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Autore: darkimera    13/08/2008    2 recensioni
Kagome, il tuo destino è stato segnato dal momento che hai udito il canto del mio cuore...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stanca

Era stanca. Terribilmente stanca. Da quanto stava lì distesa nel buio, aspettando che il sole sorgesse? Le sembrava un’infinità. Decise di aprire gli occhi. Li aveva aperti? Non le sembrava. Tutto era ugualmente buio e non si riusciva a scorgere nulla. Le faceva male la testa, un dolore forte, acuto. Ma cos’era successo? Dove si trovava? Perché si sentiva immensamente sola?

- Inu Yasha… - provò a chiamare, la voce flebile, ma potente che le ritornò indietro con un’eco infinita. Si portò le mani alla testa. Era confusa e quel mal di testa la continuava a tormentare. Cercò di ricordare. Immagini piccole, lontane, sfocate, le apparvero nella mente, ma cosa raccontavano? Perché non riusciva a capirle? Le immagini presero a vorticare sempre più frenetiche, finché non ricordò tutto nei minimi particolari. Vide per uno stupido tranello lei e i suoi compagni entrare nel corpo di Naraku. Vide la sfera degli Shikon, nera, impura, possedere il suo amato mezzo demone. Lo vide uccidere a sangue freddo ogni persona che vedeva, era quello il volere di Naraku? E infine lo vide avvicinarsi a lei, gli occhi vermigli accesi d’odio, di potere. Vide le sue zanne affilate incidere la carne, dilaniarla. Un ultimo atto di coraggio da parte della ragazza, poi il nulla, il vuoto. Era morta, allora. Si trovava nell’aldilà. Già, ma da quando? Non lo sapeva. Sperava solo che tutto durasse poco che presto qualcuno venisse a prenderla, a ricordarle che era ora che si reincarnasse. Quell’oscurità la opprimeva, le toglieva il respiro.

Che strano. Le sue orecchie sentivano una canzone lontana, ma in lento avvicinamento. Ora si era fatta più vicina, chi è che cantava? Chi era così triste da innalzare quel cantico così dolce, ma così disperato? I suoi occhi non vedevano nulla. La sua bocca, però, si era unita al canto, perché lo sentiva suo. Perché quel dolore sembrava anche il suo dolore. Vide una luce rischiarare l’ombra, poi una figura venirle incontro. Era una ragazza dall’effimera bellezza. Camminava piano, la veste bianca ondeggiava ad ogni passo. Sul volto era dipinta un’espressione triste e lunghi capelli corvini lo incorniciavano. In mano reggeva una piccola lanterna.

- Chi sei? – le chiese.

Lei non rispose continuando ad avanzare verso la ragazza.

- Chi sei? – domandò ancora, la voce incrinata da un velo di paura.

- Kagome, perché hai paura? Io sono come te, ho patito le tue stesse sofferenze…

Kagome era rimasta a fissarla. La paura era svanita leggermente. – Chi sei?

- Uno spirito. Sono lo spirito che può dare un’altra scelta ai morti, se lo vorranno. Da millenni il mio compito è sempre stato questo. Vagare per l’aldilà, incontrando tamashi-i, donando loro speranza.

- Eri tu che cantavi?

- Come hai fatto a sentirmi? – le chiese stupita. – Nessuno se n’è mai accorto. Nessuno ha mai sentito il canto del mio cuore. Com’è possibile? Dimmi, ragazza, come sei morta?

Kagome non si fidava di quello spirito, non voleva dirle nulla, ma si arrese a parlarle.

- Sono stata uccisa da un uomo… anzi, no, ho sbagliato, da un mezzo demone divenuto demone…

La voce dello spirito di fece più dolce e apprensiva. – E tu lo amavi, dico bene?

- Sì, hai detto bene, lo amavo dal profondo del mio cuore…

- Adesso capisco… giovane donna, mi è stato detto di concederti un’altra scelta. Vieni… - le tese la mano.

Lei la prese. Non aveva più paura solo una debole speranza che le illuminava il cuore.

Atterrarono in una stanza bianca, silenziosa, che pareva infinita. Si rese conto di essere di nuovo rimasta sola, perché si era fidata dello spirito? Che cosa sperava di ottenere? Un’altra vita con InuYasha, forse?

Si lasciò cadere in ginocchio al suolo. Poco dopo lo spirito ricomparve, portando con sé una veste bianca. Kagome la indossò in fretta.

- Scusa se ti ho fatto attendere così tanto Kagome…

- Cosa succederà ora? – le chiese preoccupata.

Lo spirito non rispose. Passò una mano su quella che doveva essere la parete e apparve uno specchio.

- Oltre questo specchio, potrai vedere ciò che nel mondo della vita sta accadendo… - spiegò.

- E se io non volessi saperlo?

Un’altra domanda cadde nel vuoto. Kagome si avvicinò sospetta allo specchio che cominciò a riflettere delle immagini. Vide un uomo dai capelli corvini. Perché le era così familiare? Dove l’aveva già visto? Era chino su qualcosa. No, stava raccogliendo qualcosa. Si volse. Inu Yasha. Non l’aveva mai visto con quell’espressione. Stava piangendo. Ma perché era uomo? Era giorno, non capiva. Sapeva solo che voleva raggiungerlo per poterlo abbracciare. Una musica si levò nella sala. Chi è che suonava? Si guardò intorno, non c’era nessuno. Cominciò a picchiare lo specchio, voleva passarci attraverso. Si accorse che i suoi pugni svanivano a contatto con la superficie. La musica si faceva più forte. Attraversò lo specchio e si trovò davanti a Inu Yasha. Lo guardò. Sembrava passato un secolo da quando l’aveva visto l’ultima volta.

- Kagome? – chiamò lui, incredulo di vederla.

Lei gli corse incontro a braccia aperte, voleva abbracciarlo. Il suo corpo gli passò attraverso. Lui pensò che tutto questo era solo un’allucinazione e proseguì per la sua strada. La musica che fino a quel momento invadeva l’aria cessò. Kagome si ritrovò a guardare il mondo da un’altra prospettiva e si guardò. Il suo corpo era quello di una bambina vestita di bianco. Ad un tratto capì. Lo spirito che aveva incontrato nell’aldilà si era reincarnato in lei e ora a lei, Kagome, spettava il suo compito. Sentì tutte le preghiere che i morti le rivolgevano, percepì nitidi tutti i sentimenti che provavano gli uomini, ogni singolo pensiero, e si sentì improvvisamente vecchia di mille anni. Si volse verso Inu Yasha. Il dolore che lui provava lo provava anche lei e capì che doveva fare qualcosa. Parlò.

- Il tuo dolore è grande, giovane uomo…

Doveva dargli un’altra possibilità. Doveva lenire quel dolore. Sapeva che se l’avrebbe fatto avrebbe sofferto, ma quello era il suo compito. L’uomo, però, sembrava non averla sentita, così cercò di attirare nuovamente la sua attenzione.

- Il tuo dolore è grande, Inu Yasha…

Finalmente lui si volse. Una strana luce gli illuminava gli occhi, cos’era? Speranza, forse? Poi quella luce si spense, facendo diventare gli occhi opachi, facendolo piangere. Era davvero strano vederlo con quell’espressione. Il pianto silenzioso sembrava incidergli le guance.

- Il tuo dolore è grande, giovane uomo… - ripeté ancora Kagome. – Permettimi di alleviarlo… - allungò le mani verso il suo torace, quello che tante volte l’aveva protetta, che poche volte aveva abbracciato… lui ebbe un moto di stizza e si scostò.

- Che stai facendo? – le chiese, la voce leggermente incrinata dal dolore.

Perché Inu Yasha stava reagendo così? Non capiva che quella bambina era lei, Kagome? Perché? Ma doveva lo stesso portare avanti quel compito.

- Non ti preoccupare, giovane uomo. Il mio compito è da sempre quello di lenire il dolore di tutti gli esseri. Il mio compito è da sempre quello di mostrare quello che sarebbe potuto accadere. Il mio compito è da sempre quello di dare un’altra possibilità a tutti gli esseri, se lo vorranno. – Da dove venivano queste parole? Non era lei a parlare, non aveva mai fatto ciò che diceva. Erano le esperienze delle sue manifestazioni a parlargli. Protese ancora le braccia verso l’uomo che non si ritrasse. – Permettimi, giovane uomo, dunque, di lenire ciò che porti dentro. Lasciami quindi darti un’altra possibilità. Lasciami la possibilità di adempiere il mio compito millenario…

Il desiderio di abbracciarlo era ancora in lei, ma desistette. Non appena le sue braccia lo toccarono, vennero assorbiti in un’atmosfera onirica e irreale. Era la stanza dove lo specchio l’aveva condotta da lui, dove aveva scoperto poi cosa doveva essere fatto. Nonostante fosse il suo primo compito, seppe subito cosa fare. Inu Yasha ritornò in quello spazio un mezzo demone, lo fece vestire di bianco, il colore degli spiriti e lo accompagnò nel suo viaggio. Non era importante se lei soffrisse per le scene che vedeva, non era importante se lo vedeva abbracciare Kikyo, non era importante se soffriva vedendosi vivere insieme a Inu Yasha, quando invece sapeva che non sarebbe mai accaduto. Quello era il suo compito.

Ma un desiderio del mezzo demone le fece pensare che lui avesse capito chi fosse. Un desiderio espresso quando le loro strade stavano per dividersi definitivamente.

- Dimmi come ti chiami!

Voleva urlargli che lei era Kagome, voleva implorarlo di non andare via, voleva, ma non poteva e ancora una volta la sua esperienza millenaria prevalse:

- Sai, giovane uomo, mi hanno sempre chiamata in diversi modi. Tu come mi vuoi chiamare?

Era vero. Era stata Sakura, Hisakata, Miu, Sara… era stata diverse ragazze e ancor prima la chiamavano con i nomi della natura. Queste furono le ultime parole prima di vederlo sparire e sussurrare, quasi tra sé e sé:

- Kagome… Inu Yasha io sono Kagome…

E ancora una volta la musica suonata da nessuno si levò triste nell’aria, mentre una lacrima le solcava la guancia.

*

Questa storia è in parte quello che successe prima della storia che citerò poi e in parte la versione, ridotta chiaramente, di “Quello che sarebbe potuto essere” vista da Kagome, credo però che l’avevate capito da voi, se avete letto quella storia… spero davvero che vi sia piaciuta… vi ringrazio per averla letta…

darkimera

  
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