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Autore: giascali    13/06/2014    3 recensioni
I cristiani credono che, dopo la morte, a seconda del nostro comportamento, andiamo o all' Inferno (che, quando diciamo "va all' inferno!", sia una specie di predizione?) o in Paradiso. Gli Indù, invece, pensano che ci reincarniamo. Gli antichi greci avevano una visione più complicata, ma anche molto più interessante (o quanto meno per me). Gli ebrei, invece, non credono nella vita dopo la morte. Ma tutte queste teorie si sono rivelate false ed Ellison Hyde, sedicenne ragazza inglese, grande amante dei libri e incapace di vivere nell' ordine, sta per scoprirlo. E così, tra amici che fanno sedute spiritiche, il fantasma del nonno della tua migliore amica e molto altro, Nellie troverà un mondo che sembra uscito dall' immaginazione di Tim Burton e scoprirà che, dopotutto, non è l'unica con una vita complicata, sopratutto se si parla di un estroverso ragazzo che non ricorda niente della sua vita...
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Il cimitero

 
 
Cacchio, cacchio, cacchio!
Sono in stramega-ritardo!
Cercai di accelerare il ritmo ma non riuscivo a pedalare più velocemente di così.
Per l’ennesima volta, guardai il quadrante del mio orologio e sbuffai, rendendomi conto dell’ora: erano le sette e mezzo.
E i miei amici mi stavano aspettando da mezz’ora. In altre parole: ero morta.
Scossi la testa, cercando di dimenticare che, non appena fossi arrivata, Dominique mi avrebbe certamente ucciso.
Quando la ruota anteriore della mia bicicletta toccò l’erba del giardinetto davanti al cancello del cimitero, quasi mi venne voglia di ritornare a casa. La mia amica mi avrebbe certamente uccisa, per quel ritardo. Ma, sapendo quanto fosse importante per lei quella cosa resistetti, resistetti a quell’impulso, che di sicuro mi avrebbe salvato la vita e mi avrebbe accertato qualche anno in più, e scesi dalla bici.
La inchiavai e scavalcai il cancello, entrando nel campo santo.
Di sera, il silenzio che lo caratterizzava, lo rendeva ancor più inquietante.
Il buio era ormai sceso e colorava tutto di grigio o nero, alcune lapidi erano così vecchie che avevano delle crepe sulle loro superfici. Ma, per quanto potessero essere antiche, ognuna aveva almeno una composizione floreale come addobbo. Alcune ne avevano di vecchie e rinsecchite e altre di fresche e nuove, ma, comunque, l’odore che emanavano i fiori, sia quelli morti che quelli appena colti, dava la nausea, da quanto era carico e dolciastro.
Fortunatamente, l’odore nauseante fu presto scacciato via da una leggera e fredda brezza, rabbrividii dentro la mia semplice felpa nera, pentendomi di non essermi coperta meglio, ma era pur sempre estate e non avrei potuto sapere che ci sarebbe stato quel maledetto venticello.
Continuai il mio cammino tentando di ignorare il freddo, dovevo trovare la lapide del nonno di Dominique.
Se non sbaglio adesso dovrei girare a destra, pensai, mentre camminavo nel vialetto.
E fortunatamente avevo ragione! Proprio dove mi ricordavo fosse la lapide, distinsi la luce di una candela e le mie due amiche, Jenna e Dominique.
Probabilmente mi stavano aspettando.
Feci l’ultimo tratto che mi distanziava da loro di corsa, forse se mi avessero vista stanca avrebbero avuto pietà di me…
-Scusate! – esclamai, quando le raggiunsi. Allora le due ragazze si girarono verso di me, Jenna mi sorrise raggiante e Dominique mi regalò un sorriso lieve.
-Come? – chiesi stupita dalla loro reazione. – non siete arrabbiate? Sono in ritardo di mezz’ora! –
-Pagare! – esclamò Jenna in direzione di Dominique, io, intanto, ero ancor più confusa.
-Accidenti, Ellison, mi hai fatto perdere cinque sterline. – mormorò contrariata la ragazza.
-In che senso? – domandai. Jenna ghignò, prima di rispondermi.
-Veramente l’appuntamento era per le sette e mezza, ti abbiamo detto prima così saresti arrivata in orario o, in casi estremi, meno in ritardo. Poi, io e Domi abbiamo scommesso: io sapevo che ti saresti accorta dell’orario Domi no. – solo io ho delle mie amiche che potessero scommettere su di me.
-Non chiamarmi Domi. – disse infastidita la diretta indirizzata, mentre si legava i suoi lunghi capelli viola scuro in una coda di cavallo. Jens si limitò ad ignorarla e mi passò una barretta di cioccolato.
-Un Mars? – mi propose. Accettai di buon grado.
-E David? – chiesi, riferendomi al nostro amico.
-Sta arrivando, d’altronde è lui quello che doveva portare la tavola Ouija. – annuii. Lui era l’unico a possederne una, di noi quattro. E la tavola era indispensabile per compiere il rito per poter parlare con il nonno di Domi.
Diedi un morso alla merendina che mi aveva offerto Jenna, gustandomi il gusto del caramello, misto al cioccolato, la mia droga, praticamente.
Intanto la mia amica stava preparando il tutto: dispose quattro candele, in modo che ognuna fosse disposta esattamente nella direzione di uno dei quattro punti cardinali.
Le accese in senso antiorario e fece lo stesso con un profumato incenso, che posò sopra la lapide di Abrahm Williams, il nonno di Dominique.
Ripose l’accendino nella sua borsa di cuoio, regalatole dalla madre, una medium di New Orleans, e si sedette accanto a me, in attesa di Dav.
Si portò qualche rasta dietro l’orecchio e prese dalla borsa un piccolo libro rilegato in pelle.
Lo sfogliò finché non trovò la pagina giusto e cominciò a leggere con attenzione, probabilmente era la pagina che parlava del rito.
-Cosa dobbiamo fare, oltre ad entrare nel cerchio e a posare le mani sulla tavola? – le chiesi mentre cercavo di sbirciare nel libro.
-Niente. Oltre a quello voi non farete niente. Sono io quella che dovrà dire la formula. Sai, l’ho imparata a memoria. – disse orgogliosa. I suoi occhi nocciola brillarono nel buio.
-E allora perché stai leggendo il libro? –
-Oh, questo dici?-  annuii con convinzione. – è solo la mia copia di Harry Potter, bella, vero? Me l’ha rilegata mio padre. – mi sbattei la mano sulla fronte.
-Ehi, ragazze! Dove siete?! Questa cosa pesa! – esclamò una voce nelle tenebre. Non  poteva essere che David, infatti fu proprio lui quello a comparire qualche secondo dopo che lo sentimmo parlare. Vedendolo, scoppiai a ridere.
-Ma come ti sei vestito? – dissi tra le risate, Jenna si unì a me.
David si guardò per poi rivolgerci un’occhiata confusa. Forse non aveva capito che per una seduta spiritica non era necessario dipingersi il viso di rosso e indossare un turbante.
-Jenna mi ha… Jenna! – esclamò il mio amico non appena si accorse dello scherzo che gli aveva fatto la mulatta.
Lei si limitò a ridere ancor più forte.
-Dovresti smetterla di dare ascolto a quello che dice Jenna, Dav. – disse Domi mentre accarezzava i capelli biondi del suo fidanzato, cercando di consolarlo. Lui le sorrise e annuì. La ragazza rovistò nella sua borsa nera e prese un fazzoletto, per poi porlo a David.
-Ecco, pulisciti, adesso. Non voglio che tu abbia la faccia tutta rossa mentre cerchiamo di evocare mio nonno. – Dominique gli sorrise e gli diede un bacio sulla punta del naso. Come risultato, ottenne le labbra sporche di rosso. Borbottò qualcosa contro l’esser credulone di David Walker e l’amore di Jenna per gli scherzi.
Quando il ragazzo fu pronto, dopo ben mezz’ora, ci disponemmo in cerchio, ognuno di noi era dietro ad una candela e avevamo appoggiate le mani sulla tavola Ouija.
-La prossima volta voglio che qualcuna mi aiuti a portarla. – mormorò scontroso il ragazzo per poi soffiare contro una ciocca di capelli che gli era caduta su uno dei suoi occhi azzurri. – Quella cosa è pesante! - esclamò infine.
Dominique gli accarezzò la spalla ma non disse niente, come noi, del resto.
Infatti, Jenna lo ignorò e si legò i rasta in una crocchia disordinata. Si tolse tutti i braccialetti, ed erano veramente tanti, e li ripose nella borsa di cuoio marrone chiaro. Poi buttò questa alle sue spalle e appoggiò anche lei le mani sulla tavola.
-Se proprio vuoi, la prossima volta, ti potrebbe aiutare Ellison. – disse Jenna.
-Ehi! Perché proprio io? – ribattei contrariata.
-Perché io mi occupo già del rito e, se se ne occupasse Domi, non credo che i due sarebbero molto concentrati… - lanciò un’occhiata maliziosa in direzione dei due piccioncini.
David mi sorrise e la sua fidanzata si limitò a fulminare Jens con lo sguardo, cosa non tanto difficile, visto che, con i suoi grigi occhi contornati dall’eyeliner, ci riusciva benissimo. Sempre.
Con un sospiro, riportai la mia attenzione sulla tavola.
Jenna fece lo stesso e cominciò a pronunciare la formula che ci avrebbe fatto entrare in contatto con Abrahm Williams.
Mi ricordavo del nonno di Domi, era un dolce vecchietto dai capelli bianchi, radi sulla nuca, e da baffi che gli coprivano il labbro superiore. Con me era sempre stato gentilissimo, spesso mi ero ritrovata a parlarci di libri insieme, uno dei nostri argomenti preferiti.
Lo avevo incontrato la prima volta che ero andata a casa di Dominique, un giorno, dopo la scuola.
Lui se ne stava lì, sulla veranda, a leggere un libro, mentre era seduto su una poltrona da esterno.
La copertina del volume era gialla, con delle scritte nere in rilievo ed era un po’ rovinata. Evidentemente, non era la prima volta che leggeva quel libro.
Mentre chiacchieravo con la mia amica, che all’epoca aveva ancora i capelli castani, avevo notato che la copertina mi era familiare. L’avevo letto anch’io, quel libro.
Non appena avemmo salito quei quattro scalini, la mia amica mi presentò subito a suo nonno.
-Lui è mio nonno materno Abrahm. Ma io lo chiamo nonno Abe. Vero? – aveva chiesto infine, voltandosi verso il diretto interessato.
Lui aveva ridacchiato mentre annuiva, per poi voltarsi verso di me e guardarmi con interesse.
Io aveva spostato il peso da un piede all’altro, leggermente in imbarazzo, mentre mi grattavo una guancia.
-E tu? Come ti chiami, figliola? – all’epoca non mi aveva dato fastidio quel soprannome ma,  nel seguirsi degli anni, non avevo più autorizzato nessuno a chiamarmi così. Solo Abrahm Williams poteva farlo. Comunque, sentendomi soprannominata così, avevo sorriso per la confidenza che mi aveva già dato, nonostante non sapesse neanche il mio nome. La sua voce era calda e confortevole, sembrava essere capace di mettere a suo agio chiunque.
-Io sono Ellison. Ellison Hyde. – avevo risposto, mentre mi portavo una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio.
-Come “Il curioso caso del dottor Jekyll e il signor Hyde”! – aveva esclamato, io avevo ridacchiato perché mi faceva piacere che qualcuno sapesse che avevo, in un certo senso, il cognome di un personaggio famoso, e poi annuito, mentre Domi ci guardava con confusione. Lei non aveva letto il libro e ovviamente non poteva capire di cosa stessimo parlando.
Insomma, così iniziò la mia sorta di amicizia con il nonno di una delle mie migliori amiche.
Pensavo a questo, quando Jenna mormorava questa parole:
- Oh, potente terra madre
   Apri la porta tra il mondo di noi vivi
   E dei morti
   Per non dimenticare ciò che va ricordato.  –
Ripeté questo per un’altra volta, per poi tacere a aspettare.
Passarono due minuti ma non succedeva niente.
-Non è che hai sbagliato qualcosa? – chiese dubbioso David.
-Non ho sbagliato niente. Uno spirito, per uscire dal suo mondo, ci mette un po’. Dobbiamo solo attendere. – e, detto questo, la tavola iniziò a brillare. La planchette cominciò a muoversi da una parte all’altra, come se fosse impazzita.
-Nonno Abe? – mormorò tra un singhiozzo Domi, nella sua voce c’era tanta speranza. Speranza di poter parlare di nuovo con suo nonno.
La lancetta continuò per qualche minuto a sbizzarrirsi, poi, si rallentò, all’inizio lievemente, per poi prendere a muoversi ad una velocità che reputai normale.
Si fermò su una lettera. S.
Ma, prima che potesse indicarne delle altre, sentimmo delle voci adulte gridare.
Impallidimmo tutti all’istante. Il cimitero, nella nostra piccola cittadina, chiudeva alle sei del pomeriggio, cioè ore fa. In fretta, Jenna mormorò qualcosa e spense le candele, soffiandoci contro. Afferrò tutte le sue cose e le mise nella borsa, mentre noi facevamo lo stesso con le nostre. David si tolse il suo maledetto cappello e lo mise sotto braccio, mentre con l’altro prendeva la tavola Ouija, questa volta aiutato dalla fidanzata. Mi alzai il cappuccio della felpa, in modo da coprirmi un po’ il viso e cominciai a correre, nella speranza che i custodi del cimitero non si accorgessero della nostra piccola e innocente incursione serale.
Dopo essermi allontanata di almeno venti metri dalla lapide, mi voltai, per controllare se anche i miei amici fossero scappati. Non c’era nessuno. Bene. Sotto la pallida luce della luna notai però qualcosa di quadrato e scuro. La superficie era irregolare. Il libro di Jenna. Doveva esserle caduto dalla borsa. Sospirando ritornai indietro, per prenderle il libro. Ero cresciuta con la convinzione che ogni libro fosse un tesoro unico e prezioso e quindi non potevo lasciarlo lì.
Sospirai e misi “Harry Potter e la Camera dei Segreti” nella borsa etnica che avevo preso in un giorno di primavera a Camden Town. Feci per ricominciare a correre ma inciampai.
Caddi subito a terra e l’impatto con il freddo e duro terreno mi tolse il fiato. Rotolai di lato e immagazzinai nei miei polmoni tutta l’aria che potessero trattenere.
Espirai e mi sentii meglio all’istante, anche se il ventre mi faceva male lo stesso per il colpo doloroso. Scuotendo la testa mi alzai da terra. Ma qualcosa mi impediva di allontanarmi. Abbassando lo sguardo notai che attorno alla mia caviglia, coperta dai jeans scuri, c’era una cosa dura e bianca. Il cuore cominciò a battere all’impazzata.
Sentivo i custodi farsi sempre più vicini e quella cosa non ne voleva sapere di staccarsi da me, nonostante stessi tirando con tutte le mie forse, senza però toccarla.
Notando, con una punta di terrore, che adesso riuscivo ad intravedere la luce emanata dalle torce degli uomini che stavano cercando quegli stupidi che si erano intrufolati nel cimitero, deglutii e cercai di liberarmi usando le mani.
Fortunatamente riuscii nel mio intento e iniziai a correre più velocemente che potevo, sapendo bene che i miei amici avevano già scavalcato il cancello del campo santo.
Quando raggiunsi i confini del cimitero, mi aggrappai all’istante alle sbarre del cancello e cominciai ad issarmi, con non poca difficoltà. Arrivata a metà strada, mi fermai un attimo, per controllare dove fossero i guardiani del posto e, quando intravidi le luci delle torce lontano da dove mi trovavo, feci un sospiro di sollievo. Mi tolsi il cappuccio e guardai cosa tenevo in mano da quando mi ero liberata. Sotto la luce della luna brillava un poco. Era un anello.
Ma come ci è finito un anello infilato in un radice? Era impossibile che quella che mi teneva in una morsa stretta la caviglia fosse una mano, un mano mortalmente bianca. Ma dovevo ammettere che, per un attimo, mi era sembrato così, prima di capire che si trattava di una radice.
Scuotendo un’altra volta la testa, mi infilai l’anello nella tasca dei jeans neri. Guardai in basso e vidi Jenna, Dominique e David guardarmi con ansia e preoccupazione, misto ad un tocco di sollievo. D’altronde non puoi fare a meno di fare così, quando uno dei tuoi migliori amici è seduto a cavalcioni sul cancello del campo santo della cittadina in cui vivi. E se poi ci si aggiunge il fatto che fino a poco fa sei scappato dai custodi dal prima menzionato stesso campo santo, le occhiate diventano ancor più preoccupate. Ammesso che possano farlo. Dedicai loro un sorriso trionfante, che non durò molto, visto che caddi come un sacco di patate dal punto in cui fino a poco fa ero seduta con tanto orgoglio per aver recuperato il libro di Jens.
-Ahio. – mormorai, mentre mi massaggiavo il mio povero fondoschiena brutalmente messo male.
-Ma dov’eri? Eravamo preoccupati da morire. Quando abbiamo pianificato che, se fossimo stati inseguiti dai custodi, - ovviamente il piano lo aveva ideato Domi, tra tutti noi, solo lei era quella abbastanza pessimista da pensare che ci avrebbero potuto scoprire. – saremmo corsi via. Subito. Si può sapere perché sei tornata indietro? – nella sua voce c’era isteria. Sorrisi per la preoccupazione che la mia amica aveva provato per me.
Presi dalla borsa il libro di Jens e glielo mostrai, per giustificare quello che avevo fatto. Poi lo porsi alla sua proprietaria.
-Grazie. – disse con un sorriso la ragazza, mentre si scioglieva i capelli. Jenna prese i suoi braccialetti e li indossò di nuovo. Feci un lieve sorriso, era raro vederla senza quei bracciali. Era come se facessero parte di lei. – E adesso cosa facciamo? – chiese poi.
-Eh?! – esclamai. – abbiamo appena evitato di farci prendere dai guardiani del cimitero, mentre facevamo una seduta spiritica per evocare suo nonno - indicai Domi. – e parlarci e tu ci chiedi cos’altro vogliamo fare?! – anche se conoscevo Jenna da tre anni, alcuni dei suoi comportamenti mi lasciavano ancora interdetta. Come poteva anche solo aver la voglia di fare qualcos’altro? Io in quel momento desideravo solo sedermi. Figurasi andare da qualche parte. La ragazza scrollò le spalle. – Allora? – chiese ancora. Sospirai esasperata.
-Che ne dite di andare a casa mia? – propose David. – Tanto è qui vicino. – scossi la testa, ancora sconvolta dall’iperattività dei miei amici e mi avviai con loro a casa del biondo, che, tra l’altro, non era poi così tanto vicino al campo santo della città.
Stupido Walker.

Note dell'autrice:
Okay, lo so, ho un'altra storia in corso ma questa mi stava chiamando! DOVEVO pubblicarla, anche perché ci sono molto affezionata ^-^ Comunque, devo ringraziare Lacus per aver letto per prima il capitolo e avermi incoraggiato, sinceramente ho un po' di fifa. Ad ogni modo, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto scriverlo.
Le recensioni sono sempre gradite e mi fareste davvero felici se ne ricevessi :)
   
 
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