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Autore: ScleratissimaGiu    12/06/2014    2 recensioni
Carl è stato abbandonato dalla famiglia ed è costretto dal suo capo a trasportare un enorme carico da un capo all'altro dell'America. Durante il suo viaggio, un misterioso interlocutore gli fa ripercorrere la sua vita famigliare, ma solo perché lo vuole punire.
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Carl Matthews uscì dall’ascensore cigolante e mise piede nella minuscola hall del quarto piano dell’edificio, la segretaria stava impacchettando la sua roba per tornarsene a casa a bordo di una vecchia utilitaria rossa.
Salutò l’uomo con un gesto frettoloso della mano e scese le scale di servizio, perché quando era piccola era rimasta bloccata nell’ascensore del suo palazzo e non si fidava più di quel malefico congegno.
Carl non le badò granchè, perché la sua attenzione si concentrò principalmente sulle comodissime poltroncine bordeaux della sala d’attesa e sul calorifero che emanava un gradevole tepore, soprattutto per lui che arrivava da fuori, dove stava venendo giù il diluvio universale. In un batter d’occhio si accocolò sulla prima poltrona accanto al calorifero e chiuse gli occhi, cullato dal rumore delle gocce di pioggia che battevano sui vetri della finestra poco distante; quando stava proprio per addormentarsi, la porta che recava la targa “Michael Jones, direttore reparto ‘consegne extra-territoriali’” si aprì, e Carl saltò su dalla sua comoda lettiga come una molla.
- Carl! – esclamò Jones, sistemandosi le maniche della giacca italiana che sua moglie gli aveva regalato due giorni prima, in occasione del suo compleanno (per la precisione, gliene regalava una sempre dello stesso modello, ma di colori leggermente differenti, ogni compleanno).
– Signor Jones… - mormorò l’uomo, allungando una mano infreddolita che il direttore strinse velocemente.
- Prego, accomodati – lo invitò, poggiandogli la mano destra sulla spalla e indicandogli l’interno del suo ufficio – starai morendo di freddo! Pensa, mi sono accorto solo ora, che piove…
“Certo, non ti sei mica fatto duemila kilometri con solo una misera giacchetta e a velocità sostenuta, con i finestrini abbassati perché non ci sono i soldi per ripararli, vero?” brontolò mentalmente Carl, togliendosi il vecchio berretto da baseball di suo padre e spazzolandosi i baffi.
- Scusa se ti ho fatto venire con così poco preavviso, - continuò Jones, chiudendo la porta – ma è un ordine che mi è arrivato proprio all’ultimo momento e, oltre ad essere l’unica persona fuori, sei anche l’unico a cui affiderei quest’incarico…
- Di che si tratta, signore? – domandò l’altro, ignorando la falsità con cui il suo capo lo lodava.
- Conosci la sartoria “Blue Pearls”?
- Oh, sì! Non è quella che fornisce i tessuti per i magazzini Macy’s?
- E anche per H&M, Zara e altri negozi importanti come questi. Proprio ieri hanno ricevuto un centinaio di chili di stoffe dal Sud America, e ci hanno chiesto se qualcuno sarebbe disposto a trasportarle fino alla loro sede di New York…
- Suppongo che mi stia chiedendo di farlo, signore.
– Già, te lo sto chiedendo, ma so anche che hai fatto un viaggio parecchio lungo… a proposito, li hanno riparati i finestrini del camion?
- Non ancora, signore, ma quello non è il mio camion… Tex è rimasto qui, mi hanno fatto partire con Red Devil, anche se non è ancora passato in officina…
- Dunque il tuo camion è a posto?
- Sì, perfettamente…
- Ho molta urgenza di completare questa spedizione, Carl. Ci pagano un sacco di soldi, sai? Molti più di tutte le altre… per questo lavoro posso darti duemila dollari, appena torni. In contanti.
– E quando dovrei partire? - quando si parlava di soldi (e, soprattutto, di cifre così alte accumulabili in una volta sola) Carl non aveva molto bisogno di riflettere.
– Beh, immediatamente! – esclamò Jones, alzandosi dalla sua poltrona girevole con un sorriso beffardo stampato sulla faccia – sono lieto che tu comprenda l’importanza di questo incarico, Carl. E che tu sia disposto a partire subito! È davvero fantastico.
Carl si ritrovò con le mani legate, mozzate, ricucite ai polsi e legate una seconda volta, giusto per sicurezza.   Era molto stanco, aveva guidato dalla periferia di Seattle fino a San Antonio, in Texas, ed era tornato indietro; il tutto in due giorni, con pause di massimo due ore per dormire, e si sentiva veramente esausto.
Ma avrebbe potuto protestare contro un diretto ordine del signor Jones (anche se aveva rigirato ben bene la frittata, l’aveva fatta quasi cadere dalla padella)?
La risposta era semplicissima: no.
– So che è un brutto periodo per te… - il signor Jones colse l’espressione stravolta del suo impiegato e cercò di rimediare – tua moglie e tuo figlio devono mancarti molto…
Carl non ci badò, perché odiava che la gente spettegolasse o facesse il “comprensivo” con questa storia: ormai era sulla bocca di tutti.
Qualche giorno prima, Carl era tornato a casa dopo un lungo viaggio che l’aveva portato fino a Toronto, in Canada, ed era veramente esausto.
Era piuttosto tardi, dunque pensò che fosse normale che le tapparelle fossero tutte abbassate e che la tavola non fosse più apparecchiata: sua moglie Darla aveva probabilmente messo tutto in ordine prima di andare a dormire.
Carl gettò la sua giacca su una sedia qualunque e si diresse in cucina per uno spuntino di mezzanotte: quando aprì il frigo, era ancora tutto normale.
Dopo aver divorato un ottimo sandwich al tonno e formaggio e aver bevuto mezza lattina di birra, la stanchezza prevalse e decise di andare a dormire.
La camera da letto era avvolta dal buio, e l’uomo cercò a tastoni il suo comodino per accendere l’abat-jour, che irradiava meno luce del lampadario e che quindi più difficilmente avrebbe svegliato sua moglie.
Una volta che la luce si diffuse nella stanza, Carl vide che Darla non era a letto; in quel momento, si accorse anche che i suoi armadi erano vuoti e le ante spalancate.
Con il sangue che gli pulsava nelle vene, andò anche in camera di suo figlio Jeffrey e vide che la scena era pressappoco la stessa: gli armadi vuoti, la libreria vuota, la casa deserta.
Provò a chiamarli tutta la notte, ma nessuno rispose nemmeno nei tre giorni successivi.
L’avevano abbandonato.
- Insomma, Carl… il lavoro mi ha aiutato in molti momenti difficili della mia vita, e credo che farà lo stesso con te.
Il signor Jones aveva continuato imperterrito il suo monologo, ma Carl non ne aveva udito una sillaba, perché la sua mente era tornata a quella notte e il sangue aveva ricominciato a pulsare tremendamente forte nelle sue vene, così forte che avrebbe potuto anche farle scoppiare.
Sarebbe andato a cercarla, oh si, l’avrebbe trovata e le avrebbe spiegato che nessuno, nessuno aveva il diritto di lasciarlo così, mentre lui non poteva impedirle di farlo.
– Dunque, sei pronto? – gli chiese alla fine il direttore, scuotendolo dai suoi pensieri.
– Sì, signore. Parto.
Alzò i tacchi e si diresse verso l’ascensore, che utilizzò per arrivare al piano sotterraneo, dove erano parcheggiati tutti i camion.
Il suo era nella terza fila, posto ventiquattro, tra “Bull” e “Psycho”, e spiccava particolarmente perché era uno dei più imponenti di tutta la scuderia.
Carl estrasse le chiavi dalla tasca destra del giaccone malandato e aprì la portiera; appoggiandosi su qualsiasi cosa potesse dargli un appiglio stabile, montò sul veicolo e partì.
Tex si mise in moto con un rombo sonoro del motore, che fece vibrare tutto l’abitacolo, e il suo guidatore lo condusse all’entrata del magazzino, pochi metri più avanti, dove alcuni ragazzi lo stavano aspettando per caricare le merci.
Quello più giovane, un mulatto con capelli scuri e ricci oltre l’immaginabile, gli fece segno di continuare ad avanzare un paio di metri e poi di fermarsi;  quando Carl ebbe ubbidito e fu sceso dal mezzo, il magazziniere gli si avvicinò.
– Lei dev’essere il signor… Matthews, giusto? – chiese, controllando la cartella che aveva in mano.
– Sì, - rispose l’uomo, con scarso interesse – posso caricare la roba?
- Cento chili di stoffe, esatto? – domandò ancora il ragazzo, che non aveva mai distolto lo sguardo dai fogli che aveva in mano.
– Precisamente. Se non le spiace, avrei una certa fretta – rispose bruscamente l’altro, sporgendosi in avanti per vedere che cosa stesse controllando il suo interlocutore.
– Ma certo, - ribattè quest’ultimo, richiudendo la cartella rosso fuoco e appoggiandola su un tavolino lì vicino – mi segua.
Carl ed il ragazzo, che apprese chiamarsi Tirell, caricarono la merce in meno di mezz’ora, così il camionista potè risalire su Tex e cominciare finalmente il suo viaggio.
Fuori pioveva ancora, ma molto flebilmente; il ticchettìo delle gocce sul parabrezza era appena percettibile, anche perché era coperto dal rumore delle ruote che scivolavano prudentemente sull’asfalto bagnato.
La strada era completamente deserta: forse era prevedibile, visto che erano già le undici e cinquantacinque di un sonnacchioso e monotono giovedì sera, ma a Carl quella calma non piacque particolarmente.
Detestava sentire solo quel rumore, quello delle ruote che corrono sull’asfalto, senza nient’altro che lo accompagnasse; con una mossa rapida, senza quasi pensarci e come se il suo corpo agisse da solo, accese la radio.
Lo speaker parlava con voce concitata e parecchio entusiasta, che aiutò l’uomo a colmare quello strano senso d’inquietudine che l’aveva pervaso precedentemente.
– Buonasera, miei cari ascoltatori notturni: come ve la state passando?  Devo ammettere che io mi sento abbastanza fortunato: gli assistenti al montaggio sono appena rientrati e hanno detto che fuori c’è un tempo da lupi! Spero proprio che siate a casa belli comodi sulla vostra poltrona preferita, invece che per strada!
- Umpf! – borbottò Carl, rimettendosi il cappellino che si era tolto nell’ufficio di Jones.
– In ogni caso, - continuò lo speaker, la cui voce stava iniziando a infastidire il camionista – avete deciso di passare un po’ di tempo con me, quindi mi sembra giusto darvi qualcosa in cambio: ecco a voi il nuovo singolo che sta spopolando ovunque, e vi giuro che anche io non riesco a non ascoltarlo almeno cinque volte al giorno! Lui è il giovanissimo Martin Garrix e arriva dritto dritto alle vostre orecchie con ‘Animals’, ci sentiamo tra poco!  
Quando la canzone riempì l’abitacolo con il suo suono house, Carl sentì che le sue orecchie stavano come andando a fuoco.
Odiava quel genere musicale, ma non perché ne preferisse altri, ma perché suo figlio lo adorava.
Ricordava distintamente di tutte quelle volte che era tornato a casa dopo lunghi viaggi, e sentiva che quella musica usciva dalla stanza di suo figlio con una tale violenza che gli arrivava alle orecchie come un pugno di Cassius Clay gli sarebbe arrivato allo stomaco.  
Allora andava nella sua camera a chiedergli di abbassare il volume, perché quelle onde sonore lo disturbavano, e gli chiedeva perché non fosse andato a salutarlo, visto che era tornato.  
Jeffrey allora si scusava, diceva che non l’aveva sentito ma che tanto non sarebbe cambiato niente, perché comunque suo padre sarebbe ripartito il giorno dopo e per un po’ non l’avrebbe visto, né lui si sarebbe degnato di fare una misera telefonata.
E allora Carl si infuriava, caricava la mano e gli mollava un sonoro schiaffo che, il più delle volte, gli lasciava il segno anche per qualche giornata.
Quei ricordi fecero storcere lo stomaco dell’uomo, che cambiò immediatamente stazione e si sintonizzò sul giornale radio.
- … e dopo la politica, passiamo ai fatti di cronaca.   Questa mattina la polizia di North Mammon, Virginia, ha ricevuto una chiamata da un’anziana signora che chiedeva aiuto al Dipartimento perché i suoi tre nipoti, Layla, Anthony e Jenna, che erano andati a trascorrere un po’ di tempo in uno chalet di loro proprietà nei boschi poco distanti, non la chiamavano da più di tre giorni. Inizialmente, gli agenti sono sembrati scettici, ma hanno potuto appurare, insieme alla donna, che nè al telefono dello chalet né ai cellulari dei ragazzi ottenevano risposta. Una squadra speciale è stata mandata sul posto, ed è stato ritrovato il cadavere brutalmente mutilato della figlia maggiore, Layla, e quello della più piccola, Jenna, ritrovata con un coltello in gola. All’appello manca ancora Anthony. La loro nonna ha rivelato agli inquirenti che Jenna ha attraversato un “brutto periodo” a seguito del quale ha ferito superficialmente suo fratello al braccio, ma che adesso era tutto passato e che i loro rapporti erano tornati amichevoli come un tempo.  Gli inquirenti non hanno ancora confermato l’iscrizione del fratello al registro degli indagati, ma finché non sarà reperibile la sua rimarrà una posizione molto delicata.
Carl rabbrividì al solo pensiero di quello che aveva appena udito, e decise di spegnere definitivamente la radio a dispetto del silenzio che ne sarebbe conseguito. La pioggia si stava diradando sempre di più, e quando l’uomo imboccò l’uscita per uscire dalla zona industriale di Seattle aveva smesso completamente.
Carl decise di premere un po’ di più sull’acceleratore e così il frusciare alquanto fastidioso delle gomme aumentò, ma lui era perso in tutt’altri pensieri.
Quando era tornato a casa, quella notte, la sua famiglia, proprio la sua, se n’era andata senza dirgli né grazie, né prego, né arrivederci.
Una cosa quasi inaudita.
Inaccettabile.
Impensabile.
Probabilmente Darla l’aveva progettato da tempo, sicuramente Jeffrey l’aveva pienamente appoggiata, anzi le aveva preparate lui le valigie per entrambi, mentre restava chiuso nella sua camera ad ascoltare quell’orrido intruglio di suoni che lui aveva il coraggio di chiamare musica.
Che ingrati.
L’uomo venne scosso da un brivido di indignazione che lo spinse a cercare la sua inseparabile bottiglia di whiskey Jack Daniels che aveva preso l’abitudine di tenere appena sotto al posacenere, e quando l’ebbe trovata, dopo aver armeggiato non poco con la mano destra per riuscire a mantenere il controllo del volante con la sinistra, l’aprì e ne trangugiò tre generosi sorsi.
Dopodiché la richiuse e la mise nuovamente dove l’aveva trovata, tornando a guardare la strada.
L’alcool lo faceva sentire decisamente meglio: bastavano poche sorsate e tutti i problemi, le angosce, i pettegolezzi che crescevano sopra di lui ogni giorno, i brutti voti di suo figlio, le lamentele di sua moglie sul fatto che beveva troppo, tutto questo spariva lentamente dietro la tenda leggera che gli alcolici calavano sopra i suoi occhi.
Sorridendo soddisfatto, si risistemò meglio il cappellino e si concentrò solamente sulla guida per almeno un centinaio o più di chilometri.
Il paesaggio che scorreva dietro al suo finestrino era avvolto nel buio, ma Carl poté distinguere, per almeno una settantina di chilometri, solo grandi palazzi e capannoni industriali, dopodiché gli edifici cominciarono ad essere sempre più radi e più piccoli, fino a trasformarsi in vere e proprie casettine di campagna. Quella vista gli fece tornare alla mente il desiderio impellente che sua moglie gli aveva più volte espresso sul comprare una casa in campagna.
– In un posto tranquillo, - descriveva, con occhi sognanti – così tranquillo che non si sentirebbe nemmeno la radio! Immaginatelo: una bella casupola in mezzo al nulla, solitudine e relax, relax e solitudine. Non sarebbe fantastico?
- Con il mio stipendio? Non direi – replicava sempre Carl, facendo sforzi immani per non reagire troppo male – non ce la possiamo permettere.
– Sarebbe bello avere un camino – fantasticava intanto la donna, senza prestargli attenzione – così d’inverno potremmo starcene sul divano davanti al fuoco…
- Non ce la possiamo permettere, lo sai – rispondeva suo marito, ma lei non lo ascoltava.
– Non mi ha mai ascoltato, - borbottò Carl tra i denti, mentre la sua rabbia cresceva – mai, mai, mai…
Allungò nuovamente la mano e riprese il whiskey, bevendone abbondanti sorsate.
– Non me lo meritavo, - continuò a dire, mentre aumentava la velocità senza accorgersene – li ho sempre trattati come … come …
La velocità del camion aumentava e aumentava, ma Carl non se ne dava pensiero.
Quando i ricordi lo colpivano (ma, soprattutto, quando li mischiava con l’alcool) niente o quasi avrebbe potuto farlo uscire da quello stato in cui ricadeva sempre più di rado ormai.
Stava raggiungendo un incrocio, e una macchina stava giungendo dalla direzione opposta a velocità abbastanza sostenuta.
Carl non decelerava, e l’utilitaria neppure.
La distanza tra di loro si accorciava sempre più.
Centocinquanta metri, cento, ottanta.
Cinquanta.
Trenta.
Dieci.
Uno.
Il camionista si accorse della piccola Fiat appena in tempo, sterzò e riuscì ad evitarla quasi cappottandosi.
L’altro guidatore strombazzò il clacson un paio di volte, urlò insulti poco gentili e imprecazioni a dir poco irripetibili e se ne andò per la sua strada.
Carl sentì il sangue che pulsava, e ci mise parecchi minuti per riuscire a rimettere il camion in una posizione decente e ripartire.
Dopo una cinquantina di chilometri, le luci a neon dell’insegna di un autogrill catturarono la sua attenzione, e decise di fermarsi qualche ora a riposare.
Quando ebbe parcheggiato nell’area apposita dei camionisti, impostò la sveglia del suo cellulare alle sei così da avere almeno tre ore di sonno e poi riuscire a ripartire con la mente un po’ più fresca.
Si appisolò abbastanza in fretta, e quando la sveglia suonò ci mise parecchi minuti a svegliarsi del tutto.
Prima di partire, scese a prendersi un caffè forte; la signorina che lo servì sembrava assonnata quanto lui, ma Carl rifletté che nessuno se ne sarebbe accorto, dato che, in quel momento, era l’unico cliente in tutto il locale.
Aspettò qualche minuto dopo aver svuotato la tazza in modo che la caffeina entrasse in circolo, dopodiché ritornò sul suo camion e ripartì alla volta della Grande Mela. 
La strada cominciò ad essere un po’ più movimentata, con sempre più macchine che si accingevano a solcarla per andare al lavoro, a fare compere in un’altra   
città oppure a trovare i parenti.                 
Quando un altro camion sorpassava quello di Carl, il guidatore gli faceva un cenno di saluto, a cui l’uomo rispondeva educatamente, e poi proseguivano per la loro strada.
Carl continuò a guidare per tutto il giorno, concedendosi generose sorsate alla sua scorta segreta d’alcool, e guardando disinteressato la strada al di la del parabrezza e, ogni tanto, il paesaggio ai lati della strada.
La mattinata trascorse abbastanza velocemente, e nel tardo pomeriggio il guidatore si stava introducendo nell’autostrada di Austin, in Texas.
Qui la temperatura si era alzata di molto rispetto a Seattle, così Carl si fermò in un altro autogrill, tolse il giubbotto, mangiò un panino con mozzarella, insalata e salsa ketchup e riprese il suo viaggio.
Guidò per due ore filate, dopodiché la noia iniziò a diventare insopportabile.
L’unica idea che gli venne per sconfiggerla fu di prendere la radiolina che tutti i camion avevano in dotazione e di vedere se ci fosse qualcuno disposto a fare  quattro chiacchiere.
– Buonasera, - esordì, non troppo convinto – sono Carl, sto andando a New York.
Per i primi tre minuti, nessuno rispose dall’altra parte, ma poi riuscì ad udire una vocina stridula che aumentò di volume gradualmente e gli disse: - Buonasera, Carl.
– Chi sei? – chiese lui, diffidente a quello strano suono.
– Sto viaggiando anche io, sai? Proprio per New York.
– Ma va? – rispose Carl, un po’ più rinfrancato – e perché ci stai andando?
- Il mio capo vuole che consegni una certa merce in fretta... e, a quanto pare, ero l’unico disponibile per farlo.
– A me è successa la stessa cosa! – esclamò indignato l’altro, cercando nuovamente la sua scorta segreta – quel citrullo del mio capo ha usato delle luride scuse per convincermi… ti pare possibile?
- Ah! I capi. Chi li ha messi al comando dovrebbe pentirsene!  Per curiosità, a te cosa ha detto?  Il mio continuava a ripetermi che ero il suo lavoratore più affidabile, che non avrebbe potuto dare l’incarico a nessun altro, perché non si fidava così tanto di nessuno tranne me. Patetico!
- Oh no, oltre alle false lodi il mio ha messo in mezzo anche la famiglia! – sbottò Carl, trangugiando un sorso dalla sua preziosa bottiglietta – mia moglie e mio
figlio che se ne sono andati, io che reggo male questa situazione… un mucchio di storie.
- Mi dispiace, amico – disse l’altro, appena sussurrando. La sua voce era rimasta di uno strano tono acuto.
– Ah! Una sporca puttanella e un ragazzino fissato con della fottuta musica prodotta dai computer… dei piccoli, insignificanti ingrati…
- E non si sono più fatti vivi? – domandò ancora l’altro.
– No, ho provato a chiamarli per tre giorni, ma nessuno risponde. Oh, ma loro non lo sanno, loro non sanno che so dove sono… - sghignazzò malignamente Carl, guardando la strada fuori dal parabrezza senza vederla.
- Come sarebbe? Cioè, come fai a sapere dove sono andati?
arla si lamenta spesso di sua sorella Sue, del tipo che è troppo lontana e si vedono molto poco. È sicuramente lì. Sue vive ad Atlanta, in Georgia; Darla non avrà faticato molto a trovare un passaggio: suo cugino guida treni, l’avrà fatta salire con lui… e quel mostriciattolo di Jeff, certo.
- Jeff? Chi è? Tuo figlio?
- Sì, quella creatura che mi ostino a chiamare “figlio” ma che non mi somiglia per niente.  Mi chiedo se sia davvero mio figlio.  Una mammoletta ingrata e irrispettosa, ecco cos’è.
– Mammoletta, eh? – rise l’ascoltatore – non dev’essere un vero e proprio macho, a quanto mi dici…
- Macho? Quel ragazzo non sa neanche chiudere la mano per mollare un pugno! E appena gliene tiri uno, corre a piangere dalla sua mammina.   E lei, ovviamente, lo difende a spada tratta! Non si chiede neanche perché uno è stato costretto a picchiarlo!
- E tu eri costretto, non è vero? – la voce dell’altro interlocutore si era abbassata, ma Carl era troppo preso dal discorso, dall’alcool e dai ricordi per potersene
accorgere.
- Avevo le mani praticamente legate! In senso figurato, s’intende… - continuò, armeggiando nuovamente per riuscire a prendere la sua riserva – quel ragazzino non aveva la minima idea delle parole “rispetto” e “disciplina”, dovevo intervenire! Se fosse stato per sua madre, avrebbe fatto tutto quello che voleva, e non potevo permetterlo!
- E Darla? Che mi dici di lei? Anche con lei eri “costretto”?
- Oh, Darla… - rispose lui amaramente, dopo aver bevuto ancora – quella donna non mi ha mai capito veramente.  Continuava a cinguettare su quello che voleva lei, sul fatto che voleva una casa in campagna, sul fatto che ormai era solo una casalinga in pensione e i soldi non le bastavano per comprarsi tutti i trucchi che avrebbe voluto…
- E tu le riportavi sempre alla realtà. Le ricordavi la vostra situazione.
– L’ho fatto, l’ho sempre fatto! Le dicevo “cara, col mio stipendio non ce lo possiamo permettere”, ma lei andava avanti come se nemmeno ci fossi!   Io cercavo solo di farle capire come stavano veramente le cose, che se avessi potuto glieli avrei comprati io, tutti i trucchi che voleva, ma che non potevamo.
- E, nel frattempo, continuavi a lavorare.
– Lavoravo sempre, giorno e notte, non prendevo mai una pausa, solo per garantire loro quei soldi di cui avevamo tanto bisogno.  Ma tu credi che loro l’abbiano capito?  No, mai!  Continuavano a rinfacciarmi il fatto che non ero mai a casa e che, quando c’ero, ero sempre ubriaco.  Quante luride sciocchezze! – strillò infine, prendendo la bottiglia e scolandosela tutta, fino in fondo.
Dall’altro capo, silenzio.
Come se l’ascoltatore misterioso avesse improvvisamente spento la comunicazione.
– Ehi, amico, ci sei ancora? – chiese Carl, che non si era ancora accorto, dopo parecchio tempo, di una cosa veramente strana.
- Sì, sì ci sono. Potresti farmi un favore, Carl?
- Certo, bello! Che posso fare per te?
- Devi solo accendere la radio e poi, quando avrai fatto, rimettere giù la radiolina. Lo puoi fare per me?
- Sicuro! – esclamò felice l’uomo.
Allungò una mano e accese la radio, dove lo speaker radiofonico stava annunciando i vincitori di un certo concorso con in palio delle macchine costosissime, e poi fece il gesto per rimettere a posto la radiolina.
E, in quel momento, si accorse che qualcosa non andava.
Non aveva in mano nessuna radiolina.
– Bene, signori miei, mi congratulo con voi per aver vinto queste meravigliose Maserati!  E adesso, come ho promesso alla mia giovane assistente in regia, vi
lascio con la canzone “Animals” di Martin Garrix!
Lo speaker continuava a parlare, ma Carl non reagì nemmeno quando il suono house di una delle canzoni che odiava di più al mondo si sparse nell’abitacolo.
Armeggiò vicino al volante, sotto, sopra, lungo tutto il cruscotto, ma non c’era nemmeno l’ombra della radiolina che aveva usato prima per cercare qualcuno con cui parlare.
Si era immaginato tutto?
Mentre guidava il camion su una strada completamente dritta, sentì la voce del suo ascoltatore.
– Carl, hai fatto delle cose molto brutte.  Le hai ammesse tutte, ricordi? Hai picchiato ripetutamente tua moglie e tuo figlio, e hai anche pensato di andare a cercarli per finirli definitivamente.  Hai fatto loro del male.
Carl era in uno stato di trance, come se non riuscisse né a muoversi né a parlare.
- Hai fatto del male, lo capisci?
L’uomo annuì debolmente, ma senza uscire dal suo apparente torpore.
- E per aver fatto loro del male meriti di morire.
Carl trasalì, ritornando alla realtà.
Un brivido gli corse lungo la schiena e si accorse che fuori, nonostante l’elevata temperatura, aveva cominciato a piovere.
Scosse con forza la testa, allontanando da sé tutti i brutti pensieri che l’avevano attraversata negli ultimi sessanta minuti, e poi si accorse che la radio stava
trasmettendo quella canzone.
Grugnendo per il disgusto, provò a spegnerla, ma vide che tutti i suoi tentativi erano vani.
– Ah, stupida radio… - mugugnò, tornando a tenere d’occhio la strada.
I fari illuminarono una figura piccola ricurva su stessa a pochi metri dal camion, immobile sotto la pioggia.
Carl sterzò bruscamente per evitarla, e mentre il camion si stava ribaltando la radio continuò a trasmettere il pezzo.
- We’re the fucking animals!
L'autoarticolato si ribaltò su stesso più e più volte, schiacciando letteralmente il corpo di Carl, che ormai faticava a respirare, e perdendo per strada le stoffe, ma la musica non si fermava.
Il veicolo continuava a rotolare lungo la strada come fosse stato un normale cilindro su una superficie inclinata, e arrivò fino alla fine della strada, dove c’era una curva che proteggeva le macchine da un pericoloso strapiombo.
Il camion infranse le protezioni come se fossero state di cotone e rotolò giù sbandando contro i fianchi rocciosi.
La sua caduta s’interruppe circa cento metri più sotto, dove l’autoarticolato venne praticamente catapultato e prese fuoco.
La piccola creatura ricurva su se stessa e immobile sotto la pioggia si mosse verso il varco che il veicolo aveva aperto cadendo, e rimase lì a guardare le fiamme, che divampavano nonostante la caduta incessante della pioggia.
Piano piano, l’acqua che cadeva dal cielo divenne sempre più scura, sempre più scura… finché non si trasformò definitivamente in sangue.
La creatura allora si voltò ed entrò nelle piccolo boschetto ai lati della strada, dove venne inghiottito dalla vegetazione.







Angolino dell'autrice ^•^

Ciao stelline!
Spero che la storia vi sia piaciuta, e mi scuso per la lunga assenza ma è stato un periodo difficile per il mio computer (devo portarlo di nuovo a riparare) e... mi pubblicheranno un libro!!! Yeee ^•^
Mi scuso per la dimensione dei caratteri, ma purtroppo dal tablet non sono riuscita a cambiarli :(
Ricordate che recensioni positive o critiche/consigli sono sempre bene accetti!
A presto!
 
  
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