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Autore: LunaMag    18/06/2014    3 recensioni
Tratto dal primo capitolo.
"Non sopportavo l’idea di trovarmi tantissime persone dinanzi. In realtà non sopportavo l’idea che mi guardassero o parlassero. Ero arrabbiata con il mondo per la morte di mio padre, ma con i ragazzi della mia età più di tutti perché mi avevano sempre messa in ridicolo per i miei gusti musicali e per il modo in cui mi sono sempre vestita. "Sei troppo punk", "Sei una sfigata metallara" mi dicevano. ".
Onice senz'altro non poteva nemmeno lontanamente immaginare quello che le sarebbe accaduto...
Adolescenza, amori, tradimenti, divertimento. Tutto racchiuso in una semplice fanfiction. Buona lettura! :3
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: PWP, Tematiche delicate
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Ero su una spiaggia. La distesa di sabbia era enorme, il mare era mosso, e le onde sembravano voler picchiare con forza l’acqua. Il tempo si stava oscurando tutt’ad un tratto, era in arrivo una bufera. Una figura si stava avvicinando a me: era un uomo, con una chitarra elettrica, dei ricci foltissimi e il petto nudo. I pochi raggi di sole rimasti mi impedivano di guardare il suo volto, ma il suo stile era fin troppo riconoscibile: era Jimi Hendrix.  Lentamente aprì la bocca, e parlò:
“Onice, dai, non ti puoi addormentare mentre fai colazione!” 
Mi svegliai, perdendo la bellissima immagine che si era formata nella mia mente. Stropicciai un occhio, guardando in cagnesco mia madre. 
“Mamma, puoi morire male, stavo sognando Hendrix”. Mi guardò con un sorrisetto malizioso.
“Io devo andare a lavoro, puoi cucinare quel che vuoi, ma nel caso tu voglia comprare qualcosa i soldi sono sul mobile del salotto, ci vediamo stasera!” 
Continuai a masticare i cereali, immersa nel mio sogno ormai in frantumi. Mia madre mosse la mano davanti alla mia faccia.
"Oooohh, ci sei? Dai!"
“Va bene, ci si vede!” Lei mi sorrise, e mi lasciò un lieve bacio sulla fronte, poi prese due biscotti e se li portò verso la bocca, raccogliendo le chiavi che le erano cadute e uscendo velocemente di casa.
Stava iniziando un altro anno scolastico, il terzo per la precisione. Avevo delle buone prospettive, dato che avevo superato due anni particolarmente difficili dopo la morte di mio padre. Proprio per questo io e mia madre avevamo deciso di trasferirci, dato che troppi ricordi erano legati alla nostra vecchia casa. 
Tutto era tornato a girare, per fortuna, e anche il rapporto con mia madre andava a gonfie vele. 
Ciò che continuava ad andare storto era l’amicizia, dato che il mio odio verso tutti e la mia diffidenza mi bloccavano e non riuscivo mai a farmi dei veri amici, ma d’altronde non m’importava: l’aver risolto molti dei miei problemi mi faceva sentire già meglio. Ero rimasta sola prima, quindi sarei potuta sopravvivere ancora senza nessuno. 
La sveglia mi fece allontanare dai miei pensieri. Ne impostavo sempre una per ricordarmi di uscire in orario di casa. 
Indossai in fretta una camicia a quadrettoni rossi e neri, e le mie amate vans e uscii.
Avevo già visto dove si trovava la scuola, quindi non mi fu difficile raggiungerla. 
Il mio viso mostrava uno sguardo impassibile, e in realtà un po’ lo ero. Non sopportavo l’idea di trovarmi tantissime persone dinanzi. In realtà non sopportavo l’idea che mi guardassero o parlassero. Ero arrabbiata con il mondo per la morte di mio padre, ma con i ragazzi della mia età più di tutti perché mi avevano sempre messa in ridicolo per i miei gusti musicali e per il modo in cui mi sono sempre vestita. "Sei troppo punk", "Sei una sfigata metallara" mi dicevano.
Qualche settimana prima di partire qualcuno tentò di rallegrarmi dicendomi che la gente di Huntington Beach era molto cordiale, e io speravo con tutta me stessa che non fosse vero, perché l’ultima cosa che desideravo erano persone che sarebbero venute a presentarsi.
Sospirai e aprii il portone, entrando subito. C’era tantissima gente, e moltissime ragazze che indossavano vestiti fin troppo sgarcianti e corti per i miei gusti. Potevo cambiare vita, casa, scuola, ma non ero ancora riuscita a cambiare me stessa. Cercai di chiudermi il più possibile nelle mie stesse spalle, stringendo tra le braccia quei pochi quaderni che avevo portato. 
Nessuno sembrava essersi accorto di me, e quasi per riceverne una conferma, un ragazzo non mi vide, rischiando di cadere a causa mia. Lo guardai arrabbiata, lui si girò spaesato, mostrandomi i suoi bellissimi occhi color cioccolata...o per meglio dire, color nocciola. Si, senz'altro erano color nocciola. Ci perdemmo di vista e in fretta mi diressi verso la presidenza.
Nell’altra scuola ero stata etichettata come “la sfigata”, dato che ero una ragazza diversa, infatti c'erano solo ragazze piene di sé e fin troppo oche per i miei gusti. Quindi essere invisibile non mi dispiaceva affatto, era sempre meglio dell’etichetta che avevo avuto per due lunghi anni. 
Non appena arrivai dinanzi alla porta, suonò la campanella che segnava l’inizio della prima ora. La segretaria mi fece subito entrare.
“Su su piccola, sei in ritardo, la preside ti sta aspettando!” Mi toccò la spalla infondendomi tranquillità.
Bussai.
“Prego.” Sentii dall’altra parte della porta. Entrai senza esitare. 
“Ooooh, Onice, finalmente sei arrivata. Stai facendo tardi il tuo primo giorno di scuola! Seguimi, e tieni questo foglietto, ci sono gli orari e le aule per le materie che stai seguendo.” Mi porse il foglietto e la ringraziai gentilmente. 
Carry era la preside della mia nuova scuola. Era un po’ grassottella, vestita sempre in modo elegante ed impeccabile.  Aveva un’acconciatura un po’ stravagante, ma alla fine era una donna molto gentile. 
La seguii, e mi portò dinanzi ad un aula con su scritto a caratteri cubitari ‘Matematica’. 
Oh perfetto, avrei iniziato la giornata con una delle materie obbligatorie che più odiavo. 
Carry bussò alla porta. “Prof Smith, potrebbe uscire un secondo?” 
Il professor Smith era un tipico insegnante di matematica: sulla sessantina, capelli bianchi (per quei pochi che gli erano rimasti), viso severo e serio e labbra sottili. Soliti pantaloni marroni e una camicia bianca. Nulla di speciale, in poche parole.
“Lei è la nuova arrivata. Si chiama Onice Horlot. La lascio nelle sue mani.” Carry se ne andò, sorridendomi per darmi fiducia, e il porf. Smith tentò di sorridermi, incutendomi un sentimento misto tra terrore e ribrezzo.
Entrammo. 
“Bene ragazzi, questa è la vostra nuova compagna la signorina Harlot”. Ma che cosa stava dicendo? Tutti ridacchiarono sotto i baffi, e io volevo solo nascondermi.
“Horlot, mi chiamo Onice Horlot.” Lo ripresi severamente e trafiggendolo con gli occhi. 
“Oh si, scusate ragazzi. Horlot si chiama Horlot.” 
Ormai il danno era fatto: tutti avevano gli occhi puntati su di me, e non riuscivo a scollarli. Cercai disperatamente con gli occhi un posto, che per fortuna trovai quasi subito. Era in fondo alla sala, quasi all’angolino, il posto più nascosto di tutti.
Passai disinvolta tra i banchi, raggiungendo la mia postazione e sedendomi.  Tutti continuavano a guardarmi, ma per fortuna, qualche minuto dopo, tutti iniziarono a guardare punti indefiniti della stanza. Tutto merito della noia mortale che stava causando il signor Smith.
A questo punto decisi di guardare un pò le persone che c'erano in quella stanza. Ero nell'ultima fila, quindi potevo dare solo uno sguardo approssimativo. 
C'erano dei ragazzi che parlavano, altri che ascoltavano musica, altri ancora che vedevano un film con il cellulare. E poi c'era quel ragazzo con cui mi ero scontrata, che posava di continuo i suoi occhi nocciola nei miei, che sono sempre stati cristallini, come il ghiaccio. 
Cercai di osservare meglio quel ragazzo: aveva i capelli non troppo corti, che gli ricadevano dolcemente sulla fronte, un orecchino a forma di cerchio, un helix, e dei lievi tratti di barba. Indossava una semplice t- shirt e dei pantaloni neri non attillati. 
Nel complesso non sembrava male. Ci guardammo di nuovo,e lui alzò un sopracciglio, mettendo in mostra uno strano sorrisino, e io, per fargli capire sin da subito i miei modi di fare, gli alzai il dito medio, accompagnato da un sorrisino beffardo. Lui mi guardò in modo strano, poi sorrise, girandosi verso due ragazzi con cui stava parlando già da un pò. Poi soddisfatta, mi girai e presi il mio i-pod, che mi permise di ascoltare un pò di musica in santa pace. 


Ormai mancavano pochi minuti al suono della campanella, così decisi di vedere quale altra materia mi aspettava, scoprendo con noia che ne avevo un'altra di matematica. Il sig. Smith ora stava parlando della sua famiglia, ma non riuscivo proprio a capire cosa c'entrasse con la matematica. Sentii la campanella suonare. 
"Ragazzi, ora vi lascio quindici minuti di pausa, devo andare un attimo in presidenza." Tutti tirarono un sospiro di sollievo. Almeno avevamo un pò tempo per scacciare via la noia. 
"mi raccomando non uscite, altrimenti vi chiudo nella stanza." Ci guardò puntandoci un dito contro, poi chiuse la porta dietro le sue spalle, facendo tremare leggermente il vetro sottile. 
Molti si alzarono, raggiungendo così i loro compagni. 
Vidi il ragazzo dagli occhi nocciola venire verso di me, anche se speravo con tutta me stessa che non fosse così. 
Si fermò proprio davanti a me, poggiando la mano sul mio banco. E prendendo il mio ipod ancora acceso.
"Uhm...Walk dei Pantera. Hai buoni gusti." Mi guardò dritta negli occhi, poi riprese: 
"Sai, guardandoti ti immagino un pò Pantera,specialmente a letto. Che ne dici di darmi il tuo numero?" 
No, non poteva essere davvero così squallido. 
"Sono così pantera che il tuo piccolo pisellino non reggerebbe, quindi smamma." 
"Uo uo uo, tu non sai con chi stai parlando. Io sono quello migliore sotto questo punto di vista". Si avvicinò pericolosamente a me. Il suo odore era strano, sembrava quasi odore di Lime, era unito a quello inconfondibile delle mie amate Marlboro Rosse. Sentii una strana sensazione, e quasi per scacciarla deglutii.
"Non sò chi sei perchè non ti sei nemmeno presentato, genio." Lui tornò al suo posto, grattandosi dietro la testa e assumendo un'espressione da bambino, sembrava quasi tenero, e riuscì a farmi sciogliere un pò, così accennai un piccolo sorriso.
"Oh, si è vero, scusami. Mi chiamo Brian Haner, piacere." 
Mi porse la mano, ma io rimasi ferma. 
"Io sono Onice, ma questo già lo sai." Gli dissi quasi ironica.
Lui ritrasse la mano, e si poteva notare lontano chilometri il disagio che gli aveva causato il fatto che non gliel'avessi stretta.
Per fortuna, una ragazza si avvicinò a me e Brian. 
"Brian, cazzo, ma sei sempre il solito! Lasciala in pace, e torna dagli altri!" 
Lui la guardò con fare interrogativo. 
"Haner hai sentito che cazzo ho detto? SMAMMA." 
Bene, questa ragazza già mi piaceva. Aveva i capelli corti da un lato, lunghi dall'altro e con le punte verde acceso. Indossava un collarino borchiato molto simile al mio, e anche per quanto riguarda i vestiti eravamo molto simili. Indossava una maglia a righe, dei pantaloni neri, che coincidenza, avevo anche io, e delle vans.
Mi guardò: 
"Lascialo perdere, è un deficente. Crede di essere il ragazzo più bello di tutti!".
"Tranquilla, non fa niente." Mi sorrise ancora una volta.
"Vado da lui, che sono certa mi vorrà uccidere, se ti và qualsiasi cosa basta chiedere!" Le sorrisi.
"Grazie mille".
"Ah comunque io sono Mars. A presto, spero!" Disse mentre si allontanava.
Va bene, quella ragazza mi stava davvero simpatica. Aveva capito che non volevo nessuno che mi rompesse e ha cacciato quel Brian. Poi se n'è subito andata evitando preamboli. Stavo iniziando a valutare l'ipotesi che saremmo potute diventare ottime amiche. In più aveva uno stile a dir poco bellissimo.
Mentre Brian continuava a lanciarmi occhiatine, arrivo il prof. Smith, per un'altra ora di estenuante e noiosa lezione. 






Bene bene, eccomi qui, come promesso, con un'altra fanfiction :3 
(Che ho scritto per non deprimermi dopo aver letto la scaletta del concerto di domani a cui io non andrò ç.ç Ma l'avete vista?? IMPLODO. è spettacolora ç.ç) 
Tornando a noi...Che ne pensate? :3 
Sono ansiosa di sentire vostre considerazioni :3
A presto c: 

  
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