Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: _Elwing    12/06/2014    3 recensioni
Dal testo: "... La sua vita le sembrava poca cosa in fondo: se il soldato l’avesse sparata e uccisa o se cadendo fosse morta sarebbe stato comunque meglio che vivere ancora rinchiusa. Rischiare ed essere libera, rischiare e morire, entrambe le alternative che le si prospettavano davanti sarebbero state comunque meglio di un altro solo giorno di prigionia, perché in ognuno dei due casi tutto sarebbe finito in quell’istante..."
Purtroppo, temo che il titolo della storia già sveli molto: la protagonista, Jade, è infatti una bambina di Ishval. Benché io ami i due protagonisti della serie, almeno per ora, credo che non compariranno, perché volevo con questa fan fiction parlare della guerra di Ishval, approfondirla cercando di immaginare come è stata vissuta dai suoi abitanti, cercando di trattare un tema difficile come quello della guerra esprimendo le mie riflessioni tramite i personaggi di Full Metal e Jade, che ho inventato io. Ma non parlerò solo degli abitanti di Ishval: la guerra si combatte sempre su due fronti e in questo caso dal lato opposto ci sono i soldati e gli Alchimisti di Stato.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Stanchissima, poco prima dell’alba Catherine si addormentò su una sedia che aveva accostato al letto di Jade, con le braccia mollemente appoggiate ai braccioli.
Si era presa cura di Jade per tutta la notte e quando finalmente la bambina si era calmata anche lei aveva ceduto al sonno.
Proprio allora Jade riaprì gli occhi: la prima cosa che vide fu il soffitto della stanza, bianco, nella mente non parlava nessun pensiero. Sentì di avere la fronte umida e quando sollevò una mano per toccarsela vi trovò sopra un panno bagnato.
Sentiva il cuore che le batteva forte in petto, debole; sentiva di non avere forze, come se le fossero state risucchiate.
Si sollevò un po’, lasciando che la schiena sprofondasse nel morbido strato di cuscini appoggiati alla testata del letto. Un letto immenso, notò, oltre che estremamente comodo.
Vide il lusso che la circondava, di quella stanza in cui si trovava e si chiese se non stesse sognando. Non ricordava di esserci arrivata da sola, forse qualcuno ce l’aveva portata. Non riusciva nemmeno a ricordare cosa fosse successo la sera prima.
Vagando confusamente con gli occhi nella stanza Jade notò la ragazza che dormiva accanto al suo letto. Si domandò chi fosse e se era stata lei a portarla fin lì. Dormiva e anche se avrebbe voluto farle delle domande non osò svegliarla. Decise che avrebbe aspettato che si svegliasse da sola.
Aspettava solo da pochi minuti quando sentì lo stomaco brontolarle per la fame. Le sfuggì un sospiro e chiuse gli occhi: pensò che se avesse dormito non avrebbe sentito i morsi della fame.
Il sonno però non arrivò e i suoi tentativi di dormire furono inutili.
Credeva che sarebbe morta per la fame o per la noia e che non le restava altro se non aspettare e scoprire quale delle due l’avrebbe uccisa per prima.
Quando finalmente sentì la ragazza mormorare: si svegliò e dopo che si fu sfregata gli occhi le rivolse uno sguardo sorpreso. Si alzò dalla sedia come fosse stata una molla e, con gentilezza, le disse:
« Sei sveglia. Come ti senti? »
Mentre parlava, le tolse il fazzoletto dalla fronte e gliela sfiorò con il palmo di una mano.
« Sembra che la febbre sia scesa. Avrai fame, immagino. »
« Dove sono? »
Catherine stette un attimo in silenzio; poi, sorridendo, rispose:
« Ieri sera mio fratello ti ha trovata svenuta davanti a casa nostra e ti ha portata qui. Il mio nome è Catherine Elle Armstrong, ma tu puoi chiamarmi solo Catherine. Il tuo nome invece qual è? »
« Jade. »
Mentre stava appoggiando il fazzoletto sul comodino, Catherine le domandò:
« Cosa significano quei cerchi alchemici che hai sui palmi delle mani? »
Jade si guardò le mani: solo allora si accorse che non aveva i guanti.
Terrorizzata, domandò:
« Dove sono i miei guanti? Perché me li avete tolti? »
Catherine la guardò stranita, senza riuscire a capire l’origine di tanta agitazione. La sera prima glieli aveva tolti e messi insieme agli altri vestiti in un cesto che si trovava ai piedi del letto, in attesa di farli lavare. Li prese e quando li porse a Jade questa glieli strappò di mano, indossandoli frettolosamente. Allora parve calmarsi.
Proprio in quel momento, per rompere la tensione che si era creata, si sentì bussare alla porta.                                                             Il mattino era ormai sorto, placido e sereno e l’anziana domestica che aveva aiutato Catherine durante la notte arrivò portando con sé la colazione per la piccola.
Le misero un vassoio stracolmo di cibo sulle gambe e le dissero che era tutto per lei e che poteva mangiare tutto quello che voleva.
Jade non aveva mai visto così tanto cibo e mai sentito profumi così buoni. Il primo che la colpì fu l’aroma del tè fumante, che riempiva con il suo colore ambrato una tazza trasparente; poi, fu investita dal profumo del pane tostato, della pasta delle brioche cosparse di zucchero a velo e della marmellata di ciliegie.
Non sapeva da dove cominciare.
Vedendola in difficoltà, Catherine prese una delle fette di pane tostato: vi spalmò sopra della marmellata e gliela porse.
« Assaggiala, è la mia preferita. »
Jade le diede un primo morso incerto: dire che le piacque è poco, anche se le sarebbe piaciuta qualunque pietanza le avessero servito.
Mentre lei mangiava Catherine le preparò anche le altre due fette di pane e le versò lo zucchero nel tè.
Era al terzo morso della brioche, alternando un boccone un sorso di tè, quando si sentì di nuovo bussare alla porta. Sia Jade che Catherine rivolsero lo sguardo alla porta, dalla quale entrò un uomo.
« Mi hanno detto che la bambina si è svegliata. »
La voce dell’uomo turbò un po’ Jade: era scura e profonda, così diversa da quella di Catherine. Le ricordava vagamente la  sua  voce, ma questa era priva di quella nota di risentimento e crudeltà.
Anche l’aspetto dell’uomo la spaventò all’inizio: era altissimo, immenso e benché coperto da una camicia e un paio di pantaloni neri si capiva che aveva una corporatura possente.
« Sono felice di vederti mangiare, significa che stai meglio. – disse. Jade ebbe l’impressione che volesse dire altro, ma qualcosa lo trattenne. Prese a guardarla stupito e poi disse:
« Sei una bambina di Ishval? »
Jade non rispose, si limitò a guardare spaventata, come colta di sorpresa, prima l’uomo e poi Catherine, che ora la guardava interrogativa.
« Cosa ci fai qui a Central City? I tuoi genitori si sono trasferiti qui? »
«No. – rispose Jade con un filo di voce – Non ho i genitori. »
Alcuni istanti di silenzio seguirono quella rivelazione.
« Che maleducato! – disse l’uomo quasi esclamando – Ho interrotto la tua colazione. Prima di lasciarti continuare permettimi di presentarmi: il mio nome è Alex Louis Armstrong. A parte la mia cara sorellina nessuno mi chiama per nome, ma vorrei che tu mi chiamassi solo Alex. E voi, signorina, come vi chiamate? »
Le porse la mano: era una mano enorme, non ne aveva mai vista una così, sembrava quasi scolpita nella pietra. Vi mise dentro la sua manina esile e piccina e accennando mezzo sorriso rispose:
« Mi chiamo Jade. »
 
Mattina e pomeriggio trascorsero tranquilli. Jade dormì molto e mangiò per la prima volta in tre anni pasti regolari e abbondanti. Rimase tutto il giorno a letto, alzandosi solo di tanto in tanto per andare in bagno e per pranzare seduta al tavolo che si trovava al centro della camera. Sempre per la prima volta godette della compagnia di qualcuno: Catherine non la lasciò sola quasi mai, rimase perfino a pranzare con lei. Chiacchierarono anche: per lo più fu la ragazza a parlare, mentre Jade si limitava ad ascoltare, ma la cosa non la infastidì. Non era abituata a parlare con la gente: le avevano insegnato solo ad obbedire agli ordini, non ad esporre le sue opinioni e i suoi pensieri. Al laboratorio le era capitato di parlare con alcuni bambini, ma per via delle circostanze erano sempre state conversazioni fatte di pochi scambi di parole appena bisbigliate.
 
Circa due ore prima di cena il sonno di Jade, che si era addormentata,                     
fu disturbato da incubi orribili. Doveva aver gridato perché quando si svegliò, ansimante, sudata e con il battito del cuore accelerato, trovò Catherine e Alex chini su di lei, che la osservavano preoccupati. Inoltre, le era rimasta come la sensazione di un grido nelle orecchie.
« Calmati Jade, hai avuto un incubo. – sentì la voce di Catherine parlare.
Appena fu riuscita a uscire dal suo incubo e vide il volto della ragazza, la bambina si strinse istintivamente al suo braccio, mentre le lacrime le rigavano il volto. Sussultando lasciò il braccio di Catherine e la guardò come se, avendo commesso un grave errore, si aspettasse di essere punita.
Catherine le prese le spalle e disse:
« Non voglio farti del male. »
La lasciò. Jade la vide andare verso il tavolo al centro della stanza sul quale c’erano una brocca d’acqua e un bicchiere.
Mentre la ragazza riempiva il bicchiere, Armstrong si sedette sul bordo del letto e aiutò Jade a raddrizzarsi.
Tornata da lei, Catherine la aiutò a bere sorreggendole il bicchiere. Quando si fu dissetata ed ebbe smesso di piangere e quando ebbe l’impressione che si fosse calmata un po’, Armstrong provò a porle questa domanda:
« Avresti voglia di raccontarci cosa hai sognato? »
« Un alchimista. »
La confessione di Jade, così stranamente diretta e concisa, colse di sorpresa i due fratelli, ma non quanto l’immagine che quelle parole avevano evocato.
 « Hai paura degli alchimisti? – disse Armstrong – Bé, non mi sorprende, gli adulti di Ishval ci considerano alla stregua di demoni e così ci faranno apparire agli occhi dei bambini. »
« No. – fu la secca risposta di Jade – Io non conosco quelli del mio popolo, non so cosa dicano ai bambini. E non ho parlato  degli  alchimisti, ma di  un  alchimista. »
« Perdonami, allora. – rispose Armstrong titubante – Come si chiama? Magari lo conosco, perché sai, anche io sono un alchimista, un Alchimista di Stato precisamente. »
Jade sgranò gli occhi: Armstrong si accorse della sua espressione quasi spaventata.
« Non siamo tutti cattivi noi alchimisti. Ce ne sono molti che usano l’alchimia a sproposito, è vero, ma altri se ne servono per aiutare le persone.»
« Gli Alchimisti di Stato non fanno questo. – disse Jade. Nel suo sguardo si poteva leggere del risentimento – Non credo nemmeno che un qualsiasi alchimista possa aiutare qualcuno. »
« Cosa sai dell’alchimia? »
« Niente, – disse, mentre osservava le sue mani avvolte nei guanti bianchi – se non che è un’arma che viene usata con lo scopo di distruggere. »
L’alchimista la guardò pensieroso.
« Bene, per oggi basta parlare di queste cose. Immagino che tu voglia dormire adesso, vero? Ma non da sola, dopo quell’incubo. Sei ancora spaventata? »
Jade non si mosse e non rispose, ma non fu necessario perché Armstrong capisse quale fosse la sua risposta.
« Catherine, perché non la portiamo nella tua stanza all’ultimo piano? Ormai tu non la usi più, ma la domestica la tiene sempre pulita e in ordine. »
Catherine, che aveva capito dove il fratello voleva andare a parare, sorrise e annuì.
Armstrong allora si alzò dal letto, scostò le lenzuola che coprivano Jade e prendendola in braccio disse:
« Non vorremmo che ti stancassi. »
Jade arrossì leggermente. Per Armstrong la bambina non doveva pesare più di una piuma o di una minuscola farfalla e Jade non ebbe paura nemmeno per un momento di cadergli dalle braccia, nemmeno quando salirono le lunghe scale che portavano al piano superiore.
Si fermarono davanti a una porta di legno dipinta di bianco e allora Armstrong la mise a terra. Si inginocchiò accanto a lei e le prese le mani; Jade parve irrigidirsi un po’ e gli rivolse uno sguardo a metà fra il diffidente e l’interrogativo.
« Non guardare finché non te lo dico. »
E le portò le manine al volto, per coprirle gli occhi.
Nel buio, Jade poté sentire il cigolio di una chiave che girava in una serratura e poi quello della porta che si apriva.
« Guarda. »
Jade aprì gli occhi. Non aveva mai visto niente del genere, anzi, non aveva mai immaginato che potesse esistere qualcosa di simile, nemmeno nei suoi sogni più belli.
La stanza che si apriva davanti a lei, immensa, era piena di...
« Bambole! »
Erano un’infinità e si trovavano ovunque, su mensole appese al muro, su scaffali, sedute su grossi comò; la stanza sembrava quasi casa loro: c’era un divanetto di velluto blu, un tavolino basso con delle sedie a misura di bambino, dagli schienali finemente intagliati. Un grande tappeto copriva metà del pavimento della stanza, contro la parete di fondo c’era un armadio e nella parete di fronte alla porta si apriva una finestra con due lunghe tende che ricadevano morbidamente a terra.
Sopraffatta dallo stupore, Jade rimase sulla soglia a bocca aperta.
« Entra, coraggio. Puoi andare a guardarle e giocare un po’ e scegliere quella che preferisci. »
Jade guardò ancora una volta Armstrong.
« Tutte le bambole che vedi sono mie, – disse Catherine – quando ero piccola trascorrevo giornate intere a giocare con loro in questa stanza. Ora se vuoi puoi giocarci tu e sarei ben felice di regalarti la bambola che preferisci. »
Jade allora entrò nella stanza: guardò una ad una tutte le bambole, esitando all’inizio a toccarle perché erano così delicate e belle che aveva paura di romperle. Incoraggiata dai fratelli Armstrong, guardò anche nell’armadio, che scoprì contenere vestiti di ricambio per le bambole, nastri per capelli, scarpe e altri accessori per giocare.
Ci trascorse dentro un’ora abbondante e alla fine scelse la bambola che ai suoi occhi risultò essere la più bella di tutte.
Stava seduta in disparte sull’angolo di un comò, una bambolina con la pelle di porcellana bianca e liscia, con cucito addosso un morbido vestitino azzurro cielo con le balze arricciate. La bocca, sottile, era colorata di un rosa appena percettibile e aveva un’espressione serena. Gli occhi, nascosti sotto delicate ciglia nere, erano disegnati con precisione, grigi e con una grossa pupilla nera e luccicante. I capelli sembravano veri ed erano lunghi e folti, lisci e neri. Jade vi passò sopra la mano più e più vote facendoli scorrere tra le dita lentamente, come se li stesse pettinando.
 Gli occhi di Jade brillavano, increduli. Le sembrava impossibile che una cosa tanto bella stesse succedendo a lei. non era mai stata trattata con così tanta gentilezza da qualcuno ed era sempre stata convinta che non sarebbe mai stata capace di suscitare sentimenti di gentilezza in nessuno.




Angolo Autrice
Eccomi qua con il terzo capitolo! Ci ho messo un po' ma alla fine è arrivato.
Spero che la storia vi stia piacendo e che in seguito possa piacervi di più. Spero anche di non averla resa esageratamente mielosa... >.< Ma ci sta, povera Jade, un pò di gentilezza anche per lei! E' così piccolina!
Forse qualcuno si starà chiedendo dov'è la guerra di cui ho detto che avrei parlato... abbiate pazienza, arriverà (purtroppo). 
Mi servivano però questi capitoli, diciamo, più tranquilli per introdurre un po' il personaggio di Jade.
Ringrazio molto le persone che leggono la mia storia e quelle che fino ad ora hanno commentato. Se gli altri avessero voglia di lasciarmi anche loro un commentino, anche piccolo piccolo, sarei felice di leggerlo^.^

_Elwing
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: _Elwing