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Autore: funklou    16/06/2014    16 recensioni
Ogni cosa ha il suo nome, qui. Gli edifici in cui gli studenti vivono sono la Uno e la Due, e Rebecca King è semplicemente Becky, una diciassettenne che come scudo usa l'aggressività e odia le persone tormentate.
Luke Hemmings balla a Lo Spazio, disegna manga ed è della Uno, lui. È una persona tormentata e odia gli scudi della gente.
Entrambi hanno un segreto, ma sarà proprio la vita di Luke a smascherarli, a metter luce ai 24 carati. Qualcosa, o forse tutto, cambierà.
Accenni a violenze sessuali e fisiche.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A me e al mio grigio,
infilato ed incastrato sotto alle ossa.
A Martina e al suo sorriso,
cucito su labbra che non voglion più sanguinare.
Un grazie a Mostro e ai suoi 24 carati.




 
Agosto 2013.

Dicono che l'estate sia dove accadono le cose.
Era estate quando Michael suonò al mio citofono, salendo poi le scale come se qualcuno gli avesse davvero dato il permesso di farlo. Guardai l'orologio, quello appeso in soggiorno. Erano le 23:30. 
Dalla porta fece capolino la chioma verde di Michael, per poi lasciarmi intravedere anche la sua maglietta più indecente, con la scritta rossa idiot, che spiccava sul petto.
«Non azzardarti a fare rumore» lo minacciai. «Stanno già tutti dormendo.»
Lui alzò le mani, con quel sorriso sghembo, che lasciava trapelare tutta la pazzia e la perversione che caratterizzava per la maggior parte Michael Clifford.
«Andiamo a farci un giro. Ci sono anche alcuni dei miei amici» disse. Camminò fino ad arrivare al divano e ci si sedette sopra. Io lo guardavo dalla mia postazione, ancora sulla soglia del soggiorno. 
«Sei un folle» decretai. «Guarda che ore sono.»
Michael sbuffò. «Che cazzo, Becky, non te n'è mai fregato niente dell'ora. E poi ti devo parlare.»
Egoista e menefreghista fino al midollo, non me ne importava nulla di conoscere i suoi amici. Ma Michael non doveva mai parlarmi di niente, e quella frase mi mise i brividi. All'improvviso ebbi paura, iniziai a vedere il mio migliore amico più lontano. Mi girai, senza dire niente, mi infilai i primi vestiti che trovai sul letto, che erano poi vestiti di Michael che aveva dimenticato nel corso degli anni, restando da me a dormire.
 
Stavamo camminando in assoluto silenzio sul marciapiede che collegava casa mia alla piazza, quello che alcuni pomeriggi mi sembrava infinito. Infilai le mani in tasca e «Dimmi cosa c'è» lo spronai. 
Michael si ostinava ad osservare l'asfalto rovinato ai nostri piedi che avanzavano. D'un tratto tirò su il capo, si accorse che la piazza era ormai davanti a noi. 
«Me ne vado» sbottò. 
Era estate. Lo era stato, forse. Non quella notte. 
Il silenzio parve ansimare e l'aria sembrò volermi strozzare. Dovetti fermarmi e guardare il mio migliore amico. Lo vidi guardarmi, sorridermi e piano piano farsi sempre più piccolo. Volevo ridere, per far apparire la sua frase come uno schifosissimo scherzo, ma sapevo che mi sarebbe uscita solo una risata del tutto incrinata. 
«Che merda stai dicendo?» 
«Quella non è la mia famiglia e quella non è la mia casa. Voglio vivere per conto mio, cambiare scuola.»
Pensavo mi stesse prendendo per il culo. Ma il suo tono era serio, e quello era Michael Clifford, il mio migliore amico di sempre, un perfetto idiota. Non poteva essere la stessa persona a fare un discorso del genere. Pensai che Michael fosse una cosa mia e che non avesse il diritto di ricominciare una vita senza di me, di fare un qualcosa senza di me. Pensavo che Michael mi stesse abbandonando. Cercai di tenere il mio cuore compatto, sperai che nessuna lacrima rigasse le mie guance. Ne valeva del mio orgoglio.
Non ne parlammo più, comunque. Michael avanzò e continuò a camminare, imboccò una stradina verso sinistra, quella tutta in salita e con gli scalini che portavano alla chiesa in cima alla città. Sapeva che l'avrei seguito, anche se io quella volta cercai di non farlo. 
Così mi ritrovai a seguire i suoi passi, fino a quando non lo trovai seduto sulle scalinate della chiesa, giusto per inquinare la casa di Dio. Accanto aveva altri due ragazzi. All'improvviso tirai le somme.
«Te ne vai con loro, eh, stronzo?» gridai, lì in piedi, lontana almeno dieci metri da quella scena.
Tutti e tre alzarono di scatto la testa in mia direzione. «Con chi ce l'hai, ragazzina?» chiese uno dei due ragazzi che io non avevo mai visto. Aveva in mano una cartina ed un filtrino, che io avrei tanto voluto rivoltargli per terra. Mi avvicinai, mi parai davanti loro, incrociando le braccia. 
«Ce l'ho con questo coglione» gli dissi, puntando lo sguardo su Michael. 
Questi sbuffò e «Ne riparliamo poi, Becky. Vai a casa» proferì, con una voce stanca che non gli avevo mai sentito. Mi salì un nervoso pazzesco.
«Col cazzo, Michael, mi hai tirato giù dal letto alle undici e mezza di sera, mi dici che te ne vai e poi mi ordini di andare a casa» sputai acidamente. «E voi chi diavolo siete?»
Entrambi biondi, entrambi vestiti di scuro. Sembravano far parte della notte. 
«Che ne dici se proviamo a mantenere la calma, mh?» A parlare fu quello alla mia sinistra, con in mano la canna, adesso ormai pronta. Nonostante la testa china, gli occhi glieli avevo visti. Squarci di oceano. Mi sembrava di avere dei piccoli mostriciattoli dentro che cercavano in tutti i modi di arrivarmi all'altezza della gola. Mi venne una gran voglia di vomitare, e quella situazione non mi piaceva per niente. 
Avrei voluto dirgli che di calmarmi proprio non mi andava. Invece mi girai e guardai Michael. Gli feci capire di star scappando, forse da me. 
E' stato in quel momento che lo stesso ragazzo di prima si alzò, si sistemò i pantaloni e «Se pensi che ti devi salvare o che puoi farcela senza scappare, non hai capito niente» affermò.
«Finto moralista del cazzo» lo accusai, anche se, a quelle parole, ci pensai su. 
Michael si prese i capelli tra le mani, lo sentii sospirare. Non me ne importai. Feci per andarmene, ma quel ragazzo mi aprì il palmo, posandoci la canna, per poi chiudermi a pugno la mano. 
Lo presi sul serio per un pazzoide. Questa volta me ne andai sul serio, sentendo gli occhi di Michael posarsi sulla schiena e bruciandomi sotto le ossa. La canna me la fumai tornando a casa, calpestando quel marciapiede che non avrebbe più visto le suole di Michael. Pensai a Calum, pensai a me e a Calum senza Michael, poi mi resi conto che forse era meglio dormirci sopra, che il senso di abbandono mi faceva velare gli occhi di lacrime e girare la testa.
 
La mattina seguente, quando mi svegliai stesa sul divano, con le guance incrostate dalle lacrime, lo schermo del mio cellulare riportava un messaggio.
Potremmo scappare insieme.

Ciao alla mia bella gente!
Sono tornata, sono tornata con una nuova fanfiction (cosa che pensavo fosse impossibile). E' proprio un bisogno fisico e mentale, quello di scrivere, pubblicare ogni settimana un capitolo con nuove vicende. Vi ho lasciato con l'amaro in bocca per Two ma, come promesso, sono ancora qui. 
Nuova fanfiction, nuova storia, nuova me. Capitolo corto (e non è da me), ma contenente solo un piccolo incipit. Ho nuove idee, nuovi pensieri, e ho pensato di condividerli con voi. Ecco come è nata questa storia!
Al prossimo capitolo :)
Nali
  
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