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Autore: wolfsbane97    18/06/2014    3 recensioni
Philadelphia, 1957.
Cosa succede a una ragazza prigioniera del passato della sua famiglia quando è vicina a un Greaser come Ryder?
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Saaalve gente! Una piccola one shot ispirata al mio periodo preferito nella storia: i 50s! Spero vi piaccia.
Come al solito, se avete commenti, critiche o altri, scrivetemi o recensitemi :)
Un bacio, S.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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     Erano le 14:30, e gli studenti della Cherry Hill High School, scuola costruita appena un anno prima, ritornavano alle loro case dopo l’ennesima giornata di lezione, in un caldo venerdì di fine maggio.

     Victoria Collins, al terzo anno di liceo, entrò nel pullman che l’avrebbe riportata a casa. Si sedeva sempre al solito posto: un sedile in fondo, vicino al finestrino dal lato sinistro del pullman, che gli permetteva di vedere dalla parte opposta rispetto all’entrata della scuola. Le piaceva fissare fuori da quello sporco vetro che era ormai abituata a vedere: era un momento di relax prima di tornare in quel carcere che lei era costretta a chiamare casa. La famiglia Collins era nota per aver avuto figli laureati con il massimo di voti, fratelli campioni di atletica, cugini pianisti di fama internazionale, e Victoria non poteva certo interrompere la tradizione, mantenuta anche dal fratello, ormai vicino alla laurea ad Harvard. Osservava tutti quei ragazzi e ragazze vestiti di pelle, che aspiravano vigorosamente il fumo dalle loro sigarette, che ci provavano con qualsiasi ragazza gli fosse passata davanti; osservava le motociclette lucide, grandi, sempre sormontate da qualche ragazzo
che mostrava fieri i tatuaggi con donne nude, che si muovevano a tempo con la contrazione dei loro disgustosi muscoli.

     “Patetici” pensava. Come se un po’ di pelle addosso e chili di lacca nei capelli avrebbero potuto rendere qualcuno migliore.

     Improvvisamente sotto al suo finestrino spuntarono due ragazzi, entrambi con questi maledetti giubbotti di pelle, uno con i capelli rossicci,  uno albino, e iniziarono a mandarle baci mentre si spintonavano a vicenda. Girò gli occhi, infastidita dalla loro stupidità, e lo sguardo le cadde più in fondo, dove una ragazza si era avvicinata a una grossa moto da cui si sentiva un forte rombare del motore, con la falcata da donnaccia. Appoggiò la mano sulla spalla di un ragazzo, sopra la moto, che però l’aveva prontamente respinta. Victoria si concentrò sul  ragazzo, per vedere meglio l’essere che si reputava talmente superiore da poter allontanare una ragazza senza nemmeno parlarci: Indossava degli occhiali da sole, abbastanza abbassati da permettere di vedere gli occhi color ghiaccio; i capelli castano scuro  erano tirati ai lati e ricci sopra, mentre una piccola ciocca ricadeva sulla fronte.

     Dopo aver scansato l’intrusa, il ragazzo si passò le mani ai lati della testa, tirandosi indietro i capelli, per poi aspirare l’ultima volta dalla sigaretta che aveva in bocca, prima di buttarla via.

     Si guardava intorno, senza dire una parola, con lo sguardo cupo. Sembrava arrabbiato con il mondo. Il suo sguardo si posò sul pullman, osservando tutti i finestrini. Arrivato al finestrino di Victoria passò a quello successivo, per poi ritornare velocemente al suo, come se l’avesse notata in ritardo. La fissò, anzi, la scrutò. Espirò lentamente dalla bocca, facendo uscire il fumo che denso formava delle figure ipnotizzanti. Per la prima volta, a Victoria non diede fastidio il fatto che fumasse, o il fatto che fosse uno dei tanti montati che venivano a scuola solo per sfoggiare le loro scintillanti motociclette e i loro capelli acconciati. Solo che non si spiegava perché.
Victoria distolse lo sguardo, imbarazzata da quello scambio di sguardi,  e iniziò a cercare qualcos’altro su cui concentrarsi: due ragazze
litigavano attivamente, qualche sedile più avanti, e decise che era meglio pensare a quello.

     Da fuori il pullman, il rombo della moto di quel ragazzo, a cui l’orecchio di Victoria si era ormai abituato, si interruppe: Victoria si voltò di scatto, avendo notato che il motore si era spento, e con sorpresa, notò che il ragazzo non era più sulla moto. Si avvicinò di più al finestrino, guardando a destra e a sinistra, cercando di trovarlo. Non c’era più, o forse non riusciva più a distinguerlo nel fiume di ragazzi vestiti simili a lui, come era la moda dei “cattivi ragazzi” di quei tempi.

     “Oh beh, meglio così” pensò fra se e se, e torno sulle ragazze che urlavano più avanti. Si erano alzate, e la bionda aveva tirato un colpetto sulla spalla della rossa con i capelli corti. Di tutta risposta, la rossa l’aveva colpita sull’altra spalla. Lo scontro iniziò: si spingevano sempre più forte, cadevano sui sedili e si rialzavano per colpire ancora più forte, ma mai nulla di più che colpi in punti stupidi come una spalla o uno schiaffo sul braccio.
 
     “Oh andiamo, sperate di farvi male?” pensava Victoria. Suo cugino Mark, campione nazionale di wrestling universitario, con cui passava l’estate, la allenava segretamente in fondo al campo di golf di proprietà della loro famiglia: potevano vantare un patrimonio immenso, ciò che però mancava nella loro ricca e conosciuta famiglia era l’amore puro e semplice di un genitore. Ma in fondo, Victoria poteva dire di avere uno o due cugini che per tre mesi all’anno la facevano sentire amata, la facevano divertire e la liberavano nei loro limiti dalla prigionia a cui era sottoposta nove mesi all’anno. Insomma, Victoria sapeva di sicuro come fare male a qualcuno, o almeno, seguendo le regole del wrestling universitario.

     Erano ancora li che si spingevano, mentre Victoria le guardava quasi divertita, quando qualcuno salì sul pullman, spuntando proprio dietro a loro. Era il ragazzo della moto.
Il ragazzo le guardo da sopra i suoi occhiali, prima la bionda, poi la rossa, che alla sua vista si allontanarono immediatamente e si sedettero  ai loro posti, ammaestrate come un cucciolo di cane, facendogli spazio.

     Il ragazzo attraversava il pullman, osservato da tutti: era abbastanza inusuale vedere un Greaser (così erano chiamati i ragazzi tutti giacche di pelle e sigarette) su un pullman scolastico; di solito avevano le loro moto o macchine truccate su cui tornare a casa, o in ogni caso non sarebbero mai saliti su un mezzo come il bus, perché avrebbe significato abbassarsi ai livelli dei cocchi di papà che c’erano sopra. Lui guardava tutti, i quali non appena incrociavano il loro sguardo guardavano immediatamente altrove, terrorizzati. Victoria, però, avendo notato chi fosse, si era subito voltata a guardare fuori dal finestrino, pretendendo di essere concentrata sulle persone che passavano.
Si avvicinava a passi lenti, ed era inesorabilmente diretto verso il fondo del pullman. Victoria batte il piede a terra nervosamente, usando tutte le sue forze per non voltarsi a guardare quel ragazzo che era ormai molto vicino.

     “È libero questo posto?” lo sguardo di Victoria si sposò verso il basso, per poi muoversi velocemente fino a incrociare i suoi occhi nocciola a quegli occhi chiarissimi. Si intrecciava le dita, quasi a farsi male. Sembrava come se volesse punirsi di aver fatto avvicinare un tipo come lui.

     “Ehm, sì, a quanto pare..” era visibilmente nervosa.

     “Bene” disse sorridendo e buttandosi sul sedile. Era seduto come un cavernicolo. Avvicinò la testa a lei e sussurrò “Sai, anche se fosse stato occupato mi sarei seduto lo stesso”. Victoria sbarrò gli occhi, si ricompose e stringendo il piccolo zainetto sulle gambe, guardava fissa difronte a lei. Non aveva paura, però: le sembrava quasi di dover sopportare la sua presenza. Ma stava davvero “sopportando”?

     Ogni tanto l’occhio le cadeva alla sua sinistra, per controllare cosa stesse facendo quel ragazzo.

     Lui si voltò verso Victoria e si sedette per bene. “Oh, scusami tesoro, che maleducato che sono” disse prendendole delicatamente la mano che stringeva la chiusura del suo zainetto. “Piacere” si avvicinò lentamente alla mano, baciandola lentamente e con delicatezza. “Sono Ryder”. Victoria era imbambolata dal suo sguardo, che sembrava seguirla in ogni suo movimento. Era completamente persa, quando in un momento di lucidità prese un bel respiro e allontanò la mano, ritornando a guardare di fronte a lei, con aria quasi arrogante.

“Victoria” disse freddamente.

     L’autista chiuse le porte del bus e partì, mentre tutti intorno continuavano a bisbigliare, voltandosi per osservare cosa uno come Ryder stesse facendo accanto a Victoria Collins.

     Lei si staccò dallo zainetto, e iniziò a giocare con i lunghi boccoli castani che le ricadevano su una spalla.

     “Allora, Vicky” disse Ryder, ritornato nello stato del paleolitico. Fu subito interrotto, però.

     “È Victoria, non Vicky” disse lei fulminandolo con lo sguardo. L’unica persona che l’avesse mai chiamata così era Mark, e per lei era speciale.

     “Ok, allora va bene se ti chiamo Vic?” non le diede nemmeno il tempo di aprire bocca. “Perfetto, Vic”
Victoria aveva appoggiato la testa al sedile, quasi esasperata.
  
     “Quindi, a quale grande casa nobiliare appartieni? Monaco? La famiglia reale inglese? Oh, ci sono: sei figlia di uno Zar?” disse prendendola quasi in giro.

     “Sai, mi stupisce che tu possa conoscere così tante parole al di fuore di ‘sesso’, ‘sigaretta’ e ‘rock and roll’” Victoria aveva imparato a difendersi da frasi come quelle, a cui era sottoposta di continuo da gente ignorante e cattiva. In quel caso, però,  non sapeva di quale delle due categorie si trattasse.

     “Oh-ho, calma principessa!” la guardava ammiccando un sorriso, come soddisfatto di sapere che quella ragazza aveva del carattere da vendere.

     “E come mai una bellezza come te se ne torna a casa su un bus sudicio come questo?” si voltò verso le altre persone presenti “Oh, senza offesa ovviamente”. Si rialzò il colletto della giacca e ritornò su Victoria.

     “Oh, andiamo, non hai davvero nulla di meglio nel tuo repertorio da rimorchio?” disse lei, spostandosi nella sua direzione.
“Stavo solo chiedendo” allungò un lieve sorriso compiaciuto.

     “Beh, se proprio ti interessa, ho insistito io per tornarmene a casa con questo ‘sudicio bus’”, voltava gli occhi verso l’alto, come se avesse dovuto spiegare quella storia almeno un milione di volte, cosa che probabilmente aveva fatto. L’ultima cosa che voleva, era fare sfoggio del suo cognome, e il modo migliore per evitare ciò era evitare anche qualsiasi forma di lusso a cui potesse essere sottoposta in pubblico, a cominciare dalla macchina con autista fuori dalla scuola.

     “Chissà se c’è una fermata vicino a Melrose Avenue” disse lui guardando fuori dal finestrino dalla parte opposta del bus.

     “Melrose Avenue?” un ragazzo seduto due sedili avanti a noi si inginocchiò sul suo sedile e si voltò verso di noi.
“Io scendo lì, siamo molto vicini.” Ryder fece un finto sorriso e guardò altrove. “Hey, potete venire con me!” era illuminato da questa ‘brillante idea’.Aveva un enorme apparecchio, che gli girava intorno al viso, come un’antenna radio.

     “Uh, passo. Ma grazie comunque dell’informazione, sorriso d’argento” disse Ryder, voltandosi di nuovo verso Victoria, che aveva ripreso a guardare fuori dal finestrino. Il ragazzo aveva un espressione perplessa, ma poi, probabilmente pensando che quello fosse stato un complimento, sorrise e si rimise a posto.

     “Hey” esclamò Ryder mettendo una mano sulla coscia di Victoria “almeno sappiamo dove scendere”. Victoria si voltò di scatto non appena sentì la mano di Ryder sulla sua gamba. Non ebbe il tempo di fiatare, quando l’autista urlò dall’altro lato del bus. “Ecco la tua fermata George!” il ragazzo che poco prima aveva parlato si alzò, e con lo zaino alto in spalla si avvicinò all’uscita. Ryder si alzò e si girò verso Victoria, tendendole la mano.

     “Dai, andiamo” Victoria era ancora offesa per la mano sulla coscia.

     “Non ci penso nemmeno a scendere con te!” disse lei arrabbiata.

     “Oh, andiamo principessa, non avrai paura di fartela con uno come me vero? O forse i tuoi servetti a casa ti stanno aspettando per versare del tè alle tue bambole?” la stava sfidando, la stuzzicava, e evidentemente ci era riusciuto.
Victoria si alzò di scatto, si mise lo zainetto su una spalla e si avvicinò a lui. Una volta l’uno accanto all’altro, in direzione opposta, Victoria si fermò.
Non ho paura di nulla, specialmente di te.” disse allontanandosi in direzione dell’uscita.

     Ryder rimase immobile, colpito dalla sua tenacia. “Miao” sussurrò, e la seguì di corsa.
Usciti dal bus, si ritrovarono in un dei quartieri più malfamati di tutti Philadelphia, che allora veniva chiamato “la Topaia”. Poco lontano dalla fermata, un Diner, con un neon rosso sopra che diceva “Maggy Coffe Diner”.

     “Cosa vuoi fare per spaventarmi? Offrirmi la cena?” Victoria si rese conto che era abbastanza più bassa di Ryder, quando gli si avvicinò per prenderlo in giro.

     “Oh no, ho altro in mente, Vic” si avvicinò anche lui. Ormai pochi centimentri li separavano.

     “E sentiamo, dove si va?” la distanza tra i due si accorciò ancora di più.
Ryder allungò un angolo della bocca, la prese per mano e corsero dietro al Diner. Lì seguirono un sentiero che portava al parchetto del quartiere, un ammasso di vecchie giostre arrugginite e qualche panchina incendiata.

     ‘Oh, romantico’ pensò Victoria.

     Superarono le giostrine e arrivarono in un boschetto, nel mezzo del quale c’era un piccolo capanno, senza finestre e completamente in legno,  con un cartello con scritto ‘keep out’.

     “Wow, che villa” disse Victoria fingendo stupore.

     “Aspetta di entrare” Ryder si avvicinava alla capanna, e dopo aver tolto il lucchetto e aperto la porta, da vero gentleman, fece un cenno con la mano per far entrare Victoria.

     “Prima le signore”. Victoria era preoccupata, ma senza pensarci due volte entrò e accese la lampadina tirando una corda vicino alla porta. All’interno le pareti erano ricoperte da decine e decine di poster che ritraevano Elvis, una scrivania era sormontata da un centinaio di fogli e su un divano mezzo strappato era appoggiata una chitarra elettrica; di fronte, una vecchia sedia in legno, probabilmente trovata tra i rifiuti o qualcosa del genere.

     Victoria era meravigliata: era un posto bellissimo, anche se piccolo e sporco. Si avvicinò lentamente alla chitarra, osservandola ma senza toccarla, per paura di rovinarla: non ne aveva mai vista una dal vivo. Si spostò vicino alla scrivania, dove prese un paio di fogli in mano.
     C’erano un sacco di spartiti, accompagnati da qualche nota per il testo. Si voltò verso Ryder, che era appoggiato al bordo della porta.

     “Cosa sono?” chiese continuando a leggere altri fogli.

     “È Elvis, baby” disse chiudendosi la porta alle spalle. Si tolse la giacca, che butto sulla sedia, e si sedette sul divano, estraendo dalla tasta un pacco di sigarette e un accendino. Si infilò una sigaretta in bocca, e proprio mentre stava per accenderla si fermò. “Oh, giusto, voi nobili non sopportate il fumo” disse mentre rimetteva a posto l’accendino.
Victoria si girò con sguardo sorpreso, buttò i fogli sulla scrivania e si avvicinò a lui, sfilando una sigaretta dal pacchetto e strappandogli l’accendino dalle mani. Mise la sigaretta tra le labbra e accese l’accendino, quando notò che Ryder la stava guardando come se avesse visto la Madonna.

    Si tolse per un attimo la sigaretta dalla bocca. “Hey, non sono così disperata come pensi” disse riposizionando il filtro accendendo la sigaretta.

     “Lo vedo” disse compiaciuto Ryder, mentre la fissava accendersi la sigaretta, mordendosi il labbro inferiore.

     Victoria aspirò forte e buttò l’accendino a Ryder, che lo prese a fatica, concentrato com’era su di lei.

     Anche Ryder si accese la sigaretta, buttò la testa indietro, appoggiandosi al divano ed espirò lentamente.

     “Sai, mi è sempre piaciuto vedere che forma prende il fumo quando lo espiro piano” disse Victoria fissando Ryder che in maniera rilassata prendeva lunghi respiri dal filtro della sua sigaretta. Lui alzò la testa e spostò la chitarra sulla sedia. “Vedi come esce il mio, allora.” le disse facendole segno di sedersi. Si mise poco distante da lui, e aspetto che aspirasse. Ryder alzò la testa ed espirò lentamente, mentre forme in continuo movimento si formavano sopra di lui. Victoria era come incantata. Ma era il fumo che la incantava?

     Ryder abbassò lo sguardo e le sorrise soddisfatto. “Bello vero?” Victoria annuì.

    “Ora tocca a me!” Victoria aspirò forte dal filtro, alzò la testa come lui ed espiro molto molto lentamente. Riusciva solo a vedere degli intrecci fatti di fumo sopra il suo naso, sembravano ballare. Abbassò lo sguardo, e Rydel la fissava dritto negli occhi, come ammaliato.

     “Wow.” Disse mentre continuava a guardarla negli occhi nocciola.

     “Cosa?” Victoria sorrideva.

     “Uhm niente, niente, stavo pensando..” distolse lo sguardo dai suoi occhi, e guardò verso la scrivania. “Ah! Sì, ti va di ascoltare un po’ di

     Elvis?” Si alzò, e da sotto la scrivania tirò fuori un grammofono e una scatola piena zeppa di vinili. Ne uscì uno, lo mise sul grammofono e appoggiò la puntina al bordo. Era una canzone con un ritmo lento, ma romantico ma seducente allo stesso tempo. Ryder tornò a sedersi accanto a Victoria, appoggiandosi di nuovo in dietro ad occhi chiusi, muovendo la testa a ritmo della musica, si passò le mani ai lati della testa, mentre continuava ogni tanto a prendere lunghi respiri dalla sua sigaretta.

     “Sai, ehm non.. non ho mai ascoltato Elvis. Non mi è permesso”  disse Victoria, iniziando a sentirsi trasportata dalla musica.

     “Come, scusa? Non hai mai ascoltato una canzone di Elvis? Nemmeno una?” Ryder balzò in piedi, scioccato dalla sua affermazione. Spense la sigaretta in un posacenere improvvisato, e afferrò la chitarra dalla sedia.

      “Beh Vic, bisogna rimediare!”  Iniziò a suonare e cantare la canzone che aveva appena messo, eseguendola perfettamente come quella del vinile, imitando anche alcune mosse di Elvis.
Victoria lo osservò divertita mentre continuava ad aspirare dal suo filtro, rimanendo però continuamente folgorata dalle strabilianti capacità musicali di Ryder.
     Non appena ebbe finitò Victoria iniziò a battere lentamente le mani.

     “Ma allora qualcosa la sai fare per davvero” disse Victoria provocandolo.
Lui lasciò lentamente la chitarra sulla sedia, mentre si avvicinava a lei a passo lento, osservandola dritta negli occhi. Spense la sua sigaretta, le prese una mano, la fece alzare e la sbatte contro la porta: ormai erano vicinissimi, l’uno di fronte all’altra.

     “Beh, so fare anche un’altra cosa” disse fissandole le labbra, mentre lei se le mordeva.

     Victoria era imbarazzata, ma nello stesso tempo il desiderio la spingeva verso di lui, continuando a incrociare il suo sguardo così penetrante.
Ryder appoggiò la mano sulla sua guancia, accarezzandole il labbro inferiore con il pollice. Le mise una mano dietro la schiena, accarezzandola all’altezza dei fianchi.

     “Vic..” sussurrava il suo nome, sembrava volesse ipnotizzarla. E ci riuscì. Victoria non resistette più, lo tirò per la maglietta e lo baciò, lentamente, godendosi ogni singolo istante. Si sentiva così leggera in quel momento. Probabilmente tornata a casa si sarebbe beccata una sgridata dalla sua educatrice, dato che i genitori erano troppo distratti da notare che sua figlia non era tornata a casa in orario. In quel momento, però, aveva mandato tutto al diavolo.

     Quando si staccarono, rimasero nella stessa identica posizione, senza aprire gli occhi, per far durare quegli istanti all’infinito.
“Devo.. devo andare” riuscì a mala pena a sussurrare Victoria, mentre Ryder continuava ad accarezzarle il viso. Aveva aperto gli occhi, e fissata le sue labbra come se fossero l’ottava meraviglia del mondo.

     Ryder annuì, e si spostò per farla passare dietro di lui, rimanendo con la faccia rivolta verso la parete. Si scansò poco dopo, aprì la porta di fronte a lui. Victoria uscì, fece qualche passo e si voltò.

     Girò la giacca di pelle, appoggiandola sulle spalle. Ryder, allarmato, si girò, e vide che sulla sedia non c’era in effetti più traccia della sua giacca. Sorrise, soddisfatta. “Ci si vede in giro, tesoro”.

     Victoria si allontanò, camminando all’indietro per ancora qualche metro, mentre Ryder, appoggiato alla porta della sua capanna con le mani in tasca, la guardava come poche ore prima, la guardava attraverso il vetro di quel sudicio bus.
  
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