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Autore: Karan Haynes    16/06/2014    2 recensioni
Dopo essere entrato con la mia borsa e le gambe gelatinose nella cabina, ricordo una luce chiara.
Una luce che mi attraversò il corpo rubandomi le energie e, se la stanza era illuminata da poche luci, ora vedo solo il buio più totale.
― tratto dal secondo capitolo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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First Chapter

 




La vita ai giorni d’oggi come viene vissuta realmente o meglio, come la vive la gente?
Tutto intorno a noi cambia, la tecnologia ne é un esempio, la musica e i libri sempre più scadenti, tessuti di bassa qualità e la lista sarebbe assai lunga. Ma una cosa non è cambiata, la gente. I pregiudizi non sono cambiati, sono rimasti immutati.
Tutto intorno a noi è mutato, ma la cosa che, prima di tutto doveva mutarsi, non l’ha fatto. Le vicende passate, le persone che sono morte per quelle vicende, si sono sacrificati per un po’ di libertà, ma essa viene sprecata dalle nuove generazioni.
«Mi piacerebbe vivere in quel tempo passato, solo per assicurarmi che questo tempo sia realmente meglio», mi rivolsi al cielo, aspettando chissà che miracolo. Ma niente accade, né quella notte né quella successiva, e nemmeno le altre a seguire.

Una mattina di un qualsiasi giorno di Ottobre presi il giornale lasciato davanti alla porta di casa, lo lessi. Niente di nuovo, le solite vicende; ragazzine minorenni che vanno in discoteca, scosciate e che vengono violentate; barboni che prendono fuoco per via di stupidi ragazzini problematici; uomini che uccidono moglie e figli, solo perché ella lo voleva lasciare; si, cose di tutti i giorni.
Giro le pagine del giornale, l’inchiostro scadente mi sporca le dita. Non saranno un giornale molto conosciuto, ma cosa gli costa usare un inchiostro abbastanza decente?
Un piccolo articolo, situato nelle ultime pagine cattura la mia attenzione.
«Uomo di mezz’età esce di testa gridando “io posso viaggiare nel tempo”!» risi di gusto, ma continuai.
«”Era sceso in piazza con vestaglia e pantofole” c’informò la signora Evans, sua vicina.
”Sapevo che era pazzo, sapevo che faceva cose strane, ma è la prima volta che ho avuto paura.
Vorrei che i miei figli possano stare tranquilli” spiega la donna».

Non seppi il perché ma non riuscì a trattenere le risate. Tutto ciò è assurdo, troppo assurdo.
«L’appartamento dell’uomo è stato perquisito, ma non è stato trovato alcun macchinario o qualsiasi oggetto pericoloso.
Al momento l’uomo è tenuto a rimanere in casa, finché il giudice non decide la sentenza».

Si preoccupano di un tizio del genere quando in giro c’è di peggio? Non sanno proprio che pesci pigliare, bella la giustizia. Utile come un pesce fuor d’acqua.
Finì di fare colazione e considerando che avevo la mattinata libera, decisi di fare le faccende di casa. Lavare i vetri – che oramai non pulivo da mesi –, stirare, e fare il bucato.
Ero arrivato alla fine della mattinata e mentre facevo il bucato pensai a quell’articolo e, non seppi il motivo di quell’impulso, ma fu più forte di me. Presi i primi vestiti che trovai ed uscì di casa. Volevo conoscere quell’uomo, forse per curiosità o forse per altro.

Riconobbi il quartiere dalla piccola foto. Londra è grande, ma unica.
Misi un cappello con la visiera per non farmi vedere troppo in viso, gli impiccioni ci sono sempre, soprattutto se sono vecchiette e non volevo avere problemi o chissà cosa per colpa loro. Fortunatamente nessuno mi prestò attenzione.
Il portone del palazzo in legno e un po’ rovinato – una sistemata non guasterebbe – era aperto, la fortuna mi assisteva!
All’interno dell’atrio c’era il postino, nell’intento di svolgere il suo lavoro, molto svogliatamente.
«Mi scusi, saprebbe dirmi in quale appartamento sta quell’uomo pazzo, quello che è finito sul giornale?»
«Si, per mia sfortuna gli devo portare la posta davanti alla porta».
Ghignai, si la fortuna girava totalmente dalla mia parte.
«Lei mi dice a che numero abita e io gli porto la sua posta, così lei non perde troppo tempo».
Mi guardò perplesso, ma alla fine accettò con piacere. Presi la posta e mi diressi verso gli ultimi piani.
Ero elettrizzato. Bussai con vigore. Dovetti aspettare qualche minuto prima di sentire del movimento. Alla fine mi aprì e senza chiedere permesso mi catapultai all’interno.
«Ehi! Chi sei e che credi di fare?» la sua voce irritata mi entrò da uno orecchio e uscì dall'altro.
«Mi scusi per la mia mancanza di rispetto… ma dov’è?» l’uomo dai suoi occhiali tondi non capiva di cosa stessi parlando.
«La macchina o l’aggeggio, non so come la chiama lei! Suvvia, lei enunciava con vigore di aver creato il modo per viaggiare nel tempo!»
Vidi l’uomo strabuzzare gli occhi, mi girò intorno osservandomi, come se fossi io quello strano.
«Tu ci credi davvero?»
«Non lo so ancora, ma se mi dà la prova…»
Si diresse velocemente per la stanza adiacente, scura, senza una finestra.
«Seguimi ragazzo!»
Aprì un grosso armadio, picchio sulla parete di fondo e si aprì una fessura, mi fece segno di seguirlo. Entrati richiuse la fessura, e mi ritrovai in una stanza bianca con vari oggetti sparsi, alcuni sul tavolo, altri su scaffali. C’era solo una finestra ed era sul soffitto, ma solo una cosa mi affascinò, prese interamente la mia attenzione.
Una cabina telefonica, rossa e vecchia. C’è ne sono ancora, ma stanno pian piano scomparendo.
«Questa è una cabina telefonica che tolsero negli anni ‘90, circa. Ora c’è una ditta di non ricordo che cosa», parlava veloce, ma riuscivo a cogliere le parole più importanti!
«Ed è questa la macchina?» chiesi scettico! Chi avrebbe mai potuto pensare che una cabina potesse essere la macchina del tempo? Nessuno.
«Si, però a un limite. Questa è stata una delle prime, quindi verso gli anni ’20, e perciò può viaggiare solo fino a quell'anno».
«Potrei farle da cavia!»
«Ragazzo, non scherziamo… non c’è certezza che vada tutto bene!»
«La prego, me lo faccia fare», cercai di non far vedere la mia esaltazione.
«Ci tieni così tanto?», accennai con il capo. «Domani sera vieni da me, alle undici».
Agitò le mani, poi mi prese e mi fece uscire da quella bizzarra stanza.
«Signore, io mi chiamo Kim Kibum. Piacere!»
«Stevens Cedric» e mi allungò la mano.

**********



Angolo Autrice: Dopo tanto tempo di titubanza ho deciso di ripostare il primo capitolo di questa storia. Non so se finirò mai il quinto capitolo (già iniziato), rileggendola non la sento più come prima e di riscriverla in modo che possa piacermi adesso non esiste. Non ho né voglia né tempo e soprattutto ispirazione.
Quindi non pensiate che questa cosa sia chissà cosa, non sperate aggiorni presto o che la finisca lol
Tuttavia ringrazio chi la leggerà e chi, un tempo l'ha letta e recensita! Grazie e buona serata a tutti~
   
 
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