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Autore: mrdancedance    10/06/2014    0 recensioni
Seguito de 'La trilogia del peccato'.
Quando l'ossessione raggiunge il culmine; quando non si può più tornare indietro…
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per amore


Quando vidi quel sorriso sul volto di Eva, capii che era successo qualcosa. Stava venendo verso di me, quasi fluttuando nel chiarore della luna. Le mani reggevano un oggetto dalla forma sferica, che non riuscivo ad identificare, proprio all’altezza del cuore. I lunghi riccioli rossi ondeggiavano ad ogni passo, come tante foglie autunnali smosse dal vento. Delle gocce di sudore ne facevano brillare la pelle; la bocca socchiusa lasciava intravedere il biancore perlaceo dei denti. Una sfumatura nuova s’intravedeva nei suoi occhi, una sfumatura terribilmente brillante.

Quando incrociammo gli sguardi, lei si morse il labbro inferiore, come imbarazzata. Sbatté le ciglia un paio di volte e poi, arrivata ad un passo da me, si fermò.
La sua mano venne ad accarezzare i capelli che mi cadevano sulla fronte.
“Che cosa fai?” le chiesi a voce bassa.
“Ti tocco” rispose sussurrando.
“E perché?”
“Perché ho scoperto che mi piacciono le cose belle, e tu sei bello, proprio come questa mela.” Disse, mostrandomi il frutto che teneva vicino al petto.
Non capii bene cosa intendesse con quell’affermazione, ma già da un po’ di tempo avevo intuito quanto la donna sia una creatura incomprensibile.
“Le daresti un morso con me?” la sua voce risultò flebile, fragile, timorosa di un rifiuto. Inclinò la testa di lato e scoccò un’occhiata veloce alle mie labbra.
“Dove l’hai presa?”
Eva allargò un sorriso divertito. “Dove crescono normalmente le mele.”
“E perché dovrei farlo?”
Lei ci pensò un po’ su, poi sospirò e optò per una risposta semplice e vincolante.
“Per amor mio.”

 
***

Ieri sono andata alla polizia, e ho detto tutto. Salendo i gradini mi sono resa conto di essere ancora indecisa ma poi, in una sorta di ricordo color vinaccia, ho rivisto gli ultimi tre anni passati assieme.
Ho percorso i corridoi del comando con più decisione del previsto, ho spalancato la porta che conduceva all’ufficio del comandante e ho spifferato l’indirizzo del nascondiglio di quel disertore.
Non che non l’amassi più, anzi, era solo che… solo che…
I suoi sorrisi imbarazzati nell’udire una mia battuta si erano fatti sempre più rari, sempre meno contagiosi; la delicatezza con cui le sue labbra si posavano sulle mie si era trasformata in una bramosia ossessiva e… quei suoi occhi! Quei suoi occhi luminosi erano via via sbiaditi in una tenebra opprimente.

No, com’era comprensibile, Valentin non aveva voluto andare in guerra e alla chiamata alle armi aveva risposto con una veloce fuga. Ogni cosa era stata venduta, dalla casa alle industrie dello zio, dai vestiti d’alta sartoria all’orologio che gli avevo regalato per il suo ventesimo compleanno. Non si era tenuto nulla e aveva comprato un piccolo appartamento semi-arredato, ben incastrato tra una fabbrica di poltrone e un vicolo di poveracci senza cibo. Si era rinchiuso là e non ne era uscito più.
L’angolo di soffitto sopra il suo nuovo letto era stato ricoperto di mie fotografie color seppia. Ogni volta che facevamo l’amore, quelle immagini erano là a farmi rabbrividire, a rendermi inquieta. Mi facevano sentire un oggetto, un idolo di fragile porcellana che non doveva essere toccato con troppa forza, che poteva essere maneggiato solamente dal proprio accolito.
Quelle foto mi rendevano morta. Insulsi ricordi di momenti deceduti che non sarebbero più ritornati, ed ogni singola bocca mi sussurrava ‘sei sua, sua, sua, sua…’
Valentin diceva che gli piaceva addormentarsi ammirando i miei tratti, raccontava quanto adorasse svegliarsi e trovarmi lì, sopra di lui, come un angelo. Ogni giorno, dopo aver fatto l’amore, diceva che non poteva vivere senza di me, che io ero l’unica, la sola, che non avrei mai potuto lasciarlo perché non lo avrebbe sopportato. Io rimanevo zitta mentre le sue dita tremanti pettinavano i miei capelli. Gli davo le spalle, ma sapevo che aveva la bocca semiaperta e che, nel riflettere su quanto doveva dire, i suoi occhi correvano lungo la mia colonna vertebrale lievemente inarcata, proprio al centro della schiena.

“Sì, sei l’unica… sei mia… resta con me fino a morire d’amore!” allora io mi giravo, lo fissavo, lo studiavo. Le sue pupille parevano dilatate e i capelli, ora troppo lunghi, lo facevano sembrare un uomo di strada. Aveva perso chili su chili e non toccava il cibo che gli portavo ogni santo giorno; non lo tirava neanche fuori dalla borsa. Lo sforzo più grande che faceva era quello di spostarsi dal letto alla poltrona rossa, vicino al tavolino con tre gambe invece di quattro. Si accendeva una delle sigarette di contrabbando che io gli procuravo e soffiava il fumo verso di me. “Mi nutro della tua bellezza, e questo mi basta. Sei tu la mia ossessione!”

Il comandante mi guardò con aria rilassata; un sigaro in mano pronto per essere acceso. La divisa blu un po’ sbiadita lo fasciava come un salame incredibilmente rotondo, i baffi troppo folti gli solleticavano il naso e le guance rosse gli donavano un’aura d’allegria alcolica.
“E lei, com’è venuta a conoscenza del domicilio di questo disertore?”
Me ne rimasi zitta per un po’, osservando i bottoni dorati troppo tirati della sua giacca.
“Quasi per caso…”
“Era il suo amante?” chiese senza lasciarmi il tempo di parlare.
“No!” lui abbassò il sigaro spento e incrociò le dita delle mani, per niente ansioso di doversi sorbire una mia bugia. “No, non lo era… lo è ancora.”
“Ah!”
Aveva grandi occhi azzurri, estremamente limpidi, curiosamente vispi. Non smise di guardarmi nemmeno per un attimo. Mosse la bocca in una smorfia da ruminante, poi si lisciò velocemente i pochi capelli neri.
“E se ci sta ancora insieme, perché viene a denunciarlo?”
Per qualche brevissimo istante pensai di aver commesso una gran stupidaggine, ma in realtà non potevo sopportare quel senso di possessione che mi circondava ogni volta che entravo in quella stamberga, ogni volta che mi cingeva in un abbraccio, ogni volta che rivedevo quelle mie foto, disposte a centinaia sopra il letto. Io ero nata libera.
“Per amor mio.”
  
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