Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Elisabeth S    09/06/2014    3 recensioni
Recensite mi fa piacere sapere cosa ne pensate! Grazie ^^
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-e' morto!- disse il barista sgomento.
Tutti nel bar si fecero improvvisamente silenziosi, mentre la figura sconosciuta usciva dalla porta d’ingresso, pronta a prendere il volo, nello stesso istante alcune urla isteriche si levarono dal luogo appena abbandonato.
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Basta doveva averla per se.
Solo per se!
A tutti i costi!
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Tornò nella stanza della ragazza furibondo poi vedendola così inerte abbracciata a quel frugoletto della sorellina, più l'imminenza del lavoro, prese il volo e andò dalle anime in attesa di essere prelevate lasciandole però un messaggio sul muro "piccola ragazzina se ci tieni alla pelle mi dovrai delle spiegazioni"
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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     Era notte e tutto era illuminato dalle luci della città. Man mano che ci si dirigeva verso la periferia, le luci anda­vano diradandosi e gli enormi palazzi venivano sostituiti da tante casette a schiera, apparentemente tutte uguali, ma allo stesso tempo diverse.
     Proprio per quei cieli una figura scura e quasi invisibile volava al di sopra dei grattacieli per raggiungere l'ennesima vittima scritta sulla sua pergamena...
     Quasi come attratta da qualcosa la figura rallentò, im­prov­visamente, atterrando nei pressi di un bar incurante di chi vi si trovasse. Entrò tranquillamente, nessuno lo vide era invisibile, agli occhi di chiunque, anche se gli fossero andati addosso gli sarebbero passati attraverso, proprio come con un fantasma.
     Silenzioso passò tra la gente dirigendosi verso il fondo del bar, lì un uomo se ne stava seduto ad un tavolino tutto solo, ubriaco e mezzo moribondo, si era accasciato in avanti con la testa sul tavolo e un bicchierino in una mano, mentre l’altro braccio pendeva mollemente verso il basso.
     La figura avanzò lentamente senza fretta, si posizionò di­fronte all’uomo che alzò la testa -E tu che diavolo vuoi!- avrebbe voluto dire, ma dalla sua bocca uscirono solo una se­rie di farfugli indistinti, comunque la cosa non ebbe più importanza perché, un secondo dopo, l’essere misterioso si chinò su di lui e l’uomo cadde a terra morto, mentre la figura ancora invisibile, al resto delle persone, se ne andava con in mano, ma forse era meglio dire tra gli artigli, il suo bottino, l’anima del poveraccio.
     Inizialmente, nessuno sembrava essersi accorto del cor­po dell’uomo, ma non ci volle molto perché ciò accadesse, infatti il barista si avvicinò.
    -Ehi, George hai bevuto troppo anche sta volta vero!- fece per aiutarlo ad alzarsi ma si accorse che c’era qualcosa che non andava, tastò il collo dell’amico ma non c’era battito.
     -E’ morto.- disse il barista sgomento.
     Tutti nel bar si fecero improvvisamente silenziosi, mentre la figura sconosciuta usciva dalla porta d’ingresso, pronta a prendere il volo, nello stesso istante alcune urla isteriche si levarono dal luogo appena abbandonato.
    
     La giornata era stata splendida si era divertita moltissimo con le sue amiche al centro commerciale, tra saldi, shop­ping, chiacchiere e risate il tempo era volato via e tutti i pen­sieri scomparsi, non riusciva ancora a spiegarsi il perché ma quella mattina si sentiva agitata come se dovesse succe­dere qualcosa di importante o peggio scon­vol­gente, e aveva te­nuto quel macigno sullo stomaco per tutto il tempo, tanto che iniziava a sentirsi male. Poi all’improvviso Annabell le aveva telefonato chiedendole se le andasse di uscire, Seline in realtà non se la sentiva molto ma la sua amica sapeva come convincerla, infatti, eccola lì con le sue amiche a pas­sare una pazza giornata, probabil­mente avevano attirato un po’ l’attenzione, ma non ci fecero caso si divertivano questo era la cosa importante, al punto che alla fine si era fatta sera. Le ragazze guardarono l’ora e decisero di tonare a casa.
     Mentre si avviavano verso l’uscita, Seline sentì un bri­vido scenderle lungo la schiena si guardò attorno e poi chiese: -Ragazze avete anche voi la sensazione di essere osser­vate?-
     -Scherzi vero, insomma, voglio dire con tutte le risate e gli schiamazzi si sarà girato mezzo centro!- replicò Sara.
     -Oh bè, di sicuro non ci siamo risparmiate.- Elly si mise a ridere.
     -Ok, ok! Mi avete convinta.- rispose infine Seline anche se quella sensazione non l’aveva abbandonata, anzi lo sen­tiva, qualcuno la osservava, con tanta intensità da procurarle altri brividi.
     Proseguirono in gruppo fino al parcheggio poi si divisero alcune alle macchine altre in autobus.
     Annabell seguì Seline alla fermata e le disse: -Senti, questa sera devo andare da nonna e devo scendere qualche fermata prima, ti disturba fare la strada da sola? Insomma se vuoi ti accompagno fino a casa e poi torno indietro tanto la casa della nonna non è lontana dalla mia fermata.-
Seline le sorrise -Tranquilla vai pure, tanto sono solo cinque minuti di strada se mi affretto. Non ti preoccupare. Comunque grazie.- le diede un abbraccio.
    -Di nulla, grazie a te.- ricambiò l’abbraccio e poi aspet­ta­rono l’autobus.
 
     Seline si strinse nel cappotto mentre tornava a casa, quella notte era più fredda del solito, il buio era già calato sulle strade deserte, l’unico suono nell’aria fredda della sera, era un assordante silenzio e la cosa la metteva a disagio.
    Si guardò attorno poi girando l'angolo vide subito il tetto familiare di casa sua era un po’ isolata ma anche grande, difficile non notarla.
     Mentre si avvicinava ripensò all’ampio giardino che si apriva attorno a tutta la casa appena superato il cancello ri­co­perto da cespugli che tra poco con l’arrivo della prima­vera si sarebbero riempiti di fiori profumati e pieni di co­lori vivaci, presto una varietà di Rose sarebbero sbocciate proprio sotto il balcone della sua stanza arrivando fino ai lati della porta finestra.
     I muri bianchi di casa si sarebbero coloriti e vivacizzati per via dei rampicanti.
     Persa in questi pensieri avanzò un po’ più tranquilla si ridestò solo quando passò difronte al cancello si fermò per aprirlo e in quell’istante sentì di essere osservata.
     Nel frattempo anche una altra persona era nei paraggi e osservava insistente quella ragazza dai capelli del colore di qualche tonalità più chiara del cielo notturno. Si fece più vicino, la falce era scomparsa e lei ali non erano più visibili. Indossava solo una semplice camicia bianca bottonata a metà e un paio di pantaloni neri attillati che mostravano la sua muscolatura.
     Teneva le mani in tasca mentre camminava verso di lei, finalmente l’aveva trova, ci era voluto un po’ di tempo ma ne era valsa la pena e poi ora che la guardava bene era davvero bella. Questo avrebbe reso sicuramente il suo compito più piacevole.
     Il suo sguardo era puntato su di lei, palesemente attirato dalla sua bellezza così particolare, anche per una come lei. La pelle chiara quasi bianca sotto la luce della luna e i capelli brillavano di riflessi blu-azzurri, la osservò da capo a piedi intensamente, affinché lei che continuasse ad avere la sensazione di essere controllata, infatti, si girò per vedere chi po­tesse essere, sorrise compiaciuto.
     Lui la fissò con i suoi occhi viola quasi neri, profondi e maliziosi. Iniziò a sorriderle.
     Seline aggrottò appena le sopracciglia chiedendosi cosa volesse, vedere il suo abbigliamento le fece venire un bri­vido di freddo e si sistemò automaticamente il cappotto. Aprii il cancello.
     Ormai le era quasi vicino. -Ehi! ciao!- le disse, per attirare nuovamente la sua attenzione.
     Lei non rispose e si limitò a guardarlo come a voler dire “cosa vuoi?”
Sorrise ancora spostando nuovamente lo sguardo dal basso verso l’alto, lungo il suo corpo, e fissò quegli occhi di un blu chiaro come quello delle acque tropicali, così profondi e limpidi.
     In risposta, a questa situazione, fece un passo verso il cancello, questo tipo la stava mettendo una certa inquietu­dine, una sensazione sgradevole, come se in lui ci fosse qual­cosa di tremendamente fuori posto, eppure familiare.
     A quell’ultimo pensiero si diede uno schiaffo mentale, come poteva esserci qualcosa di familiare in un tipo che non aveva mai visto prima d’allora, doveva essere colpa della stanchezza e della suggestione, senza dubbio.
     -Come va?- le chiese lui avvicinandosi di più, arrivò fino alla colonna del muro di recinzione, dove andò ad appoggiarsi, di fianco, con una spalla incrociando le gambe.
    Continuò a non rispondere, non sapeva il perché ma, in lui, c'era qualcosa che la metteva a disagio.
     -Che c'è? Perché non rispondi?- le chiese.
     -Perché dovrei?- sentiva i nervi a fior di pelle.
     -Perché, di solito, quando una persona ti rivolge la parola si risponde no?- le si fece vicinò.
     Seline a sua volta si allontanò da lui, oltre il cancello verso l'interno del giardino.
     -Be, di solito, ci si presenta prima di fare domande ad una persona che non si conosce.- cercava di prendere tempo per scappare in casa. Lui tirò fuori le mani dalle tasche in segno di pace. -Ti ho solo chiesto come va!-
     Ok ora si sentiva irrazionale ma non riusciva a far altrimenti.
     -Bene. Ok. Ora devo andare.- Chiuse il cancello per bene, andando verso la porta di casa.
    Rise. -Ok, ok. Ci si vede!- le disse e, non appena lei fu entrata in casa, scomparve nell'ombra, rendendosi nuo­va­mente invisibile.
 
     Tirò un sospiro di sollievo sentendosi ancora quella sensazione addosso, lo sapeva bene era stata davvero esagerata, si disse mentalmente mentre andava in camera sua, era talmente assorta nei suoi pensieri che malapena sentì sua madre chiamarla.
     -Ehi. Buona sera tesoro, sei tornata.- Alice salutò dolcemente sua figlia ma non ricevendo risposta si avvicinò forse non l’aveva sentita.
     -Seline… Seline? Seline!- le toccò una spalla facen­dola trasalire leggermente.
     Seline si girò e vide sua madre. -Oh. Ciao mamma, scusa non ti avevo sentita ero sovra pensiero.- si giustificò un po’ imbarazzata.
     Alice guardò la figlia negli occhi e poi sospirando le disse: -... sempre la solita tu-, mise le mani sui fianchi.  
     -Be non importa, senti fammi un favore, prima di andare in camera tua, va da tuo fratello e digli di venire giù da me, devo chiedergli un favore.-
     -Certo, ora vado.- rispose.
     Si recò al piano superiore poi dopo le scale girò a destra camminando fino alla penultima stanza, bussò aspettando una risposta. Jason aprì la porta.
     -Ah, sei tu. Dimmi, cosa c’è?-
     Lei gli fece un sorriso. -Mamma vuole che vai di sotto deve chiederti un favore.- Jay mugugnò qualcosa aggrot­tando la fronte, poi si portò una mano ai capelli biondi grattandosi la testa. -Ok, grazie ora vado.- lei annuì e si diresse nella sua stanza ma Jay la richiamò. -Ehi, hai ancora il cappotto!- le fece notare, lei si guardò.
     -Oh, vero. Non me ne ero accorta.- Fece spallucce, mentre Jason alzava il sopracciglio piegando, in un sorri­setto, l’angolo destro della bocca, quello dove aveva il pier­cing, un anellino circolare color argento. Sua madre si era arrabbiata molto inizialmente poi ci aveva rinunciato e fatto l’abitudine, pensò Seline e scosse la testa andando via.
     Entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle pog­giando­visi contro per un secondo. Chiuse gli occhi, e so­pirò andando verso il letto.
     Buttò giacca e borsa, sulla sedia della scrivania e si andò a sdraiare sul materasso osservando il soffitto mentre, col pen­siero, tornava a pochi minuti fa, fuori di casa, al­l’incontro con quel ragazzo, non sapeva nemmeno lei perché ma c’era qualcosa che, al di là del suo aspetto, l’attirava e allo stesso tempo la metteva in guardia, avverten­dola che era qualcuno da cui avrebbe dovuto guardarsi.
     Si morse il labbro ormai non sapeva più quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a riflettere su quello che era accaduto, lanciò un specie di mugolio sconsolato dandosi della stupida, prese un cuscino e se lo premette in faccia sfogando il nervosismo.
     All’incirca una quindicina di minuti dopo spostò il cuscino che aveva tenuto posato sul volto e, scalciando via le scarpe, si rannicchiò su un fianco abbracciando il cuscino, in quella posizione osservò il suo riflesso nello specchiò mantenendo, per tutto il tempo, la sua mente in una specie di assenza totale di pensieri, e vi rimase per parecchio finché la voce di sua madre non giunse da dietro la porta.
     -Seline tesoro, vieni è pronto in tavola.-
     -Si, arrivo.- rimase lì un altro paio di secondi sdraian­dosi supina fece un sospiro, e dando un ultimo sguardo allo specchio si alzò per raggiungere gli altri a cena.
 
     Il giorno dopo si svegliò con la luce dei raggi del sole, che filtravano dalla finestra attraverso le tende chiuse. Ne sen­tiva il calore sulla pelle, aprì gli occhi, a giudicare dalla lumi­nosità che aveva raggiunto la stanza finalmente la primavera stava arrivando.
     Sorrise e si stiracchiò ritirando di scatto il braccio, aveva sentito qualcosa pungerla guardò alla sua destra e vide una rosa.
     Rimase interdetta e stupita, le rose nel suo giardino avevano a malapena formato dei boccioli, mentre questa era una rosa in piena fioritura.
Ma a sconvolgerla non fu questo bensì un'altra cosa, quel bellissimo fiore sicuramente non apparteneva al suo giardino lì non vi erano rose nere e soprattutto non vi erano rose in fiore, e l’altra cosa, quella più strana, era la risposta alla domanda che le affiorò in mente Come ci era arrivata quella rosa sul cuscino? Forse non lo avrebbe mai saputo.
Passò la mattinata a finire i suoi progetti in sospeso e facendo le pulizie nella sua stanza. Ogni tanto l’occhio le cadeva sulla rosa nera, posata sulla scrivania, era più forte di lei non riusciva a non guardarla per più di una decina di minuti. Sapeva per certo che non era stato nessuno tra i suoi famigliari a portarla nella sua stanza: Ma, pensò, se si escludono loro, chi è stato?
Era un mistero.
    Verso pomeriggio inoltrato, uscì e andò in centro città, dato che era una bella giornata, stava pensando di fare un girò al parco, quindi prese la bici e vi andò. Le strade da quelle parti erano sempre libere fu avvicinandosi al centro che iniziarono a riempirsi sempre più, quindi iniziò a passare per i vicoli la distanza era sempre la stessa però doveva fare attenzione a svoltare nelle direzioni giuste. Alla fine, dopo qualche incertezza, riuscì a raggiungere il parco e vi entrò pedalando tranquilla per le vie di quell’enorme viale alberato. Pedalò per circa mezzoretta, poi decise di fermarsi per riposare e godersi un po’ il sole di quella giornata calda, finalmente la primavera stava arrivando. Scese dalla bici e tenendola per il manubrio cercò un punto dove sedersi tranquilla, e fu così proprio in quel mo­mento che lo vide le si era avvicinato tanto da averlo ad una spanna di distanza e lei non se ne era nemmeno accorta!
     -Ciao.- le disse nell’istante in cui lei si scostò per la sorpresa e lo spavento, ma inciampò sulla bici e perse l’e­qui­librio cadendo all’indietro, il ragazzo veloce come non si sarebbe mai aspettata l’afferrò al volo per la vita e la strins­e a se impedendole di cadere, mentre il suono metal­lico della bici, ormai a terra, si faceva sentire.
     -Cosa c’è, sono così brutto da averti spaventata?- chiese divertito. Seline gli scoccò un occhiataccia e si liberò della sua stretta.
     -Ehi calma, vacci piano non vorrai cadere vero?- sogghignò. Lei irritata prese la bici da terra per andarsene.
     -Aspetta, non volevo offenderti, c’è una cosa che ti volevo chiedere.- Seline si girò -Cosa volevi?- chiese. Lui in cambio le sorrise e rispose -Semplicemente ero curioso di sapere se ti era piaciuta la rosa.- e mentre parlava si mise a rigirarsi tra le dita una rosa nera in fiore. Alla ragazza quasi le si bloccò il respiro. -Tu?- disse sconcertata -La rosa sul mio cuscino, l’hai messa tu!-
Rise era una risata cupa metteva quasi i brividi -Ovvio, e chi se no.- si avvicinò di un passo. -Stammi lontano, non ti avvicinare mai più a me né ora né mai.-
     Gli occhi del ragazzo si fecero cupi erano di un viola quasi elettrico -Mi spiace ma non posso, mi attiri troppo, comunque volevo solo sapere questo… per oggi. Alla prossima.- e così dicendo baciò la rosa e gliela mise tra i capelli prima che lei potesse scostarsi. Le fece l’occhiolino ed in fine se ne andò.
Dopo alcuni secondi di sconcerto gettò la rosa a terra, strappandosi nella foga qualche capello, saltò in sella alla bici e tornò a casa correndo a più non posso. Una volta nel vialetto mollò la bici sul retro di casa, entrò salendo velocemente in camera sua, chiuse la porta poi prese la rosa e con un accendino, che stava sul tavolino all’ingresso quello che la madre usava per accendere l’incenso o le candele profumate, che posizionò sotto ad essa le diede fuoco. Lasciò che la rosa bruciasse fuori dalla finestra e la tenne finché il gambo non fu troppo corto per tenerlo allora l’appoggiò al davanzale e rimase lì fino a ché di essa non rimase solo cenere.
***
 
     Veloce e letale volava nel cielo notturno verso la sua prossima anima.
Diede, ancora una volta, uno sguardo alla pergamena nera, a tratti quasi luminescente, su cui spiccava vividamente, come la luce di un faro nella notte, un nome, le lettere scarlatte spiccavano decise sulla pergamena, rosse come il sangue. Così dense da dare l’impressione che l’inchiostro potesse divenire liquido da un momento all’altro e colare giù dalla carta di pece.
     Con un unico colpo secco, richiuse la pergamena e si diresse a ovest sapendo che li si trovava ciò che andava cercando, e non solo lo sapeva ma lo sentiva il suo corpo lo stava avvertendo mentre un fastidioso pizzicorino partendo dalla fronte, al disopra dell’occhio destro, gli attraversava tutto il corpo come una scarica sotto pelle.
     In meno di un minuto arrivò nel luogo, prefissato dove avrebbe avuto fine una altra vita, questa volta però non provava assolutamente alcuna compassione, sapeva pur non essendosi dovuto informare che la vittima era un assassino che si divertiva ad infliggere atroci pene alle sventurate creature che avevano la sfortuna di incontrarlo, essi erano per la maggior parte bambini e giovani donne tra circa i 6 e i 25 anni.
     Un essere simile non merita nessuna pietà.
A questo pensiero un piccolo ghignò solcò le sue labbra carnose in attesa che arrivasse il suo momento.
     Non dovette aspettare molto perché circa un paio di secondi più tardi un uomo alto e nerboruto, a lunghe falcate, si fece strada, inconsapevolmente, proprio nel vicolo in cui la sua morte lo stava attendendo.
     Non che essere a conoscenza di questo fatto avrebbe cambiato qualcosa per lui, non quando le sirene delle auto della polizia, suonavano incessantemente, come impazzite, alle sue spalle mentre correva a perdi fiano con un piccolo fagotto a spuntargli da sotto il braccio.
     Tutto successe molto rapidamente, anche se per l’oscuro osservatore sembrava tutto ancora molto lento, le auto frenarono rumorosamente qualcuno grido al fuggiasco di fermarsi ma lui non lo fece.
     Un altro avvertimento passi di gente che correva, l’assassino che girava l’angolo un altro grido, e lo sparo che mise fine a tutto quel trambusto. Un unico e semplice sparo e poi il silenzio, tutti i suoni sembravano essere stati in­ghiottiti da quel singolo rumore, a spezzare il pesante silenzio solo il rumore attutiti di passi sull’asfalto mischiato ai cuori che battevano furiosi in sintonia con i respiri spez­zati, mentre gli agenti si avvicinavano. Uno di loro toccò il collo dell’uomo a terra, niente non c’era battito.
Morto.
     Il poliziotto si stava per allontanare quando il fagotto rimasto sotto il cadavere si mosse appena, tutti rimasero immobili mentre i respiri venivano trattenuti, allungò una mano spostò il braccio dell’uomo e poi scosto un lembo della tela. L’uomo si immobilizzò totalmente impreparato a ciò che vide, un paio di dolci e terrorizzati occhi castani, quelli di una bimba, così piccola da spezzare il cuore, le parlo piano rassicurandola mentre la traeva a se e la cul­la­va, dicendole che era tutto finito. Alle sue spalle il guer­riero oscuro guardò la scena schifato, per via dell’essere ap­pena morto, pensando a cosa sarebbe sicuramente accaduto alla piccola se non avessero messo fine alla vita del suo aguzzino. Indugiò un secondo osservando quegli occhietti castani fissarlo intensamente gli unici a poter percepire la sua persona tra tutti i presenti, la guardò e si portò il dito indice difronte alle labbra facendole segno di non dire nulla, poi la sua attenzione gravitò di nuovo sull’uomo a cui si stava avvicinando.
     Si posiziono all’altezza della sua testa lacerando, con un unico colpo, il legame che teneva l’anima dell’uomo ancora legata al suo corpo mentre con gli artigli affilati, simili a lun­ghi coltelli che aveva al posto delle dita, prendeva l’essenza dell’uomo portandola con se nel mondo dei morti, dove si sarebbe assicurato di dare una degna sistemazione ad un anima così sporca.
   
 
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