Ma questa è un’altra storia,
e si dovrà raccontare un’altra volta.
A reader lives a thousand lives before he dies.
All’inizio
era solo una pioggerellina sottile, ma non ci era voluto molto al freddo di
gennaio per mescolare l’acqua con la neve.
Bran aveva mezzo
bestemmiato, bloccato lì alla fermata dell’autobus, perché se c’era una cosa
che detestava era il trascinarsi appresso quella maledetta cosa col maltempo. La debita mancanza di un ombrello non era
nemmeno il peggiore dei mali. Era tutto l’insieme
– lui nel bel mezzo della pioggia, o della neve, o della grandine o di quel che
diavolo fosse, immobile anche quando si muoveva, ineluttabilmente immobile su
quell’odioso affare di metallo che i passanti occasionali si voltavano a
guardare un po’ con curiosità, un po’ con pena evidente. E il fatto che l’unico
autobus specializzato per il trasporto delle sedie a rotelle fosse in ritardo
di quaranta minuti buoni implicava che a quell’ora in quel punto della strada
non ci fosse nessuno, certo, ma era
una seccatura lo stesso.
Si
era mosso automaticamente, per portarsi al riparo sotto un cornicione
qualsiasi, accompagnando a ogni cigolio delle ruote un’imprecazione rivolta
agli zii. Proprio oggi dovevano chiamare Sansa perché badasse al moccioso. Qualche
volta Bran si permetteva di essere egoista – da quando
il papà, la mamma e Robb erano morti, Sansa si era
presa sulle spalle tutti loro, lui, Arya, Rickon, ma non avrebbe mai potuto farcela senza quel «lavoretto
part-time» a casa degli zii Arryn; capitava spesso
però che quel suo «lavoretto part-time» la lasciasse in condizione di dover trascurare
qualcosa, come quando si era dimenticata della terza rata delle lezioni di
scherma di Arya, guadagnandosi il suo odio eterno, o
come oggi aveva risposto al suo monocorde annuncio telefonico del ritardo del
bus con voce indaffarata e quasi rotta dalle lacrime. «Non ce la faccio, Bran, non ce la faccio
davvero.» Lui sapeva che era sincera, in tutti i sensi – ma era lui quello su una sedia a rotelle, era lui quello che l’incidente aveva
spezzato senza uccidere, e allora sì, qualche volta si permetteva di essere
egoista.
Non
gli piaceva rimuginarci su, ma d’altro canto non c’era molto altro che potesse
fare, mentre se ne stava lì sulla sua sedia a fissare la banchina vuota dall’altra
parte della strada, bianca di nevischio.
Si
riscosse quando una porta alla sua destra si spalancò forte e una figura
avvolta in un impermeabile marrone – ma forse era più un verde rospo – piroettò
al suo fianco salutando qualcuno all’interno. Bran si
ritrasse appena sulla sedia, d’istinto, solo per accorgersi che la figura era
una ragazza che si muoveva velocissima.
«Oh,
scusa. Ti ho spaventato?»
Bran serrò le labbra,
cercando di non fissarla. Non ci riuscì. La ragazza, che poteva avere solo cinque
o sei anni più di lui, lo guardava dritto in viso, senza riserve e senza dar
segno di accorgersi della sedia che certo avrebbe attratto magneticamente lo
sguardo di chiunque.
Non
trovò replica migliore di un rapido e secco cenno di diniego del capo. Lei
parve rilassarsi, si sistemò i riccioli scuri dietro un orecchio e si allontanò
salutandolo con la mano, come se si conoscessero da secoli, ancora una volta
senza abbassare mai lo sguardo sulle sue gambe. E Bran
rimase a fissarla, un po’ stordito. Non era abituato a incontri del genere. Ad essere
precisi non era più abituato agli incontri e
basta – di nuovo, gli venne in mente che a quell’ora avrebbe dovuto essere
su un fottuto autobus per handicappati diretto difilato a casa, ben lontano
dagli occhi del mondo.
La
ragazza trotterellava ancora con passo veloce giù per la strada quando Bran, più per caso che per vera curiosità, si voltò a
guardare l’insegna incisa sulla porta da cui era sbucata.
Non
era molto grande. Più che altro uno stanzone, niente di che. Ma c’era nell’aria
quel profumo inconfondibile, quell’odore che solo chi di libri ne ha sfogliati
tanti, imparando a distinguere il vecchio dal nuovo, la carta assassina da
quella riciclata, sa riconoscere – le pagine vissute.
Per
un attimo restò semplicemente sulla soglia a guardarsi intorno, ancora
incredulo di averlo fatto davvero. Non entrava in una biblioteca da... be’, da
un sacco di tempo, poco ma sicuro. Da prima dell’incidente, da una vita e mezza
fa – quando insomma andava in biblioteca solo per studiare, senza poter
immaginare quanto quei confronti con le parole scritte fossero destinati a
diventare gli unici che, un giorno, gli sarebbero riusciti sopportabili.
Era
la vecchia tata a leggere per lui quand’era bambino, ma anche la vecchia tata
era morta, alla fine...
«Ciao.»
Sussultò
per la seconda volta nell’arco di pochi minuti, ma stavolta avrebbe dovuto
aspettarselo: seduto a un bancone sulla parete di fronte alla porta c’era un
ragazzo che leggeva quello che sembrava un libro horror. Bran
non riuscì a distinguerne il titolo da quella distanza. Fu più che mai
consapevole delle proprie gambe esposte, ma anche il ragazzo che leggeva –
proprio come la ragazza che correva – non dava il minimo segno di aver notato
di non star parlando con un interlocutore eretto sui due piedi.
Aprì
la bocca per dire qualcosa, poi ci ripensò. Con una scrollata di spalle manovrò
la sedia a rotelle in modo da risalire piano uno dei due corridoi laterali,
gettando sguardi fondamentalmente distratti agli scaffali – aveva pronto tra i
denti un «No grazie, non ho bisogno di
aiuto», ma il ragazzo della biblioteca non gliel’aveva offerto e non
sembrava nemmeno che intendesse farlo.
Buffo,
più che strano.
Era
finito suo malgrado nella sezione fantasy. C’era stato un tempo in cui aveva
amato quelle storie, ma quel tempo era stato prima di crescere e rendersi conto che la magia non esisteva, che
niente al mondo poteva ridarti due gambe capaci di correre. Continuò a vagliare
titoli per pura inerzia, muovendosi in avanti di tanto in tanto, sentendosi per
tutto il tempo addosso la sensazione dello sguardo del ragazzo al banco – ma poi,
ogni volta che fingeva di guardare altrove e cercava di sorprenderlo, il
ragazzo era puntualmente immerso nel suo libro.
Alternando
così la sua attenzione tra il bancone e gli scaffali, Bran
si prese tutto il tempo di studiarlo. Aveva un po’ l’aria dello sfigato, con
quel maglione verde informe e il colletto della camicia a quadri che ne
spuntava, eppure la sua espressione era così concentrata e composta che la
prima impressione sfumava subito nel rispetto. Ok, be’, forse rispetto era una parola grossa. Ma sembrava
più grande dell’età che doveva avere... Sembrava un adulto, però magari era
solo per via di ciò che stava leggendo. Ci sono dei libri che ti fanno un po’
quell’effetto, giusto?
Il
ragazzo voltò pagina e Bran puntò gli occhi sulle
scaffalature, un po’ troppo in fretta forse. Non osò sbirciarlo per constatare
se si fosse accorto di essere osservato. Non era più accaduto che non fosse lui a sentirsi esaminato da uno
sconosciuto, e anche questo era buffo, più che strano.
Quando
la vista delle solite, ormai scontate saghe e trilogie costruite su omini pelosi
e impauriti che salvavano il mondo e su bambini che attraversavano gli armadi e
si alleavano con leoni parlanti – fossero stati almeno lupi, sarebbe stato
molto più figo – gli fu diventata intollerabile, aveva già raggiunto la fine
del corridoio, quasi in un punto d’intersezione con il banco. Guardò ancora una
volta verso il ragazzo e stavolta lo fece apertamente, indugiando a lungo sulla
sua figura infagottata, quasi forzandolo a sentire
la fissità del suo sguardo e alzare il suo e bombardarlo di domande e cercare
di rendersi utile. Ma quello non si mosse.
«Cosa
stai leggendo?»
Non
aveva programmato di parlargli e non si aspettava neppure che la voce gli
uscisse così animosa, ma d’altro canto queste non erano le prime cose
inaspettate del pomeriggio...
Il
ragazzo non lo guardò ancora; sollevò soltanto il libro perché Bran potesse vedere meglio la copertina. «È il quinto
volume di una serie. Piuttosto recente.»
«Cos’è,
lo metti alla prova prima di prestarlo?»
«Sì,
può darsi.» Gli angoli delle sue labbra si erano incurvati appena all’insù, ma,
a parte quell’accenno di reazione, non sembrava intenzionato ad aggiungere
altro.
Bran studiò la copertina
del tomo a occhi socchiusi, senza avvicinarsi. «Di cosa parla?»
«Mh...» Quasi impercettibilmente il libro si abbassò fino al
banco, dove restò a riposare sul dorso mentre Bran si
accorgeva che gli occhi del ragazzo erano verdi e sembravano lontani, molto più
lontani che nei termini della semplice distanza fisica. Fu un attimo prima di realizzare
che avevano infine accettato di incontrare i suoi. «Di tante cose, ma
soprattutto di una guerra. Molte famiglie in lotta, molti personaggi segnati. La
guerra non è un’ombra che lasci intoccata la luce. Ma penso che la chiave di
tutto sia nelle mani di un ragazzino speciale.» Sorrise. Anche il suo modo di
parlare e di sorridere era adulto. «Almeno, voglio sperarlo.»
Bran arricciò il naso. «Sembra
più fantasy che horror.»
Il
ragazzo accennò alla tinta scura, al disegno intricato e minaccioso che fin
dalla soglia aveva attratto l’attenzione di Bran. «Ti
riferisci a questa? I libri non si giudicano dalla copertina.»
«Sì,
lo so» sbuffò lui. «Lo dicono tutti.»
«Bene.
Saperlo e crederci sono comunque due cose molto diverse.»
A
dispetto di quel che Bran si era aspettato, il
ragazzo non riprese a leggere. Continuò a guardarlo, sempre in viso, mai nella
sua storpiatura. Passò qualche istante prima che parlasse di nuovo.
«Ti
interessa?»
Bran serrò le labbra e non
trovò replica migliore di un rapido e secco cenno di assenso del capo.
Erano
cinque libroni pesanti. Se li sistemò sulle ginocchia e attese che il ragazzo
finisse di registrare il prestito – doveva essere una biblioteca molto vecchia:
non c’era nessun computer e tutto andava fatto a mano. In qualche modo però
sembrava il posto giusto per il ragazzo. Bran si
chiese come mai non avesse mai notato La
Torre delle Acque Grigie prima di oggi... Probabilmente era sempre stato
troppo intento e rabbioso nella sua attesa quotidiana dell’autobus, rifletté. Per
qualche motivo, quel pensiero gli portò una curiosa sensazione di imbarazzo.
«Questo
è per te» disse il ragazzo allontanandosi dal banco per la prima volta – era
alto e allampanato, quasi spariva dentro quel suo maglione. Lo raggiunse e gli
consegnò un abbonamento alla biblioteca. «Sono tutti tuoi.»
Bran tese una mano verso
la tessera; nello stesso istante sentì vibrare il telefono. Portò
automaticamente l’altra mano alla tasca in cui l’aveva sprofondato dopo la
breve conversazione con Sansa. I libri scivolarono in avanti. Fu il ragazzo a
evitare che cadessero, e sul morire del movimento la sua mano libera avvolse il
ginocchio di Bran, che s’irrigidì – quelle gambe, le sue gambe inesistenti, erano
appena diventate una presenza tangibile nella parentesi di un momento in cui
per una volta non avevano avuto alcuna importanza. Dio, era stato davvero così
facile dimenticarsene?...
Il
ragazzo, dal canto suo, non cambiò espressione. Così da vicino non era poi
tanto pallido com’era sembrato finora. Continuò soltanto a tendergli la tessera,
guardandolo senza una vera espressione. Solo quando Bran
riuscì a stringerla tra le dita malferme, la sua mano si allontanò dal suo
ginocchio, ma passò ancora un mezzo secondo prima che gli spazi personali si
ristabilissero nel giusto ordine.
«Li...
Li riporto indietro presto.»
Nemmeno
ora aveva pianificato di parlare. Ma quando lo vide sorridere non si pentì di
averlo fatto. C’era qualcosa di stranamente familiare, in quel sorriso fermo e
adulto...
«Hai
tutto il tempo che vuoi. Ti aspetto qui.»
The man who never reads lives only one.
Lo
osservò non visto da questa parte del vetro smerigliato della porta; di nuovo
alla fermata dell’autobus, con i libri ben stretti sulle ginocchia, tra le mani
un sms che certo gli diceva che sua sorella – la più grande, quella dai lunghi
capelli rossi – sarebbe arrivata presto, e stavolta incurante del nevischio che
in quei pochi minuti era diventato neve vera.
Sorrideva,
a guardare con attenzione.
Jojen si chiese se non
avesse dovuto dirgli, prima di lasciarlo andare o magari piuttosto la prossima
volta, che una notte l’aveva sognato e che sempre da allora aveva sognato di
salvarlo.
Spazio dell’autrice
Io
non ho la minima idea di – no, aspettate, non è vero. Ce l’ho. La verità è che,
trovando inaccettabile la netta interruzione di ispirazione su questi due dovuta
ai geniali (?) D&D, ho deciso di buttarmi sull’AU. Sì, su Game of Thrones.
Sì, su una di quelle storie delle quali non rinnegherei mai e poi mai il
contesto originale.
Certo,
beh, non mi aspettavo di farlo così presto. X’D
Allora,
mi sembra tutto molto semplice... Ho immaginato un primo incontro Jojen/Bran adattato ai giorni
nostri, e ho cercato di rendere un background credibile per Bran,
che qui è sulla sedia a rotelle perché la prima vera ispirazione me l’ha data
questa dolcissima fanart. (A proposito, il non meglio
specificato incidente che ho scelto di menzionare soltanto è lo stesso che ha
ucciso Ned, Cat e Robb – con tutta la buona volontà non ho potuto star lì a immaginare tradimenti su tradimenti, non
sono sadica quanto Martin. ;__;) La ragazza che appare in un breve cameo è Meera, naturalmente (apparizione doverosa perché sono tanto
tanto affascinata anche dal rapporto Bran/Meera, anche se più nei libri che nella serie tv), mentre i
riferimenti che ho piazzato qua e là, oltre quelli al vero universo di Westeros che non vi elenco perché sono pigra e mi
aspetto che li riconosciate da soli XD, si riallacciano anche ai fantasy
immortali Il signore degli Anelli e Le cronache di Narnia.
La saga che Jojen suggerisce a Bran
vuole essere un riferimento alle stesse Cronache
del ghiaccio e del fuoco, ma è una cosa del tutto soggettiva perché mi
rendo conto che l’autocitazionismo in un’AU può
essere strano forte. XD
Il titolo è una
frase ricorrente ne La Storia Infinita
di Michael Ende (♥), mentre
la citazione spezzettata in incipit e chiusura appartiene allo stesso Jojen Reed.
Un
appunto sul finale: se era relativamente facile costruire un background per Bran, non sarebbe stato altrettanto realistico riportare
pari pari la Vista di Jojen.
Potete interpretarlo a vostro piacimento; il suo può esser stato un sogno
letterale, ma può anche esser stato un Sogno dell’Oltre, perché in fondo
credere al potere rivelatore dei sogni è a nostra libera discrezione, giusto? :)
Infine
un’altra cosa. Confesso che mi piacerebbe rendere questa shot
l’esordio di una raccolta – non necessariamente SOLTANTO Jojen/Bran; la mia idea era anzi di spaziare tra varie ship in AU, ma il periodo mi fa convergere puntualmente su
questi due e sono certa che ormai abbiate capito il perché u///ù – ma non vi
nascondo che l’ispirazione in questo senso è per me una ballerina, per cui si
vedrà. Intanto, spero che questo esperimento non vi faccia troppo schifo. :3
Alla
prossima,
Aya
~