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Autore: Miss Blaze_    13/06/2014    0 recensioni
Solitamente nessuno si immagina di perdere la propria madre talmente presto, eppure io mi sono sempre alzata ogni mattina con questa paura. Pensavo che si sarebbe uccisa, stanca di me e delle mie pazzie, stanca di mio padre e di vivere con due persone che la portavano all’esaurimento. Ne ero convinta, davvero, ma non avrei mai potuto credere che sarebbe stata l’oscurità a portarla via da me.
[...]
La morte fa parte della vita come anche l’illusione e mi sorprende il modo in cui il destino sia riuscito a strapparmi quel pizzico di serenità che la mia quotidianità possedeva.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono la ragazza fortunata, non lo sono mai stata.
Mia madre è una grande donna, forse la migliore che abbia mai conosciuto in questi ventidue anni. I lineamenti del suo viso richiamano quelli di un angelo, così perfetti, posati, dolci. Non credo di somigliarle molto, sono il suo esatto contrario e questo.. beh, non è una cosa positiva. Deve essere il legame tra due persone completamente diverse ad aver creato una come me, ne sono certa. Beth è calma, tende allo stakanovismo e solo in momenti eccezionali riesce a dar vita alla sua anima ribelle nonostante i suoi quarantacinque anni. John, invece, oltre allo stakanovismo possiede qualità ben diverse dalle sue. Non sa mangiare in modo composto, sbatte le labbra e dopo aver bevuto tre bicchieri di vino rispettivamente a pranzo e a cena rutta. Il suo hobby preferito è fare rutti, pagherei qualsiasi cifra per confermarlo. Ha la sua scaletta, tra l’altro.

• Rutto da leone;
• Rutto da cinghiale;
• Rutto da luiale (un misto tra maiale e lupo, un suono disgustoso che vi auguro di non sentire mai);
• Rutto da gattino seducente;
• Rutto da principiante.

Questi sono solo cinque dei tanti, perché ce ne sono altri.
Il mio preferito è senz’altro quello da gatto. Sa essere trasgressivo e impacciato allo stesso tempo e lo A D O R O. In realtà lo adoravo, ora lo odio. Quando ero piccola mi divertiva imitarlo, fare le facce strampalate che tutt’ora faccio e battere le mani con l’umorismo che solo una bambina entusiasta possiede. Nonostante mia madre fosse contraria a quei gesti rozzi mi piacevano e sono sicura che, nel profondo, facessero provare gusto anche a lei.
Tuttavia un altro hobby che John svolge è buttarsi sul divano ogni Sabato e Domenica, fare zapping con il telecomando per poi guardare sempre le stesse vecchie partite di rugby. Si lascia tenere compagnia soltanto dalle tortillas, infatti quand’ero ancora una bambina e osavo disturbarlo mi urlava contro, alitandomi in faccia il retrogusto di rutto mischiato a una buona dose di alchol. Non ero certo una piagnucolona, anche se non smentisco che tutte le volte mi sentivo essere una bambola di pezza, ma correvo via ridendo e sventolandomi la mano davanti al naso.
«RUUUUUUUUUU pft che puzza!! Mamy papà ha fatto il dinosauro (un altro tipo di rutto famoso di sua creazione)».
Ammetto inoltre la mia demenza infantile, però passatemela stavolta, per piacere.
Crescendo mi son resa conto di quanto il weekend fosse significativo per lui, che aveva perso la sua possibilità di diventare un grande giocatore da giovane e che, ora, riportava ogni cicatrice sugli occhi. Lo osservavo mentre seguiva le partite da un angolo nascosto del piccolo salone di casa e lo ammiravo perché riusciva a guardare un qualcosa che non ci sarebbe mai stato nel suo futuro.
Comunque se all’età di quindici anni pensavo fosse fico, ora credo che sia stupido e infantile, come ogni atteggiamento che assume. Sembra essere rimasto bloccato ad anni prima e non si rende conto della velocità con cui le cose siano andate avanti, ma non affronto questi pensieri con lui, sarebbe troppo e sono certa che non sarebbe in grado di sopportarlo.
Io, perlomeno, nel suo caso non ce la farei.
Siamo molto simili, nonostante io riesca a controllare i miei istinti e le mie voglie meglio di lui.
Bevo, Dio se adoro bere! L’alchol è un tale conforto per me, in modo particolare la sensazione di calore che mi si diffonde nella trachea quando butto giù cinque shot di fila. Forse sono stata sbronza un paio di volte, ma senza forse. Beth era così disperata nel vedermi in quello stato ogni volta, cercava di spiegarmi quanto fosse sbagliato e.. non ricordo. La sbronza quella volta era più forte del solito, almeno questo so dirlo con certezza. Era solo un periodo, però, e anche se ora continuo a divertirmi tra locali e alcolici difficilmente torno a casa in quello stato. Probabilmente era dovuto all’adolescenza, l’influenza delle mie compagnie.. tutte quelle robe da spericolati che ti fanno credere di essere il re del mondo, insomma.
Sono rozza. Mi piacciono le parolacce. Non riesco a pensarle, solo a dirle ed escono a getto, tutte in una volta. Questo è un aspetto che mi accomuna ad entrambi, in quanto mia madre usava quei termini quando la collera non faceva che aumentare, mentre la prima parola di mio padre è stata ‘cazzo’. Non so se questo sia dovuto a ciò che possiede nelle mutande o ad altro, ma i miei defunti nonni hanno confermato di aver sentito quella parola uscire dalla sua bocca. Alla faccia dei bambini innocenti eh!
Vi piacciono i dolci o le cose avventate? Io ho un legame che va oltre il pensiero umano con queste due cose, davvero. Dipendo dal glucosio e non posso farne a meno, ho sempre una scorta di ciambelline dietro, dolcetti o robe così. Le cose avventate, invece, sono il TOP. Tutti dovrebbero vivere situazioni come queste, altro che quei quattro sfigati che passano la vita ad aspettare qualcosa di B O O M. Sarò pur pazza, ma queste concezioni non le ho mai concepite. Stupidaggini.
Sono tutte stupidaggini. La società odierna lo è, ci avete mai pensato? Fermatevi un secondo davanti allo specchio, osservatevi per un secondo e ripetete le parole che io dico ogni mattina a me stessa.
«Tu sei una delle tante merde che rende questo mondo peggiore.»
Poi, se volete accentuare la scena come in quei film dove la protagonista è una figa-ultra-ricca-figlia-di-papà, basta che vi sorridiate e usciate di casa sbattendo la porta.
Se fossi ancora a casa fermerei il tempo, eviterei che la mattinata vada avanti e permetterei al destino di porre fine ad ogni vita in quello stesso istante. Sarebbe una scelta migliore rispetto a quella reale, ve lo assicuro. Perché sono sballata, stamattina. Ho avuto la strana fantasia di bere e ora non capisco nulla. Perciò quando mi chiamano e me lo dicono, io scuoto la testa, sbatto il bicchiere sul bancone e grido davanti allo schermo del telefono.
«CAZZATE!»
Attacco la chiamata sebbene provenga dall’ospedale e butto il telefono nella tasca dell’impermeabile, bevendo un dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo.. o era il sedicesimo shot? Boh, ma che fossero tanti lo ricordo.
«Che minchiate, chi fa queste puttanate al giorno d’oggi? Cazzate. Dammene un altro, poi me ne vado a crepare su una panchina di Central park, giuro!»
Alzo le mani per aria, lucida a metà, e cerco di convincere il barista a passarmi un altro bicchierino. Non capisco cosa gli cambi darmi un altro di quei drink, lo pago e gli lascio la mancia, ma sono tutti così insensibili.
«Dannazione! FOTTITI.»
Lascio la banconota da cinquanta accanto al sacro contenitore di alchol e mi alzo, tenendomi dallo sgabello e scuotendo la testa. La vista mi si appanna per un secondo e tutte le facce che ho davanti, immobili a fissarmi, traballano a una velocità pazzesca. Afferro la borsa e esco da quel postaccio, pregando Dio che la prossima mattina decida di andare in un bar più accogliente. È probabilmente una di quelle mattine incomprensibili, tant’è che nemmeno capisco quella mia improvvisa voglia di bere. “Succederà qualcosa”, urla la mia coscienza.
«C A Z Z A T E.»
La gente mi fissa, io faccio loro il dito medio e fingo di non essere così.. fuori di me. In certi casi John ha un autocontrollo maggiore del mio, anche se mi sembra da pazzi pensare una cosa del genere. Devo essere altamente sbronza.
Squilla, squilla ancora. Quella suoneria mi entra in testa e mi manda il cervello in tilt, quindi prendo il cellulare e rispondo alla chiamata. Di nuovo l’ospedale.
«SMETTETELA CON QUESTI CAZZO DI SCHERZI DI MERDA»
«Shanikah..? Sei ubriaca? Dio.. è ubriaca di nuovo…»
Esattamente come prima il tizio mi chiama per nome, mi pone una domanda ovvia e poi inizia a conversare con qualcuno che io non posso vedere né sentire. Non lo sopporto. Vorrei tirargli un calcio tra le gambe in questo momento.
Sto per chiudere, ma qualcosa mi frena.
Sbatto le palpebre e osservo il portone del mio palazzo, sorpresa di ritrovarmi li talmente presto e senza alcuna difficoltà. Pensavo che la mente fosse più annebbiata, invece era soltanto un impressione.
«Cazzate! Non sono ubriaca! Non rompermi le palle, straniero.»
«Shanikah sono John, tuo padre.»
«Sobrio?»
Non risponde, ma so che appena mi vedrà non aspetterà un secondo per urlarmi contro. Poi mi chiedo per quale motivo chiami dall’ospedale, però precede le mie parole.
«Stai zitta, stai ZITTA!! È morta e tu sei ubriaca. Tu sei stata la sua morte e osi scherzare!!?»
Un secondo. Due secondi.
«No», dico. «Non è morta! Cazzate!»
Stringo i denti e chiudo la chiamata. Corro, cerco di correre più veloce che posso e provo a raggiungere l’ospedale a una velocità assurda, ma non ci riesco.
Quando arrivo mi devo rintanare dietro una siepe per vomitare la mia intera anima, perché correre per tutta quella strada dopo tutto quell’alchol non fa di certo bene.
Lei però non c’è. Perché il destino non ha voluto fermare il tempo stamattina, quando sono uscita di casa. La mia corsa non ha risolto niente, nonostante avessi sperato con tutto il cuore che potesse aiutare in qualche modo. Non posso fare niente. Niente. Mia madre è morta.
Vorrei poter dire ‘cazzate’, adoro quella parola, ma non posso. Però la penso e se lo faccio è un cattivo segno. Significa che sono in panico. Cazzate, penso. Significa che sono tutte stronzate, che ho una personalità di merda che appartiene a una società decaduta e che d’ora in poi vivrò da sola. Perché lei è morta. Beth è morta. Mia madre è morta.

Questa stanza ha l’odore della morte e mi domando quante persone nella mia stessa situazione siano state qui. Solitamente nessuno si immagina di perdere la propria madre talmente presto, eppure io mi sono sempre alzata ogni mattina con questa paura. Pensavo che si sarebbe uccisa, stanca di me e delle mie pazzie, stanca di mio padre e di vivere con due persone che la portavano all’esaurimento. Ne ero convinta, davvero, ma non avrei mai potuto credere che sarebbe stata l’oscurità a portarla via da me. Non ho mai voluto sapere cos’avesse, preferivo rimanere nell’ignoto e sperare che qualsiasi cosa fosse passasse. Che sciocca che ero. La morte fa parte della vita come anche l’illusione e mi sorprende il modo in cui il destino sia riuscito a strapparmi quel pizzico di serenità che la mia quotidianità possedeva.
Non ho più niente, ormai. Mio padre è uno scrigno chiuso e non lo sopporto, sono giunta al limite con lui da troppo. Probabilmente se non andrò via dalla sua topaia lo farà da solo. È assurdo, perché non ho mai visto John coraggioso in questi anni, eppure ho imparato che ci sono sempre sorprese dietro l’angolo, specialmente in questi giorni.
Vi sembrerà assurdo che io continui a non voler conoscere la causa della morte di Beth, da egoisti, ma va contro il mio, di limite. Cadrei nell’alchol e finirei col diventare una persona chiusa e ossessionata, ovvero il genere di persone che mia madre sopportava difficilmente. Tipo mio padre. Non voglio che le cose stiano così, anche se non credo al paradiso. Minchiate anche quelle, ovviamente. Lo è anche il mio atteggiamento ora, perché ho una lettera scritta da Beth tra le mani e non riesco ad aprirla. La curiosità mi porta allo sfinimento, ma ho paura.
Se la leggo cosa mi accadrà? Oltrepasserò il mio limite? Diventerò come John? Scoprirò la verità, dalla quale mi sono sempre tenuta distante? Non lo so, non riesco a rispondermi. Se solo potessi bere, se solo potessi..
«BASTA!»
Urlo, come nell’ultima mezz’ora, e affondo le mani nelle cosce. Cerco di calmarmi, ansiosa. Sudo, ma non sento odori insopportabili. Però sudo. Non voglio somigliare a un maiale o a una pazza ossessiva, perché sono sicura che il notaio stia pensando quelle stesse cose. Al diavolo.
Ormai ripeto nella mia mente le medesime cose da troppo tempo, la morte ha anche aperto un vortice di parolacce nella mia mente e pensarle mi rende sollevata. Dirle, però, è sempre migliore. A volte lo faccio, in questi giorni. Evito quando mi ricordo che questo non cambierà le cose, perché nulla lo farà.
«Signorina, capisco che sia difficile per lei questa situazione, ma tra poco è l’ora di chiusura e devo affrontare un lungo viaggio. La prego, se non se la sente possiamo..»
È troppo tardi. Lo zittisco con uno sguardo, senza nemmeno fiatare. La busta è già aperta sotto i miei occhi e mi osserva mentre inizio a leggerla. Non nascondo il mio nervosismo, l’aumento del mio battito cardiaco o la sensazione che forse un cambiamento ci sarà. Questo non mi ferma, perché quella lettera mi trascina come se fosse un cavallo e io il suo carro. Non riesco a buttarla via, mi è impossibile. Percepisco il dolore di mia madre da quelle parole, dalle pagine ingiallite che chissà quanto tempo prima di morire aveva già preparato per me. Io non sono mai riuscita a migliorare per lei, non me lo perdonerò mai. Mi odio per questo. Non sono mai venuta a conoscenza di quanto dolore abbia sopportato, delle cure atroci o della sua stanchezza. Ero troppo egoista per pensare a me, alla mia fragilità, ma non alla sua, quella di una donna che in silenzio aveva patito il dolore peggiore.

…è troppo tardi ora per confessarlo, ma so di poter contare unicamente su di te. La malattia è difficile, cerco di combatterla, ma il risentimento che provo nei miei confronti la sta avendo vinta. Merito questa fine Shanikah per quello che ho fatto. Non sono migliore di tuo padre, neanche lui avrebbe mai fatto una cosa così…

Poi mi fermo. Il mio cuore si è fermato con me, ne sono sicura. Non posso rimanere sulle spine. Pretendo di sapere la verità ora e so che dovrei leggere almeno un’altra pagina per arrivare al punto saliente di quel discorso. Scommetterei le mie stesse mutande come lo farei sui rutti di John, perché quello che leggo dopo aver saltato vari parti è fin troppo scioccante, agonizzante per me. Doloroso. Orribile. Spregevole. Egoista.
Lo rileggo, una due tre, dieci volte e mi rendo conto di non essere in un sogno. Alzo gli occhi verso il notaio e lo guardo sconcertata, mentre lui è occupato in chissà quale stupido pensiero.
Mi riconcentro sulla lettera. Ma non può essere possibile. Non ci credo. Non voglio farlo.

Non te ne ho mai parlato perché era complicato, lo è perfino scriverlo su questo pezzo di carta. John non lo sa, ma non glielo dire ti prego.
Il fatto che io lo abbia tradito non cambia il bene che io provavo per lui né per te, ma io non appartenevo più a lui da tempo.

Continuo a leggere, corro come il vento e giungo all’ultima pagina delle tante che aveva scritto per me. Basta una sola parola a pietrificare il mio corpo, il mio sguardo.
Sorella.
Smetto di respirare, di provare odio verso me stessa per il mio egoismo, perché lei ha fatto di peggio.

Non avrei mai voluto dover prendere questa decisione, ma non potevo fare altrimenti. Non avevo scelta. Ho affidato tua sorella a suo padre e ho cercato di dimenticare, perché pensare al male che la mia vita le avrebbe causato mi portava all’agonia. Era la scelta migliore, lo pensavo allora e mi sbagliavo, ma avevo paura e…

Non leggo più, non voglio sapere altro. So abbastanza, troppo. La verità è venuta a galla e ora so come stanno realmente le cose.
Potrò essere rozza, pazza, sballata, un’ubriacona che non ha contegno come mio padre, ma non sarò mai codarda come lei. Lei che lo ha sempre disprezzato, che mi ha sempre rimproverato per i miei sbagli. La odio. Riposi in pace, perché si è appena salvata il culo dall’irascibilità di sua figlia. Quella che non ha abbandonato.
Come si chiama? Dove abita? Sa di questa storia, della mia esistenza? O è all’oscuro di tutto? Vive una vita tranquilla? Ha una famiglia normale e non distrutta come la mia? O affronta situazioni disastrose ogni giorno dell’anno? Abbiamo qualcosa in comune oltre a una madre codarda?
Non riesco a pensarci, non riesco a non odiarmi. Chiedo a me stessa perché non mi sono mai accorta di questo distacco, di questa situazione di merda tra mia madre e mio padre. Perché l’eros in un matrimonio dovrebbe esserci, invece è andato a fanculo. Io credevo che si amassero, credevo che fossero una roccia l’uno per l’altra. Mi sbagliavo. Cazzate.
Penso a John e al dolore che attraverserà in questo periodo, alla sua espressione se venisse a conoscenza della verità. So di non poter aprire bocca, però. Lo potrei uccidere, in quel caso. John non sa più affrontare la vita e le sconfitte da tempo, sarebbe troppo per lui. Io posso avere la mia giovinezza, una speranza per il futuro, ma cos’ha lui ormai?
Non riuscirò mai a perdonarmi tutto questo casino. Se solo avessi lottato con più forza ce l’avrei fatta, invece sono codarda anch’io, proprio come lei, come lui. Sono due anime gemelle loro e pensandoci non mi sorprende che se la sia spassata con un altro. La odio. Lo penso così tante volte che vorrei poterla strozzare con le mie stesse mani, ma poi un sorriso affiora sulle mie labbra e la mia sobrietà mi ricorda un dettaglio fondamentale.
Lei è già morta.
   
 
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