La
mattina dopo il mio arrivo fu assai strana, sarebbe stata
la capostipite di altre mattine, tutte così uguali, tutte
così folli, tutte
così meravigliose. Ed è per questo che voglio
raccontarvela.
***
<< Judith... Judith... Svegliati cara... >>
Mi rigirai ancora una volta, l'ennesima a dire il vero, fra le lenzuola
sgualcite. Un profumo acre ma dolce aleggiava nella stanza illuminata
ed un
piacevole tepore, leggero come una carezza, mi scaldava il braccio
intorpidito
dal sonno.
Sopraffatta dal fuso orario avevo passato sveglia più di
metà della notte,
stesa nel futon, a stropicciare le lenzuola e a cambiare ogni
posizione, nel
vano e disperato tentativo di trovarne una che non mi spezzasse la
schiena.
Quando alla fine, stremata, avevo chiuso gli occhi, in un attimo si era
fatto
giorno e adesso una voce delicata cercava di scuotermi dal torpore in
cui
invece mi crogiolavo tanto bene.
Ci misi un po' a capire che non era mia madre che mi chiamava in una di
quelle
mattine autunnali, profumate al tacchino e salsa di mirtilli, che
passavo a
casa, o che non erano i miei coinquilini, che inneggiavano qualche
canzone dei
Queen sotto la doccia.
Sorrisi al pensiero di essere nella mia prima mattina giapponese e
Kasumi mi
lasciò ancora qualche minuto sola nella stanza, prima che,
con il viso ancora
assonnato ma ridente, mi decidessi ad alzarmi e a sorpassare la porta
scorrevole blu e bianca, alla volta del corridoio.
Ma proprio lì, con le gambe divaricate sul parquet chiaro e
le mani posate
impazientemente sui fianchi, c'era Akane: << Ranma!
Alzati!! >>
Un mugugno infastidito fu la risposta che arrivò dalla
stanza in penombra di
fronte alla mia.
<< Ranma alzati immediatamente o giuro che... Oh,
buongiorno Judith!
>>
Il tempo di sentire il mio “buongiorno” un po'
imbarazzato ma immensamente
divertito, che già aveva ripreso a gridare, ancora
più forte: << Ranma
dai! Si è alzata anche Judith! Le farai fare tardi al suo
primo giorno!
>>
La prova inconfutabile che le parole di Akane non avevano sortito
l'effetto
desiderato, fu che ad uscire dalla stanza non fu il ragazzo,
bensì Genma, con
lo sguardo gonfio e le gambe pesanti.
<< Buongiorno signorine >> ci disse con
tono funereo e scese al
piano di sotto, borbottando qualcosa sul pesce arrosto.
<< Ranma sto perdendo la pazienza! Conto fino a tre poi
sai cosa ti
aspetta! Uno...d- >>
<< Ok, ok, eccomi! Mi sono alzato! Mi vedi?
>>
Sulla soglia della sua stanza si stagliava la figura di Ranma in boxer
e
canottiera bianca, che, con le mani alzate in segno di resa, sorrideva
sghembo
e strafottente ad Akane.
<< 'Giorno! >> disse poi rivolto a me che
nel frattempo avevo
immediatamente distolto lo sguardo dalle sue gambe muscolose e
decisamente poco
coperte e dalla stoffa della canottiera che aveva preso la forma
scolpita degli
addominali, arrossendo violentemente.
<< E copriti, scemo! >> aggiunse Akane,
notando il rossore sulle
mie guance e i miei occhi, probabilmente sgranati.
<< E perché? >>
<< Ranma!! >>
<< Mh? >>
<< Smettila! E poi c'è anche Judith!
>>
<< Non mi dire che non hai mai visto un uomo in boxer, eh
Judith?
>> chiese lui voltandosi verso di me.
<< Io... beh... sì... a volte! >>
<< Visto? A lei non dà fastidio
>> la canzonò tirandole lievi colpi
gomito a gomito, e riservando a me il solito occhiolino.
<< Magari è solo troppo gentile per dirti che
sei un maniaco! >>
<< O magari è più riconoscente di
te! >> e, dirigendosi verso il
bagno con movenze goffamente sensuali, assunse via via posizioni che
gli
permettevano di sfoggiare i muscoli guizzanti delle spalle, dei glutei
e della
schiena, come nelle manifestazioni di Mister Olimpia alla TV,
continuando a
canticchiare: << Spettacolo gentilmente offerto dalla
scuola di arti
marziali indiscriminate Saotome!! >>
Nel frattempo io trattenevo a stento imbarazzo e risate con una mano
sulle
labbra, mentre Akane si avviava a fare colazione sbuffando un
“esibizionista” e
Nabiki, anche lei appena sveglia, mi si accostava sussurrando:
<<
Abituatici, è così tutte le mattine!
>>
Il
tavolo della colazione era magnificamente pronto,
profumato ed invitante. Certo, era estremamente diverso dai corn flakes
che
trovavo io in America la mattina appena sveglia, con accanto il cartone
del
latte semi distrutto dai miei coinquilini e, se ero fortunata, del
succo
d'arancia. Era anche diverso dai tipici brunch delle nostre domeniche
primaverili, quando noi newyorkesi griffate ci sediamo su piccole sedie
bianche
corredate a tavoli dalle grandi tovaglie d'avorio, sorseggiando un
mimosa e
addentando bacon e uova.
C'era qualcosa di esotico in quella mia prima colazione. Tanti
meravigliosi
piccoli vassoi bianchi e neri erano posizionati in una disposizione ben
ordinata sul tavolo di legno massiccio. L'odore acre dei sottaceti e
quello
dolce del tofu permeavano l'aria ancora fresca del mattino.
Mentre sorseggiavo qualche cucchiaio di zuppa di miso, guardavo
distrattamente
fuori, con la testa leggermente inclinata verso destra in direzione
dello
stagno e della carpa che saltava vispa. Evidentemente, almeno lei,
quella
mattina era piena di energia.
Continuai a guardare senza attenzione tutto ciò che mi
circondava, mentre
sceglievo mentalmente uno speciale fra i miei vestiti. In fondo quella
sarebbe
stata una giornata speciale, il mio primo giorno
all'università di Tokyo, e ci
tenevo a fare bella impressione almeno nell'aspetto, visto che la mia
proverbiale timidezza mi avrebbe imposto inchini per tutta la giornata,
pur di
non proferire parola.
<< Ragazzi è tardissimo! >> ad
interrompere i pensieri su quel
bell'abito blu notte che avevo deciso di portare all'ultimo minuto, fu
la voce
di Akane che annunciava a noi universitari che se non ci fossimo
sbrigati,
avremmo di sicuro perso la metropolitana.
E così, in men che non si dica, mentre Soun leggeva ancora
il secondo foglio di
notizie del giornale, noi eravamo già tutti spariti al piano
di sopra,
lasciandoci dietro solo una scia di vento.
<<
Ranma devi sbrigarti! In questa
casa c'è un solo bagno! >>
<< Akane che vuoi? Mi sto facendo la barba!
>>
<< Io devo lavarmi i denti! >>
<< E entra! >>
La scena che pochi secondi dopo si sarebbe presentata ad un incauto
quanto
ignoto spettatore, avrebbe strappato un sorriso al re del male in
persona.
Un anti-bagno piccolo e profumato di bucato, un lavandino, uno specchio
e tre
ragazzi incastrati gli uni negli altri, intenti in tre faccende tanto
delicate
quanto diverse fra loro.
La prima in ordine, la più vicina alla porta, era Akane, la
quale non aveva
bisogno di guardarsi allo specchio e si lavava i denti come una
forsennata,
cercando, con l'altra mano, di domare la frangia ribelle del caschetto
nero.
Di
fianco a lei, in una strana posizione
che aveva lo scopo di non farsi toccare dalla bella mora piena di
energia
accanto a lui, e di conseguenza farsi un rovinoso taglio sulla faccia,
c'era
Ranma, che si rasava le guance leggermente scurite dall'ombra di una
barbetta
nera, cresciuta durante la notte.
Dall'altra
parte, a condividere con lui
metà dello specchio, c'ero io, che, con la tipica posizione
della bocca semi
aperta, cercavo di mettermi il mascara senza sbagliare.
<< Che cos'è quello strumento di tortura?
>> domandò Ranma
bloccandosi di colpo.
<< Cosa, questo? >> chiesi indicando
“lo strumento” nella mia mano.
<< Sì... >>
<< È un piega ciglia Ranma! >>
intervenne prontamente Akane, fra lo
spazientito e il divertito.
<< Ma.... ma... non vi fa male? >>
<< No, affatto! >> risposi sorridendo
<< Serve per curvare le
ciglia prima di mettere il mascara! >>
<< Oh Kami, non avrai intenzione di
metterti quel coso negli
occhi, vero? >> chiese improvvisamente impaurito dallo
scovolino nero del
mio rimmel.
Sia Akane che io scoppiammo in una fragorosa risata che finì
con un Ranma
offeso che se ne andava spruzzandosi una quantità indecente
di dopo barba al
profumo di pino, e noi ragazze che finalmente potevamo avere tutto lo
specchio
per acconciarci i capelli e scambiarci i lucidalabbra alla frutta.
Mezz'ora
dopo un “E poi è colpa mia se facciamo tardi
eh?” ci
fece precipitare fuori di casa alla velocità della luce,
afferrando al volo
dalle mani gentili di Kasumi un bentō che conteneva
il nostro pranzo.
Quella fu la prima della lunga, lunghissima serie di corse che feci a
Nerima.
Io ed Akane correvamo fianco a fianco, visibilmente più
affannate e spettinate
di Ranma che, come se niente fosse, si limitava a camminare a passo
più svelto
del solito, in bilico sulla recinzione verde brillante che costeggiava
il
canale il quale, a sua volta, accompagnava la strada.
<< Perché te stai lì sopra?
>> mi ritrovai a chiedere senza nemmeno
rendermene conto, le labbra si erano mosse da sole.
<< Lo fa da sempre >> fece spallucce Akane.
<< Non... non è difficile? >>
domandai guardando dal basso la
figura di Ranma che si piegava per tendermi la mano sussurrando:
<< Vuoi
provare? >>
<< Eh? No, no, sei matto? Vuoi che mi rompa una gamba?
>>
Lui sorrise visibilmente divertito, sia per Akane che sbraitava che
“avremmo
sicuramente fatto tardi alla presentazione”, sia per quello
che avevo detto,
anche se in realtà era solo la pura verità.
<< Non ti rompi niente se ci sono io >>
disse Ranma con un sorriso
superbo e strafottente sul bel viso e una mano ancora tesa verso di me
che lo
guardavo con gli occhi spalancati << Persino quella goffa
di Akane ci
riuscirebbe! Avanti, coraggio, dammi la mano! >>
<< Ehi goffa a chi? >> si intromise la
diretta interessata con il sopracciglio
sinistro visibilmente alzato in segno di incredulità.
<< A te! >> rispose lui con una linguaccia.
<< Staremo a vedere >> e saltò
anche lei sulla recinzione, muovendo
velocemente a destra e a sinistra le braccia per tentare di mantenere
l'equilibrio.
<< Hai visto baka? >> esultò
Akane con l'aria di chi la sapeva
lunga.
Ma, proprio mentre si avvicinava trionfalmente, camminando spedita per
mostrare
che non era affatto goffa, inciampò nei suoi stessi passi e
per poco non cadde
all'indietro. Ranma però, con uno scatto, intervenne
prontamente, mettendole un
braccio dietro la schiena e avvicinandola a sé con un colpo
secco, impedendole
così di precipitare.
<< Dicevi, scusa? >> replicò il
ragazzo con un sorriso beffardo mentre
ancora la teneva saldamente.
D'un tratto le prese le mani e se le posò sulle spalle:
<< Tieniti se
vuoi camminare qua su, sei già stata fortunata una volta
>> disse
guardandola ironicamente con la coda dell'occhio.
Akane, seppur con una leggera smorfia di disappunto, rise divertita
della buffa
situazione e, con il volto rilassato e contento di chi è a
proprio agio, mi
guardò incitandomi: << Dai Judith, manchi solo
tu! >>
Una cosa che avevo immediatamente capito di lei, era che al suo sorriso
non
c'era scampo. Era bella anche con il broncio ma, quando sorrideva,
sapeva
trasmettere un calore e una gioia tali, che era impossibile resisterle.
L'avevo
notato quella stessa mattina (e avrei avuto occasione di farlo tante
altre
volte), quando con un solo sorriso si era fatta perdonare da Genma, per
averlo
svegliato in maniera brusca, oppure quando le bastava sorridere in
direzione di
Ranma, affinché lui ammorbidisse immediatamente i lineamenti
del volto.
Così, alla vista di tutta quell'allegria, afferrai la mano
che Ranma mi aveva
gentilmente teso di nuovo e, sotto la sua spinta, salii anche io su
quella che
-fino a quel momento non avevo notato- era un'altissima recinzione.
Presi a camminare concentrata, un piede davanti all'altro, senza mai
spostare
lo sguardo da quella sottilissima striscia di metallo verde un po'
arrugginita,
mentre Ranma, le mani introno alla mia vita, mi teneva in una morsa di
ferro.
Era davvero impossibile cadere.
Come era veramente impossibile non ridere mentre percorrevamo la
ringhiera in
fila indiana, appoggiati gli uni agli altri, come tre bravi piccoli
pulcini,
mentre il sole delle otto del mattino si affacciava sui nostri visi
allegri e
rilassati.
Quando
arrivammo alla stazione
della metropolitana, il treno era già partito da un pezzo,
così ci toccò salire
su quello dopo che, proprio in quel momento, si stava riempiendo di
persone.
Ogni tipo di persone: madri premurose che accompagnavano i figli nelle
divise
color pastello all'asilo; impiegati per bene, muniti di occhiali da
vista, che
sfilavano ordinatamente per strada con la loro ventiquattrore in mano e
giornale nell'altra; e vecchiette, sveglie da ore, che uscivano per
fare la
spesa.
Sedute l'una davanti all'altra sulle spaziose poltrone blu e viola
mentre
Ranma, in piedi di fronte a noi, ci faceva scudo, io ed Akane parlavamo
tranquillamente
dei vestiti scelti quella mattina.
Lei indossava un paio di leggins neri aderenti, che le fasciavano fino
al
ginocchio le belle gambe magre e muscolose, e sopra un carinissimo mini
vestito
a righe rosse e bianche, in pendant con il cerchietto cremisi che aveva
deciso
di mettere per tenere a bada i capelli lucidi e ribelli.
Io invece avevo scelto il mio vestito blu, con una piccola cinta beige
intrecciata in vita, che riprendeva le scarpe dello stesso colore.
<< Stai benissimo con il blu Judith, dico davvero. E tu,
Ranma, potevi
metterti qualcosa di più elegante, no? >>
<< Che vuoi? Sono elegantissimo io! >>
Io li guardavo sorridendo mentre Akane, bagnata dalla luce che entrava
dal
finestrino, cercava di sistemare alla meglio la camicia azzurra chiara
che
Ranma indossava.
Erano una strana accoppiata quei due, non riuscivo a definirli.
Sarebbero tranquillamente potuti essere fratelli, tanto era evidente
l'affetto nei
gesti che compivano l'uno per l'altra, oppure amici, carissimi amici.
Si capiva
che ad unirli era un legame profondo, qualcosa che si era creato nel
tempo, con
il condividere la vita di tutti i giorni e, chissà, magari
qualche avventura.
Ma c'era qualcosa, un luccichio nei loro occhi ogni volta che si
guardavano,
una leggera malizia nei loro movimenti quando si sfioravano, che
lasciava
intendere che il loro sentimento fosse molto più profondo di
quanto entrambi
tenessero a mostrare.
Troppo presa nel cercare di decifrare i miei nuovi e affascinanti
amici, non mi
accorsi che eravamo arrivati alla nostra fermata, fino a che, un
brulicare di
gente si alzò meccanicamente dirigendosi, come uno sciame
d'api, verso l'uscita
e scontrandosi con un altro gruppo che invece voleva salire.
Akane mi prese la mano e con l'altra si attaccò alla casacca
di Ranma che, con
fare abitudinario, si faceva spazio fra le persone scortandoci fuori
dal treno.
Usciti dalla linea “E” della metropolitana, quella
color porpora che collegava
il quartiere di Nerima con il resto della capitale, ci vollero non
più di dieci
minuti prima che il mio sguardo venisse rapito da ciò che
avevo davanti.
L'Università Imperiale di Tokyo era una delle strutture
più belle ed imponenti
che avessi mai visto, poteva benissimo reggere il confronto con
l'Empire State
Building.
Per entrare bisognava sorpassare un enorme cancello rosso: l'Akamon,
che
con il suo colore acceso e il tetto dalla forma tipica, dava il
benvenuto in
una struttura che lasciava senza fiato.
Il mio sguardo si perse fra i dettagli del giardino curato, con le
bandierine
bianche e azzurre a delimitare le strade, e fra gli alberi che
disegnavano
ombre danzanti sugli edifici dei cinque campus.
Edifici i cui muri erano stati costruiti con un sapiente gioco di vetri
e
mattoni, il grigio lucido e il color terra rossa che si fondevano e si
abbracciavano come in una danza, tutto dava vita allo spettacolo
più insolito e
allo stesso tempo tipico che si potesse vedere a Tokyo: l'incontro fra
tradizione e modernità.
Ogni
dettaglio, anche all'interno
dell'università, raccontava le antiche tradizioni e, d'altra
parte, tendeva la
mano al progresso e al mondo moderno, sempre più freddo e
veloce.
Continuai a tenere il naso all'insù per tutto il tempo
mentre seguivo Akane e
Ranma nei corridoi che ci avrebbero portati nell'aula magna. Cercavo di
non
farmi sfuggire nessun particolare e, di tanto in tanto, quando i miei
due amici
si fermavano per salutare qualche loro conoscente, tiravo fuori dalla
borsa di
cuoio la macchinetta fotografica e scattavo qualche istantanea.
Arrivati
all'ingresso della magnifica aula magna, così grande
e sfarzosa che mi ricordò qualche antico palazzo reale, ebbi
giusto il tempo di
guardare spaurita Akane che mi salutava con la mano mentre un distinto
signore
stempiato e con un'orribile cravatta arancione mi trascinava sul palco,
assieme
ad altri ragazzi.
Cominciai a sistemarmi nervosamente i lunghi capelli mentre mi rendevo
conto
che tutti quegli studenti mi fissavano con sguardo interrogativo.
Una giovane donna con i capelli rossi si avvicinò e
puntò sul lato destro del
mio petto un cartellino: “Judith Montgomery, U.S.A,
ospite famiglia Tendo”.
Questo piccolo pezzo di carta plastificata lo porto ancora con me e,
anche ora
che sono tornata in America, è gelosamente custodito in un
piccolo
scompartimento del mio portafoglio.
Mentre cercavo con lo sguardo Ranma ed Akane, seduti uno dietro l'altra
rispettivamente
in prima e seconda fila, sulle sedie amaranto al di sotto del palco,
l'uomo che
mi aveva accompagnata lì sopra cominciò a parlare
in un inglese a dir poco
perfetto.
Quel giorno mi resi conto che in Giappone come in nessun altro posto
era
davvero raro incontrare qualcuno che non parlasse o comprendesse bene
l'inglese.
L'uomo, che era uno dei professori più illustri
dell'università, cominciò ad
elencare i nomi degli altri ragazzi stranieri che, come me, erano in
Giappone
per uno scambio culturale.
All'inizio del palco, proprio di fianco alle scale di legno chiare,
c'era
Amina, che aveva la pelle scurissima, i capelli lunghi, lisci e neri
come la
notte, folte ciglia che nascondevano occhi color pece, un paio di
vistosi
orecchini dorati che le pendevano dai lobi e veniva dall'India. Di
fianco a
lei, con la pelle bianchissima, i capelli corti tanto biondi da
sembrare
bianchi e lo sguardo di ghiaccio c'era Masha, dalla Russia. Alla sua
destra
Cristoph dalla Germania, Kate dall'Inghilterra e Laura dall'Australia.
Ancora
più a destra, basso, con un buffo papillon quadrettato e
degli spessissimi
occhiali da vista, Ju dalla Corea del Sud, seguito da Emelie dalla
Svezia e
Carlos dall'Argentina. Accanto a lui, altissimo e muscoloso, con una
camicia di
lino bianca, i capelli neri spettinati e gli occhi color nocciola,
Alexander,
anche lui dagli Stati Uniti, e poi c'ero io, che sfoderai uno dei miei
migliori
sorrisi a sentir pronunciare il mio nome, mi inchinai e pregai di non
inciampare nei miei stessi passi mentre sfilavo sul bordo del palco e
scendevo
le scale alla fine della cerimonia di presentazione.
Una
cosa che bisogna assolutamente
sapere sulla vita a Nerima è che, proprio quando si crede
che il peggio sia
passato, qualcos'altro o qualcun altro verrà di sicuro a
sconvolgervi la
giornata.
E fu proprio quello che successe a me quella mattina.
Mentre cercavo la strada per raggiungere Akane e credevo che il momento
dell'imbarazzo fosse finito, andai a sbattere contro qualcosa
più simile ad un
armadio che ad un ragazzo.
<< Oh mi scus... >> ma non feci in tempo
nemmeno a finire la frase
che l'energumeno in questione mi prese le mani e cominciò a
decantare una
sfilza di frasi sdolcinate e in rima che avrebbero fatto accapponare la
pelle a
Shakespeare in persona.
Altissimo, tanto che a stento gli arrivavo al petto, le spalle talmente
grandi
e larghe che ci si sarebbe potuto pranzare sopra, i capelli color
cioccolato,
la mascella pronunciata ed un fortissimo profumo al muschio bianco. Io
lo
fissavo incredula, cercando di trattenere le risate mentre lui, fra un
“sole-cuore-amore” e l'altro, mi lanciava sorrisi
studiati con la dentatura
perfettamente diritta e tanto bianca da sembrare quella di un attore
hollywoodiano.
Improvvisamente, un colpo sulla nuca veloce ma forte, fece cessare lo
sproloquio al miele del mio interlocutore:
<< Judith vedo che hai conosciuto Kuno... ti ha
già chiesto di sposarlo?
>>
<< Eh? >>
<< Saotome maledetto, ti sembra questo il modo di parlare
di me a questa
dolce sconosciuta? >>
<< Ma veramente io non sono una sconosciuta, il mio nome
è... >>
<< Judith Montgomery, lo so, o mia divina creatura! Il
tuo nome è
stampato a lettere infuocate nel mio cuore traboccante di passione per
te ed
io...>>
Mentre quello che a quanto pare si chiamava Kuno continuava a parlare a
raffica, io mi avvicinai lentamente a Ranma bisbigliandogli:
<< Ma che
vuole? >>
<< Non preoccuparti Jude, Kuno è un po'
suonato >>
<< Come mi hai chiamata? >>
<< Jude... non ti piace? >>
<< Hey Jude! >>
<< Eh? >>
<< “Hey Jude" è una canzone...
>>
<< …dei Beatles, lo so, per chi mi hai preso?
>> Ranma rise
divertito prima che la nostra attenzione venisse di nuovo catturata da
Kuno: <
Suonato a chi? O dolce Judith Montgomery ti prego di non dar retta alle
sciocchezze che escono dalla bocca di questo bruto. Il mio nome
è Tatewaki
Aristocrat Kuno, detto il tuono blu del liceo Furinkan e adesso
chiamato il
tuono blu della Tōdai! Io, umile servitore, sono a tua completa
disposizione
per scortarti in questo lungo percorso nel nostro Paese...
>> e prese una
delle mie mani, ancora strette fra le sue, e ne baciò il
dorso.
<< Kuno lascia in pace la mia amica! >>
<< Oh dolce Akane Tendo, che disgrazia che tu mi abbia
visto! Non era
niente, solo un gesto di pura cortesia verso questa innocente
fanciulla, tu sai
che il mio cuore ama solo te e perciò non devi preoccuparti
o essere gelosa! O mio
bocciolo di rosa che fiorisce a maggio con la rugiada del mattino...
>>
Continuando
a decantare improbabili versi
d'amore, Kuno provava ad abbracciare Akane, che lo guardava con sguardo
truce,
mentre Ranma gli impediva di avvicinarsi tenendolo con un dito da un
passante
dei pantaloni beige.
<< Ma fa sempre così? >> chiesi
di nuovo bisbigliando a Ranma a
metà fra il preoccupato e il divertito.
<< Ogni-santo-giorno >> mi rispose
scandendo ritmicamente le
parole. Ma, mentre io ormai non riuscivo più a non ridere,
passò di fronte a
noi Amina e, per fortuna, Kuno lasciò immediatamente Akane,
seguendo la
straniera e proclamando il suo nuovo amore per “questo
straordinario fiore del
deserto”.
<< Judith mi dispiace, non farci caso >> mi
disse Akane ridendo
mentre si aggiustava le pieghe del vestito.
<< Oh sì, qui non ce n'è uno
normale, vedrai! >> si unì Ranma
sorridendo di rimando.
<< Ragazzi venite a pranzo con noi? >>
Mentre Kuno scodinzolava ancora dietro a quella o a questa ragazza,
straniera o
no, due ragazzi si avvicinarono a noi. Uno aveva i capelli ricci e
chiari,
quasi rossicci, gli occhi marroni ridenti e il sorriso simpatico,
mentre
l'altro, di poco più alto, aveva il viso dai lineamenti
più seri, come i
capelli scuri dal taglio classico.
<< Loro sono Hiroshi e Daisuke, siamo amici fin dai tempi
del liceo
>> mi spiegò Ranma mentre i due ragazzi si
inchinavano << E lei è
Judith >> aggiunse poi, quando ad inchinarmi fui io.
<< Molto piacere Judith, io sono Hiroshi, anche io ospito
un ragazzo
straniero! >>
<< Il piacere è mio! Oh davvero? E chi?
>>
<< Alexander, anche lui viene dall'America, lo conosci?
>>
<< Hiroshi tu ospiti quel fusto? >> si
intromise una ragazza dalla
voce squillante e i lunghi capelli castani chiari.
<< Wow, presentacelo! Akane tu l'hai visto?
>> domandò un’altra
ragazza, anche lei appena arrivata, con i capelli mogano raccolti in
una coda
da un bel fiocco rosso acceso.
<< Be’ sì, prima era sul palco di
fianco a Judith... >>
<< E non trovi che sia mozzafiato? >>
esclamarono le due ragazze in
coro.
<< Io veramente... sì... è
carino... >>
<< Ma che carino e carino? Dove lo vedete carino? Tutti
quei muscoli
saranno frutto degli steroidi o di qualche altra porcheria occidentale!
>>
<< Ranma, ma se sembra una statua! >> lo
stuzzicò una delle due
amiche.
<< Tsk! Per favore! Scommettiamo che lo batto con le mani
legate?
>>
<< Ranma, guarda che per essere belli e in forma non si
devono per forza
praticare le arti marziali eh!! >>
<< Ti ci metti anche tu adesso, Akane? Se ti piace tanto
vai da lui no?
>>
<< Uuuuu gelosone!! >> fecero coro Hiroshi
e Daisuke.
<< E smettetela voi! Non dovevamo andare a pranzo?
>>
E il mio buffo primo
giorno di università
si concluse così, con nove ragazzi a pranzo sull'erba.
Con Kuno, che
si spostava di albero in albero, tentando di comporre una canzone
d'amore per me e per la “dolce Akane Tendo”.
Con Ranma, che
guardava di sbieco Alexander, il quale sorrideva cordiale alle
attenzioni di Yuka e Sayuri sedute attorno a lui.
Con Akane, che
rimproverava bonariamente il comportamento civettuolo delle sue
due amiche e nel frattempo intimava a Ranma di essere
“più gentile” con il
ragazzo straniero.
Con Hiroshi e
Daisuke, che lo prendevano in giro con frasi tipo “Finalmente
è
arrivato qualcuno a tenergli testa!” oppure “Ranma
è geloso perché per una
volta tutte le ragazze non stanno corteggiando lui!” e poi
scappavano per tutto
il prato, rincorsi dal ragazzo che “se li prendeva, gliela
faceva vedere lui!”.
E con me, che
in un giorno solo avevo ricevuto un nuovo soprannome e mi ero
fatta altri nuovi amici, tutti simpatici, tutti carini, un po' matti
forse (uno
di sicuro) ma... era solo l'inizio!
***
Sorpresa!!!
Chiedo perdono a tutte, non vi avevo detto niente lo so, ma volevo
farvi una
sorpresa... ci sono riuscita? :)
Bene allora, devo scusarmi davvero con tutte le persone che hanno letto
il
primo capitolo di questa storia, nell'ultimo mese sono stata impegnata
con una
cosuccia chiamata “tesi” ma oggi l'ho consegnata
per cui... eccomi di nuovo a
voi!
Spero tanto che questo capitolo vi piaccia, sto cercando far
ripercorrere a
Judith (o Jude come vi piace di più) il percorso di Ranma
nel manga,
quindi...avete capito chi sarà il prossimo?
Come sempre grazie infinite a chi leggerà e soprattutto a
chi troverà tempo per
lasciarmi scritti i suoi pensieri, fanno sempre immensamente piacere
(soprattutto su questa storia che sta venendo fuori in un modo assai
bizzarro,
quindi sono non poco dubbiosa!)
A presto (si spera!),
vostra Aronoele (:
Ps:
ci tenevo a farvi sapere che per i ragazzi stranieri che sono sul palco
con
Judith durante la cerimonia di presentazione, mi sono ispirata a
ragazzi/e che
conosco davvero... (sì Pia, anche Alexander! XD)