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Autore: Samarskite    15/06/2014    5 recensioni
Harry Styles vive nella fredda Londra da così poco da non saperne nemmeno conoscere i rumori, Louis Tomlinson ci vive da troppo, e li conosce fin troppo da vicino.
Harry/Louis ; Tramp!Louis ; ( + Matty Healy, Niall Horan, Ed Sheeran)
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The City

A M.

*
If Louis was a city, he would not be a crumbling
urban wasteland, he would be a beautiful tangle
of winding streets and flashing lights and beautiful songs

*






 

 
London calls me a stranger,
A traveller
This is now my home,
My home
(Ed Sheeran, The City)
 
A Matty piacevano le città. Gli piacevano veramente tanto. Matty era nato in città ma cresciuto in campagna, e vi aveva vissuto a lungo, ma poi era tornato in città a ventiquattro anni perché non poteva farne a meno e non se n'era più andato. Perché a Matty piacevano le città.
Quando era stato a Londra per la prima volta era diffidente, pensava che l'avrebbe inghiottito e non l'avrebbe più restituito alla sua vita. E invece poi aveva scoperto che la città è la vita stessa, è viva, ha mille e milioni di cuori che pulsano e occhi che brillano e menti che ronzano e suole di scarpe che si consumano in fretta attraversando strade e calpestando parchi.
Anche ad Harry piacevano le città. Era nato nel Chesire, che non è propriamente famoso per le metropoli, ma quando era stato a Londra ne era rimasto stregato e aveva deciso che un giorno sarebbe stata la sua città. La sua casa. Non capiva perché – in fondo a lui piacevano il silenzio, i giochi di parole tristi, i gatti e i panifici di provincia – ma qualcosa in Londra lo aveva catturato, derubato di un pezzo di sè stesso, appena l'aveva visitata. Guardandosi intorno aveva deciso che a Londra non gliene frega niente dell'esistenza al di fuori di sè stessa. È composta da stranieri nativi immigrati turisti lavoratori pendolari studenti anziani gente di colore gente caucasica gente asiatica – ma non gliene frega niente del tempo che scorre disfunzionale ai propri impegni. Ognuno a Londra è un mondo a sè stante: abituati alla convivenza cosmopolita, uomini d'affari londinesi giocano a Candy Crush accanto a cosplayer asiatici dai vestiti succinti, mentre donne in tailleur si sistemano il trucco e nullafacenti leggono i giornali ignorando turisti che controllano ansiosamente le fermate.
E Harry voleva essere così: voleva essere capace di dimenticare ciò che era stato, prima di uscire dall'aeroporto di Stanford e prendere la corriera e sbarcare a Oxford Street. Tutto ciò che era successo prima di quell'attimo – cancellato. O almeno, così sperava.
Trascinando il trolley lungo una qualche diavolo di street, cercando con disperazione il numero che corrispondesse all'appartemento da lui co-affittato con qualcuno che su internet si firmava come Truman_Black, Harry Styles voleva davvero che questa cosa potesse funzionare. Voleva rivoltare la sua vita come un calzino, voleva trivellare strade e costruire ponti: l'unica condizione era che non fossero con nulla di passato.
Appena trovò il numero civico corrispondente, estrasse le chiavi che gli erano state inviate per posta prioritaria e le rimirò nella propria mano. Se apro quella porta, verniciata di blu e scrostata dai mille volantini affissi e divelti, dalla pioggia, dal sole e dai teppisti, se la apro non torno più indietro, si disse. Persino nella sua testa suonava eccessivamente melodrammatico, ma gli piaceva pensare di poterselo concedere, quantomeno in sede privata. Fece qualche passo a ritroso e si specchiò in una vetrina di Lacoste. Tirò indietro la bandana che domava i propri ricci, si sistemò la maglietta e il cappotto e si passò una mano sul viso, cercando di svegliarsi e riprendersi dall'alzataccia di quella mattina.
Apri la porta e sii un uomo, disse una voce nella sua testa. Non la ragazzina spaventata che veniva presa a calci in culo nei vicoli. Un uomo. Sei un uomo, no? Le palle le hai. Usale.
Avanzò di nuovo davanti alla porta, l'aprì e salì faticosamente le scale, chiudendosi la vecchia vita alle spalle. Appena arrivò al piano di sopra si trovò davanti a due porte, e non sapendo quale scegliere provò a schiarirsi la gola.
“C'è – uhm – qualcuno?”, chiese. Nel silenzio totale, Harry Styles - lui, con la voce profonda che tutti stupiva - si sentì improvvisamente come un topo che squittiva. Attese qualche secondo, senza aspettarsi una risposta, pur non sapendo perché; e invece la risposta arrivò: dalla camera di destra giunse un suono distratto, che sarebbe potuto essere benissimo un “Qui”.
Seguendo l'indicazione, Harry aprì la porta e si ritrovò davanti il proprio appartamento, completamente diverso da come se l'era immaginato: i muri erano perfettamente bianchi, l'arredamento non era antiquato, ma sconfinava dall'aggettivo moderno oltrepassandolo in definizione: quello era design. Appena dopo l'ingresso c'era un ampio salotto; lateralmente, sulla destra, un divano nero era rivolto alla parete opposta, dove era appesa un televisione da svariati pollici. Le lampade e i tavolini, sparsi qua e là per ciò che si poteva vedere dell'appartamento, erano tutti di un colore tra il nero ed il grigio.
Harry inghiottì il fiato e, dopo un paio di minuti abbondanti, si rese conto che la fonte dell'invito precedente sedeva sgangheratamente sul divano: un ragazzo giovane, con le gambe lunghe stese su un tavolino privo di riviste, un gomito appoggiato su un bracciolo e un braccio steso sulla sommità dello schienale. Le dita della mano destra, sottili, reggevano una sigaretta e ogni tanto facevano cadere la cenere oltre il bracciolo, per terra. Il ragazzo indossava un paio di jeans neri laceri e una canottiera bianca, in contrasto con il divano ma in pan dan con i bianchi occhiali da sole tondi che indossava. Tutto il suo corpo sembrava una statua di cera; il suo sguardo era fisso su un poster bislungo - appoggiato per terra sulla parete opposta - che rappresentava il Cenacolo di Leonardo.
“Chiedo scusa”, disse Harry. “Devo aver sbagliato appartemento”.
La statua di cera si mosse, e i due fanali da moscone che erano gli occhiali del ragazzo si puntarono verso di lui. “Sei Harry Styles?”, chiese.
Harry cambiò peso da una gamba all'altra e si asciugò sui jeans i palmi delle mani, sudati. Annuì.
“Allora benvenuto nella tua nuova reggia”, aggiunse il ragazzo - per poi tornare a guardare il poster.
“Ci dev'essere un errore”, insistette Harry. “Io questo posto lo pago ottanta sterline al mese”.
Il ragazzo sollevò gli occhiali, tirando così indietro la zazzera di capelli neri che gli ricadeva sul viso. “Settantacinque”, sorrise. “Io conosco il proprietario”. Poi ritornò sul poster.
Harry, nonostante la strafottenza e l'evidente squilibrio mentale di quello si supponeva essere Truman_Black, sorrise a sua volta e decise che gli stava simpatico. “E si può parlare con questo proprietario? Ben inteso, mi va benissimo questo posto, ma, insomma, non voglio fregature, capisci”.
Il ragazzo, con la sigaretta, indicò un punto imprecisato verso Harry: “Da qualche parte nella busta del piano antincendio c'è infilato il biglietto da visita con il numero di telefono. Ma è tempo perso. La verità è che questo appartamento a Zen sta piccolo, ed è così ricco che potrebbe scoparsi Pippa Middleton, perciò affitta begli appartementi a prezzo stracciato”, spiegò il ragazzo.
“Capisco”, disse Harry. “Capolavoro, uh?”, aggiunse poi guardando il poster a sua volta.
“Già”, commentò il ragazzo con una certa laconicità. Harry avanzò e si interpose tra il ragazzo e il poster, per ottenere la sua attenzione.  “Posso farti una domanda?”, aggiunse poi.
“Anche tre elevato alle sette virgola ottanta, volendo”, replicò con serietà il ragazzo sporgendosi verso sinistra per guardare meglio Giacomo minore e Bartolomeo.
“Ti droghi?”
Il ragazzo sorrise: “Non più da tre anni”
“E ti drogavi molto tre anni fa?”
“Un pochino”
“Quindi sei così al naturale, suppongo”
“Non sono matto”, specificò il ragazzo guardando Harry negli occhi. Harry scoppiò a ridere, senza sapere bene il motivo: “Non sei matto”, ripetè ridendo, mentre indicava con la mano l'intera situazione.
Il ragazzo rise a sua volta, tirò giù la gamba dal tavolino e appoggiò entrambi i gomiti sulle ginocchia: “Senti, ascoltami, non sono matto. È che qui c'è una cazzo di mano in più, okay?”, disse concitato, puntando il dito verso il poster. “Appena sono arrivato era attaccato sopra il divano e l'ho visto subito, che qui c'è una mano che spunta e non è di nessuno e tiene un maledetto coltello, capisci?”
Harry lasciò andare il trolley e si chinò sul poster; il ragazzo aveva ragione. Tra Pietro e Giuda spuntava una mano che reggeva un coltello, e non sembrava appartenere a nessuno: di Pietro, dietro Giuda Iscariota, non si vedeva una mano, ma non avrebbe potuto esserne il proprietario perché era una posizione troppo innaturale.
“Cazzo”, fece Harry, rapito dal poster. “Hai ragione”. Si rialzò ed andò a sedersi accanto al ragazzo: “Secondo te ha un significato?”, chiese.
“Sicuramente”, fece lo stesso con un sorriso, per poi aggiungere, tendendo la mano: “Visto? Non sono matto. Sono Matty”.
Harry scoppiò a ridere e la strinse. “Non fare questi giochi di parole con me, sono appena Harryvato”.
Matty rise forte a sua volta, coprendosi la bocca con una mano. Poi, quando si fu ricomposto, scosse la testa e la buttò indietro, appoggiandola allo schienale.
Erano due pazzi, si disse Harry. Ma avrebbe dovuto funzionare. Altrimenti sarebbe stato costretto ad abbandonare Londra, e smettere di far parte del suo cuore pulsante.


Can’t resort the arrogance with white lights,
The city won’t erase me,
But I can’t help but see just how this dark city changed me
(Ed Sheeran, The City)



Londra sarà stata anche la città dei sogni di Harry Styles, ma per Louis Tomlinson e Niall Horan era di certo la città degli incubi. Louis ricordava di un film dell'orrore visto in un pomeriggio uggioso, sgattaiolando in sala proiezioni senza pagare il biglietto per sè e per Niall, in cui uno psicopatico costruiva un simil labirinto e rapiva della gente mettendocela dentro, costringendola a farsi del male per superare prove ripugnanti. Ecco, per loro due Londra era insieme il labirinto e lo psicopatico: Londra che non dorme mai, Londra iperattiva che manda il conto con impazienza senza aspettare il cliente mentre cerca il portafogli, Londra che risucchia e Londra che sbatte in strada, Londra che vessa, che bagna e che sporca.
La loro casa era attualmente uno sgabuzzino della National Gallery, in cui un addetto riusciva saltuariamente ad infiltrarli dopo l'orario di chiusura - benedetto, benedetto Ed Sheeran - e la loro somma di denaro in contanti pari a quaranta sterline. Considerando che Londra è la città più cara d'Europa, con quaranta sterline ci compri quattro pranzi di lusso o otto schifosi. Ad ogni modo, quasi ogni sera i due ragazzi sgattaiolavano nell'edificio, cercando di lisciarsi i capelli ingarbugliati dalla pioggia come un profano che entra in una chiesa, camminavano sul marmo con reverenza quasi comica e s'infilavano nello sgabuzzino di due metri quadri in cui però rimanevano stipati nastri registri scope sgrassatori stracci aspirapolveri e piumini. E mentre Ed socchiudeva la porta intimando loro di non fare baccano, Louis e Niall si sdraiavano sul pavimento e osservavano il soffitto, pensando a quale sarebbe stata la loro mossa successiva, analizzando le geometrie di luci che i fari delle macchine in strada proiettavano attraverso una finestra, dicendosi l'un l'altro che sarebbe finito tutto bene, che avrebbero trovaro un lavoro e una casa con un giardino e un cane o un gatto.
Perciò, riassumendo le carte in tavola, mentre Harry Styles saltava su un divano in pelle nera ridendo all'indirizzo di Matty Healy, mentre questo imitava Kid Rock, Louis Tomlinson e Niall Horan aprivano con circospezione la porta del loro sgabuzzino, concependo il divertimento nella sua massima forma come lo sbirciare da lontano le opere museali grazie ad una torcia a pile.
Tutto ciò, ovviamente, è ben lungi dall'ipotizzare una predestinazione nello scontro frontale che sarebbe avvenuto a breve tra queste due coppie di anime; ma, in fondo, anche il più banale degli storici sa che se una storia volge in una direzione, o una città si sviluppa in un tal modo, la causa originaria è sempre da ricercarsi in un caso fortuito, mai inciso nell'asfalto.


I'll be coming up when the sun goes down
Rolling like a rock 'til I hit the ground
Running from the law but I can't be found
Only my God can track me down
(Ed Sheeran ft Yelawolf, London Bridge)



Come quando svolti da un angolo di una via e ti ritrovi davanti un edificio meravigliosamente imponente, come era capitato ad Harry quando era stato in piazza San Pietro in Italia, la svolta decisiva - o scontro frontale che dir si voglia - capitò un mercoledì.
Nell'esatto momento in cui Harry e Matty uscivano da un Pret a Manger1, in cui avevano fatto colazione con una misera macedonia di frutta, Louis Tomlinson e Niall Horan sgattaiolavano fuori da un'uscita secondaria della National Gallery, passando nei pressi - guarda caso - del suddetto Pret a Manger.
E mentre Harry e Matty decidevano da dove cominciare la loro ricerca per un lavoro decentemente retribuito, metri più indietro Louis allungava una mano all'interno di una borsa della spesa di una signora sui sessanta, mosso più dalla disperazione che dall'ingordigia, e veniva colto sul fatto.
Sempre tenendo ben stretti in una mano la coppia di tramezzini che era riuscito a rubare e nell'altra il polso del compagno, Louis si mise a correre all'impazzata per le vie londinesi, sgomitando tra la folla e voltandosi indietro ogni tanto per vedere a quanti metri di distanza stessero i suoi inseguitori.
Louis e Niall svoltarono l'angolo e si diressero di gran carriera verso la zona del British Museum, sgomitando e urlando come se ne andasse della loro vita, senza prestare particolare attenzione a Harry e Matty, che quasi travolsero. Matty mormorò qualcosa che assomigliava molto al nome del ladro di panini, poi chinò il capo verso Harry e, senza staccare lo sguardo dalle due figure in allontanamento, disse: “Dici che hanno rubato qualcosa?” e, quasi come risposta, la signora che aveva subito il furto si mise ad urlare “I miei tramezzini, i miei tramezzini!”
Non appena Harry realizzò quello che stava succedendo, o forse più probabilmente, perché tutto ciò stava succedendo, il ragazzo che aveva rubato i tramezzini si volse, e lo guardò negli occhi. La prima cosa che Harry notò era che, se quel ragazzo fosse stato un luogo, sarebbe stato una terrazza panoramica che dava su un cielo limpido primaverile, o su un mare in tempesta. La seconda fu che gridava aiuto, disperatamente: nemmeno un cartello stradale sarebbe stato così chiaro. Perciò fece l'unica cosa possibile, tenendo sempre gli occhi fissi in quelli del fuggitivo: mosse un passo avanti, e coloro che inseguivano Louis per conto della derubata gli rovinarono totalmente addosso con la potenza di un treno merci.
Matty, nella stessa posizione di prima, sbottò una bestemmia e si operò subito per cercare di tirare fuori il proprio coinquilino da quel groviglio di corpi sudati e ammassati: “Harry, coglione”, rincarò quando vide il livido vistoso che campeggiava su un occhio dell'amico. “Perché l'hai fatto?”
Mentre gli inseguitori del ragazzo misterioso si scusavano con la signora per non essere riusciti ad acciuffarlo, Harry guardò nella direzione in cui il ladro era sparito e fece spallucce: “Ne aveva bisogno”.
“Che tu ti facessi travolgere da tre bestioni in piena corsa?”, storse la bocca Matty, benchè avesse capito e palesemente approvasse la scelta compiuta da Harry.
“Di quei panini. Ne aveva bisogno”, esplicitò comunque quest'ultimo.
Matty osservò il compagno per un po', poi scosse la testa: “Sei un bravo ragazzo, Harry”.
Il ragazzo si toccò con cautela il livido, per poi lanciare al coinquilino un'occhiata di traverso: “È un male?”
Matty sorrise, e non rispose.
Nel mentre, i due fuggitivi erano ancora vaganti per le vie londinesi, alla ricerca di un posto in cui sedersi che fosse il più lontano possibile dalla National Gallery. Quando finalmente trovarono una panchina, Louis vi si lasciò cadere con fatica, sentendo l'acido lattico che già gli addolorava le gambe, e tese al compagno uno dei due tramezzini. Questi lo prese e lo scartò con uno sguardo vorace; entrambi non mangiavano da due giorni.
“Mangia piano, Ni”, disse Louis stancamente mentre scartava il proprio e addentava un morso. Rimasero in silenzio per un bel po' di tempo, finchè il ragazzo biondo non parlò, con accento marcatamente irlandese: “Lou”.
“Dimmi”, disse l'altro dopo aver ingoiato un boccone.
“Come mai non ci hanno raggiunti?”
Louis guardò per terra, e si spazzolò via le briciole del tramezzino dal grembo. Se possibile, aveva ancora più fame: “Sono andati a finire addosso ad un ragazzo”, disse pensosamente. “Il ragazzo che era accanto a Matthew”.
Niall si accigliò: “Ciechi loro, o distratto il ragazzo”, commentò senza cattiveria, ma l'altro scosse la testa.
“Penso che l'abbia fatto apposta, sai”. Louis guardò l'amico. “L'ho guardato negli occhi per un attimo. Sono sicuro che ci ha visti”, disse con convinzione. Niall resse lo sguardo di Louis per qualche secondo, poi si lasciò scappare una leggera risata: “Come sarebbe, se fosse una città?”.
Louis si grattò la barba e si sfregò le braccia, meditabondo. Il sudore stava già evaporando, lasciando spazio al freddo. Quello delle città era un gioco iniziato molto tempo prima, quando ancora lui e Niall avevano una casa e un lavoro. Era partito quasi per caso, da un commento di Louis: “Se tu fossi una città, Ni, saresti pieno zeppo di circhi e giostre. Tutte in funzione, nessuna in disuso”. Niall non aveva chiesto perché; aveva sorriso e basta. Da allora, quando i due incontravano una persona che li colpiva particolarmente, si esprimevano in termini poco umani e decisamente molto urbani. Ed Sheeran, per esempio, l'impiegato della National Gallery, era stato definito come “un bistrot sperduto in mezzo ai campi, alla più estrema periferia di un piccolo paese - apparentemente quieto, ma al suo interno rumoroso e vivo”.
Louis si alzò in piedi, piluccò i rimasugli del condimento all'interno della scatola triangolare di plastica, e rispose: “Sarebbe una cittadina di circa mille abitanti, nel bel mezzo di un bosco - sai, nel nulla. Aveva l'aria così pacifica, così tranquilla. Non sembrava per niente il tipo di persona che vive in città”.
Niall si alzò a sua volta, e commentò: “Stava con Matthew, però, a quanto mi hai detto. Healy non è mai stato un tipo tranquillo”. Louis annuì, ed iniziò ad avviarsi quasi inconsciamente verso la direzione da cui erano venuti.
“Immagino tu lo voglia ritrovare per dirgli grazie”, gli urlò dietro Niall, per poi affrettarsi a seguirlo. “Il ragazzo, intendo”.
Louis non disse nulla.
“Ti innamori troppo facilmente, sai”, concluse infine Niall. Ancora, l'altro taceva. Si limitò ad alzare lo zaino che portava con sè dalla schiena a fin sopra la testa; cominciava a piovere.


Here in these deep city lights
Girl, could get lost tonight
I'm finding every reason to be gone
There's nothing here to hold on to
Could I hold you?
(Sara Barailles, The City)



“Parlami un po' di questo Louis, come l'hai incontrato”, disse Harry tutt'un tratto.
Harry e Matty, entrambi tristemente privi di impegni, sedevano uno sul pavimento del salotto ed uno sdraiato sul divano a guardare una replica di The Big Bang Theory, e durante la pubblicità Harry aveva fatto questa felice uscita. Dato che Matty continuava a sgranocchiare i pop corn, aggiunse: “Mi hai detto che si chiama così, no?”.
Con molta calma, Matty accavallò le gambe e annuì. “Ero in una residenza per studenti, nella mia città. Sai, all'università. Stavo guardando The Big Bang Theory alla televisione, come adesso, quando d'un tratto entra un tizio con degli occhi blu da far passare all'altra sponda il più etero delle porno star e dei capelli così scompigliati da farti venir voglia di passarci una mano in mezzo. Prima guardo lui, poi lo schermo, poi il mio compagno di stanza e poi ancora lui, e mi rendo conto che con la lingua picchietta insistentemente l'interno guancia, creando un rigonfiamento”. Matty imitò il gesto, ed Harry si sentì rabbrividire. Quando era più piccolo e abitava nel Chesire, aveva visto spesso altri fare quel gesto in sua presenza, solitamente accompagnato da una mano stretta a pugno, messa in modo da far sembrare che il burlone di turno si stesse ficcando in bocca qualcosa.
Matty guardò il Louis immaginario accanto a lui e scoppiò a ridere: “Ho fatto l'unica cosa che avesse senso fare, gli ho dato il preservativo che voleva e lui se n'è andato mugugnando a malapena un grazie”. Fece una pausa e si rigirò in bocca il Chupa-Chups con cui si stava dilettando già da venti minuti, poi lo estrasse e sorrise. “Era a posto, sai. Poi però ha perso il lavoro, e con il lavoro ha perso soldi, con i soldi ha perso l'affitto e la voglia di vivere”. Sospirò e non aggiunse altro.
Harry guardò il televisore e sorrise tristemente: si sentiva un po' come se gli avessero appena detto che il belvedere era riservato ai clienti di una bettola malfamata. Gli sembrava così fiabesco il modo in cui quel fantomatico Louis era passato dall'essere uno studente che si poteva permettere sesso nei dormitori ad un ragazzo senza soldi, nè dimora, nè lavoro. Non fiabesco, aveva usato la parola sbagliata: semplicemente così semplice, come quando da ragazzino giocava a The Sims e bastavano un paio di azioni per rovinare intere carriere e interi rapporti.
Sullo schermo, Sheldon si lamentava di non avere alcuna macchina con cui andare al negozio di fumetti, e il suo coinquilino suggeriva che ci andasse a piedi. Ma è lontano e pieno di balordi, diceva Sheldon, e Sei un uomo adulto, replicava il coinquilino.
Harry si ritrovò a pensare che, nella vita, Louis non aveva fatto niente di male per meritare tutti quei balordi sulla sua strada, mentre andava a comprare i fumetti. Ne era certo.


Looking at the mutating skyline
The city is my church
It wraps me in the sparkling twilight
(M83, Midnight City)



Quando quel ragazzo era nei suoi pensieri, Louis si sentiva sempre a disagio, ma non riusciva ad inquadrare il motivo. Si sentiva come tornato ai tempi del liceo, in cui tremava ogni volta che vedeva Stan avvicinarsi a lui scrocchiando le dita e preparando il pennarello indelebile. Quante volte era stato costretto a tornare a casa pieno di abrasioni o di scritte in fronte che recavano mille varianti dello stesso concetto A Tommo Piace Il Cazzo? Ecco, quel ragazzo, quello che era con Matty, nei suoi pensieri sembrava sempre nascondere in tasca un oggetto indelebile con cui commettere qualche sciocchezza o scrivere qualcosa di spiazzante.
Sdraiato insieme con Niall nel solito sgabuzzino della National Gallery, Louis trascorreva intere nottate ad immaginare le mille situazioni in cui avrebbe potuto incontrare nuovamente l'oggetto delle sue fantasticherie. Forse, si rendeva conto Niall, chiunque altri avrebbe giudicate premature quelle fantasie, considerando che Louis e quel ragazzo si erano visti negli occhi per circa quattro secondi, ma il biondo capiva che c'era una dinamica dietro del tutto più complessa. Era ormai un anno e mezzo che lui e Louis vivevano così; dopo un anno e mezzo in cui non possiedi niente, tendi ad entusiasmarti facilmente a proposito di ciò che vorresti possedere. E Louis continuava, maniacale, ad evocare nella propria testa l'immagine di quel ragazzo, come un fotogramma, aggrappandosi a lui e, con lui, alla disperata prospettiva di una vita in cui tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Si rigirava e rigirava nel sacco a pelo, colpito saltuariamente da illuminazioni che sentiva il bisogno di condividere: “E pensa un po', Niall, secondo me è figlio unico, o ha un fratello o una sorella che non vede da un po'. Che ne dici se ci incontrassimo mentre da qualche parte nelle vicinanze suona quella stupida canzone di Sam Smith, che poi tanto stupida non è, che dice this nights never seem to go to plan / I don't want you to leave, can you hold my hand?, e allora io gli prenderei la mano e gli direi grazie e lui direbbe non c'è di che, se è un tipo simpatico mi chiederebbe se i panini erano buoni e ne sia valsa la pena, allora riderei e gli direi di sì e lui mi offrirebbe un caffè”.
Niall rideva con la sua risata franca: “Ti innamori troppo velocemente”, diceva sempre. E in quello stesso istante, dall'altra parte di Londra, Matty sedeva in riva al Tamigi e diceva ad Harry la stessa cosa: “Louis non è mai stato una persona con i piedi per terra”, raccontava facendo tintinnare il ghiaccio nel suo bicchiere. “Me lo ricordo all'università, sembrava capace di innamorarsi con uno sguardo”. Perso nei ricordi, Matty tacque per un attimo, per poi mettersi a ridere: “Mi ricordo che una volta mi ha detto che ognuno di noi avrebbe bisogno di vedere un semaforo personale sulla testa di ogni persona che incontra”.
Harry sorrise ed aggrottò le sopracciglia, divertito. “Che significa?”, domandò.
Matty si alzò in piedi ed iniziò ad imitare un accento che non era il suo ma di una persona palesemente ubriaca, allargando teatralmente le braccia: “Seriamente, Matty, cazzo, pensa che ognuno vedesse sulla testa degli altri un semaforo, che gli dicesse Ehy, stammi lontano, c'è rosso, non sono affatto la persona adatta a te, oppure Hey, via libera, amico, vieni qui e conosciamoci perché sono proprio il tuo tipo, non vedi che c'è verde?, attraversa la strada e vieni da me. Un fottuto semaforo, cazzo, e sarebbe tutto più bello e più semplice e nulla di tutte le grane che passeremmo sarebbero tali, ci pensi mai, Matty?, basterebbe un cazzo di semaforo ologrammato”.
Harry rideva, mentre l'aria umida gli arrivava in faccia: “E il giallo?”, chiese.
“Il giallo! Oh, il giallo, amico”, proseguì Matty nella sua imitazione; indicò Harry come se avesse centrato il punto. “Il giallo è un gran colore, quello che ti dice: Fai quello che ti pare, attraversa l'incrocio a tuo rischio e pericolo”.
Harry rideva e rideva ancora, mentre Matty tornava a sedersi sulla panchina e proseguiva: “Magari, magari è per questo che era la persona più promiscua che conoscessi. Se ti innamorassi così facilmente come faccio io, Matty, stai certo che anche tu faresti un sacco di sesso, caro. Tu non faresti un sacco di sesso?
Harry rivisse davanti ai propri occhi una scena di un pestaggio particolarmente violento, dopo che Luke lo aveva avvistato a baciare Lewis di terza A al ballo di fine anno: ti piace baciare altri froci, vero, Styles?, ti piacerebbe un sacco fare un sacco di sesso, vero, Styles? E lo picchiava finchè non rispondeva, ma aveva la bocca piena di sangue e anche forse del pezzo di un qualche dente, e sua madre gli aveva insegnato che meno pezzi di dente si perdono più è facile ricostruirlo, quindi aveva paura ad aprir bocca, e perciò era stato un circolo senza fine che si era concluso con l'arrivo della polizia per l'occupazione abusiva della festa, e Harry era strisciato a casa senza dire niente a nessuno.
“Lo faresti?”, chiese Harry a Matty con un filo di voce.
“Lo farei”, replicò l'altro ridendo. “Ma non con Louis, definitivamente”.
“Perché no?”, chiese ancora Harry.
“Perché non sono omosessuale nemmeno un pochino, Dora l'Esploratrice”, sghignazzò l'altro scolandosi i resti del proprio drink. Poi si voltò verso Harry e gli diede una leggera spallata: “E poi, a quanto pare, interessa a qualcun altro, no?”
“Mi sto solo informando se sia valsa la pena di farmi fare un occhio nero per lui”, nicchiò Harry sfregandosi le mani e posando il proprio sguardo su di esse.
Matty, però, continuava a guardarlo meditabondo: “Penso che saresti un gran bene, per lui”.
Harry scosse il capo: “Le persone non sono medicine, Healy – nessun gioco di parole inteso2”, specificò con un sorriso.
Il ragazzo rabbrividì e si strinse in un cappotto, scrutando l'orizzonte: “Non saresti una medicina, sai. Non è sempre necessaria una medicina per guarire da noi stessi. A volte basta sentirsi a casa”
“Louis non ha una casa”, scandì Harry.
“Appunto”, replicò Matty.
Poi si alzò in piedi, e si avviò verso casa nel buio dell'ennesima notte.
E passò ancora un'altra notte, e un'altra notte ancora. A Londra imperversavano temporali; la finestra della National Gallery da cui, una volta, filtravano le luci delle auto in strada erano state coperte da una tapparella, abbassata per non sporcare troppo i vetri di pioggia. In un primo momento, Niall e Louis avevano pensato potesse essere una cosa positiva; ma in quei giorni imperversava anche il vento, facendo scricchiolare e gemere la tapparella come un vecchio fantasma brontolone. Louis non riusciva a dormire.
“Sei sveglio?”, disse una volta nel bel mezzo della notte, e Niall grugnì per confermare proprio stato di veglia. “Penso spesso a quella canzone italiana, che ho sentito mesi fa in un negozio di musica”
“Non la ricordo. Cosa diceva?”
“Il ritornello diceva qualcosa tipo Impiccheranno Geordie con una corda d'oro / è un privilegio raro / Rubò sei cervi nel parco del re / vendendoli per denaro. E poi mi ricordo solo una strofa, quella che faceva Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso / Non ha vent'anni ancora / Cadrà l'inverno anche sopra il suo viso / Potrete impiccarlo allora”. Louis finì di intonare l'ultima vocale, poi tacque per un lasso di tempo indefinito. Infine parlò di nuovo: “Mi sento come Geordie, Niall. Una città fatiscente. La differenza è che, per me, nessuno pregherebbe più la salvezza contro la demolizione”.


And my lungs hurt, and my ears bled,
With the sounds of the city life echoed in my head,
Do I need this, to keep me alive?
The traffic stops and starts but I
Need to move alone
(Ed Sheeran, The City)



Louis camminava per le strade. L'orologio della farmacia segnava le tre del mattino. Dopo due notti insonni, aveva stabilito che preferiva dormire al freddo senza quella maledetta tapparella cigolante, che non poteva nemmeno essere tirata su - altrimenti avrebbe fatto rumore e insospettito la guardia.
Il giorno prima aveva rubato una felpa da H&M, la prima su cui gli era capitata la mano; di due taglie più grossa, lo faceva sentire al caldo e al sicuro. Continuava nervosamente ad allacciare e slacciare i cordini del cappuccio, mentre tirando su col naso attraversava la strada e andava nel bar di fronte alla National, dopo aver racimolato con l'elemosina da alcuni turisti alticci una somma sufficiente per potersi prospettare una sbornia colossale. Si sentiva egoista a non condividere i soldi con Niall, ma c'erano momenti in cui aveva bisogno di procedere da solo, anche se il traffico intorno a lui lo sospingeva sempre contro altre persone. Entrò nel piccolo locale e ordinò la birra di qualità più infima che riuscisse a trovare - meno costava, più ne avrebbe bevuta.
Quaranta minuti e sei birre più tardi, Louis Tomlinson si riscoprì ad arrancare sui marciapiedi londinesi intorno alle quattro e un quarto del mattino, stabilendo che non reggeva più l'alcool come una volta. Forse era solo lo stomaco vuoto, o forse non beveva da molto - fatto stava che tutto intorno a lui sembrava così lento e buffo e galleggiante (Louis, metti un piede davanti all'altro, un piede davanti all'altro e, ops!, sei caduto per terra ma no, non ti vuoi rialzare, e okay che l'asfalto è comodo e il marciapiede è tuo amico ma, fratello, sarebbe davvero ora che smettessi di autocommiserare la tua condizione e chiedessi un fottuto cazzo di aiuto a qualcuno, perché almeno Niall non la merita una vita così, non ti pare che non la meriti?, Niall - Niall con le sopracciglia così carine e cespugliose e bionde e irlandesi e Niall che ti aspetta in quel posto pieeeno di quadri e di statue, che magari si chiede dove sei finito e, oh!, bravissimo, ti stai alzando in piedi ma no, non è quella la direzione e sì, vorresti tanto andare alla ricerca di quel ragazzo che si è fatto pestare per farti scappare ma sei lievemente sbronzo amico e non ti conviene nah nah nah non ti conviene affatto).
Louis si fermò a guardare la National Gallery e si rese conto che avrebbe dovuto aspettare il mattino per ricongiungersi a Niall, causa agenti di sorveglianza. Mentre il vento sballottava la sua mente fumosa e la pioggia iniziava a cadere accarezzando i tuoni, Louis si mise a ridere, chinò la testa verso il marciapiede e vomitò l'anima.
Ma si rimise subito dritto, in sesto, allontanandosi dalla pozza con circospezione - intimandosi di non sembrare ubriaco, mentre cercava di andare in linea retta e procedeva invece di trenta gradi più a sinistra - dicendosi che aveva perso ragazzo, lavoro e titolo di studio ma la dignità l'avrebbe mantenuta ancora. E mantenendo la dignità avrebbe trovato un'altra casa, un altro ragazzo, un altro lavoro.
E vaffanculo a quello stronzo che lo aveva licenziato.
Cinque ore più tardi, Matty ed Harry procedevano nella medesima strada, in opposta direzione, sorpassando quella schifosa macchia di sporco che in un angolo del marciapiede gridava bagordi a chiunque le passasse accanto.
“Io e Louis andavamo sempre in quel locale, quando siamo venuti a Londra per uno stage. Gli piaceva, diceva che la birra costava poco ed era buona”, fece Matty dal nulla indicando il bar dove, appunto cinque ore prima, un omonimo Louis con la stessa faccia e la stessa storia alle spalle beveva disperatamente per dimenticare tutta la merda da cui si sentiva sommerso.
Come sempre quando sentiva parlare di Louis, Harry drizzò le orecchie, mentre Matty proseguiva a camminare verso un ristorante messicano: “Mi ricordo che una volta aveva bevuto un sacco dopo essere stato a cena da me, e continuava a canticchiare una canzone che non so da dove spuntasse fuori, forse era un parto della sua mente, farto sta che la cantava e ridacchiava”.
Harry si aggiustò meglio il maglione sotto al cappotto: “Te la ricordi?”, gli chiese arrancandogli dietro.
Matty lo guardò di sottecchi con un vago sorriso, e rispose: “Era qualcosa del tipo È venerdì e c'è traffico di auto, ma di sabato sera c'è da andar cauto, chè di domenica presto si suona il flauto3, o qualcosa di simile”, concluse prima di unirsi ad Harry, che si era già messo a ridere tenendosi la pancia. “Cantata da lui suonava più melodica”, aggiunse Matty, quasi a mo' di scusa.
Giunti davanti al ristorante messicano, Harry vide l'insegna a cui Matty aveva evidentemente puntato sin dall'inizio: CERCASI PERSONALE.
“Vai tu”, disse Harry dandogli una leggera spinta. “Questo lavoro non fa per me. Vado a cercare qualcosa da fare che richieda meno equilibrio, tipo il fruttivendolo”, concluse con un sorriso. Matty annuì e salì il primo gradino, mormorando un “Ci vediamo per pranzo”.
Harry, quindi, fece un cenno d'assenso e affondò le mani nelle tasche del cappotto, si guardò intorno e decise di andare a prendere la metropolitana per avviarsi nella zona di Covent Garden, in cui solitamente c'era pieno di negozietti - loro volta pieni di stronzatine varie, perlopiù turistiche - che cercavano personale. Almeno, così c'era scritto nella guida online per il perfetto abitante londinese.
In metropolitana c'era un caldo soffocante; ecco, forse la metro era l'unica cosa di Londra che ad Harry faceva veramente schifo. Umida, stracolma, claustrofobica e con una notevole disposizione agli incidenti più devastanti. Okay, forse Harry risultava un pochino tragico, ma dopo la sua prima esperienza in metropolitana durante l'ora di punta aveva avuto innumerevoli incubi a proposito di stranieri che violentemente lo spingevano sotto le rotaie o lo mantenevano legato nel bel mezzo delle porte scorrevoli, e perciò un po' di ansia post incubo fobico pensava ancora di potersela permettere.
Trascorse l'intero tragitto in uno stato che sua sorella avrebbe certamente definito uno stadio più sotto del Panico Totale, e quando finalmente rivide la luce del giorno si sentì un miracolato.
Inspirò l'aria carica di smog - ma quantomeno fresca - attorno a sè e poi riprese a camminare verso la propria meta, pregando tutti i santi del paradiso di poter trovare una qualche attività retribuita degnamente.
Ben presto, tuttavia, scoprì che mantenersi concentrati sui propri obiettivi poteva risultare largamente difficile in un mercatino come quello di Covent Garden: Harry, che non era mai stato un tipo tremendamente concentrato, si ritrovò a frugare con le mani in mezzo ad una pila di cappelli, mentre i suoi occhi già andavano verso la bancarella in cui si vendevano camicie a quadretti e, in quella a fianco ancora, anelli maschili.
E poi ancora maglioni, souvenir, cartoline, guide turistiche, cover per i cellulari, magliette di band! - Harry adorava le magliette di band.
Si mise a frugare cercandone una dei The Cure, dal momento che la propria era stata brillantemente persa durante il trasloco tra Holmes Chapel e Londra; “Dove sei?, dove sei?, lo so che ci sei, lo so che –”.
La estrasse con aria di trionfo e chiese al venditore se poteva provarla in uno specchio. Il suddetto, un ragazzo con un giubbotto di pelle e delle frecce tatuate sul braccio, annuì distrattamente e gli ficcò in mano lo specchio. Harry si sfilò velocemente giacca e maglione e fece per infilarsi la maglietta, sollevando lo sguardo verso lo specchio. Si osservò e si vide leggermente pallido, con un filo di occhiaie. Un ricciolo ribelle gli usciva dal cappello di lana, chinò la testa verso destra per poterselo sistemare e –
E.
Vide un viso dietro di sè. Fra loro due vi erano una bancarella, due bambini e un venditore tamarro, ma.
Il viso era
indubbiamente
Louis


You were sleeping on a side walk, living on a road
that's from where you started, don't forget that hunger
cause that road is the way back home
(Bloom 006, In The City)



Harry lasciò cadere la maglietta sulla superficie del bancone, già piena di altri capi simili, e si voltò d'istinto. Molto lentamente, senza staccare lo sguardo da Louis, si infilò nuovamente il maglione e la giacca, poi rimase fermo a guardarlo. Il ragazzo indossava solo una felpa di minimo tre taglie più grandi della sua, e reggeva in mano un sacchetto con due muffin, quasi sicuramente rubato.
Quando, quasi inconsciamente, le sue labbra sillabarono il suo nome, Louis si riscosse come da un'incantesimo e le sue pupille si dilatarono per lo spavento; Harry mosse un passo verso di lui, ma quest'ultimo si volse ed iniziò a correre via, in mezzo alla folla.
Mentre sgomitava, di nuovo, a distanza di tre settimane dal furto di tramezzini, come se da quella fuga dipendesse la sua vita, Louis pensava semplicemente che era stato proprio sciocco ad andare a Covent Garden per rubare un paio di muffin e no, non era per niente codardo, non stava affatto scappando dal ragazzo su cui fantasticava da tre settimane ma dal venditore di muffin e sì, era un bugiardo cronico, perché a nessuno sarebbe importato un cazzo di quei due muffin in più o in meno, l'unica cosa che lo spaventava veramente era il rischio di veder crollare l'ennesimo castello in aria, fulcro centrale di quella sua città immaginaria che imperversava nella sua testa, abitata da automobili strombazzanti e palazzi di desideri stipati in un angolo in attesa di una chance.
Dietro di lui, il ragazzo dagli occhi verdi e il cappello di lana continuava a chiamare il suo nome - per forza, gliel'aveva detto Matty - chiedendogli di fermarsi; e Louis sapeva che prima o poi si sarebbero parlati, perché certamente il ragazzo aveva una colazione alle spalle, mentre l'ultimo pasto che Louis aveva fatto risaliva a diciassette ore prima, in più aveva appena scoperto di essere straordinariamente nano in confronto a quel ragazzo dalle gambe chilometriche e avrebbe sicuramente ceduto presto.
Una mano gli afferrò la manica della felpa di H&M, lui continuò a correre per un altro paio di metri finchè un piede del ragazzo non si infilò per sbaglio tra le sue gambe, che inciamparono e per poco non lo fecero rovinare a terra; il ragazzo lo sorresse: “Ehi”, disse il ragazzo, inghiottendo saliva con enorme fatica. “Non sono un incendio, non ti voglio fare niente”.
Harry lasciò andare la manica della felpa del ragazzo e si chinò sulle proprie ginocchia, ingoiando aria a pieni polmoni. Il tipo era piccoletto ma correva come una scheggia, cazzo.
Quando rialzò gli occhi, scoprì che il ragazzo lo scrutava con attenzione, nemmeno Harry fosse stato un cartina della metropolitana: non riusciva a decidersi in quale fermata scendere.
“Volevo –”, iniziò Harry, ma dovette prendere fiato di nuovo. Si sentiva un cretino. “Non lo so, volevo solo fermarti. Non - non perderti”.
Louis rimase in silenzio per un attimo, e si rese conto per la prima volta in vita sua che, in qualche modo, un abbigliamento che ti può andare a genio trenta secondi prima non ti va a genio allo stesso modo trenta secondi dopo: si sentiva eccessivamente colorato, in una felpa arancione, con i jeans così logori da sembrare bianchi e lo zainetto con i fumetti dei supereroi. Si impose di non pensarci e tutto quello che riuscì a dire fu, indicando uno degli occhi dell'altro: “Il livido. Te lo sei fatto per i miei tramezzini?”
Harry annuì. Ormai, dopo tre settimane, il livido era pressochè invisibile, ma l'occhio ancora leggermente gonfio. Louis aggiunse: “Mi dispiace, uhm...”
“Oh, Harry. Sono Harry”, disse Harry tendendo la mano. In lontananza, con la coda dell'occhio, vide un lampo brillare. “E non preoccuparti, i tramezzini del Pret A Manger sono davvero buoni, quindi ho supposto ne valesse la pena”.
Louis scoppiò a ridere, Harry si limitò al sorriso. Mentre un tuono risuonava in lontananza, una goccia cadde sul naso di Louis e questi arricciò il naso, per poi tirarsi su il cappuccio.
Harry si morse il labbro: “Vuoi un the caldo? Dio, okay, scusa, è che offro sempre il the caldo a chiunque sia il mio interlocutore se fuori piove, perché trovo che se piove il the sia sempre adatto, e –”
Louis aveva iniziato ad annuire già dal primo 'caldo', e si ritrovò a interrompere Harry: “È okay, è perfetto, okay, sì, se ti va, insomma, grazie mille, sì”.
Harry si sciolse in un sorriso più largo e gli fece cenno di seguirlo, aprendo l'ombrello.
Mentre i loro piedi di misure differenti scricchiolavano sull'asfalto già bagnato e dalla strada principale si sentivano i clacson suonare cacofonicamente, ad un ristorante messicano Matty faceva un servizio di prova, e pochi metri più lontano Niall aspettava che qualche turista abbandonasse distrattamente il proprio spuntino di metà mattinata, ed Ed Sheeran si avvicinava al suddetto per offrirgli un ombrello rubato al collega Ashton Irwin, della sezione Rubens.
Ma ognuno di loro, in qualche modo, pur intorpidito dal sudore nervoso o dal freddo londinese, si sentiva completo in sè stesso. Come se fossero stati attimi sospesi di cui si sarebbero ricordati tutta la vita, ognuno di loro vedeva con sconcertante chiarezza ciò che il tergicristalli del proprio cervello non aveva ancora liberato dall'acqua: Harry si ritrovava a pensare che le persone potranno anche non essere medicine, ma sicuramente possono essere in qualche modo la ricetta da consegnare in farmacia; Louis non era del tutto sicuro di come si sarebbe concluso quel the con quel ragazzo strano, ma sapeva di certo che il tempo per nascondersi ed incolpare Londra delle proprie disgrazie era finito; Matty aveva finalmente scoperto di poter essere ancora utile qualcosa, di non essere stato inevitabilmente consumato dalla droga e dall'alcool; Niall si sentiva aiutato nel migliore dei modi, vedendosi offrire anche semplicemente un ombrello. E mentre lo stesso Niall camminava verso la metropolitana, vide un taxi che accostava proprio accanto a lui, mentre la portiera si apriva e rivelava Louis: “Harry mi ha offerto un the, amico”, disse sorridendo mentre scendeva dal taxi e chiudeva la portiera.
“Harry?”
“Il ragazzo dei tramezzini. Si chiama Harry e viene da Holmes Chapel”, ripetè Louis come una preghiera imparata a memoria. “Abita in una traversa di Oxford Street. E mi ha pagato il taxi. E se avremo bisogno di una ripulita per un colloquio di lavoro, la sua casa è sempre aperta”.
Niall guardò Louis mentre si bagnava sotto la pioggia, dimentico del fatto che avrebbe potuto offrirgli un ombrello: da come Louis aveva detto quell'indirizzo, sembrava quasi che fosse la sua nuova bussola, il suo nuovo incrocio, la sua nuova piazza, una agorà diversa e più contenuta, in cui abitavano solo due ragazzi sgangherati.
Louis, che conosceva Londra come le sue tasche, non si sarebbe più perso nelle luci di auto e nei semafori rossi. Ora sapeva, che avrebbe avuto come riferimento una traversa di Oxford Street.
Sembrava solo il cambio di un punto di vista.
Ma Niall e Louis sapevano entrambi, semplicemente guardandosi negli occhi, che per estensione significava un nuovo punto di partenza.


Don't call it a fight when you know it's a war
With nothing but your t-shirt on
And go sit on the bed 'cause I know that you want to
You got pretty eyes, but I know you're wrong
(The 1975, The City)



Passavano le nuvole, passavano le macchine e le persone sui marciapiedi. Ed Sheeran non doveva più preoccuparsi di dover mentire al proprio capo sul perché ogni mattina lo sgabuzzino delle scope non fosse ritrovato chiuso a chiave; Matty Healy si destreggiava tra il ristorante e le bische la domenica sera, la posta in gioco pinte di birra; Niall Horan arrivava all'appartamento nella traversa di Oxford Street alle otto di tutte le mattine, si lavava, si puliva in silenzio e andava a colloqui di lavoro; Harry Styles lavorava in un centro di recupero di giorno e litigava con Louis Tomlinson di notte.
Solitamente le litigate si imperniavano sulla frustrazione di Louis per il non poter essere utile, o per il non trovare lavoro, o per il fatto che ormai iniziava a non sentirsi più un ragazzino e invece Harry lo era pienamente.
L'ultima di queste litigate era iniziata quasi per caso. Erano sdraiati nel letto a due piazze di Harry, nudi, guardando uno il soffitto ed uno il cuscino. Harry si era sentito chiedere perché lo facesse.
“Perché faccio cosa, esattamente?”, chiese Harry domandandosi vagamente perché nell'angolo del soffitto ci fosse una ragnatela. Lui e Louis avevano pulito l'altro giorno.
“Perché sei qui con me? Senza che io possa aggiungere i miei vestiti nel tuo armadio, condividere le mie cose o l'affitto dell'appartamento”, chiarì Louis tracciando percorsi invisibili sulla federa del cuscino. “E non dire perché ti amo, Harry. Non osare”.
“Perché hai questi complessi di inferiorità, Louis? Hai rotto le palle, va bene, basta. A volte sembra quasi che sia solo io a volere questa relazione”, replicò Harry drizzandosi a sedere sul bordo del letto ed allungando la mano verso i boxer.
“Non sono complessi di inferiorità, okay? È che mi sento sempre come se mi stessi facendo un favore”, disse Louis senza staccare gli occhi dal riccio, alzandosi a sua volta.
Harry si alzò in piedi e si voltò verso l'altro, indicando il proprio petto con l'indice: “Ma io ti sto facendo un favore, Louis. È questo che tu non capisci. Non c'è niente di magnanimo in me, non faccio tutto questo perché sono un santo votato ad aiutare gli altri, intesi?”
Louis sentiva gli occhi pizzicare; una risposta del genere non se l'aspettava. “Lo fai per pietà”, chiese col respiro affannoso, cercando disperatamente di mantenere il controllo. Nella sua città fatta di castelli in aria, c'era un terremoto di magnitudo 6.
Harry si passò le mani tra i capelli e strinse, in un gesto di frustrazione: “No! Non ci arrivi, vero?, non capisci”, urlò. Non attese nemmeno la risposta di Louis, prese la prima camicia a quadri che gli capitò sottomano e uscì dalla stanza, andando verso la cucina. Dal post it appeso sulla porta, capì che Matty era già uscito. Era un sistema di comunicazione mattutina molto semplice (una volta, Matthew l'aveva definita comunicazione mattytina, ma dallo sguardo di Harry aveva capito di avere definitivamente sconfinato oltre la soglia delle battute tristi) in cui se c'era un post it arancione, anche se vuoto, attaccato alla porta di casa, allora Matty sarebbe stato già al lavoro e sarebbe tornato in orario. Se il post it fosse stato verde acido, sarebbe andato al lavoro e avrebbe fatto la spesa. Se fosse stato giallo, non era sicuro di tornare in tempo per la cena - e così via. Avevano una gamma di colori molto vasta.
Quella mattina il post it era celeste, il che significava che avrebbe probabilmente dormito a casa di qualcuno.
Harry sorpassò il post it senza nemmeno curarsi di analizzare le alternative che l'informazione comportava, e andò dritto verso il frigorifero.
“Non capisco, Harry, va bene? Sono un barbone con un'istruzione a metà, scusami tanto se non capisco i tuoi messaggi subliminali raffinati e colti”, gli urlò dietro Louis.
Harry prese la prima cosa che gli capitò sottomano - un asciughino, si voltò e lo lanciò in faccia a Louis. Litigare con lui era la cosa più frustrante che Harry avesse mai sperimentato, perché aveva scoperto con l'esperienza che Louis tendeva a sparare a zero non tanto sugli altri, quanto su sè stesso, dicendo una gran quantità di cose false che però partivano da una base vera e difficilmente contestabile. “Stronzate”, sputò Harry con cattiveria, per poi andare a prendere la scatola dei cereali e una ciotola pulita.
“Allora spiegami”, reagì a sua volta Louis lanciando lo straccio lontano da sè.
Harry invocò la pazienza divina e si voltò verso il ragazzo: “Non te ne fai niente della mia pietà, Louis, e a me nemmeno interessa di dove vivi o di quello che fai. Ma hai passato così tanto tempo da solo che, se non facessi quello che faccio ora, per te, te ne andresti semplicemente senza dire una parola. Guarda tutto il casino che stai facendo perché cerco di aiutarti, pensa a tutte le scuse che stai trovando per scendere in strada e andartene via. Vuoi che non ci vediamo più? Vuoi che finisca l'aspetto romantico del nostro rapporto? Allora vattene. Vuoi rimanere? Non mettere mai più in dubbio che io lo faccia per pietà”
Louis lasciò definitivamente perdere l'aspetto recidivo di sè stesso che non voleva piangere, e inghiottì dell'aria. “Perché non vuoi che io me ne vada?”, sussurrò. Sapeva che tutto quello che aveva appena detto Harry era vero, e sapeva anche che non sarebbe stata l'ultima volta che litigavano. Ma la conversazione non aveva mai preso quella piega, e improvvisamente si rendeva conto che dopo aver passato mesi interi a difendere sè stesso dalla città, non riusciva più a dare per scontato che qualcuno volesse a sua volta proteggere lui, e non altri. “E non osare dire perché ti amo, Harry”, ripetè per la seconda volta con voce tremante dal magone che sentiva in gola.
“Perché no?”, urlò l'altro a sua volta allargando le braccia; Louis pestò i piedi e strinse gli occhi: “Perché potrei risponderti che ti amo anche io”, disse solamente.
Non sollevò le palpebre; se l'avesse fatto, avrebbe visto Harry che lo guardava come se avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco; non lo vide. Sentì solo un paio di mani bollenti che si posavano sulla sua mascella, due pollici che asciugavano via le lacrime, labbra che si posavano sulla sua fronte.
“Se tu fossi una città, Louis, non saresti affatto un luogo deserto e fatiscente, saresti un meraviglioso groviglio di strade contorte piene di luci abbaglianti e musica bellissima”, disse Harry sussurrando. “Saresti pieno di graffiti colorati e meravigliosi, e le macchine andrebbero oltre i limiti di velocità senza mai tirare sotto un pedone, e se per caso piovesse l'asfalto diventerebbe lucido e rifletterebbe le luci nelle vie e il rumore della pioggia non coprirebbe la musica, ma renderebbe tutto tre volte più bello”.
Louis si lasciò cadere in avanti, incontrando l'incavo della spalla di Harry. “Tu sei nato nel Chesire”, disse. “Vivresti mai in una città così incasinata?”
“Ci vivo già, ed è la cosa migliore del mondo”, rispose l'altro trattenendo un sospiro.
Louis tirò su col naso, mentre Harry gli accarezzava la testa.
Harry rise, e Louis non disse nulla.
Mentre si baciavano e i boxer di Harry rotolavano sul pavimento, Louis risentì in testa il solito monito di Niall e dentro di sè si sentì scontento. Poi però Harry si sdraiò sul letto lasciato poco prima, ancora caldo, e la sua bocca iniziò a sospirare sotto le mani del compagno, e le sue labbra divennero rosse e i suoi sospiri divennero gemiti sempre più forti, il suo corpo aumentò di calore e i gemiti divennero un unico nome: Louis.
E Louis si disse che, in fin dei conti, si innamorava davvero troppo in fretta.
















Note Non Propriamente Fondamentali
1Non so se vi interessi, in ogni caso i Pret A Manger sono dei posti a Londra dove si può mangiare che io personalmente ho trovato molto strani, e non li avevo mai visti. Comunque vantano di produrre solamente cibo con alimenti naturali, e tutto ciò che vendono è fatto il giorno stesso in cui è messo in vendita. Non sono malaccio, fanno soprattutto insalate miste, panini e macedonie di frutta.
2Questo è un problema mio. Il novanta per cento dei dialoghi che penso, prima di scriverli, li penso in inglese. Qui, il gioco di parole starebbe nel fatto che Harry dice a Matty, chiamandolo con il cognome Healy, che le persone non possono guarire altre persone, e in inglese guarire si dice heal. Ho voluto tenerlo perché in fin dei conti la relazione tra Harry e Matty è composta prevalentemente da dialoghi fatti con giochi di parole, anche se in italiano la frase perde totalmente di senso.
3Anche qui, problema di traduzione. La canzoncina originale l'ho partorita tipo due settimane fa mentre la prof di italiano interrogava su Boccaccio, ed era On Friday afternoon streets are full of cars / on Saturday evening we mess up in the bars / but on Sunday morning you should really work hard / hey oh, dickhead, / hey oh, dickhead. Il fatto è che se l'avessi riportata in inglese non avrebbe reso la sua vera essenza, ossia una canzoncina stupida inventata sul momento da un ragazzo alticcio, perciò ho miseramente provato a tradurla in italiano. Mi dispiace che abbiate dovuto sorbirvi queste mie paturnie.


Angolo di quella che è abbastanza ardito chiamare autrice
Bene, bene, bene. Allora, ho in mente questa one shot da circa due settimane. Non avevo la più pallida idea di come sarebbe andata avanti, o altro, avevo solo questa specie di sensazione in testa che mi suggeriva immagini di città e di persone che vivono senza mai sfiorarsi, che poi è un po' un concetto che David Grossman, Diego de Silva e Delphine de Vigan hanno ripreso ampiamente, ma ho cercato di rimanere fedele alla mia idea senza lasciarmi influenzare. E' partito da un mix di cose, penso. Sto leggendo City di Baricco, ho recentemente partecipato ad un concorso che comprendeva Le città invisibili di Calvino e in più ho una sorta di ossessione per il video di The City dei The 1975, di cui peraltro il cantante è un certo Matty Healy. E, non so, mi piaceva questa idea che ognuno di noi è come una città in cui vivono tante persone, e queste città possono essere molto diverse tra loro. In più, @22ft17 su Twitter ha avuto per un certo periodo con bio la frase d'apertura di questa one shot, e quindi niente, da cosa nasce cosa. Ho messo davvero tanto impegno in questa storia, non so se sia perché volevo dimostrare a me stessa che sono ancora capace di scrivere qualcosa con tematiche che mi stanno a cuore, o magari volevo dimostrare ad Isa, se mai ci sarà arrivata in fondo a queste 8400 e passa parole, che non sempre fanfiction sui Larry equivale a fanfiction noiosa.
E credetemi, di solito io scrivo one shot in poco tempo; se in questa ho impiegato due settimane senza mollare, ed è stato un vero e proprio parto naturale, è perché ci tenevo davvero ad arrivarcene in fondo.
Detto questo, spero di non avervi annoiate troppo, spero che vi sia piaciuta eccetera eccetera, se ho scritto qualche stronzata fatemelo sapere, e niente, vi saluto.

Sam (@passatger)
  
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