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Autore: sheswanderlust    09/06/2014    3 recensioni
"Tutto questo… Come compagno di band e come amico non ho nessun problema, ma come fidanzato sto cominciando a stancarmi"
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bulletproof

Questa storia non è dedicata a qualcuno, è un regalo di compleanno per qualcuno. Ire, con un giorno di ritardo te lo dico come avrei voluto fare ieri: buon compleanno! 

Disclaimer: con questa storia non voglio insinuare nulla sulla vita privata dei personaggi reali di cui parlo; non li conosco, non li possiedo e le mie parole non rispecchiano in nessun modo la realtà. 

Bulletproof

“ I passeggeri del volo 8783 per Londra sono pregati di recarsi al gate 15. L’imbarco chiuderà tra dieci minuti “

 

La voce metallica gracchiò l’annuncio in italiano e subito dopo lo ripeté in inglese, sovrastando il mix di suoni tipici di un aeroporto: voci che si rincorrevano, rotelle di bagagli a mano che scivolavano sul pavimento liscio, il rumore di tazze e piattini proveniente da un bar poco lontano.

Myles gemette e nascose maggiormente il volto sulla spalla di Mark, che serrò la presa con la quale, da ormai cinque minuti, lo teneva stretto a sé, quasi sperando che se avesse continuato ad abbracciarlo il volo per Londra sarebbe magicamente scomparso e Myles non si sarebbe mosso di un millimetro, figuriamoci di migliaia di chilometri.

Con uno sforzo disumano il cantante si allontanò leggermente e si voltò verso il gate alle proprie spalle, dove le ultime famiglie di vacanzieri si affollavano ansiosamente in attesa di salire a bordo.

<< È ora >> mormorò, tornando a guardare Mark. 

<< È ora >> ripeté questi, meravigliandosi di come, nonostante ormai ci fosse abituato, si ritrovasse con un groppo in gola ogni volta entrava in aeroporto con Myles sapendo che ne sarebbe uscito da solo. Erano nel bel mezzo del tour estivo in Europa; avevano deciso di approfittare di alcuni giorni liberi tra il concerto di Bologna, appena terminato, e quello successivo a Solvesborg, per riposarsi a Copenhagen. Myles, però, sarebbe dovuto volare a Londra per lo show di presentazione del nuovo album con Slash alla House of Parliament e per le interviste di rito, e dunque avrebbe raggiunto il resto della band a Copenhagen solo due giorni dopo.

Myles annuì. Le braccia di Mark erano ancora attorno alla sua vita.

<< Sono giusto un paio di giorni >> aggiunse, quasi come se quell’affermazione potesse lenire il dispiacere di entrambi all’idea di sciogliere l’abbraccio che li legava.

<< Già >> Mark distolse lo sguardo.

<< Mark? >> lo chiamò Myles, stringendolo maggiormente. Non ottenendo risposta, lo costrinse a guardarlo negli occhi. << Cosa succede? >>

<< Niente, tranquillo >> disse velocemente il chitarrista. << Devi andare >>

<< No, dimmi cos’hai >> insistette Myles.

Mark non rispose.

<< Per favore >> provò ancora il cantante. 

Tru sospirò. << È che… >> guardò gli occhi azzurri di Myles, poi distolse lo sguardo, si passò una mano tra i capelli e tornò a guardare il proprio ragazzo. << Tutto questo… Come compagno di band e come amico non ho nessun problema, ma come fidanzato sto cominciando a stancarmi >> confessò, sentendosi un egoista nello stesso momento in cui le parole uscivano dalla sua bocca. Non avrebbe dovuto dirglielo.

Myles rimase immobile per un attimo, accusando il colpo. Un “ah” stupito fu tutto ciò che riuscì a mormorare. Si allontanò leggermente, sciogliendo la presa che aveva sulle spalle di Tru. Rimase in silenzio, senza sapere cosa dire.

“ I passeggeri del volo 8783 per Londra sono pregati di recarsi al gate 15. L’imbarco chiuderà tra cinque minuti “

<< È meglio se vai, stai per perdere l’aereo >> fu la voce di Tru a riscuoterlo. Nel suo tono non c’era rabbia, né risentimento.

Myles annuì. Si avvicinarono simultaneamente per scambiarsi un bacio; Myles sentì gli occhi inumidirsi nel percepire le mani di Mark che gli circondavano il viso. Serrò le palpebre.

<< Ci vediamo a Copenhagen, allora >> disse, quando si separarono.

<< Va bene >> annuì Tru. << Ti amo >> aggiunse poi.

<< Anche io >>

 

 

Myles appoggiò la testa al vetro e si chiese se fosse antiproiettile. Considerando che si trattava di una delle finestre del Parlamento inglese supponeva fosse così. Vi passò una mano sopra, stupendosi di come al tatto e alla vista sembrasse esattamente uguale a qualsiasi altra finestra del mondo. E se la ditta che le monta avesse commesso un errore e avesse utilizzato un vetro normale al posto di un vetro antiproiettile? Nel caso in cui ci fosse un attentato e qualcuno riuscisse a sparare un proiettile proprio attraverso quella finestra, la ditta verrebbe considerata colpevole? E verrebbe punita? Sospirando pose fine a quei pensieri senza capo né coda e si concentrò sulla vista mozzafiato. Il Tamigi scintillava sotto il sole e gli edifici si ergevano solidi sulla sua riva, rappresentando perfettamente l’architettura stonante di Londra, che accostava antichi palazzi vittoriani a moderni grattaceli di vetro.

Myles amava Londra. Ci era stato per la prima volta una decina di anni prima, durante il primo tour degli Alter Bridge; Mark, che grazie ai tour con i Creed la conosceva già abbastanza bene, lo aveva accompagnato alla scoperta della città, sorbendosi pure un’eterna tappa al negozio della Twinings che aveva visto Myles comprare così tante varietà di tè che al momento di partire, per far stare tutto nel bagaglio aveva dovuto togliere le bustine dalle scatole e infilarle sparse in giro per la valigia. Da quel momento in poi aveva approfittato di ogni concerto nella capitale inglese per esplorarla il più possibile e si era innamorato delle sue sorprese dietro l’angolo, dei suoi parchi immensi, della sua confusione, dei suoi mercatini strampalati e dei biscottini inglesi che Mark adorava.

In quel momento, però, guardando verso la folla di omini che attraversava il Westminster Bridge scattando foto al Big Ben, si sentiva estremamente infelice. E non solo perché Mark non era con lui, ma anche perché la distanza che sentiva tra loro in quel momento era qualcosa che non si poteva motivare semplicemente con i chilometri che li dividevano.

Da quando si erano salutati in aeroporto i messaggi tra loro si erano limitati al minimo indispensabile; non c’era freddezza, piuttosto confusione e dubbi su come affrontare le conseguenze inevitabili delle parole pronunciate da Mark appena il giorno prima. Quando, arrivato in albergo, aveva deciso di riposarsi un po’ prima di incontrare Slash, Myles si era ritrovato a letto ad abbracciare il cuscino e a notare quanto fosse scomodo rispetto all’abbracciare Tru e al riposare sul suo petto. Aveva finito per trascorrere le ore successive a chiedersi se e dove avesse sbagliato. Mark era sempre stato favorevole al suo progetto con Slash. Certo, aveva mostrato dispiacere all’idea di non poterlo avere sempre accanto, ma l’aveva spronato a cogliere quell’opportunità e l’aveva supportato in ogni sua scelta. E ora Myles si ritrovava improvvisamente a chiedersi se la serenità di Mark fosse sempre stata solo una maschera e se sotto sotto avesse solo finto di accettare tutto ciò.

Non voleva interrompere la propria collaborazione con Slash, ci teneva molto e sapeva bene che un gesto simile non avrebbe fatto altro che accumulare rancore tra lui e Mark e li avrebbe sicuramente portati a rinfacciarsi ogni rinuncia. D’altra parte non voleva far soffrire Mark. Myles era sempre stato convinto di aver gestito tutto con equilibrio, senza trascurare nessuno; ora si ritrovava a scoprire di aver trascurato proprio la persona più importante.

<< Stai bene? >>

Il cantante si voltò improvvisamente verso Slash, che lo guardava a qualche metro di distanza.

Annuì. << Sì, sto bene >>

Il chitarrista sembrò intendere che ciò non fosse proprio la verità, ma evitò di fare domande; tra loro era sempre stato così, l’uno non forzava l’altro a parlare e l’altro si sfogava quando si sentiva pronto.

<< Hanno finito di controllare gli strumenti, possiamo andare a fare il soundcheck >> lo avvisò, cambiando argomento. Visto il luogo in cui stavano per suonare, l’attrezzatura aveva dovuto essere controllata dagli addetti alla sicurezza e questo aveva ritardato l’inizio delle loro prove.

<< Va bene, arrivo >> Myles si affrettò a raggiungerlo e a seguirlo nella sala in cui si sarebbe tenuto il concerto; suonando sperava di riuscire a distrarsi almeno un po’ dai pensieri che lo stavano divorando.

 

 

Myles chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Il sole era ormai tramontato e la poca luce rimasta illuminava appena la camera d’hotel, rendendola immensamente triste, più di quanto già facesse la piccola valigia solitaria appoggiata a lato del letto e aperta dal proprietario giusto per cambiarsi velocemente prima di uscire per l’impegno successivo.

Il suo volo per Copenhagen sarebbe partito alle quattro di mattina. Era stato sul punto di prenotare il volo delle nove e venti previsto per quella sera, ma non sapendo a che ora sarebbe terminato il suo ultimo impegno, un’intervista con annesso servizio fotografico, aveva deciso di non rischiare. In quel momento, però, in una stanza fredda in cui ogni oggetto e ogni centimetro di moquette sembrava estraneo, se ne pentiva.

Guardò la valigia, ancora pressoché intatta, poi controllò l’ora. Le sette e venti. Aveva due ore per correre in aeroporto. E per comprare una cosa piccola ma importante.

 

 

Quando Myles giunse al quarto piano del Luxor Hotel di Copenhagen era l’una e mezza di notte. Si diresse fino alla camera che era stata prenotata per lui e Mark e che, al momento, ospitava solo il chitarrista. Si fermò davanti alla porta di legno massiccio con un 423 indicato sopra e strisciò la tessera magnetica. La porta si aprì con uno scatto silenzioso.

Myles entrò e si chiuse la porta alle spalle. Dovette rimanere fermo per qualche secondo prima di abituarsi al buio della stanza. Quando fu in grado di vedere discretamente, sorrise nel notare il disordine che tra vestiti sparsi e chitarre Mark era riuscito a creare nel giro di due giorni. Il suo sorriso si allargò ulteriormente quando il suo sguardo si posò sulla figura addormentata sul lato destro del letto. Posò la valigia a terra, la aprì facendo attenzione a non far rumore e velocemente si cambiò e indossò un paio di pantaloni della tuta e una t-shirt grigia. Si avvicinò al letto e si infilò sotto alle coperte, avvicinandosi a Mark. Il chitarrista sembrò accorgersi del materasso che si piegava, poiché dopo qualche secondo aprì gli occhi. Sbatté le palpebre più volte, prima di parlare.

<< Myles? Che ci fai qui? >> mormorò, la voce ancora impastata dal sonno che contrastava con lo sguardo immediatamente sveglio e sorpreso nel trovare il fidanzato al proprio fianco. << Non dovevi arrivare alle sei? >>

<< Ho preso il volo prima >>  rispose il cantante con un sorriso, avvicinandosi e infilandosi tra le braccia di Tru, che lo accolse immediatamente stringendolo forte a sé.

<< Sei qui >> sussurrò al suo orecchio, come se dovesse ancora realizzarlo appieno.

<< Sono qui >> annuì Myles, con una risata.

Mark sorrise e gli lasciò una traccia di piccoli baci dall’orecchio sino alle labbra, gustandole più e più volte. Poi si sistemò meglio e lo strinse per bene, con l’intenzione di tenerlo stretto a sé per tutta la notte e per tutto il tempo che avevano la possibilità di passare assieme.

 

 

Copenhagen aveva un carattere molto diverso da quello di Londra. I tipici edifici si susseguivano uno dopo l’altro, simili nell’architettura ma dipinti ognuno di un colore diverso, e si specchiavano nell’acqua dei canali. I ciclisti locali si muovevano agili tra i capannelli di turisti.

Myles distolse lo sguardo dal panorama fuori dalla finestra quando Mark si avvicinò a lui. Si guardarono in silenzio per qualche secondo, prima che Tru prendesse la parola.

<< Mi dispiace per ciò che ho detto prima che partissi >> disse, prendendo la mano di Myles e giocherellandoci.

<< Non devi scusarti, se è ciò che pensi dobbiamo parlarne >> rispose questi, il cuore in gola. Sì, ne dovevano parlare, ma aveva una paura tremenda di farlo.

<< Non è ciò che penso, o meglio, lo è, ma… >> Tru si passò una mano fra i capelli, insicuro su come continuare. Avrebbe voluto parlare stringendo Myles tra le proprie braccia per avere la certezza che non sarebbe fuggito da nessuna parte, però era conscio che farlo l’avrebbe portato a non essere del tutto sincero e a concludere la questione prima del dovuto solo per potersi godere qualche momento in compagnia del proprio ragazzo. Per questo motivo si appoggiò alla parete e si limitò a stringere la mano di Myles nella sua. Poi riprese. << Io sono felice della tua collaborazione con Slash. Davvero, non lo dico tanto per dire. Sono felice e orgoglioso del successo che state avendo, che stai avendo, ti conosco e so quanto te lo meriti. Sarebbe incoerente da parte mia chiederti di rinunciare a tutto ciò, considerando che anche io, Brian e Flip abbiamo progetti paralleli. È solo che… A volte è difficile avere sempre le ore contate, sapere che mentre ti sto abbracciando il tempo scorre e nel giro di qualche ora sarai a migliaia di chilometri da me, a fare qualcosa che ti rende felice ma anche troppo lontano. Io vorrei poterti ripetere in ogni momento quanto ti amo, vorrei poterti abbracciare e baciare in ogni istante, vorrei averti sempre al mio fianco e vederti correre da un lato all’altro del pianeta appena hai un momento libero… in certi momenti fa male. Però non possiamo farci niente, è normale che sia così e non avrei dovuto dirti quello che ti ho detto, ti ho fatto star male per niente >>

Myles ascoltò le parole di Mark in silenzio, con lo sguardo basso. Quando il chitarrista smise di parlare rimase in silenzio ancora per qualche secondo.

<< Mi dispiace >> disse poi. << Non ho mai voluto farti soffrire. Cosa posso fare? >>

<< No, no, Myles, tu non devi fare niente >> Mark questa volta si lasciò andare e lo fece avvicinare a sé per abbracciarlo, temendo di essere stato frainteso. << Io non ti sto chiedendo di rinunciare a niente né di fare niente. Non c’è nulla che si possa fare e tu non mi hai fatto niente di male. Sono solo pazzamente innamorato di te e quando non ti ho con me mi manchi, tutto qui. Non voglio che tu ti senta in colpa per il tuo lavoro con Slash e non voglio che tu ti senta obbligato a non parlarne di fronte a me o comunque a tenermi lontano dalla questione perché pensi che mi dia fastidio. Hai capito? >>

Myles annuì.

<< Anche per me è difficile starti lontano >> mormorò, dopo qualche secondo.

<< Lo so >>

<< E se… se ogni tanto venissi con me? Quando non hai da fare, voglio dire. E io potrei venire con te quando sei in giro con i Creed o con il tuo progetto, se… se ti va >> propose il cantante.

Mark rimase in silenzio. In effetti era così semplice.

<< Come abbiamo fatto a non pensarci fino ad ora? >> mormorò, guardando negli occhi Myles, che scoppiò a ridere, sentendo la tensione scomparire. Mark si unì alla risata. Appena si calmarono Tru passò le mani sulle cosce di Myles e lo sollevò. Il cantante si strinse immediatamente a lui e lo guardò.

<< Abbiamo risolto, allora? >> chiese, di nuovo serio.

<< Sì, abbiamo risolto. Verrai in tour con me ogni volta che puoi? >>

<< Sì. E tu verrai in tour con me ogni volta che puoi? >>

<< Assolutamente sì, amore >>

Myles sorrise e appoggiò le proprie labbra su quelle di Tru, in un bacio lungo e dolce. Quando si separarono il cantante si ricordò di una cosa.

<< Tru? >> chiamò.

<< Sì? >>

<<  Ti ho portato una scatola di quei biscottini inglesi che ti piacciono >>

<< Ti ho già detto che ti amo? >> fu il commento di Mark.

Myles scoppiò a ridere. << Puoi ridirmelo, se ti va >>

<< Ti amo >>

Questa volta fu Mark a baciarlo, beandosi della sensazione dei suoi capelli lunghi che gli sfioravano il viso. Improvvisamente aveva l’impressione di possedere tutto ciò che desiderava nell’arco dei pochi metri quadrati di quella stanza. L’amore della sua vita e una scatola di biscottini inglesi ad attenderlo.

Myles si strinse più forte alle sue spalle, non per paura di cadere ma per annullare ogni millimetro che ancora li divideva. Quando si separarono diede un’occhiata alla finestra accanto a loro.
Probabilmente, a differenza di quello della House of Parliament inglese, quel vetro non era antiproiettile.
Eppure in quel momento, tra le braccia di Mark, si sentiva al sicuro come non lo era mai stato.

  
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