentazione del reattore Arc: ne restavano altri quattro e vi si dedicò con impegno, neutralizzandoli uno dopo l’altro. Quando ebbe finito, si raddrizzò. Il conto alla rovescia sulla visiera gli disse che gli restavano otto minuti per agire sul principale.
«Bene, Jarvis: spero che tu abbia fatto i compiti per casa».
«Signore, con i dati a mia disposizione, c’è solo uno scenario possibile: possiamo tentare di collegare il reattore della bomba al suo nuovo Arc. Allo scadere del tempo, l’impulso partirà ma invece di trasmettersi al detonatore, verrà assorbito e neutralizzato».
«Ehi, frena bello! Non mi piace il verbo che hai usato: tentare» obiettò Tony.
«Signore, questo è un vecchio reattore a palladio. Il nuovo pezzo toracico dovrebbe essere perfettamente in grado di assorbirne la forza».
Tony sbirciò l’indicatore dell’energia residua: nonostante il volo a velocità supersonica che gli aveva fatto attraversare gli Stati Uniti, era ancora ben al di sopra dell’80%, segno che il nuovo nucleo si consumava molto più lentamente del palladio. Era più stabile e meno imprevedibile e forse Jarvis aveva ragione: ma se così non fosse stato, di lui sarebbe rimasto ben poco.
Ma non aveva alternative. C’erano vite umane in ballo, vite che lui sapeva di dover proteggere. Anche se questo significava rischiare la propria.
Ogni giorno riceveva centinaia di messaggi, disegni di bambini che lo ritraevano nell’atto di sconfiggere orde di nemici, e tutte quelle manifestazioni gli dicevano una cosa soltanto: Tony, sei un eroe.
Bene, è il momento di meritarsi questo appellativo. Se le cose andranno male, mia figlia di certo sarà orgogliosa di me, quando glielo racconteranno.
Chiamò Fury: «Nick, le bombe sparse in città non sono più un problema. Ho bypassato il comando di innesco, quindi al momento sono innocue. Ma dì ai tuoi uomini di andarci cauti comunque quando le rimuoveranno».
«Sapevo che ci saresti riuscito, Tony». Il sollievo era evidente nella sua voce.
«Risparmiati le sviolinate, non sono tutte buone notizie» borbottò. «L’ordigno che ho davanti non è ancora disattivato e devi far allontanare i tuoi uomini».
«I miei uomini qui stimano che lo stadio potrà assorbire la maggior parte dell’esplosione: Tony, per me la missione è compiuta, quindi te ne devi andare anche tu».
«I tuoi uomini non hanno mai visto un’esplosione di questo tipo, Nick» confutò Tony. «Se esplode, qui sarà un macello, fidati». Tony fissò il countdown. «Mancano meno di sette minuti, non faremo in tempo ad evacuare tutti. Moriranno persone».
«Non puoi esserne certo. E comunque non c’è alternativa, Tony».
«No, l’alternativa c’è. Ma devi mandare via i tuoi e lasciarmi lavorare. Se tutto va secondo i miei calcoli, riuscirò a fermarla. Io non sono disposto a lasciare che quei bastardi vincano, e tu?» disse, lasciando in sospeso la domanda.
«Va bene. Tanto non riuscirei a farti cambiare idea qualsiasi cosa dicessi. Do ordine ai miei di andarsene».
«Grazie, Nick».
«Ehi, Tony» lo chiamò prima di riagganciare «fa’ attenzione, ok?»
«Non credere di potermi baciare, quando questa storia sarà finita» esclamò in tono gioviale e chiuse.
«Va bene, Jarvis. Diamoci una mossa».
I repulsori che aveva sui guanti funzionavano grazie al minireattore perciò tolse il sinistro e ne staccò l’alimentazione: avrebbe usato i cavi per collegarsi al reattore della bomba. Procedeva lentamente, attento a non interferire brutalmente con l’Arc.
«Signore, mancano tre minuti» lo informò Jarvis.
«Sto facendo più in fretta che posso, ma non è così semplice: non ho costruito io questo mostro».
«Settantacinque secondi» avvisò di nuovo Jarvis.
«E sia, più pronti di così non lo saremo mai» mormorò Tony, ordinando a Jarvis di chiudere di nuovo il guanto. La parte da cui usciva il cavo rimase aperta, mostrando la pelle dell’avambraccio.
«Quaranta secondi».
«Jay, sono quasi sicuro che ce la faremo, ma se le cose non andassero come abbiamo previsto, tu sai cosa fare con Victoria ed Elizabeth, vero?».
«Sì, signore» replicò la voce del computer, dopo una leggera esitazione.
Mancavano trenta secondi all’esplosione. Tony sapeva di aver fatto tutto ciò che poteva, ma non aveva avuto abbastanza tempo per testare il nuovo minireattore quindi c’era incertezza e lui non era abituato a quella sensazione.
Aveva rischiato di morire proprio nel momento in cui la sua vita aveva assunto un significato: c’era Victoria che lo amava in un modo che lui era certo di non meritare. E c’era Elizabeth: quando aveva preso in braccio sua figlia aveva capito di avere uno scopo, una direzione. Per lei valeva davvero la pena di continuare a lottare, per creare un mondo più sicuro dove lei potesse crescere.
L’aveva fatto senza risparmiarsi, mettendo ancor più a repentaglio la sua vita. E senza quel messaggio dall’aldilà, senza l’eredità di suo padre, non avrebbe mai potuto scoprire quel nuovo elemento che ora brillava al centro del suo petto e che gli stava ridando la vita.
Vita che ora stava di nuovo rimettendo in gioco.
«Quindici secondi, signore».
«Chi l’avrebbe mai detto, eh Jarvis?» mormorò Tony. «Il mercante di morte che salva New York da una nuova ondata di terrore».
«Dieci secondi, signore»
Jarvis iniziò il conto alla rovescia e Tony chiuse gli occhi e chinò il capo. Le immagini presero a scorrere disordinatamente davanti ai suoi occhi.
Sua madre che gli accarezzava il viso il giorno in cui poi era rimasta uccisa nell’incidente, Pepper il giorno del colloquio con cui lui aveva deciso di assumerla come sua assistente, Rhodey che si arrabbiava con lui perché non si era presentato a ritirare il premio Apogeo.
«Tre».
Sempre ad occhi chiusi, sollevò il capo. Ed eccoli, il viso amato di Victoria e quello di sua figlia, che gli strapparono un mezzo sorriso.
«Due».
E infine, per ultimo, suo padre che lo guardava con tenerezza: «Quello che ora è e resterà sempre la mia più grande creazione… sei tu».
«Uno».
Tony spalancò gli occhi e il tempo parve rallentare. Vide il reattore che aveva scollegato dall’ordigno diventare brillante e iniziare la sua cataclismica reazione. L’energia che doveva servire da impulso all’esplosione saettò lungo il cavo teso fra sé e quella macchina di morte come un grottesco cordone ombelicale.
E poi l’avvertì, al centro del petto, possente come un colpo d’ariete, tanto che indietreggiò di mezzo passo. Immediata, sentì la reazione del nuovo Arc. Così come aveva bruciato ogni residuo di veleno nel suo sangue quando l’aveva posizionato la prima volta, il nuovo elemento bruciò l’energia repulsor generata dal palladio.
La luce che scaturiva dal minireattore che aveva addosso divenne accecante, mentre Tony sentiva che diveniva sempre più caldo. Pensò che fosse la fine perché non era possibile contrastare a lungo quella fonte di potenza.
Poi, improvvisamente, una scarica di energia partì dal minireattore, respingendo senza sforzo quella ben più debole del palladio. Non credeva possibile che la temperatura che leggeva sul display potesse essere veritiera, ma quando sentì la pelle lasciata esposta sul braccio sinistro ustionarsi, capì che lo era.
Non lo credeva possibile ma la luce e il calore aumentarono ancora.
Ci fu un boato e l’onda d’urto lo mandò a sbattere contro il muro di cemento alle sue spalle, strappando i cavi e sgravandolo da quel feto indesiderato.
Pensavo fosse più facile fare l’eroe, fu il suo ultimo pensiero, prima che un ovattato oblio scendesse su di lui.

* * *

Tony sedeva davanti ad una scrivania con il piano di acciaio. Attorno a lui degli schermi virtuali mostravano le immagini del giorno: l’attacco a New York sventato dal grande Ironman stava riempiendo tutti i telegiornali.
I giornalisti parlavano di un solo ordigno, quello dello Yankee Stadium. Non avrebbero mai saputo che ce n’erano altri sette disseminati per la città perché lo S.H.I.E.L.D. era intervenuto, facendo un’accurata pulizia.
Tony si era preso la sua parte di gloria che aveva quasi pagato con la vita. Il suo minireattore aveva vinto e lui se l’era cavata con un’ustione sul braccio che sarebbe guarita perfettamente e qualche livido. Ma era vivo e stava benissimo.
Il momento in cui aveva potuto riabbracciare la sua famiglia era stato impagabile, forse il momento più bello della sua vita. Meno bello era stato il dover spiegare a Victoria la devastazione della Villa, ma ormai anche quello era acqua passata. In fondo era molto più grave il fatto che lei non si fosse allontanata da Central Park quando lui gliel’aveva ordinato. Avevano deciso insieme di mettere una pietra su tutto, ritornando pian piano alla loro vita normale, se di vita normale si poteva parlare.
Era stato convocato da Fury in quel magazzino semiabbandonato quella mattina, con un semplice sms. Aveva pensato di non andare – non corro a riprendergli il bastoncino ogni volta che lui me lo lancia, aveva commentato del messaggio di Fury – ma poi la curiosità aveva vinto.
Sul tavolo c’erano due dossier. Ne prese uno e lo girò verso di sé. La copertina recava il titolo “Progetto Vendicatori – Rapporto Preliminare”. Fury gliene aveva già parlato una volta, accennando al fatto che lui non era l’unico supereroe in circolazione.
Stava per aprire la cartellina per sbirciarne il contenuto quando Nick apparve dal nulla e lo bloccò.
«Non c’è bisogno che tu lo legga» disse, sedendosi sulla poltrona davanti a lui, dall’altro lato del tavolo. «Credo che non sia più di tua pertinenza».
Se non è di pertinenza di chi ha appena salvato New York, di chi dovrebbe esserlo? pensò, ma ebbe il buonsenso di tacere.
Fury afferrò la seconda cartellina. «D’altronde vedi, questa è la valutazione che l’agente Romanoff ha redatto su di te» disse, porgendogliela. «Leggila» ordinò e Tony aprì il dossier.
«Scheda della personalità» iniziò. «Il signor Stark rivela una condotta compulsiva».
Alzò gli occhi verso Fury che lo stava osservando.
«Dai però: questo accadeva la settimana scorsa» commentò.
Fury non mostrò reazioni, sicché proseguì: «Presenta forti tendenze autodistruttive!?» lesse in tono meravigliato. «Stavo morendo!» commentò. «Dai, per favore. E poi, chi non ne ha?»
Di nuovo Fury non replicò e Tony abbassò di nuovo gli occhi per leggere: «Autocompiacimento… da manuale!?».
Alzò lo sguardo come a voler obiettare qualcosa e vide la faccia di Fury.
«Concordo» esclamò.
Era finalmente arrivato alla fine del dossier: «Va bene, eccolo qui. Valutazione reclutamento Progetto Vendicatori: Ironman sì. Ci voglio pensare un po’» concluse frettolosamente chiudendo la cartelletta, ma Fury non era disposto a cedere così facilmente.
«Continua a leggere» comandò.
Ed eccola lì, l’ultima frase che lui aveva volutamente fatto finta di non vedere: «Tony Stark non… non consigliato­!?»
Fury non disse nulla.
«Ma non ha nessun senso» protestò Tony. «Come fate ad approvare me, senza approvare me?»
Nick si appoggiò allo schienale, guardando in su per evitare di incrociare il suo sguardo.
«Ho anche un nuovo cuore» aggiunse Tony, riferendosi al nuovo reattore Arc. Fury si alzò, aggirò il tavolo e si fermò davanti a Tony, appoggiandosi alla scrivania.
«Sto cercando di essere un buon marito e… un buon padre per Lizzy» disse, con voce sempre più spezzata. L’espressione di Fury non era un grande incentivo a proseguire.
Finalmente, l’uomo parlò: «Il che ci fa ritenere che sarà meglio utilizzarti solo come consulente, in questa circostanza» disse.
Tony rimase un attimo in silenzio. Poi si alzò lentamente in piedi e gli tese la mano. Fury gliela strinse e lui la coprì con l’altra: «Sono troppo caro» mormorò con un sorrisetto.
Girò sui tacchi e fece per andarsene ma fatti un paio di passi si bloccò.
«Ah, pensandoci bene, posso rinunciare al mio acconto sull’ingaggio in cambio di un piccolo favore».
Fury lo guardava come se avesse paura di ciò che avrebbe chiesto sicché Tony si sentì in dovere di proseguire: «Riceverò un’onorificenza a Washington e vorrei un presentatore».
L’altro capì immediatamente. «Vedo che posso fare» disse. Poi si alzò e se ne andò.

 * * *
 
Il senatore Stern indossava un completo blu e se ne stava impettito sul podio, di fronte ad una foresta di microfoni.
«È un mio grande onore essere qui oggi per offrire questa illustre onorificenza al signor Tony Stark che è naturalmente un patrimonio nazionale» disse e Victoria, in mezzo al pubblico con la bambina in braccio, ebbe l’impressione che avrebbe preferito strozzarsi piuttosto che pronunciare quelle parole.
L’espressione di Tony rimase celata dagli occhiali da sole, ma lei vide un sogghigno incurvargli le labbra.
Stern lasciò il podio e afferrò la medaglia che un graduato gli porgeva. Si avvicinò a Tony che se ne stava ritto e impeccabile nel suo completo grigio.
«Signor Stark, la ringrazio per la sua impresa eccezionalmente epica. Se l’è meritata» disse. Infilò la spilla sul bavero della giacca di Tony fissandolo negli occhi e affondando volutamente l’ago. Tony trasalì quando avvertì la puntura.
«Oh» fece il senatore con finta costernazione, «una misera spilletta». La sistemò sulla giacca di Tony: «Il male si nasconde in ciò che è misero, vero?»
«Facciamo una foto» disse poi, affiancandolo e mettendogli un braccio intorno alle spalle.
Tony, assolutamente a proprio agio, sorrise ai fotografi, alzando il braccio destro con le dita allargate nel segno della vittoria.
Victoria lo guardava: era praticamente impossibile non restare affascinati dalla sua personalità e dal suo modo di fare ed era così facile credere che lui fosse invincibile e avesse il mondo in mano. Ma era solo un uomo e all’improvviso la donna avvertì un brivido lungo la schiena: non era ancora finita. C’era qualcos’altro in agguato e, d’istinto, strinse di più la bambina.
Poi il momento passò e lei tornò a guardare suo marito che le sorrise e soffiò un bacio invisibile nella sua direzione.
Qualsiasi cosa sia, quella che ci minaccia, non riuscirà a prevalere su di lui.
  
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