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Autore: _atonement_    14/06/2014    0 recensioni
E se non fossimo i soli a esistere?
Rabbit Hole, n° 17. Lexington avenue. Ore 02.00. Unica corsa.
"Rose fissò la scritta per altri cinque minuti, poi guardò l'ora sul telefono. Erano le 24.45. Era chiaro che quello era un appuntamento. Il problema numero uno era che non aveva idea di cosa ci fosse al numero 17. [...] - Ce l'hai fatta alla fine, pensavo che non saresti riuscita nemmeno a trovare la via- ancora quel ghigno. Rose non disse niente ma lo squadrò per bene, cercava un coltello o una pistola nascosta, o qualcosa che tradisse la pacatezza della sua voce. Mentre decideva se poteva fidarsi o no lui riprese a parlare. "
- Direi che siamo anche in ritardo, vieni. -
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Extraterrestre portami via
 voglio una stella che sia tutta mia
extraterrestre vienimi a cercare
 voglio un pianeta su cui ricominciare




Rose iniziava a sentire i primi sintomi di nausea. Era seduta su uno dei sedili della linea 7 da ben 138 minuti, quasi due ore.  Dopo la prima ora e mezza aveva steso i piedi sul sedile affianco al suo e si era appoggiata alla sacca da viaggio verde scuro, come se fosse un cuscino. Dopo un'altra mezzora era ancora nella stessa posizione con il cappuccio della felpa che le copriva il volto e le cuffie del telefono che sparavano la musica a un volume così alto che persino l'uomo grasso di fronte a lei riusciva a sentirla. 
Tuttavia Rose non aveva voglia ne di spegnere la musica ne di scendere dalla metro. Quando era uscita di casa quella sera non aveva pensato a dove andare, aveva semplicemente camminato fino alla metro e poi era salita sulla prima linea che aveva visto. Seduta su uno di quei divanetti si era resa conto di non sapere dove andare, di non sapere cosa fare. Nei film la ragazza scappa di casa e va da un'amica o da un parente, ma tutte le sue amiche vivevano ancora a casa dei genitori, i quali non si sarebbero di certo presi la responsabilità di averla in casa. E l'unico parente che aveva era ricoverato in un'ospizio a Long Island. Quindi Rose se ne era semplicemente rimasta li seduta in uno stato di trance e con una fastidiosa sensazione allo stomaco che di solito le veniva quando la sua mente, dopo aver analizzato la situazione, raggiungeva la conclusione che era nei casini. In grossi casini.
Non sapeva cosa fare, quindi non faceva niente ma a sua coscienza le ricordava che quella non era propriamente una soluzione; così per mettere a tacere quella sensazione ascoltava un cantante che le urlava nelle orecchie qualcosa a proposito del fatto che la vita faceva schifo, e altre menate del genere. Come se lei non lo sapesse.
L'uomo grasso che era di fronte a lei scese, così sul treno della metro rimanevano solo un barbone seduto in fondo alla carrozza, una donna di colore con due bambini, due ragazze che probabilmente stavano andando in discoteca, a giudicare dai vestiti succinti che indossavano; un uomo intento a leggere il giornale e un'altro che parlava al telefono da almeno quindici minuti. Al posto dell'uomo grasso si sedette di fronte a lei un ragazzo. Indossava dei jeans, degli anfibi neri, una giacca in pelle dello stesso colore e una t-shirt bianca. I capelli erano neri o almeno così sembravano alla luce artificiale. Gli occhi erano scuri e la fissavano. Rose non lo guardava direttamente ma ne vedeva il riflesso nel vetro del finestrino. Teneva le braccia incrociate e sembrava spazientito. Ad ogni modo Rose cercò di fare finta di niente, facendo finta di giocare con il telefono. Il ragazzo scese alla fermata successiva. Prima di uscire le passo affianco e lasciò cadere un fogliettino sulle sue gambe. Rose lo prese in mano e gli lanciò un occhiataccia pensando che quello fosse un modo davvero triste di rimorchiare una ragazza, e che probabilmente era pervertito/serial killer. Tuttavia quando aprì il bigliettino non ci trovò su un un numero di telefono o qualche proposta indecente. in realtà il foglietto non era altro che una foto piegata in quattro parti. Rose alzò lo sguardo e incrociò quello del ragazzo attraverso il vetro del finestrino. Sembrava abbastanza compiaciuto, aveva una specie di ghigno sulle labbra. Rose tornò a fissare la ragazza ritratta nella foto. Aveva lunghi capelli castani nei quali era rimasto impigliato qualche fiocco di neve, le guance e il naso rosse per il freddo, sorrideva al fotografo. Era una foto vecchia, ma Rose riconobbe all'istante la ragazza. Lydia Clarke. Sua madre. Nella foto non aveva più di venticinque anni. Come cavolo faceva quel ragazzo ad avere quella foto? Nemmeno suo padre aveva foto di lei da giovane. E che cavolo voleva da lei? Di sicuro doveva sapere che lei era sua madre. Si rigirò la fotografia tra le mani e solo allora notò la scritta in basso a destra. Era scritta con una penna nera, si vedeva che era stato scritto di fretta ma la calligrafia era comunque elegante. Probabilmente non lo avevo scritto il ragazzo di prima ma qualcun'altro. 
Rabbit Hole, n° 17. Lexington avenue. Ore 02.00. Unica corsa. 
Rose fissò la scritta per altri cinque minuti, poi guardò l'ora sul telefono. Erano le 24.45. Era chiaro che quello era un appuntamento. Il problema numero uno era che non aveva idea di cosa ci fosse al numero 17.
E se quello era davvero un pervertito? Non doveva andarci, insomma è così che si verificano i fatti di cronaca nera. Persone che sottovalutano il pericolo. Andiamo era una cosa da pazzi, nessuno sano di mente sarebbe andato a quell'incontro. E poi aveva solo un ora per trovare quel posto in tutta new york. Che significava poi unica corsa? una vocina nella sua testa continuava a ripeterle che avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa e piantarla con tutte quelle stronzate. Ma la curiosità era troppo forte. Scese alla fermata successiva. Con il cellulare cercò la via su google maps. Era abbastanza lontana ma forse se prendeva un autobus o un taxi avrebbe fatto in tempo. Cercare un taxi di sabato sera era una causa persa in partenza, si rese conto Rose, dopo che per poco non fu investita. Dopo aver chiesto a qualche passante finalmente qualcuno fu in grado di indicarle quale autobus prendere. L'autobus si fermò in una strada parallela a quella i cui Rose era diretta, o almeno così diceva google. Le strade in questa parte della città erano molto stratte affiancate da alti edifici di mattoni, a occhio e croce risalivano agli anni venti, probabilmente un tempo quella era la parte industriale della città. Lexington avenue saltò fuori essere una via abbastanza traffica. La strada era piccola e stretta come le altre in quella zona, ma a differenza delle altre strade praticamente deserte quella era molto affollata e piena di locali, sia sul lato destro che su quello sinistro. La strada era un'accozzaglia delle diverse musiche che provenivano dai locali, delle luci delle insegne al neon. Nonostante l'aria fosse pregna di una certa umidità, che le stava facendo arricciare i capelli, c'erano ragazze praticamente nude e ragazzi probabilmente troppo ubriachi per accorgersi della temperatura che si abbassava. In mezzo a tutta quella confusione trovare il numero 17 non era un'impresa facile. Molti degli edifici non avevano nemmeno il numero e Rose continuava a essere spintonata da tutte le parti. Cosa che la stava facendo innervosire parecchio. Poi lo vide. In fondo alla strada all'incrocio con un'altra via buia spiccava un'insegna luminosa a forma di freccia. Era rosa e sopra vi era l'immagine del bian coniglio. La freccia era rivolta verso sinistra e sembrava indicare una piccola porta di legno che si apriva sull'ennesimo edificio di mattoni rossi. Li intorno non c'erano persone e il lampione li vicino era rotto. Il che rendeva la situazione un po' inquietante. Di sicuro non avrebbe aperto quella porta. Almeno questo dai film horror l'aveva imparato. Si sedette su una panchina di ferro arrugginito e aspettò. Non sapeva bene cosa aspettare, che la porta si aprisse e qualcuno venisse fuori? Il ragazzo della metro? Più passava il tempo più si sentiva una stupida a stare li seduta imbambolata. E la sensazione allo stomaco peggiorò. Stava perdendo tempo, doveva trovare un posto dove dormire non seguire le indicazioni di quello che probabilmente era un pazzo, pervertito, maniaco sessuale e probabilmente anche serial killer. Si era appena alzata decisa a fare dietro front quando dalla strada buia comparve il ragazzo di prima.
- Ce l'hai fatta alla fine, pensavo che non saresti riuscita nemmeno a trovare la via- ancora quel ghigno. 
Rose non disse niente ma lo squadrò per bene, cercava un coltello o una pistola nascosta, o qualcosa che tradisse la pacatezza della sua voce. Mentre decideva se poteva fidarsi o no lui riprese a parlare.
- Direi che siamo anche in ritardo, vieni. - Le passò affianco diretto verso la porta.
- Come facevi ad avere quella fotografia?- Col cavolo che ci entro la dentro bello, pensò Rose.
- Ce l'ha data lei- tagliò corto lui tenendo la porta aperta e aspettando che lei entrasse. Ma Rose era determinata a scoprirne di più.
- Che vuol dire "ce", chi siete voi? perchè mi hai detto di venire qui?- incrociò la braccia, e rimase ferma dove era per fargli capire che non era intenzionata a entrare.
-Senti ragazzina, non è compito mio spiegarti le cose e sono stufo, quindi entra e basta.-
-Come faccio a sapere che non sei un maniaco?-
Lui scoppiò a ridere, e appoggiò la testa alla porta.
- Cristo, la solita storia. Che palle. Non sono un maniaco, non me ne frega un cazzo di te per dirla tutta, sto solo facendo quello che devo fare. Quindi muoviti. -
- Cos'è che devi fare?- - Trovarti e convincerti, e possibilmente non perdere tempo. E tu me ne stai facendo perdere la pazienza. Allora entri o no?-.
Col cavolo. -no, devo andare via, mi stanno aspettando-. Si girò e fece per andarsene via quando lui la tirò per un braccio. Di solito quando succede nei film la ragazza urla. Ma da Rose ovviamente non uscì un verso, rimase pietrificata per qualche secondo, il tempo necessario perchè lui la spingesse dentro l'edificio. 
All'interno era buio pesto. Senti che lui la tirava per il braccio ma Rose gli tirò un calcio e a giudicare dal suo gemito doveva aver colpito proprio la parte a cui mirava. Si precipitò indietro e cercò a tentoni la maniglia della porta. Col cavolo, pensò, col cavolo che mi faccio fare a pezzettini da te o da qualunque altro deficiente. Afferrò la maniglia e tirò. Lui però chiuse la porta con un calcio e le diede una spinta che la fece finire con il sedere per terra. 
- Razza di deficiente potevi farci rimanere incastrati!-
La tirò in malo modo per un braccio per farla alzare. - Cammina davanti a me e muoviti, niente scherzi o mi incazzo sul serio.-
Rose si ritrovò a camminare alla cieca, non vedeva dove metteva i piedi e inciampava a ogni passo. Dal canto suo invece il ragazzo sembrava conoscere il percorso anche a luci spente.
-Dove andiamo?-
-Dal capo, ci penserà lui a te, ragazzina, io mi sono davvero rotto delle tue domande.-
Rose sentì che le aveva afferrato il cappuccio della felpa. -Ferma c'è il condotto dell'ascensore, ci cadi dentro. - Lei arretrò immediatamente andandogli addosso. Lui borbottò qualcosa poi le luci si accesero.
Si trovava in corridoio, le pareti e il pavimento sembravano fatti di cemento, in ogni caso erano grigi e ricoperti di un sottile strato di polvere. Davanti a lei si apriva il condotto dell'ascensore. Rose si sporse leggermente ma era troppo buio per vederne il fondo. Il ragazzo era appoggiato alla parete e giocava con una specie di moneta, sembrava aspettare qualcosa. Rose invece pensava a un modo per andarsene da li, apparentemente sembrava distratto, magari avrebbe potuto spingerlo dentro il condotto e tornare indietro. Il problema era che non sapeva come tornare indietro. 
Mentre era ancora persa nelle sue congetture nel condotto risuonò un rumore metallico accompagnato da una sorta di cigolio. - Finalmente!- Rose venne spinta in maniera poco galante dentro quella specie di ascensore in metallo arrugginito, probabilmente aveva almeno quindici anni. Il ragazzo non premette nessun pulsante, d'altronde non ce n'erano, ma l'ascensore comincio a salire comunque. Che diavolo di posto era quello? Sembrava il set di Saw III. Rose venne spinta di nuovo bruscamente fuori dall'ascensore, si limitò a guardarlo male ma non disse nulla. Aveva la bocca impastata, le mani sudate, e le gambe cominciavano a tremarle, sintomo che ormai l'effetto dell'adrenalina stava per finire e che presto sarebbe crollata. -Ragazzina non provare a metterti a piangere, non ti ho ancora fatto niente, anzi dovresti ringraziarmi alla fine, sono stato molto più gentile che con la maggior parte degli altri. - -Gli altri chi?- Lui in tutta risposta sbuffo e la superò a passo svelto.
L'ambiente nel quale entrò non c'entrava nulla con quello di prima. Era tutto lussuoso, il pavimento era in parquet, c'erano tappetti che sembravano costare quanto casa sua ovunque, vasi in ceramica, mobili in legno scuro, un camino... e tutte le cose che ci aspetta di trovare nelle case di ricchi. E poi era enorme, il soffitto era altissimo, vi erano persino delle colonne; le porte erano dello stesso legno scuro dei mobili ed erano tutte decorate con intagli. 
Rose rimase sbigottita. -Muoviti, ti porto da Samuel. - -Chi é?- Lui non la degnò nemmeno di una sguardo ma attraversò la stanza a passo svelto, salì una grande scalinata sulla destra della sala e Rose si affrettò a seguirlo. attraversarono qualche corridoio, nei quali Rose riconobbe appesi al muro alcuni quadri che aveva visto sul suo libro di storia dell'arte e aveva la netta sensazione che fossero quadri originali. Poi il ragazzo si fermò davanti a una piccola porta di legno, la aprì e le fece segno di entrare. Mentre Rose varcava la soglia lui le sussurrò un "in bocca al lupo", prima che chiudesse la porta l'ultima cosa che vide fu il suo ghigno arrogante e odioso.
  
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