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Autore: Shireen    17/06/2014    1 recensioni
Non ci si può più suicidare in pace, al giorno d'oggi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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L’attaccapanni
 


Sotto, la strada pullulava di persone. I soliti rumori, i soliti odori. Chi parlava al telefono, chi scendeva da una macchina sbattendo la portiera, chi si accaniva sul clacson o faceva jogging. Un cane abbaiava.
“Allora?”
Si riscosse. “Pensavo… Chissà se ci sarebbe meno gente, con la pioggia.”
“Sciocchezze. Piazzali anche nel bel mezzo di un tornado e quelli troveranno sempre il modo di gironzolare sotto le finestre altrui. Non ci si può più suicidare in pace, al giorno d’oggi.”
Lei fece spallucce. Magari era vero, fatto sta, tuttavia, che la pioggia lava via tutto più in fretta. Ciò è molto utile quando hai intenzione di sfracellarti al suolo.
“Sì, ma vedere un cranio spappolato forse non è piacevole” rifletté con un’espressione di pura incertezza. Certo non le sarebbe piaciuto passeggiare tranquilla e all’improvviso trovarsi di fronte delle cervella al vento.
“Ma di che ti preoccupi! Passeranno un paio di sbirri, faranno qualche domanda e ripuliranno tutto. Con la pioggia otterresti soltanto fiumi di sangue sui marciapiedi” concluse lui con una smorfia di disgusto.
Annuì. Aveva decisamente ragione. Gettò le ciabatte e salì sulla sedia. Un piede sul davanzale. Sentì un lieve brivido: il marmo era gelato. Si alzò nel frattempo anche un venticello fresco che gonfiò le tende bianche conferendogli un’aria quasi spettrale. La sua treccia sbilenca ondeggiò. Appostata in quel modo, accucciata metà sulla sedia e metà fuori dalla finestra sembrava esattamente un centometrista in attesa dello sparo d’inizio.
“Ricordami un attimo perché lo sto facendo” disse guardando giù.
Tac, tac, tac. Lui fece qualche passo, picchiando col legno sul pavimento di mattonelle.
“Be’, prima di tutto perché le persone fanno schifo. Poi, ehm, suppongo perché il mondo è un inferno. La società non ti capisce. E poi, vediamo…”
“Oh, giusto!” Esclamò, e parve così riacquistare un po’ di sicurezza e uscire dallo smarrimento. “Ma certo. La fama!” Sottolineò con un sorriso smagliante che le conferì tutto il coraggio di cui aveva bisogno.
“Ah! Esatto, la fama. Immagina: la tua foto su tutti i giornali, la tua storia su tutti i canali. Sarai nei pensieri di chiunque ti abbia incontrata e sarai famosa!”
Le brillarono gli occhi. Tuttavia, un istante dopo si rabbuiò. “Aspetta” aggiunse. “E se per caso qualcosa va storto?”
Non ci fu cosa più assurda da poter dire. Infatti lui si sbellicò dalle risate per almeno un minuto buono. “Sul serio, ragazza? Siamo al sesto piano, se non schiatti una volta caduta sei veramente strana.”
“No, no… Voglio dire: se nessuno se ne accorge? Se poi se ne dimenticano?”
Egli scosse la testa, minimizzando. “Una tragedia così la ricorderanno per sempre.”
Già, decisamente vero. Aveva ragione come al solito. Guardò giù un’altra volta. Nella frenesia quotidiana a nessuno veniva in mente di alzare la testa talmente tanto da guardarla; le finestre vicine, invece, erano tutte chiuse o davano su stanze prive di qualunque anima viva. Un po’ le dispiacque: una scena da film hollywoodiano, in un cui un bel giovanotto o una saggia vecchia signora cercavano invano di farla desistere, le sarebbe parecchio piaciuta. Ma pazienza.
Ora aveva entrambi i piedi sul davanzale. Si dondolò avanti e indietro per qualche secondo, quasi alla ricerca dello stile giusto per effettuare il grande tuffo. Un’altra lieve folata di vento entrò nella stanza.
“Oh, accipicchia! Il cappello…” proruppe lui con enfasi. Il cappello che indossava era volato a terra a pochi passi di distanza. “Niente da fare, non lo posso raccogliere.” Si rassegnò. “Ma tu ti muovi?” La esortò.
Sì, era tempo. Guardò un’ultima volta indietro, salutò il suo amico con un cenno del capo e saltò.
Che sensazione meravigliosa. Sembrava di volare. Ma era così rapida, la caduta; così ostinata e potente, la gravità. All’improvviso il popolo di sotto si rese conto di ciò che sarebbe di lì a poco successo, e lo sgomento si dipinse sul volto di tutti così come su quello della ragazza. Aspetta. No, non era sicura. Forse era meglio tornare di sopra. No. Bam.
Si può immaginare il trambusto che seguì. La solitudine ora la faceva da padrone, in quella stanza vuota. C’era solo un attaccapanni di legno e un cappello nero a pochi passi da esso.
Passò una settimana e il tragico volo della ragazza fu presto dimenticato. Di fronte un uomo si impiccò, al piano di sotto una donna si imbottì di sonniferi. Insomma, la vita continuava.
E uno scarafaggio calpestato sarebbe stato più famoso di lei e del suo attaccapanni. 
   
 
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