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Autore: gloriabarilaro    13/06/2014    4 recensioni
« Come stai? »
« Bene – risponde lei, con un sorriso – E tu? »
Lui la guarda. Respira, ma gli sembra inutile. Il gomitolo d’ansia nel petto non scompare, anzi, s’ingrandisce. « Male. »
« Perché stai male? »
« No, non sto male. Mi sta facendo male. »
Lei lo guarda perplessa. « Cosa? »
« L’amore. L’amore che ho per te. Mi sta lacerando. Non sto bene, l’amore mi sta mangiando a piccoli pezzetti. »
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Petali di rosa


 
" Perché l'amore è una droga pesante?
Perchè, amando, ci si infligge tanta sofferenza? "


 [Gullaume Musso,
Perché l'amore qualche volta ha paura
]
 
 Daniele cammina impaziente verso il luogo in cui hanno stabilito l’incontro. Il sole gli scalda il collo e le braccia, ma lui suda freddo. E’ una bella giornata, e il profumo di estate è forte nell’aria piena di felicità elettrica, la spensieratezza dei primi giorni di vacanze. Le ultime campanelle sono suonate, a scuola, per i ragazzi è la fine e l’inizio di tutto. Daniele cammina con una rosa in mano, pensando a lei.
  La strada inzia ad essere in salita: il suo cuore batte all’impazzata mentre conta le panchine. Terza panchina, eccola: lei ancora non c’è, come prenderla? Magari è in ritardo, arriverà facendo uscire dalla bocca un fiume di scuse. Magari è lui in anticipo, e i suoi occhi dello stesso colore del ferro lo guarderanno con freddezza e irritazione.
  L’ha stufata, assilata, annoiata. Se ne rende conto, se ne rende conto sempre quando rilegge le conversazioni o rivive i momenti trascorsi con lei. E’ uno stupido, lo riconosce, ma non può farne a meno: lei è così bella, lo lascia così senza fiato che lui annaspa sempre, si muove a fatica, la guarda e trema.
  Non sa nemmeno come è iniziato tutto. L’ha vista nei corridoi di scuola, a ridere, correre, scherzare. L’ha vista all’uscita, saltellare verso casa con un libro diverso sottobraccio ogni giorno. Poi ci è riuscito, ha trovato il coraggio di avvicinarla, di vedere da vicino quel sorriso, di sciogliersi sotto il suo sguardo, tremare sotto il suo tocco. Ha inziato a desiderarla più vicina, poter sentire il profumo della sua pelle, conoscere cosa nascondono quegli occhi.
  La vita scorreva, i voti calavano e l’attenzione di più, i pensieri sempre altrove, le notti insonni. Le mandava messaggi, la assillava, ma sentirla lo faceva stare bene. Parlavano poco ma tutti i giorni, lui la cercava, la cercava sempre, l’avrebbe sempre cercata.
  Vederla e sentire il suo cuore fare i salti mortali, metterci un po’ a capire che quello era amore.
  Ma lei era sempre distante. Le sue risposte spiccie, i suoi sorrisi stretti. Gli abbracci erano come il paradiso, sì, ma freddi come l’inverno più duro. Le cose non sono cambiate ora.
  Non riesce a sentire il suo cuore, ma solo freddo e silenzio. Cecilia è lontana da lui, anche se ora si avvicina a lui e lo saluta con la mano.
  Nasconde la rosa, ma ormai l’ha vista. Stringe il gambo fra le dita, si punge con una spina.
  Due baci di saluto, sulle guance. Lei è bellissima nella sua salopette, lui sente il suo cuore dimenarsi nella cassa toracica. Si siedono, si sorridono, c’è silenzio. Daniele guarda la rosa che ha tra le mani, si prende un secondo per pensare.
  Un secondo per ripensare al saluto e insultarsi, poi ricordare le parole che doveva dire, trovare il coraggio di fare quel passo avanti. Un secondo che sembra un’eternità, un secondo dove l’amore è troppo soffocante per pensare alle conseguenze.
  L’amore forte che non teme nulla, l’amore che dura un battito di ciglia o il tempo necessario per far uscire quelle parole che da tanto, troppo tempo, aveva cacciato nel suo stomaco e l’avevano corroso lentamente. L’amore che sente scorrere nelle vene, che gli fa desiderare forte di prenderla e baciarla, di farle sentire il suo amore.
  Le porge la rosa cercando di sorriderle in modo convincente, seducente. « Per te » le sussurra, e il suo sorriso, quel sorriso con il labbro inferiore incastrato tra i denti bianchi, lo manda fuori di testa.
  La guarda e s’immagina la loro storia d’amore. Giochi, parole dolci e insulti. Morsi mentre si fa l’amore, mani che tirano capelli, sorrisi beffardi e baci sul collo. La loro storia d’amore, il sapore di fumo e vodka in bocca, la voglia di scappare e non tornare, le notti in discoteca e le mattine abbracciati sull’asfalto sbronzi.
  La guarda e s’immagina una storia d’amore da film, perché lei è così bella da non parer vera.
  « Ti sei punto. »
  « Oh, non è niente. »
  Ti farò del male.
  Oh, non è niente.
  Daniele scuote la testa. Le sorride. Non sa come iniziare. Non sa come non pensare ad un’eventuale delusione. E’ tutto troppo frettoloso, troppo abbozzato, come il sorriso sulla faccia di lei, forse solo di cortesia.
  Gli sudano le mani. Sudore e sague. Se le guarda, mentre lei gli porge un fazzoletto.
  La tensione nell’aria è palpabile. Parlano, ma è un discorso vuoto, fatto di parole vuote. Tutti e due hanno la testa altrove, si guardano a malapena.
  Sta andando tutto male.
  Tutto male.
  « Come stai? »
  « Bene – risponde lei, con un sorriso – E tu? »
  Lui la guarda. Respira, ma gli sembra inutile. Il gomitolo d’ansia nel petto non scompare, anzi, s’ingrandisce. « Male. »
  « Perché stai male? »
  « No, non sto male. Mi sta facendo male. »
  Lei lo guarda perplessa. « Cosa? »
  « L’amore. L’amore che ho per te. Mi sta lacerando. Non sto bene, l’amore mi sta mangiando a piccoli pezzetti. »
  « L’amore… per me? »
  « Cecilia, io ti amo » sussurra lui. Finalmente l’ha detto. Sì, l’ha detto, ma non ha il coraggio di guardarla in faccia per vedere la sua espressione. Magari lo ama anche lui – che ne sa? – ma il solo pensiero di verificare lo terrorizza. L’amore fa paura. O forse no, forse non l’amore, ma quello che esso ci provoca. Tutto il tripudio di emozioni che esso provoca, quella squallida sensazione di essere arrivato ai confini del mondo, di sentirti pieno e vuoto al tempo stesso, felice e triste, sia con l’amaro che il dolce in bocca.
  Un ti amo che risuona nell’aria e risveglia tutti i timori, le mani che tremano e gli occhi che bruciano.
  « Ah. »
  Ah, non lo sapevo.
  Ah, mi dispiace.
  Ah, per me non è lo stesso.
  Daniele scuote di nuovo la testa. Quelle voci nella sua testa lo stanno facendo impazzire lentamente. Guarda finalmente Cecilia, che ha lo sguardo perso nel vuoto. Con i nervi a fior di pelle, si accende una sigaretta e lascia il pacchetto sul pezzo di panchina che c’è in mezzo a loro.
  Cecilia non dice nulla. Sembra non essere nemmeno lì. Si rigira la rosa tra le mani, sfiora le spine senza mai pungersi. Cammina su un filo di seta senza mai cadere. Cecilia è così, gioca col fuoco per non toccare il ghiaccio, e non si brucia mai.
  « Scusami » sussurra. Daniele la guarda, fa finta di non capire, ma ha capito tutto. Le mani di lei tremano, quelle di lui pure.  Le posano tutti e due, lei sulla panchina, lui sulle gambe. Non dicono nient’altro. Daniele, perlomeno, non ha bisogno di sapere altro. Si alza, si scusa per il disturbo, se ne va.
  Mentre si allontana, si sente vuoto.
  Cinque minuti e si sente un’altra persona.
  Una persona più fragile, triste, addolorata; una persona che si è appena liberato di un peso ed è rimasta schiacciato da esso. Una persona fottutamente più debole, perché quando l’esternare le nostre emozioni non va a buon fine non si ha più la forza di rialzare i muri attorno al cuore.
 
  Cecilia guarda ancora il vuoto. Stavolta la sua vista è offuscata dalle lacrime che non vuole lasciare uscire. Le ha appena detto che la ama e lei come risposta non ha detto nulla. Esprimersi a monosillabi è ormai un’abitudine, quando sente che non ce la può fare a far uscire la voce senza sentirla tremare.
  Non voleva, oltretutto, dirgli che lei non lo sapeva, se ricambiava. Che non sapeva nemmeno se accettasse quell’amore, perché lei l’amore l’ha sempre rifiutato, allontanato. Troppo fragile e travolgente per lei, che teme di rimaner ferita un’altra volta. Per lei che l’amore non conta più, non è tutto, che si può vivere anche senza; se lo ripete sempre, ma certe volte è difficile crederci anche per lei.
  Senza l’amore si sta male, senza l’amore si ha paura. Senza l’amore le gambe tremano, si cade il doppio, si sanguina e le ferite non rimarginano. Senza l’amore ci si sente vuoti, secchi, senza l’amore si sta come le rose rosse in un vaso senz’acqua.
  Si muore a poco a poco, rinsecchendosi, accartocciandosi su sé stessi.
  Daniele si è scordato le sigarette. Cecilia se ne accende una.
  Prende la rosa e, tirando su col naso, la ispeziona. E’ così bella, bella con i suoi petali vellutati, bella col suo colore intenso, bella con le sue spine e il suo gambo liscio, bella con il suo significato, bella come le parole di Daniele, il suo coraggio ad esprimere il suo mal d’amore.
  Cecilia, con il mozzicone tra l’indice e il medio, accarezza i petali rossi cremisi. Gli occhi sono ormai asciutti, ma il cuore piange ancora. Rimpianti, rimpianti, solo rimpianti. E altrettanti pianti.
  Pianti interni, di quelli che non si vedono, di quelli che non escono, di quelli che allagano dentro, lentamente, a poco a poco.
  Quelli che distruggono e che non si possono evitare.
  Strappa un petalo.
  Non so amare.
  Ripensa agli attimi passati con Daniele, i messaggi, i sorrisi involontari. Lei non lo voleva, ma lui era entrato nella sua vita piano, facendosi sentire ma senza darle mai fastidio.
  Anche i cuori più freddi hanno bisogno di qualcuno che li faccia sentire amati, vivi, perché la vita è l’amore delle persone che ci stanno attorno, il nostro riflesso nei loro occhi.
  E nessuno muore mai davvero, finché ha qualcuno che lo ama.
  Strappa un altro petalo.
  O forse si?
  Magari è solo paura. Magari non lo ammetterebbe mai, ma anche lei prova qualcosa.
  E questo qualcosa la terrorizza.
  Magari riuscirà ad abbattere i muri. Deve solo trovare il coraggio.
  Strappa un altro petalo.
  No, non ci riuscirò mai.
  Il coraggio non l’ha mai trovato, lei. E’ sempre stata solita a scappare, quando le situazioni si facevano più difficili. Codarda. Solo una codarda.
  Fa un altro tiro dalla sigaretta e strappa un altro petalo.
  Magari cambierà tutto.
  Ne strappa un altro.
  No, non cambierà nulla.
  Continua a strappare petali, ad accendere un sigaretta dopo l’altra.
  Dopo tanti petali e tre sigarette, ha lo stelo spoglio tra le dita. E’ giunta alla conclusione che non sa amare, ma quello stelo le fa smuovere qualcosa dentro. Con quelle sue spine, così pericolose e così fragili, le fa quasi tenerezza. Le ricorda lei, i suoi vani tentativi di allontanare le persone: anche lei si è fatta crescere le spine, ma sono comunque fragili per chi l’ama e sta attento, per chi, con un po’ di cautela, riuscirebbe a strapparle una per una.
  E Daniele, Daniele è uno di essi.
  No, non può arrendersi.
  No, non vuole arrendersi.
  Si è arresa molte volte, troppe, e deve smetterla. Tentenna un po’, si guarda attorno, studia i petali di rosa sul pavimento e sulla seduta della panchina.
  Ha già perso troppo tempo.
  Prende il cellulare, afferra la borsa, si alza di scatto e inizia a correre.
  Il cellulare suona, suona, suona. La inquieta, mentre si guarda attorno; tiene ancora lo stelo tra le mani, non sa esattamente cosa vuole.
  « Pronto? »
  La voce di Daniele le fa mancare il fiato per qualche secondo. Annaspa.
  Guarda lo stelo tra le sue mani, si accorge di non aver ancora strappato l’ultimo petalo. E’ lì, piccolo e indifeso, che aspetta. Che le sorride, come se fosse felice che lei si fosse mossa prima ancora di aver lasciato al destino le scelte, come aveva sempre fatto. Sorride, prende un respiro.
  Le viene da piangere.
  « Ti amo anch’io, Daniele. Torna indietro. »
  La voce di lui tradisce un sincero sorriso, in sottofondo si sente il ritmo di una corsa. « Tranquilla, amore – le dice, con dolcezza – Ti vengo a prendere. »

 

La foto all'inizio l'ho scattata io poco meno di una settimana fa. Mi sono fermata di scatto, ho visto la panchina e ho fermato anche le mie amiche. C'erano questi petali, per terra, e quel pacchetto di sigarette vuoto sopra la seduta... vedere l'insieme mi straziava il cuore.
Così ho fatto una foto, e ho detto alle mie amiche che avrei scritto una storia su quella panchina, trovando un perché ai petali strappati, al pacchetto vuoto.
E all'inizio ho pensato a una storia triste come la panchina e i petali mi suggerivano, ma proprio non mi andava. 
Mi sentivo come se quella storia accaduta veramente dovesse finire a tutti i costi bene.
Così sono nati Daniele e Cecilia. Quest'ultima, devo ammetterlo, mi somiglia un po'.
Spero che la storia vi sia piaciuta. Ci ho messo molto a scrivere la prima metà, l'ho finita di scrivere solo ieri sera, tutt'ad un fiato.
Certe volte ti rifugi nelle storie per non dovere vivere la realtà.
Molte persone lo fanno.
Anche io, anche se lievemente: la realtà mi colpisce sempre così forte che è un po' difficile ignorarla.
Ma starò bene, mi sono rispomessa che lo farò. Tutto andrà bene, se solo io lo voglio.
Come quando si scrive una storia: i personaggi possono anche muoversi e prendere le loro decisioni, ma sei tu a scrivere il loro destino.
Non c'è emozione più bella, quella di sentire che, finalmente, si ha in mano tutto il potere di far accadere ciò che si vuole.

Sarebbero apprezzate eventuali recensioni. Sto cercando di scrivere un libro, quindi ho bisogno di migliorare le mie idee e la mia tecnica di scrittura.
Grazie per il tempo che avete dedicato per leggere sia la storia che questo angolo, non sapete quanto conti per me.

Gloria.
   
 
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