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Autore: Elwing Lamath    10/06/2014    0 recensioni
Lettere di coraggio, lettere di libertà, lettere di un amore: "Invano stamani, ancora rapito dal sonno, ho teso le braccia verso la tua figura, e mi sei sparita da dinnanzi. Confesso di aver pianto come un bambino: tu non sei qui. […] Sebbene ogni giorno venga spinto ad avanzare senza timore del nemico tra queste file rosse di miei giovani fratelli verso la Liberazione e verso quello che abbiamo sempre agognato; non passa giorno da che siamo partiti, in cui io non sogni di ritrovarmi a camminare con te, e sempre il tuo volto mi è quasi come scorto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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TI PORTERO’ COME UN MONILE SUL PETTO

 
Marsala, 12 maggio 1860
 
Amelia, mia amata, ti scrivo finalmente. Ti scrivo guardando questo mare che mi ha portato lontano dai luoghi che amo, lontano da te. Sbarcati su questa terra di Sicilia da esuli trasportati dai flutti alla ricerca della patria, siamo stati accolti come eroi da masse di poveri contadini esultanti. Convinti, con quella spontaneità degli animi semplici, che noi fossimo giunti fin lì per liberare le loro terre dall’antico oppressore. Non è, come ti ho già detto mia cara, un pezzo di terra da cui trarre profitto quello che ha spinto tutti noi da Quarto su quest’isola… Ma è la Nostra terra, quell’idea profonda di Terra madre, sacra, a cui siamo tutti legati dal profondo vincolo dell’unità tra Italiani, in una parola, la nostra Patria.
Il mare porta gli uomini a meditare e a ripensare, ripensare a lungo su quanto si è lasciato su quei lidi ormai lontani,ed io pensavo a te, e alla nostra città. Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? È passato tanto tempo, ed io lo ricordo ancora come se fosse ieri.
 Tu mi sei apparsa innanzi come una visione, con la tua chioma bruna avvolta dai caldi raggi del tramonto che abbracciavano la tua figura. Bella, bella e rapita ad osservare il campanile di San Giuliano, concentrata a scrutarne ogni pietra, sembravi riuscire a coglierne quella semplice e genuina bellezza presente nell’anima delle cose, che si mostra agli spiriti puri. Poi, non appena notasti che ti osservavo come incantato, senza quella studiata ritrosia che insegnano alle fanciulle in età da marito, con straordinaria naturalezza ti rivolgesti a me: -Vedete quel volto lassù, sul campanile?- Io come inebetito, mi limitai a seguire il tuo sguardo e notare la piccola scultura sulla parete, senza essere in grado di aggiungere nulla; - Secondo voi cosa sta guardando?- mi domandasti infine. –Credo che stia guardando la nostra città, per custodirla; il suo sguardo è quello di coloro che guardano lontano, verso la libertà, verso il loro futuro, verso i loro ideali-. Risposi senza pensarci su, e la cosa mi meravigliò alquanto, ma mai come vedere la luce che comparve subito nei tuoi profondi occhi scuri. –Perdonatemi se sono stata sfrontata, ma io mi perdo nei miei sogni contemplando quanto mi circonda- , - e prego che non smettiate mai di farlo. Scusatemi, mi chiamo Antonio Carrara. Non datemi del Voi- quindi, per la prima volta mi sorridesti: - Il mio nome è Amelia -.
Questo mi bastò. Poche semplici parole per farmi incatenare dai vincoli d’amore e cadere prigioniero ai tuoi piedi. Sembra superfluo dire che nei giorni successivi, uscendo dal mio studio nella piazza Maggiore, mi costringevo a trovare una qualche scusa per passare davanti a San Giuliano nella speranza di rivederti. Finalmente riaccadde, e credo che ciò fu anche merito di quella piccola scultura del campanile che vegliava su di noi, guardando giù. Perché tu ti ricordasti di me e perché quel rossore sulle tue gote illuminò il mio cuore di una luce che non credevo un essere umano potesse contenere in sé.
 
Alcamo, 15 maggio 1860
 
Invano stamani, ancora rapito dal sonno, ho teso le braccia verso la tua figura, e mi sei sparita da dinnanzi. Confesso di aver pianto come un bambino: tu non sei qui. Vorrei che tu fossi accanto a me, non per vedere le stragi e le strade insanguinate che accompagnano anche la più nobile delle guerre, ma perché il tuo respiro è vita, come vita è l’aria che alita sulla terra della patria, ed io, quella vita l’ho lasciata tra i vicoli di quel luogo che oso chiamare casa.
Sebbene ogni giorno venga spinto ad avanzare senza timore del nemico tra queste file rosse di miei giovani fratelli verso la Liberazione e verso quello che abbiamo sempre agognato; non passa giorno da che siamo partiti, in cui io non sogni di ritrovarmi a camminare con te, e sempre il tuo volto mi è quasi come scorto.
Amelia mia, da quel giorno davanti a San Giuliano, quanto sono state liete le mie giornate, vissute nell’attesa di un nostro incontro, per quanto fugace, per assaporare quel soffio di vita che effondevi in me con la tua presenza e le tue parole. Se le vie all’ombra della Torre dell’Angelo o i portici del chiostro di Sant’Andrea dovessero contare i nostri passi, credo che perderebbero il conto più e più volte. Quei discorsi… Ricordi i nostri discorsi? All’ombra di un qualche tronco ai giardini, abbracciati, nascosti al mondo, era come se le nostre due anime si fossero finalmente ritrovate, vecchie compagne fino ad allora separate tra migliaia di altre, per completarsi all’insaputa di tutto il genere umano. Quando, guardando lontano, verso i merli delle antiche torri, mi domandavo come sarebbe stato poter finalmente inseguire quel sogno di unità e libertà che leggevo nelle parole furenti vergate dal Mazzini o dal Crispi su quei pochi fogli che riuscivo a trovare… Quando ti confessavo quanto disperatamente desideravo partecipare a quelle lotte per l’ Italia di cui a noi erano arrivati solo echi lontani… Ricordo che un giorno, al suono di quelle parole, ti scostasti da me e sul tuo viso, illuminato da sprazzi di luce tra le fronde verdi, notai un’ombra e un sussulto. Mi rispondesti infine –So quanto ami la tua Patria, almeno quanto me, e dovrei esserne gelosa, forse. Ammiro la tua forza ed il tuo spirito, ma trovo stupido che gli uomini debbano combattersi tra loro, ferirsi e perfino uccidersi per stroncare l’uno le idee dell’altro… dopotutto, siamo tutti umani, e tutti abbiamo diritto alla stessa libertà-. Mi spiazzasti, e ancora oggi non ho risposta alle tue parole. Tuttavia in quel momento compresi quanto davvero diverse siano le nostre anime. Spesso il fiume del tuo pensiero scorre seguendo un tragitto molto diverso dal mio, ma questo non mi ha mai angosciato, anzi, ho sempre amato come questi due corsi infine si mescolano e si intrecciano, scambiandosi le acque l’un l’altro e mantenendo pur sempre la loro individualità.
Amelia, il tuo Antonio non ti scrive di guerra e battaglie, semplicemente perché anche in questa guerra, o spedizione, chiamala come meglio credi, combattuta con le intenzioni più nobili per un popolo, non vi è armonia nel vedere giovani e vecchi perire sotto i colpi delle baionette. A te, sola in cui ho trovato vera armonia, perciò preferisco scrivere ricordando quei luoghi e quei momenti per i quali lotto.
Ieri, mentre infuriava la battaglia presso Calatafimi, ho visto morire un ragazzo. Non aveva più di diciassette anni, e i suoi occhi stralunati hanno fatto fermare il mio cuore. Quello sguardo mi rimarrà per sempre impresso nella memoria. Ripensandoci, mi riporta alla mente il giorno in cui per la prima volta ti confidai di voler partecipare alla spedizione di Garibaldi. Ci trovavamo ancora una volta a contemplare la statua di San Giuliano: -Come quella statua che scruta e difende ciò che ama, anch’io voglio conquistare e difendere la mia Patria, e Garibaldi con me- . così esordii, e alla fine del mio discorso, tutto ciò che riuscì a trasparire del turbine delle tue emozioni fu quella lacrima che ti bagnò la guancia. La raccogliesti con la mano, e fissandomi concludesti la questione dicendo: - In realtà non importa quello che penso io. Anche se mi sento morire all’idea che tu possa rischiare la vita per un’idea che io non comprendo, se in alcun modo ti impedissi di fare ciò che desideri, tu ne moriresti dentro, lentamente,e temo che quella non sarebbe più vita. Ci consumerebbe entrambi. Chi sono io per negare ad un altro essere umano di dirigersi dove il suo spirito lo conduce?-. Io a quel punto avrei voluto piangere, davvero. L’amore che provai per te in quel momento non riuscii a trasmetterlo a sufficienza nell’abbraccio in cui ti avvolsi subito dopo e in cui soffocai i tuoi singhiozzi. E così ora mi trovo qua in Sicilia a combattere per la nostra Italia, anche per te, per l’unità del nostro popolo.
Amelia, amore mio, anche domani sarai con me sul campo.
 
 
 
 
Palermo, 27 maggio 1860
 
Siamo giunti finalmente in vista della città. Palermo suona come una parola di liberazione e di conquista. In molti si sono uniti a noi nella lotta fino a qui e molti ancora ne accorrono. Questo mi meraviglia e mi anima al contempo; forse davvero, o Amelia, gli aneliti di noi che siamo qui a combattere sono condivisi da altri cuori. O Amelia, oggi ho sentito parlare di Italia unita, e ho visto nei loro occhi quella scintilla che spero possa afferrare il mio cuore. O Amelia cara, domani da dentro quelle mura si udiranno i nostri cori e gli stemmi borbonici verranno tolti e al loro posto saranno innalzati inni a tutti gli Italiani. O Amelia!
Oggi un ragazzo lungo la via, prendendomi per la giubba rossa mi pregò di portarlo con me a combattere; era molto giovane, è vero, ma non più di tanti altri che come viandanti si sono uniti a noi dalle campagne fornendo un grande aiuto e mostrandosi valorosi combattenti. Non fui io comunque a fermarlo, ma la madre, che lo costrinse a rimanere.
Quest’episodio ha fatto riaffiorare in me una tempesta di pensieri. A volte le costrizioni e le imposizioni provenienti dall’esterno soffocano le volontà individuali, io e te lo sappiamo anche fin troppo bene.
In una città piccola come la nostra era troppo sperare che un amore clandestino tra due giovani benestanti, nato peraltro alla luce del sole, rimanesse celato al mondo intero. Entrambe le nostre famiglie non approvano quanto nutriamo l’uno per l’altra, e questo mi faceva beare ancor di più quando passeggiavamo insieme sotto lo sguardo pettegolo delle comari che correvano a riferirlo di qua e di là.
Tuttavia, ciò che mi dava forza era il tuo incedere sicuro al mio fianco, proprio di una donna risoluta, fiera e libera quale sei tu, amor mio. Come dimenticare quel mattino di ottobre quando incontrammo tua cugina sul sagrato del Duomo, e lei, ancor prima di lasciar spazio ai convenevoli subito ti incolpò di infangare il buon nome della famiglia consumando una relazione da loro non ben accolta. Ricordo che tu non ti scomponesti neppure, ma con un’occhiata così gelida, che spero di non riceverne mai una simile da te, la facesti tacere con queste parole: - Adorata cugina, tu parli di decenza e di buon costume, ma non sono forse piuttosto contro la morale quelle unioni celebrate per denaro o interesse? Tu mi accusi di rispettabilità della nostra famiglia distrutta, distrutta da una relazione con un uomo che amo e che rispetto, e che mi ama e rispetta a sua volta. Cosa ci può mai essere di meno disdicevole dell’unione di due anime che vogliono completarsi in questa vita terrena?-.
Questa donna coraggiosa è quella che amo di più in te. Quella donna che non fugge davanti alle conseguenze delle proprie azioni, ma le affronta con fierezza, anche contro le convenzioni, pur di rimanere fedele a ciò in cui crede. Così io ti ricordo in questi giorni di fatiche, in cui i nostri sforzi vengono ripagati con la conquista della terra, ma ahimè, anche con il sacrificio del nostro sangue.
Anche domani ti porterò tra la polvere come un monile sul petto. Spero proprio di poterti scrivere ancora, domani o dopo, da dentro le mura di Palermo, finalmente in mano agli Italiani.
 
Palermo, 2 giugno 1860
 
Amelia mia, come avrei voluto non doverti mai scrivere queste righe. Vado verso l’ignoto e non sarebbe giusto illuderti e lasciarti aspettare invano che io varchi di nuovo la tua soglia.
Mentre giaccio su questo letto, mutilato ormai della mia gamba, ferita durante la conquista di Palermo, ormai in mano nostra, mi guardo attorno e vedo gli sguardi deliranti di coloro che ormai sono già caduti in un abisso che temo inghiottirà anche me. Ringrazio perciò il cielo di poterti scrivere quest’ultima lettera, perché il mio dolore sarebbe stato troppo forte all’idea di non poterti salutare un’ultima volta.
Non ti chiederò di non piangere, sarebbe ingiusto, non tanto per me o per te, quanto piuttosto per rispetto del sentimento che ci unisce, che non può essere rinchiuso in un’unica lacrima. Per quanto mi riguarda, non può essere contenuto in tutte le lacrime del mondo. Piangi dunque, mia adorata; io piangerò non perché debbo morire, ma per l’angoscia di non poterti rivedere ancora per un momento. Quell’ultimo momento  in cui ho tenuto il tuo viso tra le mani cerco invece di catturarlo e di tenerlo stretto ogni istante che passa… Ancora una volta il volto di San Giuliano vide il nostro ultimo bacio, umido del tuo pianto: -Non andare!- infine mi implorasti – resta con me; qui avremo una famiglia, dei figli, un futuro insieme… Se vai, non so se mai più ti rivedrò-, allora, un tenero sorriso illuminò il mio viso – Tornerò, lo prometto-.
In questo modo ci separammo, apparentemente per sempre. Ma non sarà per sempre, mia adorata, anzi, in ogni attimo io ci sarò.  Ovunque andrai, con chiunque sarai io sarò lì con te per seguirti, consigliarti, guidarti.
Non rimpiango tuttavia di essere partito in questa spedizione, né rimpiango ora di morire per la patria, per l’Italia tutta. Se le generazioni future si ricorderanno di quanto abbiamo fatto anche per loro, futuri Italiani, allora io non sarò morto invano.
Ti chiedo però una promessa. Promettimi, Amelia, che nelle situazioni che ti presenterà la tua vita futura rimarrai quella donna fiera, onesta, forte che tanto stimo, ammiro ed amo. Promettimi che manterrai quella degna inflessibilità degli animi liberi. E, se non è troppa presunzione, prometti di ricordare quello che abbiamo vissuto insieme; io in questi momenti che mi separano dall’oblio e dalla gloria, rievoco ogni singolo istante e imprimo sul mio cuore ogni tua parola e nei miei occhi ogni sfumatura del tuo sorriso.
La mia più grande fortuna in questa vita, è stata quella di incontrarti; perché io e te siamo anime solitarie che procedono sul loro cammino nel silenzio e solo raramente, come è accaduto a noi due, si incontrano.
Addio, mia amata, il mio ultimo pensiero va a te, che per me sei insieme patria, libertà, vita.
Addio, mio amore.
 
 
  
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