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Autore: piperina    17/06/2014    2 recensioni
Quella parole rimbombavano nella mente di Katherine Pierce da ore. Aveva avuto molti momenti terribili nel corso della sua lunga vita, primo fra tutti l’allontanamento forzato da sua figlia appena nata, ma questo… questo le riportò alla mente proprio quel dolore.
Lo strazio, la disperazione, le lacrime che non smettevano di bagnarle il viso. Nelle orecchie sentì rimbombare la sua stessa voce che gridava, pregava suo padre di farle tenere in braccio sua figlia almeno una volta.
Chi doveva pregare ora? Chi avrebbe potuto cambiare idea e riportarle indietro la sua bambina?
SPOILER quinta stagione
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katherine Pierce, Klaus, Nadia Petrova
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'The Vampire Stories'
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*La Morte o La Resa*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tyler Lockwood mi ha morsa.

 

Quella parole rimbombavano nella mente di Katherine Pierce da ore. Aveva avuto molti momenti terribili nel corso della sua lunga vita, primo fra tutti l’allontanamento forzato da sua figlia appena nata, ma questo… questo le riportò alla mente proprio quel dolore.

Lo strazio, la disperazione, le lacrime che non smettevano di bagnarle il viso. Nelle orecchie sentì rimbombare la sua stessa voce che gridava, pregava suo padre di farle tenere in braccio sua figlia almeno una volta.

Chi doveva pregare ora? Chi avrebbe potuto cambiare idea e riportarle indietro la sua bambina?

In poche ore Nadia sembrava ancora abbastanza in salute, ma a volte il suo corpo era scosso da tremori e sudava. Le allucinazioni non erano ancora arrivate, il che significava che avevano ancora un lasso di tempo sufficiente a curarla.

La prima cosa che pensò di fare, dopo averla messa al sicuro, era andare da quel dottore disgustoso: tra tutti i suoi intrugli doveva esserci una cura.

Ma la fortuna sembrava non girare dalla sua parte.

Il dottore era morto.

«No…» scosse la testa e sentì l’alito della morte su di sé. Non le avrebbe permesso di portare via Nadia.

Con rabbia ribaltò tutti gli scaffali per trovare qualcosa, qualsiasi cosa potesse aiutarla, ma sembrava che quel bastardo di un dottore fosse buono solo a torturare vampiri inermi. In quel posto non c’era assolutamente nulla per lei e Katherine gridò di frustrazione.

Si appoggiò con la schiena alla parete e si lasciò scivolare a terra. Cosa poteva fare? Non avrebbe lasciato morire sua figlia, ma come impedirlo? Uccidere Tyler Lockwood per vendetta non avrebbe arrestato l’avvelenamento. Bruciare tutta Mystic Falls non le avrebbe ridato Nadia una volta morta.

Cosa poteva fare?

E poi realizzò. C’era qualcosa che potesse fare. Una persona da chiamare, anche se gli aveva detto addio tempo addietro. Anche se le sarebbe costato la vita.

Si rialzò in piedi, dandosi un contegno e schiarendosi la voce. Estrasse il cellulare dalla tasca del giubbotto di pelle e fece scorrere la rubrica fino alla lettera K. Un risolino nervoso le uscì dalla gola. Alla fine tornava sempre da lui. Era un circolo vizioso.

Lui aveva bisogno di lei e lei altrettanto ne aveva di lui. Non potevano realmente dirsi addio. Le loro vite erano inevitabilmente intrecciate e quello che stava succedendo ne era l’ennesima prova.

Schiacciò il tasto di avvio chiamata. Lui rispose al secondo squillo.

«Katerina.»

Sembrava sorpreso.

«Non attaccare» disse in fretta la vampira.

«Cosa vuoi?» il tono era scortese, ma c’era una nota di curiosità nella sua voce – e una sfumatura allarmata.

«Ho…» quasi le mancò il fiato per proseguire. «Ho bisogno del tuo aiuto.»

«…»

Katherine Pierce non aveva bisogno di niente e di nessuno. Non aveva bisogno di aiuto e, in caso, non l’avrebbe mai chiesto né ammesso. Lei prendeva ciò che le serviva a qualunque costo.

«Non ho molto tempo» proseguì, cercando di dargli abbastanza informazioni senza raccontare ogni cosa. «Mi serve il tuo sangue.»

«Mi hai detto addio» sembrava che la cosa ancora bruciasse.

«È importante. Io… io farò qualsiasi cosa in cambio» le costò così tanto dirlo, così tanto, ma l’amore per se stessa era superato solo da quello per sua figlia. Era una viscida manipolatrice, ma non aveva dimenticato di essere una madre.

«Kat

«Smetterò di scappare» lo interruppe, temendo che volesse rifiutarle il suo aiuto.

Le sue mani tremavano, forse anche la voce. Se lui non avesse accettato, Nadia sarebbe morta.

«Mandami l’indirizzo.»

Click.

Katherine rimase immobile, con il cellulare ancora vicino all’orecchio. Cosa aveva appena fatto? La parte più egoista di lei era terrorizzata: dopo cinquecento anni si era arresa. Si era consegnata a Klaus, il suo incubo peggiore. Ebbe l’istinto di scappare il più lontano possibile.

Nadia.

L’aveva fatto per Nadia. Aveva deciso di sacrificarsi per non far morire sua figlia.

Chiuse gli occhi, trasse un profondo respiro e inviò a Klaus un sms con l’indirizzo dell’appartamento in cui aveva nascosto la vampira, poi corse da lei il più velocemente possibile.

Spalancò la porta e raggiunse subito la camera da letto. Le condizioni di Nadia stavano peggiorando. La sua fronte era bagnata di sudore. Dormiva, ma sembrava che fosse in preda agli incubi.

Si spostò nella piccola cucina a preparare una bacinella e fazzoletti per combattere l’arrivo della febbre alta. Scoprì che le tremavano le mani. Strinse con forza la bacinella fin quasi a romperla e fu assalita dai dubbi.

E se Klaus avesse mentito? E se non si fosse presentato? E se una volta arrivato si fosse rifiutato di dare il suo sangue a Nadia? Katherine era pronta a tutto ed era molto forte, ma non abbastanza per combattere contro Klaus e ottenere l’elisir magico che avrebbe impedito a sua figlia di morire.

Scosse la testa nel tentativo di liberarsi la mente da quei pensieri: Klaus era un mostro, ma era un uomo d’onore. Era stato cresciuto con determinate regole e rispettava un certo codice morale. Non l’avrebbe ingannata, era il tipo che rifiutava piuttosto che dire sì e non presentarsi.

 

L’indomani, quando le condizioni di Nadia erano drasticamente peggiorate, Katherine avvertì la presenza di Klaus ancor prima che arrivasse sul pianerottolo. Aveva lasciato la serratura aperta apposta per lui – come chi aspetta un amante, pensò.

L’ibrido entrò in casa e si diresse verso la camera: la prima cosa che vide furono i capelli di Katerina, seduta sul letto. La sua figura copriva quella stesa sotto le coperte. Chi era il vampiro che voleva salvare a costo della propria vita? Se l’era chiesto mille volte da quando aveva ricevuto quella telefonata.

«Sei qui» mormorò la padrona di casa.

«Quanto tempo resta?»

«Poco.»

Katherine si voltò verso di lui senza preoccuparsi di mascherare il proprio dolore. Strinse la mano di Nadia, che tremava nel sonno da almeno due ore, poi si alzò per far posto a Klaus, che aveva mosso qualche passo verso il letto.

La somiglianza tra le due donne lo colpì non poco. «Chi è?»

«Nadia Petrova

Si voltò di scatto verso di lei. Non nascose il suo stupore nel sentire quel cognome. «Petrova

«È mia figlia» gli si avvicinò cautamente. «Klaus, ti prego, salvala.»

Troppe cose tutte insieme, pensò l’ibrido fissando gli occhi scuri e supplichevoli della vampira. Katerina che lo chiamava dopo averlo lasciato, Katerina che gli chiedeva aiuto, Katerina che si arrendeva a lui, Katerina che aveva trovato sua figlia… Katerina che sarebbe morta per sua figlia.

Quanti altri aspetti del suo carattere c’erano da scoprire? Quante altre Katerina erano sopite sotto le mille maschere che la vampira aveva indossato per cinquecento anni?

Senza dire altro, Klaus si sedette sul letto e si prese qualche istante per osservare il volto della giovane Petrova. La somiglianza era davvero notevole. Sentì il suo corpo scosso da altri tremori tanto forti da far muovere tutto il letto, così si morse il polso e lo portò alle sue labbra.

Nel sonno, Nadia bevve il sangue che le veniva offerto. I minuti successivi rischiarono di far venire un colpo a Katherine, che scrutava il viso della figlia per notare il più piccolo cambiamento. E ci fu il cambiamento.

L’incarnato della vampira perse il colorito giallognolo, smise di sudare e la pelle tornò pian piano liscia e perfetta come sempre. Il respiro si regolarizzò e i tremori cessarono.

Con un enorme sforzo, Nadia aprì gli occhi. Vide la figura di sua madre un po’ annebbiata, ma si sentiva molto meglio rispetto all’ultima volta che era stata sveglia e soprattutto cosciente. «Ce l’hai fatta…» sussurrò, stanca.

«Te l’avevo detto, no?» Katherine le mostrò un timido sorriso e allungò il braccio per stringerle la mano. «Dormi ora. Ti sentirai meglio.»

Nadia annuì, chiuse gli occhi e si addormentò all’istante.

All’improvviso, Katherine sentì su di sé il peso di quello che era appena successo. Aveva appena ritrovato sua figlia e l’aveva quasi vista morire davanti ai suoi occhi. Sua figlia.

Le girò pericolosamente la testa e si appoggiò al muro accanto al letto. Klaus si alzò e la osservò come se la stesse studiando. Raramente l’aveva vista in condizioni simili, di solito era sempre controllatissima in ogni situazione.

Come scottata dal suo sguardo, Katherine uscì dalla camera da letto e si diresse di nuovo in cucina. Aprì il rubinetto, riempiendosi le mani di acqua e passandosele sul viso. Si sentì soffocare nel momento in cui Klaus la raggiunse nella piccola stanza. È ora, pensò. L’avrebbe uccisa.

Lui non disse nulla, rispettò quel momento e attese che lei si fosse ricomposta. Una parte di lui già fremeva di eccitazione per la vittoria: cinquecento anni a correrle dietro e alla fine ce l’aveva fatta. Katerina Petrova si era arresa. Era sua.

«Cos’hai intenzione di fare ora?»

Tornata in sé, Katherine si voltò verso la persona che aveva sperato di non dover mai più rivedere fino alla fine dei suoi giorni.

«Reclamare ciò che mi appartiene» rispose lui, con una tale intensità nello sguardo da far vacillare la sua ritrovata sicurezza.

«Va bene» disse lei, poi trasse un lungo respiro e chiuse gli occhi, pronta ad essere uccisa. Anzi, no, prima torturata e poi uccisa.

Klaus si prese qualche istante per osservarla: bellissima. Era sempre stata tanto bella quanto pericolosa. Il senso di vittoria si impadronì di lui. Avrebbe potuto dare una festa per celebrare la fine della caccia più lunga della sua altrettanto lunga vita.

Sapeva cosa fare. Girò intorno alla vampira, sfiorandole un braccio, la spalla, i capelli, portandosi dietro di lei, che non mosse un muscolo. Si morse il polso e lo spinse contro le sue labbra.

Katherine non capì, ma non si ribellò e bevve il sangue che le veniva offerto – o imposto, la differenza era sottile.

Con l’altra mano Klaus spostò i capelli dal suo collo, si chinò, riempiendosi le narici del suo profumo, posò la bocca sulla pelle bruna della vampira e affondò le zanne, mentre spostava il braccio sui suoi fianchi e la stringeva e sé in una morsa ferrea.

Katherine capì cosa stava facendo Klaus. Una parte di lei avrebbe voluto opporsi, ma era troppo tardi – e la parola era stata data, aveva detto qualsiasi cosa e non si sarebbe tirata indietro. Lui non le doveva niente, eppure era lì, a mezza giornata dalla sua telefonata per salvare la vita di una sconosciuta.

La bocca dell’ibrido si staccò dal suo collo così come la mano venne allontanata dal suo viso. Senza darle il tempo di reagire, Klaus si sporse in avanti, le girò il viso dalla sua parte e la baciò.

Non era un vero bacio, era la conclusione di quel piccolo rito. Katherine sentì il sapore del suo sangue unito a quella di Klaus e la cosa la eccitò in un certo senso.

Quel contatto durò relativamente poco. Lui la lasciò andare, si pulì una goccia di sangue col pollice per poi succhiarlo tra le labbra, già tese nel suo famoso ghigno della vittoria. Katherine si allontanò da lui di un paio di passi e cercò qualcosa con cui pulirsi il collo.

«Goditi tua figlia per il tempo che ti concedo, Katerina» sussurrò l’ibrido passandole accanto. «Mi appartieni, ora. Saprò dove trovarti ovunque tu andrai.»

Lei non rispose. Era vero, adesso erano legati: avrebbero sempre avvertito la presenza l’uno dell’altro. Era connessi telepaticamente. Se lui l’avesse chiamata, lei sarebbe corsa al suo cospetto.

«Klaus» si voltò quando lui stava per uscire dalla stanza. «Grazie.»

Osservò la sua schiena per pochi secondi, prima di vederlo sparire.

In un certo senso, Katherine aveva sempre saputo quali potevano essere le conclusioni del loro gioco: la morte o la resa. E lei si era arresa.

Controllò nello specchio del bagno che non ci fossero altre macchie di sangue sulla sua pelle né sui vestiti, diede una sistemata veloce ai capelli, si stampò un bel sorriso sulle labbra e tornò in camera.

Aveva sbagliato una volta cedendo alla paura del ritorno di Nadia nella sua vita, non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Era intenzionata a seguire il consiglio di Klaus: godersi sua figlia. Loro due sole finché ne aveva la possibilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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