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Autore: Selhen    09/06/2014    3 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avrei voluto odiarli, come facevano tutti, avrei voluto provare gioia nell’uccidere un elisiano, o nel vederlo morire, ma così non era.
Seduta tra le alte colonne della piazza di Pandemonium, mi specchiavo nell’acqua cristallina di quel piccolo laghetto artificiale. Ero in ascolto del fruscio delle foglie di quel  verde rigoglioso, e ripensavo solitaria a quello che mi era successo quella mattina.
Il sole sbiadito e pallido stava per soccombere alla notte, la vera signora di Asmodae. Era lei la protettrice di ogni asmodiano. Ad essa ognuno di noi era legato da un patto di sangue. Gli asmodiani, le creature della notte, come ogni elisiano ci definiva spregiativamente, vivevano di oscurità e da essa traevano la loro forza.
Portai dietro l’orecchio una ciocca ribelle di capelli bianchi e percorsi la piazza che pian piano si stava svuotando, con il mio sguardo cremisi.
Non riuscivo a credere che mi fosse successa una cosa così singolare, né potevo credere che io, Selhen, stessi ancora a crucciarmi perché uno stupido elisiano, impietositosi, mi aveva risparmiato la vita.
Rimasi immobile, appoggiata alla grande colonna di marmo. Un’immagine, come un flash, mi balenò nella mente.
Il suo sorriso, il suo sorriso divertito alla battuta di un suo compagno di legione.
Mi rividi ad Eltnen, come quella mattina, nascosta tra le foglie. Ero nei pressi di un ruscello, in cerca di ristoro. Il sole cocente di Elysea mi aveva causato capogiri e mi faceva male la testa. Avevo avuto bisogno d’acqua.
Ad un tratto avevo udito il suono di una voce seguito da una risposta. Una lingua a me sconosciuta che da lontano non riuscii a decifrare. La mia cagnetta da caccia, Daf, aveva iniziato ad agitarsi, segno che sì, c’erano degli elisiani nei dintorni ed io ero in pericolo e per di più in netto svantaggio perché nel loro territorio.
Quel giorno ero stata incaricata dal capo della mia legione di infiltrarmi ad Eltnen per procurarmi dei documenti elisiani che avrei trovato in un accampamento. Il problema era sorto quando, in seguito ad un agguato, io e i miei compagni di legione ci eravamo separati e io, come ero stata addestrata a fare in quei casi, avevo iniziato a sgattaiolare, nascondiglio dopo nascondiglio, al varco di ritorno per Asmodae.
Tuttavia quel giorno, data l’eccessiva temperatura e la calura estiva, non era andato tutto come previsto. Avevo avuto bisogno di un po’ d’ombra per rimettermi in sesto e questo, a quanto pareva, poteva condannarmi a morte. Due ufficiali elisiani si stavano avvicinando a me e io ero assolutamente impreparata a combattere.
Rimasi nell’ombra, riparata dalle foglie di un cespuglio, a fissare la strada e ad un certo punto li vidi. Stavano parlando tra loro, assolutamente ignari della mia presenza. Uno dei due doveva aver fatto un’osservazione divertente, perché l’altro era scoppiato a ridere di gusto.
Li osservai, ebbi il tempo di studiarli, e mi colpì la differenza che c’era tra loro e noi. Ogni volta che avevo visto un elisiano da vicino era stato nelle battaglie. E una volta uccisi, con le loro ali richiuse su se stessi, non c’era modo di studiarne i lineamenti.
Adesso erano vicini, tanto vicini e inoffensivi, da sembrare così normali, così… innocui.
Un groppo alla gola mi ricordò l’immensa rivalità che c’era tra il nostro popolo e il loro. Le crudeltà che ognuno di essi aveva fatto all’altro e i bagni di sangue nelle fortezze dell’abisso, quando le due fazioni si scontravano.
La voce calda e suadente del tizio che aveva sorriso attirò nuovamente la mia attenzione. Si era seduto stancamente sulla riva del fiume e aveva deposto l’arma. Un arco splendente e finemente lavorato.
Si trattava di un cacciatore, dunque.
L’amico per tutta risposta parve congedarsi con un’altra battuta, lasciandolo solo sulla riva del fiume ad osservare l’acqua che scorreva quieta. Mi chiesi, curiosa, cosa si fossero detti.
Ignaro di essere osservato l’elisiano si distese sul manto erboso e sospirò rivolgendo gli occhi al cielo. A quel punto un’asmodiana sana di mente sarebbe sgattaiolata via silenziosamente oppure avrebbe colto l’occasione per piantargli una stilettata al cuore e pensare ”Bene, un nemico in meno agli assedi”.
Ma io? Io che avrei fatto?
Era un ragazzo, poteva avere poco più della mia età. I suoi capelli castani ricadevano sulla fronte in un ciuffo e mi accorsi che c’era un perchè. Sembrava che col ciuffo avesse voluto nascondere una profonda cicatrice che gli si apriva, obliqua, sull’occhio sinistro. Ma nonostante i segni delle numerose battaglie combattute, era bello. I suoi occhi verdi ebbero un guizzo, all’improvviso, e l’elisiano scattò a sedere come se fosse allerta. Mi aveva sentita? Aveva capito di essere spiato?
Le sue labbra si arricciarono come per un pensiero che gli fosse passato per la mente causandogli un certo fastidio. Aveva un accenno di barba sul mento che lo rendeva quasi più attraente.
Scossi il capo. Dovevo smetterla di fantasticare, era un nemico e piuttosto pericoloso, per giunta.
Mi preparai a darmela a gambe, prima che al tizio venisse la felice idea di cominciare a esplorare i dintorni, ma misi un piede in fallo e un rametto, sotto il mio peso, scricchiolò minacciosamente.
Imprecai in silenzio e mi voltai sperando di trovarlo ancora là, sdraiato e innocuo, ma fui colta da sgomento quando vidi la superficie del fiume totalmente deserta.
“Altolà” sentii alle mie spalle. Mi voltai lentamente mentre Daf aveva iniziato a ringhiare allo straniero. Ero in trappola, e se solo avesse chiamato rinforzi potevo dirmi spacciata.
Ero un tiratore, avevo bisogno di prendere le distanze per combattere, ma il suo arco era praticamente puntato addosso a me e la sua freccia mi sfiorava quasi il costato, pronta a scoccare. Deglutii e sentii il terreno mancare sotto i piedi.
“Chi sei, asmodiana?”, mi chiese padroneggiando perfettamente la mia lingua.
Deglutii senza sapere cosa rispondere. “Sono… un’asmodiana”, pigolai atterrita, sapendo di avere detto un cosa alquanto banale e idiota. La sua voce aveva assunto un tono gelido e calcolatore.
“Questo l’avevo capito anche da solo” terminò allentando appena la freccia, come se volesse riporla. Mi osservò le mani, che per reazione chiusi a pugno. Stava scrutando le mie dita artigliate con quello che sembrava… disgusto?
“Cosa ci fai qui?” continuò riprendendo a studiarmi ma senza abbassare mai la guardia.
Contrassi i muscoli impaurita e mi appoggiai al tronco dell’albero che mi sbarrava a strada. “Stavo… stavo tornando a casa”.
Mugugnò annoiato e roteò i suoi occhi verdi deponendo completamente la freccia, ma solo dopo aver tirato fuori i miei revolver e averli gettati malamente sul terreno.
Lo guardai stupefatta. “Non mi uccidi?”, gli chiesi a bassa voce, come se non volessi spezzare quell’equilibrio.
“Non se non me ne dai il motivo”, fece lui pigramente passandosi una mano tra i capelli per rimetterli apposto. Notai la sua cicatrice rilucere alla luce del sole di Eltnen.
“Vuoi andare? Vai”, concluse annoiato allontanandosi di tutto punto. “Non mi metto contro una donna sola”.
Socchiusi la bocca per lo stupore. “Cosa…”
“Sì hai capito bene, bambolina asmodiana. Oggi sono magnanimo, ma non farci l’abitudine”. Ridacchiò sarcastico e ripose la freccia nella faretra scrollandosi fastidiosamente i pantaloni in pelle.
“Grazie”, gli dissi solo con un filo di voce.
Quel gesto mi aveva spiazzata. Così come l’atteggiamento di quell’elisiano, che a dirla tutta, sebbene giovane, portava addosso gli abiti di un ufficiale.
Arretrai piano raccogliendo cauta le pistole. Avevo paura che mi colpisse alle spalle ma così non fu.
“Solo una cosa…” disse all’improvviso facendomi sobbalzare.
I miei occhi rossi si puntarono addosso a lui che stava sorridendo, con un ghigno quasi divertito, perso in chissà quali pensieri.
“Sì?”, chiesi allerta.
“Qual è il tuo nome, asmodiana?”.
Sembrava così inoffensiva, quella domanda. Ma valeva la pena dire ad un elisiano come mi chiamavo?
Era una trappola? C’era sotto un agguato?
“Selhen”, risposi, senza rifetterci più di tanto. Avevo già riposto le pistole ai miei fianchi.
“Selhen” ripetè lui annuendo. “Non pensavo che ci fossero asmodiane così... carine, dalle tue parti”, terminò ridendo sghembo. “Vai dritta al portale e non combinare guai Selhen, se dovessi beccarti di nuovo da queste parti, non sarò così clemente”. Si stropicciò gli occhi con le dita e mi indicò col mento la strada alle mie spalle, dove avrei trovato il portale.
“Mi è lecito rivolgerti solo una domanda, elisiano?”, dissi, consapevole che al momento non costituiva più una minaccia per me.
“Wow, che asmodiana audace… fai pure!”, mi rispose lui con un sorrisetto canzonatorio.
Arricciai il labbro infastidita. Evidentemente mi stava prendendo in giro. “E il tuo nome, qual è?”.
Il suo sorriso si estese anche agli occhi quando rispose. “Ufficiale a cinque stelle Velkam, per servirla”, abbozzò un inchino allegramente. Era consapevole che io, semplice soldato, non avrei neanche avuto una remota possibilità contro di lui. Mi stava sbattendo in faccia la verità. Se solo avessi provato a ribellarmi mi avrebbe fatta fuori senza alcuna difficoltà.
“Tutti uguali, pieni di sé e boriosi, voi elisiani”, dissi stizzita.
“Vogliamo parlare di voi bestioline del buio?”, replicò lui con tono acceso e canzonatorio.
“Come osi definirmi bestiolina, elisiano!”, lo apostrofai infastidita.
“Perché sono in netto vantaggio, Selhen. Buon ritorno!”. Con la solita aria con cui mi si era rivolto mi aveva fatto un cenno con la mano e mi aveva dato le spalle.
Non mi rimase che prendere la via di casa e stavolta essere svelta e scattante. Raramente un ufficiale a cinque stelle, una vera macchina da guerra, incontrava un soldato e gli dava modo di raccontarlo.
Raggiunsi in pochi minuti il portale lanciandomici e mi sentii veramente al sicuro solo quando posai i piedi sul suolo di Morheim. Il buio confortante e rassicurante mi accolse. Tutto taceva. Ad Asmodae era quasi notte.
Mi mossi a passo deciso verso il teletrasporto e pagai per un viaggio veloce verso Pandemonium.
Erano i gradini della piazza il mio posto preferito, il posto in cui spesso mi sedevo a pensare, che fosse giorno o notte.
Guardavo la gente indaffarata passare, fare le proprie compere o semplicemente l’acqua del lago rilucere al chiarore dei raggi lunari e sbatacchiare sui bordi.
C’era pace quella notte a Pandemonium. Una pace che mi rendeva tranquilla e mi dava il tempo di riflettere e pensare.
Chissà, se ci fossimo di nuovo incontrati io e Velkam. Dovevo ammetterlo, era l’elisiano più simpatico che avessi mai conosciuto.
Scossi la testa tra me. Se Death, il mio capo di legione, avesse saputo che simpatizzavo per gli elisiani, avrebbe avuto sicuramente da ridire. Dunque, forse, avrei evitato di raccontare questa mia strana avventura. Domani avrei visto la mia migliore amica Saephira. Con lei sì che potevo confidarmi e si prospettava una bella giornata di compere. Mi alzai in piedi pronta per ritornare a Pernon. Avevo bisogno di riposare e per qualche ora dimenticarmi di tutto. Degli elisiani, della guerra, e della missione che avevo miseramente fallito.
A dire tutto a Death ci avrei pensato in seguito.
 
  
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