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Autore: Pendragon of the Elves    10/06/2014    1 recensioni
" Perché la realtà non può essere solo quella che vedi: puoi vedere altre cose. Puoi dipingere sulla realtà, fino a che il tuo sangue non smette di scorrere, fino a che non la copri del tutto. Fino a che non sarà null'altro che una brutta copia da stracciare e lasciare a marcire nel marciume che contiene. "
Una soriella che mi piace definire come "piccola favoletta oscura" che -lo ammetto- appare scritta sotto l'effetto di qualcosa di bello pensate. Paradossalmente si capisce meglio quando non si è completamente lucidi di mente. Una cosetta tutta particolare, buia ed intricata.
Pronti per immergervi in un profondo pozzo di nera pazzia?
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Reality,
Bleeding Eyes Madness

 

 





Bleeding


 
L'ombra silvestre, le fronde rosse, i ruscelli invisibili e il tappeto di foglie… tutto sfuoca nel buio corridoio verso il presente. Tutto va in frantumi quando ti accorgi che i tuoi stessi passi si sono fermati.
Apri ancora una volta la porta di casa, passando dalla fredda sera al calore e alla luce artificiale. Una volta avresti desiderato non essere mai entrata, essere rimasta fuori assieme alle nuvolette sperdute della condensa dei tuoi respiri. Ma oggi, oggi non ti importa più. Il cambiamento è ininfluente, tanto mondo è fuori quanto il mondo è dentro, solo che fuori è buio e silenzio, qui è luce e rumore.
All'improvviso la tua mente si rende svogliatamente conto, quasi non importasse nemmeno a lei, che quel luogo non lo senti più come casa tua: ormai è un posto come un altro dove il tuo corpo si trascina nella ripetitiva ruota della routine quotidiana. L'hai sempre odiata, l'hai odiata la routine. Meno male che hai imparato come far deragliare quella ruota, ora corre dove vuoi tu: nessuno può fermarti. La senti che sbuffa dentro di te come un cavallo selvaggio, impaziente di correre per le verdi praterie che solo tu gli puoi donare.
Tua madre ti si avvicina, sembra preoccupata. Lontano ed indistinto avverti il suo concitato parlottio: un mucchio di domande inutili e banali, progenitrici di risposte che non interessano a nessuno. Tanto meno a te. Non riesci a sentire quello che ti dice: sei già nella tua bella bolla azzurra dove nulla può raggiungerti. La sua voce è lontana, come se avessi le orecchie appannate, la mente annebbiata come i tuoi occhi. Avverti solo la musica, le note modulate dal suo tono: senti i trilli della preoccupazione, un suo dito ti passa sulla guancia. Ti esamina il viso con aria critica. Una volta ti saresti innervosita, ora dei suoi tocchi ti arriva solo l'ombra sfumata, senza timbro. Riesci a capire che ti chiede delle cose. Dice che sei troppo pallida. Quelle occhiaie sono brutte, due lune nere sotto gli occhi di un morto. Chiede se ti è successo qualcosa. Con uno sforzo immenso la tua lingua si attacca alla realtà e formula le parole che ti traggono fuori dall'impiccio: dice per il tuo corpo che è stanco e che devo solo riposare.
Non ti accorgi nemmeno di aver salito le scale quando ti ritrovi nella tua stanza, tutte le luci spente, gli scuretti della finestra chiusi. Nell'oscurità che regna nel piano superiore riconosci solo l'odore di polvere sospesa sui libri, i libri della tua infanzia che giacciono nel buio assieme a te, ognuno con la sua silente storia che canta la sua vecchia ninna-nanna. Dentro a quelle pagine, al buio, i sussurri dei ricordi di quelle parole che hanno plasmato e giocato con la tua mente, facendola volare, allattando la tua immaginazione con i loro infiniti sogni. Senza quei libri, senza quelle storie, oggi non saresti tu. Loro sono parte di te, tanto che ogni loro singola parola è nella tua essenza in ogni istante, in ogni momento, senza bisogno che tu le legga. La tua anima le ha succhiate tutte, sublimando la natura dell'inchiosto.
Ti lasci cadere sul letto con un sorriso e quando la tua schiena tocca il materasso lasci che l'aria esca dai tuoi polmoni in un sospiro. È così morbido, il materasso, sembra di essere ancora distesa sul tappeto di foglie. Ti senti di nuovo nel bosco rosso infuocato dall’autunno. Così, spalanchi gli occhi nel buio cieco e scivoli ancora una volta nel pozzo nero. La tua mente vaga fino a che non giunge nel bosco e si sdraia tra le radici di un grande albero. Non sai che specie sia e non ha importanza: quello è il tuo bosco, non ci sono semi di cose vere, lì germogliano solo i tuoi sogni. Fossero anche i germi della pazzia, andrebbe bene ugualmente. Ti senti affondare tra le morbide foglie: la loro freschezza ti accoglie come fossero un grembo materno. Finalmente ti senti in pace. Ti lasci cullare dal vento che soffia solo lì e dal rumore dei ruscelli calmi che hai alimentato tutta la vita con le lacrime, fino a che il sonno non prende i tuoi occhi. Ma tu non ti accorgi che sono rimasti sbarrati nell’oscurità perché tanto tu sei lontana: la tua anima guarda altrove.

Il mattino dopo quando ti svegli, senti la faccia e i capelli incrostati. Hai il volto rigato di rosso cupo e sulla coperta c’è un’enorme macchia di sangue. Ma tu non te ne accorgi: sei impegnata a pensare al rosso del tuo bosco e aspetti solo il momento in cui ci tornerai.













 
  
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