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Autore: demonwxlf    09/06/2014    0 recensioni
[Metro 2033]
Sono vent'anni che siamo rintanati nella metro. E' la nostra casa. Per alcuni di noi, l'unica casa che abbiamo mai avuto. Non ricordola sensazione del sole sulla mia pelle, perche' non la ho mai provato.
Il sole mi avrebbe potuto bruciare le retine, perche' io sono una creatura oscura. Nata e cresciuta nell'oscurita' piu recondite della metro di Mosca.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Nikolaj!»

«Arrivo, signore. »

Con un grugnito, il ragazzo coi colori del quarto Reich si alzo' dal cerchio di luce che le fiamme aveva creato attorno al loro accompamento. Era notte, e la neve vorticava attorno a loro: avvolti in un perenno inverno, era quella la loro punizione; Nikolaj si strinse meglio dentro il cappotto pesante, scrollando la testa per evitare che la neve scivolasse dal visore notturno al suo viso scoperto.
Un lieve alone di barba gli adornava le guancie che erano state glabre fino a qualche mese prima, e la sua figura pendeva lievemente verso destra, a causa dell'AK-47 appoggiato su quella spalla.

«Cosa posso fare per lei? »

«I rossi sono saliti. Fuori dalla biblioteca. Credeno che non li seguiremo anche li? Armati, tu, Jurij e Ralph andrete  a prenderli. Sono solo due. Di agli altri due che e' Jurij in comando.»

Nikolaj non disse nulla, annui' e basta.
Attorno a loro, su Mosca, si era formata una coltre gelata di neve, fredda come nient'altro.
Smise di nevicare, sopra Nikolaj Vladimerivic Smirnov.



Il mio nome e' Nikolaj.




Jurij aveva fatto carriera nelle forze armate naziste con la stessa facilita' con cui conquistava la fiducia dei prigionieri quando erano al fronte. C'era qualcosa, nel suo modo di fare, che pareva fatto a pennello per lui.
Era incredibile come fosse facile, per lui, farsi apprezzare, e come queste doti fosse accompagnate anche da un notevole talento: Jurij, come Gagarin, era uno dei pochi ad aver passato il fronte per piu' di dieci volte, ed esserne fatto tre dentro e fuori la biblioteca.
Non per niente, lo aveva fatto ufficiale a nemmeno venticinque anni,
Ma ora, nella cupa oscurita' rischiata solo dalla luna e della fredde stelle, i loro volti parevano solo macchie opalescenti dietro i visori notturi, che parevano stravolgere le loro fattezze, rendendoli piu' simili ai mostri che uccidevano e a cui venivano paragonati, che a tre giovani soldati arruolatosi per il quarto Reich solo perche' erano nati in una delle loro stazioni.
Specie Jurij.
Jurij pareva deformato, specie nei riflessi del ghiaccio tutt'attorno a loro; procedeva a passo spediot, seguendo piste che avevano tracciato i suoi commitoloni prima di lui, eppure il suo occhio pareva attento come pochi altri, fisso ed allo stesso scattante, da un palazzo, ad un antro, ad un foro nel terreno; di loro tre, Jurij era l'unico ad aver mai visto la luce del sole, ad averla sentita sulla sua pelle.
Fu Jurij il primo a notare l'ombra che gli seguiva alle spalle, nascosta dalle rovine, ma non fu il primo a lanciarsi dietro le macerie, alla ricerca di copertura: per primo vi spinse Ralph, che era il piu' giovane dei tre, all'alba dei suoi diciotto anni compiuti da nemmeno un mese, seguito da Nikolaj che cadde di schiena, il mitragliatore gia imbracciato. Jurij rimase accovacciato accanto a loro, aspettando che la minaccia passasse.
A sentire le urla, non erano loro le vittime prefissate.
Cinque minuti dopo, erano di nuovo in cammino.




Sono nato nella Chekhovskaya, la stazione centrale del IV Reich. Insomma, il centro della coalizione nazista, che si impegna a preservare il nome della nostra razza e la nostra purezza.
O qualcosa del genere.
Vi assicuro che non vi vengono a chiedere che cosa ne pensate della loro ideologia quando vi arruolate; un tempo, credo, fosse cosi. Dovevi pensarla come loro e dovevano esserne certi, prima di accettarti.
Adesso, il semplice fatto di appartenere ad una delle loro stazioni, di essere nato sotto il loro segno, ti rende parte integrante della loro societa'; quando compi diciotto anni, non importa chi tu sia o di chi tu sia figlio, cosa ne pensi di loro o cosa ne vuoi fare della tua vita, ti devi arruolare, specie se a quest'ultima ci tieni.
Ho compiuto diciotto anni la settimana scorsa: suona stupido, lo ammetto, quando non si ha piu il sole per contare il passare dei giorni, ma nella metro abbiamo organizzato anche questo.






Aveva smesso di nevicare da almeno venti minuti, si rese conto Nikolaj, lanciando uno sguardo rapido all'orologio che portava sempre al polso; aveva cambiato i filtri della maschera antigas una volta sola, anche se di li a poco lo avrebbero fatto di nuovo.
Non che fosse necessario, ma non potevano arrivare in battaglia con il rischio di morire soffocati per l'aria contaminata.
La biblioteca si ergeva accanto a loro, ma l'aria era ferma: era sempre ferma, nel gelido inverno in cui il mondo era crollata da oltre vent'anni.
Era sempre freddo, ed era sempre buio: Nikolaj non aveva mai visto la luce.
Era nato e cresciuto nelle piu' oscure profondita della metro, nel cuore del quarto Reich.
Si acquattarono nelle ombre dell'ingresso di quella che, un tempo, doveva essere stata una delle piu grandi onti del sapere mondiale; non poteva saperlo, e forse non lo avrebbero mai saputo. Nessuno andava volentieri in quei luoghi, ove i biblioteari avevano il potere, e nessuno di coloro che ricordava voleva comparare il mondo in cui viveva ai propri ricordi.
Erano rinchiusi nella loro stessa bolla di bugie, con la speranza che le cose sarebbe un giorno migliorate.
Nikolaj strofino' con forza le proprie mani, l'una contro l'altra. Se fossero stati alla base, all'avamposto, si sarebbe potuto scaldare sul fuoco. Se fossero stati all'avamposto, avrebbe potuto sparare conto ogni singola minaccia senza paura.
Ma li, nel piu pericolosi dei luoghi di Mosca, non poteva fare nulla.
Il freddo e la paura gli stringevano lo stomaco.



Sono nato il diciassettimo giorno del settimo mese del secondo anno della fondazione del quarto Reich e, per tutti gli altri, il diciassettimo giorno del settimo mese del secondo anno dal disastro nucleare che ci ha costretti tutti sottoterra, come ratti nella metro.

Suona strano, no?
Combatto per coloro che vogliono eliminare i ratti della societa' dalla metro, eppure siamo tutti noi dei ratti. A volte non riesco a capire che cosa ci spinga a tutto questo ma, mi rendo conto anche di questo, sarebbe potuto essere molto peggio.
Sarei potuto essere nato fuori, in una delle stazioni che ormai sono solo delle ombre nella mappa di questo nostro nuovo mondo,  dei buchi bruciati sulla carta. Le stazioni oscure, dove le anomalie sono all'ordine del giorno e la gente... Beh... La gente viene trovata morta in maniera che non sono umanamente possibili.





Arrivarono prima i Rossi dei bibliotecari; forse era perche' l'aria era particolarmente ferma, ed il loro odore non si era ancora propagato per le ampie vetrate, o forse perche' pure quei primati aveva di meglio da fare che attaccare dei semplici uomini di passaggio.
Forse, o forse stavano solo aspettando.
Nikolaj scosse la testa, allontando da se quel pensiero cosi cupo. Strinse il calcio del fucile, e si costrinse a non guardare in faccia Jurij, alla ricerca di una qualche forma di rassicurazione, di forza.
I suoi occhi chiari si fissarono sul portone, l'unico ingresso per la biblioteca, in attesa. I Rossi non si fecerono attendere.
Non appena le sagome dei loro corpi si stagliarono, perlacee per la luna, contro la porta di pesante ebano, i nazisti aveva gia iniziato a sparare: quello fu il loro piu grande errore.
Non videro l'ombra nera muoversi finche' non fu sopra il primo dei Rossi, quello che aveva tentato di avanzare per cercare una posatzione coperta: ma videro il sangue, fioccare dalle membra completamente distrutte.
Lo avevano fatto a pezzi.
Smisero di sparare, ma era troppo tardi.
Ralph si alzo' per primo, cominciando a correre verso l'uscita: la sua testa cadde in grembo a Nikolaj.
Scoppio' il pandemonio, le urla si unirono agli spari; per fortuna di Nikolaj, i Rossi non erano soltanto due, anzi. Altri cinque si unirono alla pila di cadaveri al centro della stanza.




Quando ho compiuto diciotto anni, sono venuti a prendermi a casa. Un giovane, che non aveva nemmeno dieci anni piu di me, ma che pareva aver visto il mondo in una maniera che io mai mi sarei potuto immaginare, seguito da due soldati, di cui uno un mio ex vicino di casa; era stato chiamato alla leve esattamente due anni prima, ed era partito con la luce negli occhi di chi sa di star facendo la cosa giusta.
Quando lo ho rivisto, cosi scintillante nella sua uniforme candida, mi sono sforzato di essere felice per il suo essere ancora in vita. Mi sono sforzato, perche'una parte di me gli aveva augurato la morte, cosi come a tutti questi idioti che partono senza sapere cosa davvero gli attende.






«Nikolaj, scappa!»

Urlo' Jurij, prima di uscire a propria volta dalla postazione. Erano gia tutti morti, tanto valeva morire da eroi. Nikolaj rimase pralizzato, lo sguardo fisso sul suo superiore, mentre lo vide portarsi la pistola alla tempia, suicidandosi prima di poter essere ucciso lentamente da quelle creature.
Nikolaj non si mosse.
Senti' il bisogno di vomitare, ma non poteva togliersi la maschera.
Fu per mero istinto di sopravvivenza che riusci' a strisciare in alto, rientrando nel buco da cui loro stessi prima si erano infilati, mentre le bestie erano distratte.
La schiena aderi' alla parete, il respiro riprese, pesante. Forse avrebbe dovuto cambiare il filtro dell'aria, ma non ci riusciva. Le mani gli tremavano, il Kalashnikov era pesante sulle sue gambe.
Erano tutti morti.




Io so cosa mi attende. Ho sentito gli ufficiali parlare nei pochi bar della Chekhovskaya, ed ho sentito dove vogliono andare e cosa vogliono fare una volta arrivati: come se non avessimo abbastanza grane nel combattere coi Rossi al confine.




«Nikolaj!»

Una voce lo riscosse improvvisamente.
Per un attimo, fece per alzarsi, pronto ad urlare alla voce che lo aveva chiamato; un attimo, ma abbastanza per soffocare il rumore contro il morso che si autoinflisse ad entrambi gli interni delle guancie.
I bibliotecari sapevano imitare le voci.
Scosse la testa, per poi stringersela tra le mani, nascondendola quasi tra le ginocchia: erano tutti morti, era circondato da cadaveri, persino in quella stanza ve ne erano. Poteva avvertitre i bibliotecari dall'altra parte del muro, e poteva sentire il loro divertimento.
Aveva sempre pensato di essere bravo, Nikolaj, ma la sua mente, in quel momento, venne invasa da un pensiero completamente diverso.




Quel giorno, comunque, nonostante tutte le mie reticenze, i miei dubbi su quello che i nazisti mi avrebero offerto, su quello che mi sarebbe potuto accadere, accettai senza remore la loro offerta. Jurij Vladimerivc, cosi si chiama l'ufficiale, come il grande Andropov, mi fece fare il giuramento in casa mia, davanti a mia madre.
Giurai di servivere il quarto Reich fino alla mia morte, di lottare per la sua forza e di morire in nome suo.
Fu meno difficile di quanto mi fossi mai aspettato.




Sto per morire, penso'.

«Sto per morire. », rispose una voce, accanto al suo orecchio.
  
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