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Autore: TheDarkDubhe    15/06/2014    1 recensioni
E' una storia introspettiva, dal punto di vista di Maka.
Non so come e perchè l'ho scritta.
Mi scuso in anticipo.
Sono gradite opinioni e critiche, giusto per migliorarmi!
Grazie a chi butterà un'occhio ;)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maka Albarn | Coppie: Soul/Maka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.B. Le parole in neretto, o comunque tra "" sono i pensieri di Maka.

Stava sognando, ne era certa, come era certa di chiamarsi Maka Albarn.
Anche perché, diciamocela tutta, un Soul in calzamaglia non l’aveva e non l’avrebbe mai visto dal vivo.
Tanto meno un Soul in calzamaglia visto dall’alto del balcone su cui si trovava,che fissava adorante qualcosa che si trovava alle sue spalle, ne era certa, perché era lo stesso sguardo adorante che l’albino riservava ai muffin al cioccolato o alle nudità che Blair ostentava con poca grazia mentre girava per casa.
La ragazza si guardò intorno, stupefatta, alla ricerca di qualche dolce che potesse spiegare il desiderio che vedeva negli occhi del giovane. Nulla, solo lei e le pareti di cartone. Si avvicinò con mano tremante e toccò un mattone, che si deformò sotto le sue dita: come diavolo ci era finita su un balcone? E perché poi indossava quel vestito rosa confetto, degno di un fenicottero?
<< Ma piano, quale luce irrompe laggiù attraverso la finestra? E’ l’oriente e Giulietta è il sole! Sorgi o mio bel sole, ed uccidi l’invidiosa luna… >> Soul iniziò a declamare, facendo sobbalzare la giovane, che si affrettò a sporgersi dal balcone: fece giusto in tempo a vedere il maldestro tentativo dell’albino di arrampicarsi sullo steccato ricoperto d’edera che sorreggeva il balcone, che quest’ultimo perse la presa e precipitò, cadendo di schiena su un cespuglio di pungitopo li sotto. Inutile dire che il ragazzo schizzò in piedi alla velocità della luce, iniziando a correre in cerchio urlando << Oh dolore, oh sciagura! >>, le braccia al cielo.
La scena era cosi comica che Maka iniziò a ridere,accasciandosi su se stessa: rise talmente tanto da piangerne, stringendosi la pancia con le braccia e cercando si fermarsi.

Si risvegliò così la biondina, lacrime agli occhi e le braccia intorno al busto, come a proteggersi, in posizione fetale: alzò la testa e si guardò intorno.
Le 4.12, è presto”pensò, dando un’occhiata alla sveglia sul comodino.
Si ributtò sul letto, fissando il soffitto: era felice di essere nel suo appartamento, di nuovo dentro la sua vita, fatta di nemici da combattere, scuola, studio, libri e giornate passate con gli amici di sempre. E Soul. Come dimenticare Soul, vivevano in simbiosi: mangiavano insieme, abitavano insieme, uscivano insieme. Mai un attimo di solitudine o privacy, tutti i momenti condivisi.
Maka si rigirò nel letto, alla ricerca di una posizione più comoda che le conciliasse il sonno che ormai era fuggito. “I panni della principessa non fanno per me”, rimurginò: lei era una così, non aveva bisogno del principe azzurro che le riportasse a casa le scarpette di cristallo che perdeva andando ai party in giro per il regno, lei si salvava da sola. Era una tipa tosta, indipendente. E come tutte le brave e diligenti ragazze, si era fatta fregare non dal principe azzurro, melenso e ridicolo nel suo completino, col suo cavallo bianco, ma dal cattivo ragazzo, rude, arrogante, con il giubbotto di pelle nera e la sua lucida Harley.
Il fascino del proibito. L’attrazione per qualcosa lontano da te, ma che ti completa. La brama di quel qualcosa che non potrà mai essere tuo.
“Soul. Una sorta di prurito che non può essere grattato, una spina nel fianco ma, si sa, le rose senza spine risultano essere solo dei banalissimi bei fiori colorati, dolci e delicati, che piacciono a tutti.
Ma il perverso, il complicato, l’enigma sono ciò che ti attraggono, dolce ragazza, il piacere che può scaturire solo da quel po’ di dolore che rende tutto così vivo, immediato, reale.
“Soul”, quasi un gemito nella sua mente, nella sua anima, mentre Maka abbraccia il cuscino e le lacrime di disperazione iniziano a scorrere, traditrici.
Ti eri detta di non cascarci, che tu eri migliore di tua madre, che non saresti caduta come ha fatto lei. E invece sei proprio come lei: ingenua, impulsiva, innamorata della tua arma.
“No”. Inutile negare, tanto non si cambia la realtà dei fatti: sei debole, e d’ora in poi lo sarai ancora di più, con questo peso a gravarti la coscienza, a compromettere il delicato equilibrio della vostra risonanza d’anime.
“No.No”. Come succederà la prossima volta? Come succederà che lui debba salvarti ancora dalla tua paura, dalla follia che alimenta in te dubbi e ansie e ti porta a bloccarti davanti ad un banale nemico? Quale altra cicatrice vedrai comparire sul suo corpo? Quali altri dolori e delusioni leggerai nei suoi occhi?
“NO, non accadrà…” Si fiderà ancora di te? Rimarrai la sua partner? O se ne andrà con una delle solite ragazze che gli girano intorno, lasciandoti con il cuore in frantumi e l’anima lacerata, proprio come l’ha lacerata tuo padre.
“Basta. Basta.BASTA!” Maka si afferrò la testa con le mani, singhiozzando.
La porta si spalancò, la figura di Soul si stagliò in controluce: l’albino la raggiunse sul letto, abbracciandola e guardandola negli occhi. Maka pianse senza ritegno, immergendosi in quei pozzi carmini che la incatenavano a lui, anche nella penombra della stanza.
Soul le sorrise, un sorriso tenero, dolce, di quelli che non mostrava in pubblico, che riservava solo a lei: si avvicinò con calma, fissandole le labbra. Uno sfioramento, un leggero tocco di labbra. Lei si strinse a lui ancora di più, desiderosa d’altro, ma Soul si allontanò bruscamente, rabbuiato, sempre tenendola per le spalle.
“C’è qualcosa che non va, c’è qualcosa di…irreale, in Soul…”
Le lacrime continuavano a scendere. La vista della ragazza era appannata, sempre di più, il bianco opaco stava sommergendo la sua visuale, non permettendogli di mettere a fuoco. Lottò contro di esso, non voleva lasciare Soul, non voleva cancellare la sua immagine.
“Soul”. Un ultimo pensiero, l’ultima preghiera, l’ultima ancora di salvezza, poi il nulla l’avvolse.

Qualcuno la stava scuotendo per le spalle. Percepiva il movimento, la forza che veniva esercitata sul suo esile busto, ma non lo sentiva suo. Si sentiva estranea, si vedeva quasi vivere da fuori. Era eterea, quasi fluttuava…si sentiva, ...be’, si, libera. Libera dal peso della coscienza, dal suo spirito angosciato, dai tormenti interiori. Si stava bene a nuotare nel bianco, ci si sentiva completi, come mai lo era stata in precedenza.


Nero. Stein mollò la presa sulle braccia della ragazza, che ricadde inerte sul materasso della cella, il ghigno perenne stampato in volto illuminato dalla luna. Il dottore rimise nella tasca del camice la pila che aveva usato per controllare le reazioni oculari di Maka. Nessuna reazione, nessun movimento, solo il nero della pupilla che, allargandosi, aveva insudiciato il verde dell’iride.
Si voltò,andandosene,il bullone che aveva conficcato nel cranio riluceva alla luce della luna. Ormai era persa, la crisi era stata peggiore di tutte le altre.
Non c’era più speranza per Maka, ennesima vittima di quel male incurabile.
La follia della vita aveva mietuto un’altra anima.
 
   
 
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