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Autore: SinisterKid    11/06/2014    2 recensioni
“Come puoi pensare che avrei voluto che tu morissi? Dopo aver perso i miei genitori e lo zio Ben, come, dimmi in quale modo, avrei potuto desiderare di perdere qualcun altro? Come potrei desiderare di fissare per giorni interi un’altra tomba e bagnarla con il dolore delle mie lacrime. Come, Harry Osborn, dimmi come, avrei potuto desiderare di perdere anche il mio miglior amico. Se solo tu sapessi quanto sia grato al cielo di vederti qui, in carne e ossa, e non sottoterra. Se solo, Harry, ti sforzassi di capire quanto la tua vita sia preziosa per me e quanto vorrei che niente e nessuno te la portasse via. Dopo tutto quello che abbiamo passato, io ti perdono perché non eri in te quella sera”.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Osborn, Peter Parker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perdono

Peter aveva trascinato i suoi piedi davanti quella cella compiendo uno sforzo disumano. Li aveva sradicati dal suolo e costretti a marciare l’uno davanti all’altro, come degli obbedienti soldati, ricordando continuamente a se stesso il motivo per cui si trovasse in quel posto. Le nocche pallide chiuse in due pugni stretti, tanto stretti da far male e ben nascosti nelle tasche del cappotto, le labbra serrate apparentemente incapaci di articolare suoni e parole. Lo sguardo incerto, schivo e riluttante a stabilire un qualsiasi contatto visivo con chiunque, anche solo per errore.
Peter aveva seguito la guardia carceraria standogli ad almeno dieci passi di distanza: voleva evitare i convenevoli e arrivare dritto al punto, non era certo lì per perdersi in chiacchiere.
“Che io sappia, nessuno viene a visitare il signor Osborn. È come se non esistesse, come se fosse stato dimenticato dal mondo”, parlottò l’uomo voltandosi verso Peter. “Molta della gente che lavora qui non l’ha mai visto in faccia o sentito parlare. Non degna nessuno della sua attenzione e mi domando proprio perché con lei dovrebbe essere diverso”.
Peter non rispose a quella che suonava più come una provocazione che una domanda e prese un profondo respiro prima che il suo arrivo venisse annunciato all’illustre detenuto.
“C’è una visita per lei, signor Osborn”.
Peter sospirò ulteriormente e si irrigidì alla vista della solenne e immobile figura di Harry. Seduto su una consunta sedia dallo schienale in legno e le gambe in acciaio, teneva l’alto sguardo incollato alla scialba parete piena di crepe davanti a sé. Le fiere spalle e la schiena diritta gli conferivano un’aria superba, sprezzante: era un re che si ergeva vittoriosamente sul suo trono, nonostante lo squallore e l’infamia del luogo in cui era stato relegato e del reato di cui si era macchiato l’anima. Apparentemente ipnotizzato dalla sua stessa maestosità, non fece caso a ciò che gli aveva comunicato la guardia e continuò a contemplare quel muro squarciato dove, forse, rifletteva idealmente la sua interiorità. Perché Harry aveva temporaneamente sconfitto una prematura morte, ma non le conseguenze che quella conquista gli aveva procurato. La sicurezza che ostentava all’esterno si infrangeva contro la sua mente, contro quei flebili sensi di colpa che di tanto in tanto lo colpivano. Ciò che aveva compiuto non aveva mosso il suo cuore verso il pentimento, eppure non lo aveva lasciato neanche indifferente. Un silenzioso conflitto che Harry ignorava il più delle volte o tentava di arginare ponendo un’illusoria ragione dalla sua parte, giustificando i suoi misfatti come atti di sopravvivenza.
Perché a Harry importava solo sopravvivere alla malattia, al diavolo la cattiva reputazione e l’immoralità.
Il secondino trascurato gettò un’occhiata puramente dubbiosa a Peter e, scrollando le spalle, gli augurò buona fortuna. Quest’ultimo pensò di non averne bisogno e si accostò alle sbarre della cella evitando di sfiorarle e aggrapparsi ad esse. Faticava a stare in piedi, ma di mostrarsi debole non aveva affatto voglia. Si sentiva povero e indifeso, ingenuo, come un mendicante infermo che elemosina denaro al suo tracotante e avido monarca.
“Harry”, fece con un filo di voce.
Si bloccò prima che quella richiesta d’attenzione si trasformasse in una supplica che avrebbe pienamente compiaciuto il signor Osborn. Avrebbe voluto spaccare quelle dannate sbarre e costringerlo a fissarlo.
“Guarda chi si vede! Peter Parker, a cosa devo l’onore?”, rispose sarcasticamente Harry non muovendosi di un centimetro.
Peter lo immaginò esibire il suo affabile ed accattivante sorriso e trasalì pensando a quanto quel ghigno potesse sembrare terrificante sulla sua faccia adesso, alla luce di ciò che aveva fatto. Trasalì al solo pensiero che Harry – non una persona qualunque, ma il suo amico Harry – potesse essere accostato ad un termine come terrificante.
“Girati, Harry. Guardami negli occhi”.
Il giovane Osborn contrasse appena le scapole, un movimento impercettibile che non guastò l’armonia della sua rigida seduta. Portò le braccia al petto con fare saccente e mosse il capo da sinistra a destra, disegnando nell’aria un semicerchio. Il suo volto restava ignoto, immerso nelle tenebre.
“Ho detto di voltarti, Harry”, ripeté Peter con più decisione.
Il signor Osborn rise di gusto, ma compostamente, evitando di intaccare l’eleganza che lo contraddistingueva. Da quando era rinchiuso al Ravencroft, aveva dimenticato cosa significasse ridere.
“Non mi importa di quello che vuoi”. Un’altra risata, più amara. “Nello stesso modo in cui non ti è importato di ciò che volevo io, di ciò che avevo bisogno per sopravvivere”.
Peter chiuse per un secondo le palpebre e portò le mani dietro la nuca. Era costernato e sentiva venir meno, morire, le parole dentro la sua mente. Cosa ci faceva lì? Era davvero pronto ad affrontare Harry?
“Ti avrei dato milioni e milioni di dollari, tutto. Mentre tu, Peter Parker, tu mi avresti lasciato morire …”
“Tutto quello che volevo era salvarti, Harry!”, urlò Peter in un misto di rabbia e disperazione.
Sferrò un pugno alla cella facendola vibrare. Cadde sulle ginocchia e appoggiò la fronte alle stesse sbarre metalliche che un attimo prima avrebbe abbattuto.
“Come puoi pensare che avrei voluto che tu morissi? Dopo aver perso i miei genitori e lo zio Ben, come, dimmi in quale modo, avrei potuto desiderare di perdere qualcun altro? Come potrei desiderare di fissare per giorni interi un’altra tomba e bagnarla con il dolore delle mie lacrime. Come, Harry Osborn, dimmi come, avrei potuto desiderare di perdere anche il mio miglior amico. Se solo tu sapessi quanto sia grato al cielo di vederti qui, in carne e ossa, e non sottoterra. Se solo, Harry, ti sforzassi di capire quanto la tua vita sia preziosa per me e quanto vorrei che niente e nessuno te la portasse via. Dopo tutto quello che abbiamo passato, io ti perdono perché non eri in te quella sera”.
Peter attese in ginocchio, con il volto chiazzato di macchie scarlatte e disperazione, che Harry si voltasse e vedesse quanto stesse sanguinando per lui, per uno sguardo, per un briciolo di attenzione. Attese invano che il re gli concedesse un’udienza nella sua corte proibita e lo illudesse di risolvere i problemi che lo affliggevano. Ci sperò tanto, il povero Peter. Ci sperò tanto, l’onesto Peter, che il veleno avesse smesso di correre nelle vene del suo amato monarca Harry e che questi fosse rinsavito. Sperò tanto, l’insignificante Peter, che il male non lo avesse sopraffatto.
“Io ti perdono perché sei tutto quello che mi è rimasto”.
Harry ebbe un fremito e gli occhi di Peter risalirono dal fondo dello sconforto. Iniziò a battere violentemente le nocche contro le sbarre, gridandogli di voltarsi e affrontarlo.
“Girarti e guardami, Harry! Guardami, Harry, guardarmi!”, urlò facendo tuonare le pareti. “Guardami, Harry, guardami!”. Due guardie carcerarie intervennero, armate, temendo che la situazione potesse degenerare. Afferrarono Peter per le spalle e lo trascinarono via, minacciandolo di ricorrere a dei sedativi se non si fosse calmato da sé.
Peter continuò a scalciare e a tentare di liberarsi, gridando ancora e inutilmente il nome di Harry.
“Harry, Harry! Dio, lasciatemi stare, voi due! Harry, guardami. Harry!”
E Harry si voltò appena, il viso sfigurato dalla malattia e gli occhi spenti. Non disse niente, né un sorriso né una parola.
“Io ti perdono”, gli urlò di nuovo Peter.
“Io no”, mormorò in risposta Harry severo.
Nessuno seppe mai a chi si stesse riferendo, se a Peter o a se stesso o a alla vita che lo aveva privato del regno che gli spettava di diritto dalla nascita. Nessuno poteva sapere cosa gli frullasse per la testa perché nemmeno Harry poteva saperlo.
La follia aveva preso il sopravvento e Harry aveva ormai capito che la morte era più vicina di quanto potesse immaginare.





Note: Dopo un mese sono riuscita a finirla e sono felicissima di pubblicarla. Mi sono innamorata di Harry dalla prima volta che l'ho visto nei trailer e dopo averlo visto in azione nel film, non potevo non scrivere su di lui. Spero possiate apprezzare ciò che ho scritto, anche se non è, come al solito, la più allegra delle cose che si possano leggere, ahahahah.
   
 
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