Era
stanca. Terribilmente stanca. Da quanto stava lì distesa nel buio, aspettando
che il sole sorgesse? Le sembrava un’infinità. Decise di aprire gli occhi. Li
aveva aperti? Non le sembrava. Tutto era ugualmente buio e non si riusciva a
scorgere nulla. Le faceva male la testa, un dolore forte, acuto. Ma cos’era
successo? Dove si trovava? Perché si sentiva immensamente sola?
-
Inu Yasha… - provò a chiamare, la voce flebile, ma potente che le ritornò
indietro con un’eco infinita. Si portò le mani alla testa. Era confusa e quel
mal di testa la continuava a tormentare. Cercò di ricordare. Immagini piccole,
lontane, sfocate, le apparvero nella mente, ma cosa raccontavano? Perché non
riusciva a capirle? Le immagini presero a vorticare sempre più frenetiche,
finché non ricordò tutto nei minimi particolari. Vide per uno stupido tranello
lei e i suoi compagni entrare nel corpo di Naraku. Vide la sfera degli Shikon,
nera, impura, possedere il suo amato mezzo demone. Lo vide uccidere a sangue
freddo ogni persona che vedeva, era quello il volere di Naraku? E infine lo
vide avvicinarsi a lei, gli occhi vermigli accesi d’odio, di potere. Vide le
sue zanne affilate incidere la carne, dilaniarla. Un ultimo atto di coraggio da
parte della ragazza, poi il nulla, il vuoto. Era morta, allora. Si trovava
nell’aldilà. Già, ma da quando? Non lo sapeva. Sperava solo che tutto durasse
poco che presto qualcuno venisse a prenderla, a ricordarle che era ora che si
reincarnasse. Quell’oscurità la opprimeva, le toglieva il respiro.
Che
strano. Le sue orecchie sentivano una canzone lontana, ma in lento
avvicinamento. Ora si era fatta più vicina, chi è che cantava? Chi era così
triste da innalzare quel cantico così dolce, ma così disperato? I suoi occhi
non vedevano nulla. La sua bocca, però, si era unita al canto, perché lo
sentiva suo. Perché quel dolore sembrava anche il suo dolore. Vide una luce
rischiarare l’ombra, poi una figura venirle incontro. Era una ragazza
dall’effimera bellezza. Camminava piano, la veste bianca ondeggiava ad ogni
passo. Sul volto era dipinta un’espressione triste e lunghi capelli corvini lo
incorniciavano. In mano reggeva una piccola lanterna.
-
Chi sei? – le chiese.
Lei
non rispose continuando ad avanzare verso la ragazza.
-
Chi sei? – domandò ancora, la voce incrinata da un velo di paura.
-
Kagome, perché hai paura? Io sono come te, ho patito le tue stesse sofferenze…
Kagome
era rimasta a fissarla. La paura era svanita leggermente. – Chi sei?
-
Uno spirito. Sono lo spirito che può dare un’altra scelta ai morti, se lo
vorranno. Da millenni il mio compito è sempre stato questo. Vagare per
l’aldilà, incontrando tamashi-i, donando loro speranza.
-
Eri tu che cantavi?
-
Come hai fatto a sentirmi? – le chiese stupita. – Nessuno se n’è mai accorto.
Nessuno ha mai sentito il canto del mio cuore. Com’è possibile? Dimmi, ragazza,
come sei morta?
Kagome
non si fidava di quello spirito, non voleva dirle nulla, ma si arrese a
parlarle.
-
Sono stata uccisa da un uomo… anzi, no, ho sbagliato, da un mezzo demone
divenuto demone…
La
voce dello spirito di fece più dolce e apprensiva. – E tu lo amavi, dico
bene?
-
Sì, hai detto bene, lo amavo dal profondo del mio cuore…
-
Adesso capisco… giovane donna, mi è stato detto di concederti un’altra scelta.
Vieni… - le tese la mano.
Lei
la prese. Non aveva più paura solo una debole speranza che le illuminava il
cuore.
Atterrarono
in una stanza bianca, silenziosa, che pareva infinita. Si rese conto di essere
di nuovo rimasta sola, perché si era fidata dello spirito? Che cosa sperava di
ottenere? Un’altra vita con InuYasha, forse?
Si
lasciò cadere in ginocchio al suolo. Poco dopo lo spirito ricomparve, portando
con sé una veste bianca. Kagome la indossò in fretta.
-
Scusa se ti ho fatto attendere così tanto Kagome…
-
Cosa succederà ora? – le chiese preoccupata.
Lo
spirito non rispose. Passò una mano su quella che doveva essere la parete e
apparve uno specchio.
-
Oltre questo specchio, potrai vedere ciò che nel mondo della vita sta
accadendo… - spiegò.
-
E se io non volessi saperlo?
Un’altra
domanda cadde nel vuoto. Kagome si avvicinò sospetta allo specchio che cominciò
a riflettere delle immagini. Vide un uomo dai capelli corvini. Perché le era
così familiare? Dove l’aveva già visto? Era chino su qualcosa. No, stava
raccogliendo qualcosa. Si volse. Inu Yasha. Non l’aveva mai visto con
quell’espressione. Stava piangendo. Ma perché era uomo? Era giorno, non capiva.
Sapeva solo che voleva raggiungerlo per poterlo abbracciare. Una musica si levò
nella sala. Chi è che suonava? Si guardò intorno, non c’era nessuno. Cominciò a
picchiare lo specchio, voleva passarci attraverso. Si accorse che i suoi pugni
svanivano a contatto con la superficie. La musica si faceva più forte.
Attraversò lo specchio e si trovò davanti a Inu Yasha. Lo guardò. Sembrava passato
un secolo da quando l’aveva visto l’ultima volta.
-
Kagome? – chiamò lui, incredulo di vederla.
Lei
gli corse incontro a braccia aperte, voleva abbracciarlo. Il suo corpo gli
passò attraverso. Lui pensò che tutto questo era solo un’allucinazione e
proseguì per la sua strada. La musica che fino a quel momento invadeva l’aria
cessò. Kagome si ritrovò a guardare il mondo da un’altra prospettiva e si
guardò. Il suo corpo era quello di una bambina vestita di bianco. Ad un tratto
capì. Lo spirito che aveva incontrato nell’aldilà si era reincarnato in lei e
ora a lei, Kagome, spettava il suo compito. Sentì tutte le preghiere che i
morti le rivolgevano, percepì nitidi tutti i sentimenti che provavano gli
uomini, ogni singolo pensiero, e si sentì improvvisamente vecchia di mille
anni. Si volse verso Inu Yasha. Il dolore che lui provava lo provava anche lei
e capì che doveva fare qualcosa. Parlò.
-
Il tuo dolore è grande, giovane uomo…
Doveva
dargli un’altra possibilità. Doveva lenire quel dolore. Sapeva che se l’avrebbe
fatto avrebbe sofferto, ma quello era il suo compito. L’uomo, però, sembrava
non averla sentita, così cercò di attirare nuovamente la sua attenzione.
-
Il tuo dolore è grande, Inu Yasha…
Finalmente
lui si volse. Una strana luce gli illuminava gli occhi, cos’era? Speranza,
forse? Poi quella luce si spense, facendo diventare gli occhi opachi, facendolo
piangere. Era davvero strano vederlo con quell’espressione. Il pianto
silenzioso sembrava incidergli le guance.
-
Il tuo dolore è grande, giovane uomo… - ripeté ancora Kagome. – Permettimi di
alleviarlo… - allungò le mani verso il suo torace, quello che tante volte
l’aveva protetta, che poche volte aveva abbracciato… lui ebbe un moto di stizza
e si scostò.
-
Che stai facendo? – le chiese, la voce leggermente incrinata dal dolore.
Perché
Inu Yasha stava reagendo così? Non capiva che quella bambina era lei, Kagome?
Perché? Ma doveva lo stesso portare avanti quel compito.
-
Non ti preoccupare, giovane uomo. Il mio compito è da sempre quello di lenire il
dolore di tutti gli esseri. Il mio compito è da sempre quello di mostrare
quello che sarebbe potuto accadere. Il mio compito è da sempre quello di dare
un’altra possibilità a tutti gli esseri, se lo vorranno. – Da dove venivano
queste parole? Non era lei a parlare, non aveva mai fatto ciò che diceva. Erano
le esperienze delle sue manifestazioni a parlargli. Protese ancora le braccia
verso l’uomo che non si ritrasse. – Permettimi, giovane uomo, dunque, di lenire
ciò che porti dentro. Lasciami quindi darti un’altra possibilità. Lasciami la
possibilità di adempiere il mio compito millenario…
Il
desiderio di abbracciarlo era ancora in lei, ma desistette. Non appena le sue
braccia lo toccarono, vennero assorbiti in un’atmosfera onirica e irreale. Era
la stanza dove lo specchio l’aveva condotta da lui, dove aveva scoperto poi
cosa doveva essere fatto. Nonostante fosse il suo primo compito, seppe subito
cosa fare. Inu Yasha ritornò in quello spazio un mezzo demone, lo fece vestire
di bianco, il colore degli spiriti e lo accompagnò nel suo viaggio. Non era
importante se lei soffrisse per le scene che vedeva, non era importante se lo
vedeva abbracciare Kikyo, non era importante se soffriva vedendosi vivere
insieme a Inu Yasha, quando invece sapeva che non sarebbe mai accaduto. Quello
era il suo compito.
Ma
un desiderio del mezzo demone le fece pensare che lui avesse capito chi fosse.
Un desiderio espresso quando le loro strade stavano per dividersi
definitivamente.
-
Dimmi come ti chiami!
Voleva
urlargli che lei era Kagome, voleva implorarlo di non andare via, voleva, ma
non poteva e ancora una volta la sua esperienza millenaria prevalse:
-
Sai, giovane uomo, mi hanno sempre chiamata in diversi modi. Tu come mi vuoi
chiamare?
Era
vero. Era stata Sakura, Hisakata, Miu, Sara… era stata diverse ragazze e ancor
prima la chiamavano con i nomi della natura. Queste furono le ultime parole
prima di vederlo sparire e sussurrare, quasi tra sé e sé:
-
Kagome… Inu Yasha io sono Kagome…
E
ancora una volta la musica suonata da nessuno si levò triste nell’aria, mentre
una lacrima le solcava la guancia.
*
Questa storia è in parte quello che
successe prima della storia che citerò poi e in parte la versione, ridotta
chiaramente, di “Quello che sarebbe potuto essere” vista da Kagome, credo però
che l’avevate capito da voi, se avete letto quella storia… spero davvero che vi
sia piaciuta… vi ringrazio per averla letta…
darkimera