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Autore: dedidicit    15/06/2014    2 recensioni
1938, Euskal Herria. Iker passa le giornate a curare soldati e amici più morti che vivi e sogna di poter ritornare a studiare medicina e alla vita di tutti i giorni; David rende quei soldati e quegli amici più morti che vivi e sogna di entrare a Madrid da vincitore.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature
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Titolo: Go tell the Spartans

Fandom: Originale

Rating: 6930

Conteggio parole:

Avvertimenti: Slash, probabilissimi errori storici, autrice "sentimentally involved" con tutto quanto riguardi i Paesi Baschi

Riassunto: 1938, Euskal Herria. Iker passa le giornate a curare soldati e amici più morti che vivi e sogna di poter ritornare a studiare medicina e alla vita di tutti i giorni; David rende quei soldati e quegli amici più morti che vivi e sogna di entrare a Madrid da vincitore.

Note: studiare storia contemporanea fa male, malissimo, soprattutto se si ha la tendenza ad innamorarsi di certi Paesi e regioni (Irlanda, Balcani, Paesi Baschi). Un sacco di ringraziamenti a Terra e Libertà di Ken Loach, da cui il nome di David (anche se qui è spagnolo e non inglese!) e il riferimento a Manchester. Il riferimento all'Athletic Bilbao è perché i miei bilbaìnos sono di nuovo in Europa ed è tutta colpa loro se ho cominciato ad appassionarmi ai Paesi Baschi. Il titolo è preso dall'epitaffio di Simonide di Ceo per la battaglia delle Termopili, nonché titolo di un film sulla guerra in Vietnam (e non c'entra assolutamente nulla, ma sentire il mio professore parlarne mi diceva di metterlo come titolo). Le frasi sono prese da "Buzzcut season" di Lorde.

 

(Nota importantissima: non è mio compito e nemmeno mia volontà dare un giudizio storico sui fatto avvenuti e sui comportamenti tenuti dai personaggi sia di questa storia che nella realtà. So che gli spagnoli qui non fanno una bella figura e so altrettanto bene che i baschi non sono stati da meno nella storia, tuttavia questo è solo un racconto senza alcuna pretesa di verità).

 

Go tell the Spartans

 

I remember when your head caught flame;

It kissed your scalp and caressed your brain.

 

«Questo che ci fa qui? Non ne avevamo abbastanza dei nostri feriti?», chiede Iker alla vista dell'ultima barella; su di essa c'è un uomo la cui divisa non lascia dubbi sulla sua appartenenza. Iker non riesce a trattenere una smorfia di disappunto, non ha alcuna intenzione di curare un fascista.

«Non fare troppe storie, datti da fare. È l'unico della sua squadriglia che si è salvato, lo possiamo interrogare e vedere se sa qualcosa di utile, altrimenti finiremo il lavoro. A ben pensarci, lo finiremo comunque, ma, in ogni caso, in queste condizioni non ci serve a nulla. Fai che si risvegli e si riprenda quanto basta per poterci parlare, non mi interessa che possa partecipare alle prossime Olimpiadi, se mai ce ne saranno ancora», lo rimbecca Ander, suo fratello, ed Iker non può non sentire una punta di dispiacere per quell'uomo; sa benissimo come faranno i suoi compagni a farlo parlare. Forse sarebbe stato meglio per lui morire in battaglia.

 

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David sente solo dolori in tutto il corpo, e questo significa quantomeno che non è morto -perché altrimenti non sentirebbe tutto questo male, non gli sembrerebbe di stare per morire se questo gli fosse già successo, o almeno questo è quello che pensa mentre le fitte lo tormentano anche solo a respirare; non osa immaginare cos sentirà quando proverà a muovere qualcosa.

«Ti sei svegliato, finalmente. Iniziavo a credere che non lo avresti mai fatto», gli dice una voce sconosciuta con un accento strano, diverso da quello dei suoi compagni. Con un po' di fatica riesce ad aprire gli occhi, le palpebre sono ancora pesanti e poi David non è sicuro di voler davvero vedere quello che c'è intorno a lui. Le ultime immagini che ricorda comprendono uno scontro improvviso contro un gruppo di ribelli baschi che devono aver scoperto in qualche modo uno dei loro rifugi.

«Acqua...», rantola piano, e ricadendo contro il materasso, esausto per lo sforzo. Il suo sguardo incorcia gli occhi scuri di un altro uomo -un ragazzo, non può avere più di venticinque anni- che lo sta scrutando attentamente, con ogni probabilità è la stessa persona che gli ha parlato poco prima e che ora sta versando dell'acqua in un bicchiere.

«Fai piano. Non sei ancora al meglio, ti ho dovuto dare qualcosa per farti abbassare la febbre, quando ti hanno portato qui sembrava stessi per prendere fuoco!», il ragazzo non riesce a trattenere un sorriso mentre gli parla, e a David sembra l'ultima persona che potrebbe trovare nel mezzo di una guerra. La sua gola sembra riprendere vita dopo aver bevuto.

«Grazie», gli dice David, restituendogli il bicchiere, ma l'altro scuote la testa con una risata triste.

«Non ringraziarmi, senza di me tu non dovresti vivere l'inferno che ti toccherà fra poco», mormora lui guardando in basso, evitando accuratamente gli occhi dello spagnolo.

David vorrebbe chiedergli a cosa si sta riferendo -e anche il suo nome, almeno quello-, ma la porta della stanza si apre e gli uomini che entrano si dirigono verso di lui e lo portano via senza lasciargli il tempo di dire una sola parola in più.

 

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«Hori tontakeria da! Perché me lo avete fatto curare se poi me lo riportate in queste condizioni! Potevate lasciarlo morire subito, c'erano pochissime possibilità che potesse rivelarvi qualcosa di utile!», sembra la stessa voce di prima, ma David non lo saprebbe dire con certezza, le orecchie gli fischiano per le botte che ha preso e gli sembra che il cervello sia sul punto di scoppiare per il mal di testa lancinante. Del resto del corpo non crede ne sia rimasta una sola cellula.

«Non lasciarti commuovere, chissà quanti ne ha uccisi quell'uomo di gente come noi, che non ha intenzione di piegarsi ad un dittatore e che vuole poter scegliere come vivere. Ricordati che siamo in guerra, e una guerra non la si può vincere senza sporcarsi le mani. Puoi anche evitare di perdere tempo a sistemarlo, questa volta, ormai non ci serve più».

La porta sbatte, a David sembra che la sua testa si stia per spaccare in due e non riesce a trattenere un gemito di dolore (come se ormai importasse qualcosa, visto quanto ha urlato sotto tortura nelle ore precedenti). Lui è rimasto nella stanza, David lo sente borbottare a bassa voce in basco -David sa giusto quattro parole di quella lingua, ma solo a sentirlo potrebbe giurare che sono imprecazioni-, poi sente un asciugamano bagnato sul volto e istintivamente si ritrae, per il dolore del contatto e perché non vuole che qualcuno lo aiuti. Vuole solo morire. Ormai sa benissimo che tutto è perduto, che non riuscirà a scappare dalla sua prigione e che gli uomini che l'hanno preso non vogliono niente da lui se non la sua morte.

«Astiro... Non voglio farti male, ma temo che sarà impossibile curarti senza fartene, ti hanno decisamente riempito di botte e non solo, vedo», il panno passa sul torace di David che non riesce a impedire ai gemiti di dolore di uscire dalla sua bocca quando sente la pressione sui tagli e le bruciature. «Hai anche un braccio rotto e fuori asse, devo rimetterlo al suo posto prima di immobilizzartelo. Farà molto male, mi dispiace», continua lui sfiorando appena la frattura e facendo piangere a David lacrime di dolore, di cui si vergognerebbe normalmente, lui è un soldato, e un soldato non può mai mostrare debole. Ma la normalità è qualcosa che ha superato ormai da quando si è svegliato su quello stesso letto su cui lo straniero lo sta curando.

«Come...Come ti chiami?», riesce a dire David con un po' di fatica, approfittando della pausa fatta dal ragazzo nel medicarlo per permettergli di riprendersi un po'.

«Iker. Non chiedermi perché lo sto facendo, non lo so nemmeno io, non volevo nemmeno curarti quando ti ho visto per la prima volta con addosso la tua divisa. So soltanto che non voglio e non posso lasciarti morire così. In fondo, stavo studiando per diventare un medico prima che scoppiasse tutto questo inferno, e un medico non fa differenze tra i pazienti. O almeno, non dovrebbe», gli risponde e poi accenna a prendere il braccio di David.

Lo spagnolo gli fa segno di continuare, preparandosi al dolore. «David».

 

And nothing's wrong when nothing's true,

I live in a hologram with you.

 

«La febbre sta scendendo», di nuovo, vorrebbe aggiungere Iker, mentre controlla che le ferite stiano guarendo bene, senza infezioni -difficile, quando lavori in certe condizioni, ma Iker cerca di fare il massimo per non perdere mai nemmeno un uomo. Sarebbe stupido che morissero in casa, quando sono riusciti a portarli via vivi dal campo di battaglia.

«Iker, è inutile. Quando sarò guarito, cosa mi succederà? Mi fucileranno? Perché lo sai anche tu che io non posso restare qui e nemmeno me ne posso andare come se niente fosse. Voi non potete permettervi di mantenere anche un prigioniero, per di più inutile». David ha ragione, e Iker lo sa, sono giorni ormai che si prende cura di lui e cerca di non pensare a cosa succederà dopo; gli sembra già strano che Ander e gli altri non si siano ancora lamentati di tutte le attenzioni che il loro medico sta riservando ad un fascista - Iker sospetta che il merito sia del fratello, che non è mai riuscito nemmeno quando erano piccoli a rifiutargli qualcosa.

 

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Iker passa con delicatezza le dita sulla guancia di David, dove il taglio sembra essersi ormai rimarginato.

«Ti rimarrà il segno, mi dispiace. Ma con la barba dovresti riuscire a coprirlo quasi del tutto».

David non dice nulla, alza soltanto una mano a prendere quella del basco e intreccia le dita con le sue guardandolo dritto negli occhi. Iker si irrigidisce in quel contatto ma non si ritrae, anzi, ricambia la stretta dello spagnolo e gli fa un piccolo sorriso, timido e quasi imbarazzato. Non sa nemmeno lui perché al momento le guance gli stiano andando a fuoco, non c'è alcun motivo perché questo stia succedendo, eppure è così. Come non c'è alcun motivo per sentirsi all'improvviso come quando aveva quindici anni e la sua vicina di casa aveva accettato di fare una passeggiata con lui, rendendolo l'uomo più felice della Terra.

 

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David non sa cosa sia, ma di certo non è solo riconoscenza quello che lo spinge a baciare Iker e a tremare nella speranza che il basco non se ne vada per sempre. E nemmeno Iker sa cosa sia quello che lo spinge a restare con David, ma gli sembra di non aver mai fatto niente di così giusto da quando è iniziata quella guerra.

«David, io... Io non so come... E cosa...», sussurra Iker, gli occhi chiusi mentre tiene la fronte appoggiata a quella di David e sente il respiro dello spagnolo nelle orecchie, il suo sapore in bocca e gli sembra che non possa esistere altro nel mondo. Sta dicendo cose senza senso e senza nemmeno riuscire a completarle, se ne rende conto, ma non riesce a porvi rimedio.

«Nemmeno io», risponde lui senza muoversi da quella posizione, «e non so nemmeno perché l'abbia fatto. Ma se c'è una cosa che so, ora, è che lo rifarei altre mille volte e spero di poterlo rifare altre diecimila volte almeno».

È Iker, questa volta, ad avvicinarsi e a baciarlo, ora che le parole di David sembrano averlo tranquillizzato e avergli fatto riprendere coraggio. E questa volta non c'è tempo per le incertezze da nessuna delle due parti, si scontrano per qualche secondo e poi lo spagnolo lascia che Iker prenda il controllo della situazione e gli accarezzi la bocca con la sua lingua, che di timido ormai sembra non avere più nulla. David si lascia mettere con la schiena contro al letto dal basco, che gli ha tolto quella specie di camicia ormai quasi distrutta che portava quando l'hanno catturato - gli sembra sia passato un secolo da allora, da quando delle torture aveva solo sentito parlare e non poteva nemmeno immaginare che sarebbe finito a baciare un uomo, un suo avversario, uno che avrebbe dovuto uccidere, uno che l'aveva curato quando stava per morire nonostante tutto e che si stava prendendo cura di lui come nessuno prima d'ora. Iker, che ora lo sta guardando, sta sfiorando quel corpo che ha già avuto modo di toccare per poterlo guarire ma su cui non si era mai fermato a riflettere e che ora, con tutte le osse sporgenti e le cicatrici e i rilievi su cui fa scorrere le dita, a metà fra l'incredulo e l'ammirato, gli sembra la perfezione realizzata.

«Non voglio farti male», dice poi il basco, mordendosi un labbro perché lo vuole, lo vuole come non ha mai voluto nessuno prima d'ora e al tempo stesso ha un'estrema paura di spezzarlo, di farlo andare via per sempre.

«Non me ne hai mai fatto quando potevi, non me ne farai ora che non vuoi. Come potrei non fidarmi di te, Iker? Non sarei nemmeno qui se non ti avessi incontrato», lo rassicura David prima di dargli un bacio che lascia Iker senza fiato e vagamente stordito, ma soprattutto senza più alcun timore.

E nessuno dei due ha motivi per lamentarsi o per ricredersi, pensa David, quando Iker lo prende fra le braccia e lo accarezza fino a quando non smette di tremare, con la testa appoggiata al suo petto che si alza e si abbassa ancora febbrilmente. Non è mai stato così bene.

 

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«Vorrei poterti portare a casa mia, a San Sebastian. Il mare è bellissimo, e potremmo stare insieme sulla spiaggia, felici, sotto il sole a parlare e a ridere e a baciarci quando nessuno ci guarda», gli dice Iker, la testa appoggiata alla sua spalla e lo sguardo perso in un altro mondo, un mondo che per il basco è l'infanzia e la vita che ha sempre conosciuto e l'unico che avrebbe voluto conoscere per sempre, con gli amici di un tempo e la famiglia che lo ha sempre protetto. Un mondo dove la guerra non è mai iniziata e non ha alcuna intenzione di iniziare, dove lui e David non sono avversari -lo sono ancora? Iker non lo sa, si rifiuta di considerare nemico l'uomo che sta tenendo un braccio attorno ai suoi fianchi e che desidera non lasciare mai andare via, lontano da lui, e David non è più sicuro di voler combattere ancora; non crede di poter rischiare di trovarsi ad affrontare proprio il basco, a trovarsi nelle condizioni di doverlo uccidere. Non sa più cosa sceglierebbe tra il suo onore militare e il rimorso terribile di aver ucciso l'unica persona nel mondo che lo sta rendendo felice, ed è sconvolto da questo, perché fino a poche settimane prima era sicuro, sicurissimo che non avrebbe mai messo niente al mondo prima dell'esercito nelle sue priorità.

«Un giorno ci andremo. Ne sono sicuro, e tu mi farai vedere tutto, la tua casa, le tue strade, i tuoi posti preferiti, nuoteremo insieme e staremo ore sulla spiaggia...», la voce di David si perde nei pensieri di entrambi, consapevoli che questo scenario si avvererà quasi certamente solo nei loro sogni. La guerra intorno a loro infuria, Franco non si fermerà fino a quando non avrà il controllo sull'intera Spagna, e la Resistenza si indebolisce ogni giorno che passa; gli aiuti dall'estero non sono sufficienti perché i franchisti ne hanno molti di più, e, come se questo non bastasse, non si riesce ad organizzare una linea di difesa perché i combattenti sono troppo divisi politicamente. Iker e David possono chiudere gli occhi e cercare di annullare il mondo intorno a loro, che non ne vuole sapere di calmarsi e, anzi, sembra andare verso la tempesta anche nel resto dell'Europa, ma la verità è che così facendo non la cancelleranno comunque. Resterà sempre lì, fuori dalla bolla senza tempo che sono riusciti a crearsi, sempre in attesa di un loro passo falso, sempre pronta a colpirli non appena saranno distratti.

 

Shut my eyes to that song that plays,

Sometimes this has a hot, sweet taste.

 

«Ander, ascoltami! Ti assicuro che è così!»

Ander lo guarda come si guarda un bambino viziato che ripete ostinatamente le stesse frasi da giorni per un qualche capriccio e scuote la testa; se non fosse suo fratello, avrebbe anche giò smesso di dargli retta, ma ad Iker, il suo fratellino minore, non è mai riuscito a negare niente. «Iker. Io ti ho sempre ascoltato e stimato, ho sempre considerato importanti i tuoi consigli e li ho cercati di seguire fin dove possibile. Sei un uomo intelligente, senza dubbio. Ma questa volta non posso darti ragione, proprio no. Forse non ti rendi conto di che cosa mi stai chiedendo, anzi, ne sono sicuro, perché l'Iker che conosco io non sarebbe nemmeno sfiorato da un'idea del genere».

Iker deve mantenere il controllo, altrimenti sa di non avere alcuna possibilità di convincere il fratello, ma al momento gli riesce piuttosto difficile, perché in gioco c'è il futuro dell'uomo di cui si è innamorato (ed il suo, perché al momento non riesce nemmeno ad immaginare cosa farebbe se i suoi compagni decidessero di liberarsi del prigioniero). «Ne abbiamo parlato a lungo, e David sa che è la sua unica possibilità di uscirne vivo. Combattere non gli interessa più, vuole solo poter tornare a casa sua, non vuole unirsi di nuovo all'esercito e-»

La risata di Ander che lo interrompe è quello che gli fa veramente male, tanto è tagliente ed ironica. «Certo, certo, è proprio un caso che non gli interessi più uccidere proprio ora che è prigioniero, vero?»

Il più piccolo sente le orecchie andare a fuoco a quell'insinuazione. «Ander, ti sei sempre fidato di me, sai anche tu che non mi lascio prendere in giro facilmente, non puoi aver dimenticato quella volta che hai inventato mille scuse per non portarmi con te a vedere l'Athletic Bilbao, e io non ho creduto a nessuna. Perché stavolta non dovrei capire che David non mi sta dicendo la verità?». Odia quando qualcuno non lo prende sul serio, e soprattutto quando lo fa Ander, il fratello che ha sempre considerato come un esempio da seguire, l'uomo di cui è sempre stato fiero di essere parente.

«Credi forse», inizia Ander, e abbassa la voce ad un sussurro nel proseguire, «che non mi sia accorto di nulla? Che non abbia notato quanto tempo passi in camera con lo spagnolo? Quante attenzioni hai dedicato a lui rispetto agli altri feriti?».

«L'avete conciato ben peggio di come mi riportate a casa di solito i nostri», ribatte prontamente Iker, punto sul vivo.

«Non prendermi per uno stupido qualsiasi come alcuni di quelli che combattono con noi, che non si accorgerebbero di nulla nemmeno se succedesse davanti ai loro occhi, io ti conosco da quando sei nato. E, in ogni caso, ti dico che dei segni rossi sul collo non ti aiuteranno a sostenere la tua posizione. A me non importa se tu sei... Insomma, hai capito. Ma non posso fare eccezioni o prendere decisioni insensate solo perché tu hai scelto la persona sbagliata di cui innamorarti», conclude poi facendo un cenno verso di lui.

Iker si passa nervosamente la mano proprio dove Ander ha detto ci dovrebbero essere quei segni e impovvisamente li sente bruciare sotto le sue dita; non ci ha mai pensato, ed è stata la cosa più stupida che potesse fare, come ha potuto non immaginare che qualcuno sie ne sarebbe accorto? «Non potete ucciderlo, non potete! È vero, lui per primo ha ucciso chissà quante persone, ma si è pentito, credimi! Non vuole più far parte degli assassini, da nessuna delle due parti. Ne ha abbastanza della guerra, come tutti noi», il suo tono ha una nota molto vicina alla disperazione. Sperava di riuscire a convincere Ander, ma il fratello non sembra ancora essere d'accordo con lui, e Iker non ha più argomenti possibili, ha solo una gran voglia di piangere per tutto quanto; perché lui e David sono in due schieramenti opposti, perché c'è la guerra che non dà loro tregua, perché sente la nostalgia di tutto quello che ha dovuto lasciare indietro, perché non c'è alcuna speranza per il loro amore in quel mondo.

«Mi dispiace, Iker. Davvero».

 

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«Ho bisogno di un favore. Un favore enorme. Sai mettermi in contatto con le Brigate Internazionali?»

 

Well, you laughed 'baby, it's ok,

it's buzzcut season anyway'.

 

Iker ha negli occhi la tristezza di chi ha già passato tutto questo e ha sperato che non succedesse mai, e invece si trova di nuovo nella stessa situazione.

«È l'unica soluzione possibile, o questo o la morte certa». Anche il suo tono di voce è quello di chi non vorrebbe mai più trovarsi a dire queste frasi, di chi ha già dovuto dirle mille volte ed ad ognuna si è ripromesso di non farlo mai più, per essere poi sempre smentito.

«Non voglio scappare», dice soltanto David.

«Non vuoi scappare ma non puoi restare né tantomeno andartene da qui in un altro modo! David, non mi interessa niente del tuo orgoglio ferito e quant'altro, voglio che tu sopravviva», esclama Iker fermandosi prima di dire 'lontano da me'. Quelle parole metterebbero una fine completa a tutto quello che c'è fra loro, ed Iker, nonostante sia intenzionato a mettere in salvo lo spagnolo, non vuole che la loro ultima conversazione sia anche la fine della loro storia. Vuole poter conservare l'illusione di aver ancora per sé David almeno nella sua immaginazione, dove non ci sono bandiere e schieramenti a dividerli, dove nessuno dei due deve abbandonare l'altro per mettere in salvo la propria vita.

«E che vita avrei, lontano dalla mia terra? Io ho combattuto per la Spagna, ero disposto a morire per lei, e ora tu mi stai dicendo che me ne devo andare!», esplode alla fine lo spagnolo, incapace di controllarsi. David non vuole essere melodrammatico ma fra quello che non vuole lasciare c'è Iker, anche se non vuole dirlo ad alta voce in questo momento per non sembrare una donna il cui marito sta partendo per il fronte. Non vuole dirlo, ma lo sente premere contro le labbra e pregarlo di uscire, e davvero David non sa come riesca a trattenersi dal parlare, anche perché nella sua mente è sicuro che quella motivazione sarebbe l'unica che potrebbe far riflettere Iker sul loro futuro; ma sa anche che quanto Iker sta facendo non è facile nemmeno per lui, e se è disposto a tutto pur di vederlo sano e salvo, questa è solo l'ennesima prova di quanto forte sianil sentimento che li lega.

Il basco gli si avvicina, senza dire niente, e lo abbraccia, nasconde il volto nel suo collo -quanto è più alto David? Non ci aveva mai fatto caso, Iker, a quanto era bello lasciarsi andare nelle sue braccia e sentire tutto il suo corpo avvolgerlo, a quanto poteva sentirsi protetto, più di quando era circondato dai suoi compagni armati.

«Ho incontrato un mio vecchio compagno di facoltà, lui è in contatto con le Brigate Internazionali... C'è un treno appena arrivato che sta per ripartire, riuscirà a portarti in Inghilterra e sarai salvo. Mi ha detto che a Manchester hanno molti contatti, c'è un professore che si occupa della Spagna e soprattutto della Resistenza, potrai farti una nuova vita là», mormora tenendo le labbra premute contro la sua pelle, sentendo il battito del suo cuore e frenando per un'altra volta quel 'lontano da me' che sta cercando di nuovo di entrare nel suo discorso.

David lo stringe più forte. «E tu, cosa farai? Rimarrai qui? Cosa credi che ti faranno quando avranno scoperto che sei stato tu a farmi scappare?».

«Me la caverò, in fondo Ander mi vuole troppo bene per uccidermi, e sono troppo utile a tutto il gruppo come medico perché si possano privare di me. Se c'è qualcuno che sta rischiando, qui, quello sei tu, quindi non provare nemmeno a pensare a cosa succederà a me. A me basterà sapere che tu sei vivo e che non rischierai ogni giorno che qualcuno decida che sei di troppo», risponde Iker, e sa di mentire, sa che la notizia della partenza di David non farà piacere a nessuno e ne ricaverà solo guai, ma non può fare altro per cercare di convincere lo spagnolo.

Non si dicono nient'altro fino alla partenza di David; restano soltanto abbracciati, insieme, mentre David cerca con tutte le sue forze di non pensare che quella è l'ultima volta in cui sente il profumo della pelle di Iker e il basco sta solo sperando che la guerra finisce in fretta, così da poter andare in Inghilterra a riprendersi il suo David.

 

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Non è stato nemmeno così terribile come aveva immaginato. Certo, non era stato bello sentirsi gli insulti e i commenti stupiti e arrabbiati di tutti quanti i compagni, e nemmeno l'espressione delusa sul volto di Ander che gli diceva chiaramente quanto fosse stato stupido da parte sua. Ma, come aveva previsto, alla fine avrebbero deciso che era meglio tenersi l'unico uomo in grado di curare i feriti che ormai ogni giorno arrivavano da loro piuttosto che fucilare un traditore.

 

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Il volto di Ander -terreo, con gli occhi spalancati mentre si morde le labbra come se ci fossero parole che non vedono l'ora di uscire ma che lui vuole con forza trattenere- mette subito in allarme Iker; l'ha visto in queste condizioni solo dopo aver subito una terribile sconfitta in cui era morta quasi la metà dei loro uomini.

«Dobbiamo parlare. Subito», gli dice soltanto, ed Iker abbandona subito tutto quello che stava facendo per seguirlo nella sua stanza.

«Mi sono appena arrivate le ultime notizie», dice Ander, accennando ai fogli che tiene in mano. Sembra avere dei problemi nel continuare a parlare, e guarda Iker come se fosse l'ultima volta che lo vedrà in tutta la sua vita. In un certo senso sa che è così, sa che dopo avergli riferito tutto il suo fratellino non sarà la stessa persona di quando hanno iniziato la discussione. «E... Si parla di un treno. Fatto saltare per aria. Dai soldati franchisti».

Iker chiude gli occhi. «C'è dell'altro, vero?». Ander lo osserva e si stupisce di quanto Iker sia cresciuto; l'ha sempre considerato come un bambino rispetto a lui, pur ritenendolo una persona intelligente e matura, e ora lo guarda mentre dietro alle palpebre stanno sicuramente scorrendo tutte le preghiere che entrambi conoscono e si rende conto di quanto sia cambiato, di come tutti quanti loro siano cambiati da quando è iniziata quella guerra.

«Il treno era diretto in Inghilterra. Non... Non ci sono superstiti», le parole di Ander tagliano Iker in due parti come se fossero un coltello, e non gli lasciano nemmeno la forza di provare a replicare, di fare un estremo tentativo e chiedergli se c'era anche lui su quel treno, se sono proprio sicuri che non sia sopravvissuto nessuno, se davvero David era lì. Non ci sono superstiti. L'ho messo io su quel maledetto treno. Non ci sono superstiti. Come si continua a vivere, quando hai mandato a morte la tua vita? È questo che significa, 'sopravvivere'?

«Mi dispiace», gli dice il fratello, mettendogli un braccio intorno alle spalle per consolarlo, e gli dispiace davvero, perché vuole bene ad Iker come a nessun altro nel mondo, e se il suo fratellino è triste allora lui vorrebbe fare qualsiasi cosa per poterlo rendere felice; ma Iker lo scansa quasi con rabbia, si gira verso il muro per impedirgli di vedere gli occhi che sente già pieni di lacrime.

«Lasciami da solo», mormora, la voce rotta che lo tradisce all'improvviso è l'ultima cosa che gli interessa. Ander resta ancora per un qualche secondo a guardarlo, combattuto tra la voglia di tornare ad abbracciarlo o ascoltare la volontà dell'altro e andarsene; ma quando vede le spalle del fratello scosse dai singhiozzi, non può fare altro che avvicinarglisi e tenerlo fra le sue braccia come quando era piccolo e il suo unico dolore erano le ginocchia sbucciate o qualche compagno che lo prendeva in giro. Allora come oggi, era sempre Ander a prendersi cura di lui e a consolarlo.

 

The men up on the news, they try to tell us all that we will lose,

But it's so easy in this blue, where everything is good.

 

Ci sono troppi feriti, ultimamente, ogni giorno Iker ne deve curare almeno il doppio di quelli a cui era abituato; quasi tutti quelli che escono a controllare la situazione ritornano con almeno una pallottola in corpo. È strano, perché non è mai successo; non è possibile che tutti quanti i loro siano improvvisamente disattenti e non si accorgano che sono usciti dalle zone in cui sono al sicuro.

Ma Iker non è nelle condizioni adatte per rendersi conto che c'è qualcosa che non va.

 

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In effetti, un motivo c'era, e Iker vorrebbe non averlo mai scoperto.

Perché ora la casa che usano come rifugio è circondata dai soldati rispondenti agli ordini di Franco, che hanno le armi puntate verso di loro e sanno tutti quanti benissimo come questa storia andrà a finire. Li hanno scoperti e li hanno colti di sorpresa, e loro non si aspettavano proprio di trovarsi in questa situazione, non si erano assolutamente accorti di nulla. Eppure, qualche sospetto sarebbe dovuto venire, data l'enorme quantità di feriti ultimamente; invece niente, nessuno aveva visto niente, nessun soldato dei loro si era mai fatto beccare, o forse si sentivano troppo al sicuro lì per pensare di poter essere localizzati.

I soldati entrano con le armi ben in vista e li arrestano, uno per uno, riempiendo i silenzi dei baschi ancora esterrefatti per la maggior parte con minacce e insulti. Iker è letteralmente paralizzato dal terrore, lui è soltanto un medico e le armi ha sempre preferito vederle da lontano, possibilmente in mano a qualcuno dei suoi compagni; ora, che ne ha una puntata in mezzo agli occhi, non osa nemmeno muovere un muscolo, lascia che lo ammanettino sperando soltanto di non finire anche lui pestato a sangue, come sta succedendo a quelli che hanno provato a ribellarsi.

«Lasciatemi andare, non provate nemmeno a toccarmi con quelle mani con cui avete ucciso i miei stessi compagni, i miei amici...», sente dire ad Ander, poco distante da lui, che viene subito zittito con una ginocchiata nello stomaco che lo lascia dolorante e senza fiato.

«Ander! Non toccatelo!», reagisce istintivamente Iker cercando di gettarsi verso di lui, ma la stretta sui suoi polsi lo trattiene, e subito dopo il soldato che ha di fronte gli tira un pugno in faccia, dritto sul naso. Iker sente la bocca riempirsi di sangue e un dolore tremendo propagarsi nelle terminazioni nervose che gli impedisce di riprovare a compiere qualcosa del genere.

«Così la prossima volta ci penserai due volte, prima di provare a liberarti», gli dice il soldato che completa l'opera gettandolo a terra e sferrandogli un calcio nelle costole.

 

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Madrid. Madrid, dove David avrebbe voluto trionfare con il suo esercito, e ormai sembrano passati secoli ad Iker da quel momento, da quando aveva storto il naso di fronte alla prospettiva di curare un fascista. Madrid, dove c'era ancora una Resistenza più o meno organizzata che cercava di non lasciarsi sconfiggere da Franco, che voleva assolutamente prendere la capitale. Madrid, dove Iker non sarebbe mai voluto andare se non con David, che gli parlava della sua casa nella città e per la prima volta gli faceva sognare di lasciare la sua terra. Madrid, la città verso cui si stanno dirigendo ora, da prigionieri dell'esercito franchista; cosa succederà una volta lì, nessuno lo sa, visto che la città è ancora divisa ed la guerriglia urbana infuria al suo interno, ma di certo nessuno dei baschi si aspetta di essere rimandato a casa come se niente fosse; sperano quantomeno che la morte arrivi in un modo rapido e senza pubbliche esibizioni di dolore.

Non si aspettano niente di bello, non c'è niente di bello da aspettarsi.

Eppure, quando sentono sparare intorno a loro e non sono i franchisti a farlo, tutti quanti capiscono cosa sta succedendo - o meglio, sperano che sia quello che credono, perché sarebbe qualcuno dei loro (altri baschi, forse, o qualche gruppo di ribelli catalani, o forse le Brigate Internazionali, o chissà chi altro) che li sta liberando. Nella confusione che si scatena attorno a loro, non si riconosce più chi è l'amico e chi il nemico, gli spari avranno certamente colpito anche qualcuno di loro, ma ancora stupiti dall'accaduto i baschi si ritrovano liberi.

Il suono delle pallottole non è mai stato così bello alle orecchie di Iker.

 

I'm the one you tell your fears to,

There will never be enough of us.

 

«Ragazzo, stai bene? Sei pallidissimo!», gli dice uno degli uomini lì presenti, ma Iker quasi nemmeno lo sente; è sotto shock, e si mette a sedere perché sente che le gambe gli tremano e non lo reggeranno ancora a lungo.

«Cosa avete detto?», chiede.

L'uomo lo guarda per un attimo, forse si sta chiedendo se il ragazzo non abbia subito qualche danno durante lo scontro di cui nessuno si è accorto, ma non sembrerebbe; così alza le spalle e ripete: «Ho chiesto se stai bene, non mi semb-»

«No, no prima! Stavate parlando di un treno, cosa è successo?», Iker è quasi isterico mentre lo dice e non capisce perché l'uomo ci stia mettendo così tanto a capire cosa ha chiesto. Non è forse ovvio che stia chiedendo dell'aneddoto che stavano raccontando gli uomini?

«Ah, la storia del treno ti ha divertito! È stato proprio divertente, i franchisti pensavano di aver ucciso tutti gli uomini in viaggio per l'Inghilterra, e invece non sapevano che noi li avevamo messi su un altro mezzo perché quello non avrebbe mai potuto reggere un altro viaggio carico di passeggeri!», gli dice uno di loro mentre tutti gli altri scoppiano di nuovo a ridere a sentire per la seconda volta in pochi minuti come i loro avversari si siano lasciati fregare facilmente.

Il cuore di Iker perde più di un colpo.

«Ragazzo, adesso però sì che non stai bene, non provare a chiedere altro e nemmeno a tentare di negare, adesso vieni e ti diamo qualcosa...», gli dice lo stesso signore di prima prendendolo sottobraccio, ma il basco si divincola subito e si libera dalla presa, lasciandolo un po' sconcertato.

È vivo. David è vivo. David è in Inghilterra, ed è vivo.

«Devo andare», dice sottovoce, e poi lo ripete con un tono più convinto. «Devo andare a Manchester».

«Forse hai la febbre. Magari lo shock per tutti gli avvenimenti della giornata ti ha colpito solo adesso», l'uomo tenta di mettergli una mano sulla fronte per sincerarsi delle sue condizioni di salute, ma ormai Iker ha ripreso colore in volto ed energia del corpo e si scosta senza lasciarsi toccare dall'altro.

«Lei non capisce, io devo assolutamente partire per l'Inghilterra, ho già perso troppo tempo!», esclama Iker, che improvvisamente sembra aver ritrovato tutta la voglia di vivere che apparentemente lo aveva lasciato dopo la ormai falsa notizia.

 

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Non vuole lasciare da solo suo fratello. Non sarebbe giusto, lui non l'ha mai fatto e l'ha sempre protetto, e ora che è Ander ad avere bisogno di lui non può semplicemente prendere e partire.

«Iker...», lo chiama lui, e gli si stringe il cuore a sentire la voce del fratello così debole, lui che è sempre stato dei due quello forte e coraggioso. Nemmeno a sforzarsi al massimo, non riesce a ricordarsi una volta in cui le posizioni si sono invertite, in cui è stato Ander a chiedergli una mano in un momento di difficoltà; anche quando tornava con qualche ferito e ad Iker sembrava che le mani gli tremassero troppo perché aveva paura a dover curare suo fratello, era lui a tranquillizzarlo e a dargli la concentrazione necessaria per svolgere il proprio lavoro.

«Sono qui, Ander, non ti sforzare troppo», gli dice appoggiando una mano sulla sua spalla per rimetterlo di nuovo sdraiato sul letto. Le ferite erano gravi, ma le Brigate Internazionali hanno più mezzi di quelli di cui poteva disporre lui quando cercava di sistemare al meglio che poteva i suoi compagni, e suo fratello dovrebbe riprendersi senza troppi danni subiti -a parte il mignolo e l'anulare della mano sinistra, andate perse nello scontro a fuoco con cui sono stati liberati.

«Cosa ci fai ancora qui? Perché non sei su un treno per l'Inghilterra?», gli chiede con un tono di rimprovero nella voce perfettamente udibile nonostante la stanchezza sia evidente.

Iker lo guarda senza capire.

«Ho sentito alcuni uomini parlarne... Pare che il tuo spagnolo si sia salvato, e di sicuro tu sei già venuto a saperlo, però sei ancora qui, in Spagna. Perché?», gli spiega fissandolo attentamente. Aveva pensato che Iker sarebbe corso sul primo treno possibile per l'Inghilterra, da quando aveva ricevuto la notizia della morte di David sembrava non aver più niente al mondo che gli potesse dare un motivo per continuare a vivere; e invece se l'era ritrovato lì, seduto accanto al suo letto e apparentemente senza alcun proposito di allontanarsi.

Iker si morde il labbro e sfugge il più possibile lo sguardo dell'altro, anche se sente chiaramente che lo sta fissando, indagatore. «Ander, io non posso lasciarti qui così, ora; e se succedesse qualcosa mentre io non ci sono? Se tu dovessi...», non riesce a dire la parola 'morire', non riferita a suo fratello. Nonostante sappia che ci è andato vicino moltissime volte, per lui resta sempre in qualche modo fatto d'acciaio, indistruttibile, impossibile da sconfiggere.

«È pieno di persone che mi controllano qui e che mi curano anche meglio di quanto potessi sperare. Iker, ogni giorno in più che passi qui rischi di non avere più una possibilità di raggiungerlo, e io voglio che tu lo faccia e che sia felice. Non lo sei più stato da quando hai fatto scappare quello spagnolo, e se l'unico modo perché tu lo sia di nuovo è non averti più intorno a me, voglio che tu lo faccia».

«Ma Ander, se vado a Manchester non avrò più te, forse anche per sempre, non so se è quello che voglio davvero», gli dice Iker, con una nota disperata nella voce. Non vorrebbe mai dover decidere fra le persone che più ama nella sua vita, ma ancora una volta la guerra ha scelto per lui, e ha scelto che lui debba lasciarne uno dei due.

«Sarebbe anche ora che mi lasciassi respirare un po', è da quando sei nato che mi stai in mezzo ai piedi, qualsiasi passo muova!», scherza lui e finalmente vede un sorriso sulle labbra di Iker. «Davvero, Iker. La tua vita e la tua felicità per me sono più importanti di un egoistico desiderio di tenerti sempre vicino. Mi mancherai, ma non sarà per sempre. La guerra prima o poi dovrà pur finire, e allora tu potrai tornare qui, perché saremo noi a vincerla, su questo non ho alcun dubbio».

Iker gli stringe una mano fra le sue e ne traccia i contorni, come faceva quando era piccolo e le mani di suo fratello gli sembravano enormi, più di quelle di chiunque altro.

«Grazie», mormora soltanto.

 

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Il viaggio interminabile, il treno, le fermate, le soste per i guasti; e poi Londra, finalmente, e l'Inghilterra, e un altro treno, e altre fermate che hanno solo contribuito ad aumentare l'ansia di Iker, il quale avrebbe potuto fare l'intera strada a piedi dall'adrenalina che gli scorreva in corpo. Per lui, che non si era mai allontanato che di pochi chilometri da casa in tutta la sua vita, il paesaggio che scorreva al di là del finestrino era stato uno spettacolo continuo, e le città gli erano sembrate enormi, era impossibile riuscire ad ambientarsi in quel caos e quel rumore sempre presente. Ma, nonostante le mille distrazioni possibili lungo il tragitto, Iker non vedeva l'ora di arrivare a raggiungere il suo obiettivo, e ad ogni imprevisto doveva fare del suo meglio per non saltare per aria e dare in escandescenze.

E poi, Manchester, finalmente. Aveva rintracciato il professore, quello a cui l'aveva indirizzato il suo amico per mettere in salvo David e gli aveva chiesto tutto; cosa era successo, dove era David, cosa faceva lì, come stava.

 

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«Credevo fossi morto».

«Non lo sono».

«Ma io lo credevo per davvero».

«Credevi male».

Ha una gran voglia di scherzare, ora, David, mentre sente il peso della testa di Iker sul suo cuore -come faceva sempre in Spagna, restava sempre lì ad ascoltare il suo battito- e si chiede cosa abbia fatto di buono per meritarsi di riavere il basco con sé, quando non avrebbe scommesso una sola peseta, anzi, un solo penny sull'avverarsi di questa scena.

«A cosa stai pensando?», gli chiede Iker, dandogli una gomitata nelle costole quando vede che David non risponde subito ma resta con lo sguardo assorto, perso nei suoi pensieri.

«Al fatto che non sai nemmeno una parola di inglese, e che mi toccherà insegnartelo, e mi farai perdere un sacco di tempo», ride lo spagnolo e Iker si chiede se non sia in fondo vero che di una persona ci si innamora quando la si vede ridere. Poi passa per l'ennesima volta quel giorno le dita lungo le cicatrici che lui stesso gli ha lasciato quando l'ha guarito, e David trattiene il respiro.

«Potrei insegnarti qualcosa di basco, in cambio», gli dice Iker, e David sta già per rispondergli che non ne avrà alcun bisogno quando lo guarda e vede che lo sta solo prendendo in giro, e scoppia di nuovo a ridere. Forse Iker l'ha detto solo per raggiungere quell'obiettivo.

«Maite zaitut», sussurra poi, e questa volta David non ha alcun problema a capire una lingua che non conosce.

 

So now we live beside the pool, where everything is good.

 

«Avremmo dovuto essere qui anni fa, quando eravamo giovani e avevamo una vita davanti», sono le prime parole di Iker quando finalmente riesce a portare David a San Sebastian. Il mare che si estende davanti ai loro occhi, la sabbia fra le dita dei piedi, il vento che passa sui loro volti; tutto questo sarebbe dovuto succedere anni prima. La guerra è finita ormai da molti anni, non solo quella spagnola ma quella mondiale; non hanno la pace, non ancora, e forse non l'avranno ancora per molti, i Paesi Baschi non accettano di tornare ad essere governati da un re che non sentono loro e si stanno organizzando gruppi per le rappresaglie. Ander, dopo essersi ripreso, non ha mai smesso di combattere il regime franchista e di certo sta per essere coinvolto in qualche azione terroristica, Iker ne è certo e vorrebbe chiedergli di non farlo, di non lasciarsi attrarre di nuovo da un mondo a cui già una volta ha dato tutto per riceverne in cambio solo morte e tristezza. Ma Ander non lo ascolterà, Iker lo sa e in fondo è ancora fiero del suo fratellone che combatte per un ideale e per la loro libertà, per la loro terra.

Franco è morto, il suo successore è stato ucciso in un attentato e il re sta riuscendo, con l'aiuto del nuovo governo, a ripristinare la democrazia in Spagna. La strada è ancora lunga per tutti quanti, la pace è ancora lontana e non sono sicuri che la otterranno mai davvero, ma finalmente, dopo tanti anni passati all'estero, sono potuti rientrare nella loro patria.

«Siamo qui ora. E non potrei chiedere di meglio», gli dice David, cercando la sua mano per stringerla con forza.

 

 

And I’ll breathe, and it goes,
Play along.

 

 

 

***

 

Astiro: "piano"

Honi tontakeria da: "questa è una follia"

Maite zaitut: "ti amo"

 

Il "successore" di Franco era Luis Carrero Blanco, vice del caudillo per sei anni prima della morte di quest'ultimo; il 20 dicembre 1973 la macchina su cui viaggiava viene fatta esplodere e la responsabilità dell'attentato venne subito assunta dall'ETA, l'organizzazione indipendentista basca.

San Sebastian è una località di mare nel nord dei Paesi Baschi, molto rinomata per la bellezza delle sue spiagge.

  
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