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Autore: Feel Good Inc    18/06/2014    3 recensioni
Bran arricciò il naso. «Sembra più fantasy che horror.»
Il ragazzo accennò alla tinta scura, al disegno intricato e minaccioso che fin dalla soglia aveva attratto l’attenzione di Bran. «Ti riferisci a questa? I libri non si giudicano dalla copertina.»
«Sì, lo so» sbuffò lui. «Lo dicono tutti.»
«Bene. Saperlo e crederci sono comunque due cose molto diverse.»

Jojen/Bran | AU: modernverse | basically hurt/comfort
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bran Stark, Jojen Reed, Meera Reed
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ma questa è un’altra storia,

e si dovrà raccontare un’altra volta.

 

 

 

 

 

A reader lives a thousand lives before he dies.

 

 

 

All’inizio era solo una pioggerellina sottile, ma non ci era voluto molto al freddo di gennaio per mescolare l’acqua con la neve.

Bran aveva mezzo bestemmiato, bloccato lì alla fermata dell’autobus, perché se c’era una cosa che detestava era il trascinarsi appresso quella maledetta cosa col maltempo. La debita mancanza di un ombrello non era nemmeno il peggiore dei mali. Era tutto l’insieme – lui nel bel mezzo della pioggia, o della neve, o della grandine o di quel che diavolo fosse, immobile anche quando si muoveva, ineluttabilmente immobile su quell’odioso affare di metallo che i passanti occasionali si voltavano a guardare un po’ con curiosità, un po’ con pena evidente. E il fatto che l’unico autobus specializzato per il trasporto delle sedie a rotelle fosse in ritardo di quaranta minuti buoni implicava che a quell’ora in quel punto della strada non ci fosse nessuno, certo, ma era una seccatura lo stesso.

Si era mosso automaticamente, per portarsi al riparo sotto un cornicione qualsiasi, accompagnando a ogni cigolio delle ruote un’imprecazione rivolta agli zii. Proprio oggi dovevano chiamare Sansa perché badasse al moccioso. Qualche volta Bran si permetteva di essere egoista – da quando il papà, la mamma e Robb erano morti, Sansa si era presa sulle spalle tutti loro, lui, Arya, Rickon, ma non avrebbe mai potuto farcela senza quel «lavoretto part-time» a casa degli zii Arryn; capitava spesso però che quel suo «lavoretto part-time» la lasciasse in condizione di dover trascurare qualcosa, come quando si era dimenticata della terza rata delle lezioni di scherma di Arya, guadagnandosi il suo odio eterno, o come oggi aveva risposto al suo monocorde annuncio telefonico del ritardo del bus con voce indaffarata e quasi rotta dalle lacrime. «Non ce la faccio, Bran, non ce la faccio davvero.» Lui sapeva che era sincera, in tutti i sensi – ma era lui quello su una sedia a rotelle, era lui quello che l’incidente aveva spezzato senza uccidere, e allora sì, qualche volta si permetteva di essere egoista.

Non gli piaceva rimuginarci su, ma d’altro canto non c’era molto altro che potesse fare, mentre se ne stava lì sulla sua sedia a fissare la banchina vuota dall’altra parte della strada, bianca di nevischio.

Si riscosse quando una porta alla sua destra si spalancò forte e una figura avvolta in un impermeabile marrone – ma forse era più un verde rospo – piroettò al suo fianco salutando qualcuno all’interno. Bran si ritrasse appena sulla sedia, d’istinto, solo per accorgersi che la figura era una ragazza che si muoveva velocissima.

«Oh, scusa. Ti ho spaventato?»

Bran serrò le labbra, cercando di non fissarla. Non ci riuscì. La ragazza, che poteva avere solo cinque o sei anni più di lui, lo guardava dritto in viso, senza riserve e senza dar segno di accorgersi della sedia che certo avrebbe attratto magneticamente lo sguardo di chiunque.

Non trovò replica migliore di un rapido e secco cenno di diniego del capo. Lei parve rilassarsi, si sistemò i riccioli scuri dietro un orecchio e si allontanò salutandolo con la mano, come se si conoscessero da secoli, ancora una volta senza abbassare mai lo sguardo sulle sue gambe. E Bran rimase a fissarla, un po’ stordito. Non era abituato a incontri del genere. Ad essere precisi non era più abituato agli incontri e basta – di nuovo, gli venne in mente che a quell’ora avrebbe dovuto essere su un fottuto autobus per handicappati diretto difilato a casa, ben lontano dagli occhi del mondo.

La ragazza trotterellava ancora con passo veloce giù per la strada quando Bran, più per caso che per vera curiosità, si voltò a guardare l’insegna incisa sulla porta da cui era sbucata.

 

 

Non era molto grande. Più che altro uno stanzone, niente di che. Ma c’era nell’aria quel profumo inconfondibile, quell’odore che solo chi di libri ne ha sfogliati tanti, imparando a distinguere il vecchio dal nuovo, la carta assassina da quella riciclata, sa riconoscere – le pagine vissute.

Per un attimo restò semplicemente sulla soglia a guardarsi intorno, ancora incredulo di averlo fatto davvero. Non entrava in una biblioteca da... be’, da un sacco di tempo, poco ma sicuro. Da prima dell’incidente, da una vita e mezza fa – quando insomma andava in biblioteca solo per studiare, senza poter immaginare quanto quei confronti con le parole scritte fossero destinati a diventare gli unici che, un giorno, gli sarebbero riusciti sopportabili.

Era la vecchia tata a leggere per lui quand’era bambino, ma anche la vecchia tata era morta, alla fine...

«Ciao.»

Sussultò per la seconda volta nell’arco di pochi minuti, ma stavolta avrebbe dovuto aspettarselo: seduto a un bancone sulla parete di fronte alla porta c’era un ragazzo che leggeva quello che sembrava un libro horror. Bran non riuscì a distinguerne il titolo da quella distanza. Fu più che mai consapevole delle proprie gambe esposte, ma anche il ragazzo che leggeva – proprio come la ragazza che correva – non dava il minimo segno di aver notato di non star parlando con un interlocutore eretto sui due piedi.

Aprì la bocca per dire qualcosa, poi ci ripensò. Con una scrollata di spalle manovrò la sedia a rotelle in modo da risalire piano uno dei due corridoi laterali, gettando sguardi fondamentalmente distratti agli scaffali – aveva pronto tra i denti un «No grazie, non ho bisogno di aiuto», ma il ragazzo della biblioteca non gliel’aveva offerto e non sembrava nemmeno che intendesse farlo.

Buffo, più che strano.

Era finito suo malgrado nella sezione fantasy. C’era stato un tempo in cui aveva amato quelle storie, ma quel tempo era stato prima di crescere e rendersi conto che la magia non esisteva, che niente al mondo poteva ridarti due gambe capaci di correre. Continuò a vagliare titoli per pura inerzia, muovendosi in avanti di tanto in tanto, sentendosi per tutto il tempo addosso la sensazione dello sguardo del ragazzo al banco – ma poi, ogni volta che fingeva di guardare altrove e cercava di sorprenderlo, il ragazzo era puntualmente immerso nel suo libro.

Alternando così la sua attenzione tra il bancone e gli scaffali, Bran si prese tutto il tempo di studiarlo. Aveva un po’ l’aria dello sfigato, con quel maglione verde informe e il colletto della camicia a quadri che ne spuntava, eppure la sua espressione era così concentrata e composta che la prima impressione sfumava subito nel rispetto. Ok, be’, forse rispetto era una parola grossa. Ma sembrava più grande dell’età che doveva avere... Sembrava un adulto, però magari era solo per via di ciò che stava leggendo. Ci sono dei libri che ti fanno un po’ quell’effetto,  giusto?

Il ragazzo voltò pagina e Bran puntò gli occhi sulle scaffalature, un po’ troppo in fretta forse. Non osò sbirciarlo per constatare se si fosse accorto di essere osservato. Non era più accaduto che non fosse lui a sentirsi esaminato da uno sconosciuto, e anche questo era buffo, più che strano.

Quando la vista delle solite, ormai scontate saghe e trilogie costruite su omini pelosi e impauriti che salvavano il mondo e su bambini che attraversavano gli armadi e si alleavano con leoni parlanti – fossero stati almeno lupi, sarebbe stato molto più figo – gli fu diventata intollerabile, aveva già raggiunto la fine del corridoio, quasi in un punto d’intersezione con il banco. Guardò ancora una volta verso il ragazzo e stavolta lo fece apertamente, indugiando a lungo sulla sua figura infagottata, quasi forzandolo a sentire la fissità del suo sguardo e alzare il suo e bombardarlo di domande e cercare di rendersi utile. Ma quello non si mosse.

«Cosa stai leggendo?»

Non aveva programmato di parlargli e non si aspettava neppure che la voce gli uscisse così animosa, ma d’altro canto queste non erano le prime cose inaspettate del pomeriggio...

Il ragazzo non lo guardò ancora; sollevò soltanto il libro perché Bran potesse vedere meglio la copertina. «È il quinto volume di una serie. Piuttosto recente.»

«Cos’è, lo metti alla prova prima di prestarlo?»

«Sì, può darsi.» Gli angoli delle sue labbra si erano incurvati appena all’insù, ma, a parte quell’accenno di reazione, non sembrava intenzionato ad aggiungere altro.

Bran studiò la copertina del tomo a occhi socchiusi, senza avvicinarsi. «Di cosa parla?»

«Mh...» Quasi impercettibilmente il libro si abbassò fino al banco, dove restò a riposare sul dorso mentre Bran si accorgeva che gli occhi del ragazzo erano verdi e sembravano lontani, molto più lontani che nei termini della semplice distanza fisica. Fu un attimo prima di realizzare che avevano infine accettato di incontrare i suoi. «Di tante cose, ma soprattutto di una guerra. Molte famiglie in lotta, molti personaggi segnati. La guerra non è un’ombra che lasci intoccata la luce. Ma penso che la chiave di tutto sia nelle mani di un ragazzino speciale.» Sorrise. Anche il suo modo di parlare e di sorridere era adulto. «Almeno, voglio sperarlo.»

Bran arricciò il naso. «Sembra più fantasy che horror.»

Il ragazzo accennò alla tinta scura, al disegno intricato e minaccioso che fin dalla soglia aveva attratto l’attenzione di Bran. «Ti riferisci a questa? I libri non si giudicano dalla copertina.»

«Sì, lo so» sbuffò lui. «Lo dicono tutti.»

«Bene. Saperlo e crederci sono comunque due cose molto diverse.»

A dispetto di quel che Bran si era aspettato, il ragazzo non riprese a leggere. Continuò a guardarlo, sempre in viso, mai nella sua storpiatura. Passò qualche istante prima che parlasse di nuovo.

«Ti interessa?»

Bran serrò le labbra e non trovò replica migliore di un rapido e secco cenno di assenso del capo.

 

 

Erano cinque libroni pesanti. Se li sistemò sulle ginocchia e attese che il ragazzo finisse di registrare il prestito – doveva essere una biblioteca molto vecchia: non c’era nessun computer e tutto andava fatto a mano. In qualche modo però sembrava il posto giusto per il ragazzo. Bran si chiese come mai non avesse mai notato La Torre delle Acque Grigie prima di oggi... Probabilmente era sempre stato troppo intento e rabbioso nella sua attesa quotidiana dell’autobus, rifletté. Per qualche motivo, quel pensiero gli portò una curiosa sensazione di imbarazzo.

«Questo è per te» disse il ragazzo allontanandosi dal banco per la prima volta – era alto e allampanato, quasi spariva dentro quel suo maglione. Lo raggiunse e gli consegnò un abbonamento alla biblioteca. «Sono tutti tuoi.»

Bran tese una mano verso la tessera; nello stesso istante sentì vibrare il telefono. Portò automaticamente l’altra mano alla tasca in cui l’aveva sprofondato dopo la breve conversazione con Sansa. I libri scivolarono in avanti. Fu il ragazzo a evitare che cadessero, e sul morire del movimento la sua mano libera avvolse il ginocchio di Bran, che s’irrigidì – quelle gambe, le sue gambe inesistenti, erano appena diventate una presenza tangibile nella parentesi di un momento in cui per una volta non avevano avuto alcuna importanza. Dio, era stato davvero così facile dimenticarsene?...

Il ragazzo, dal canto suo, non cambiò espressione. Così da vicino non era poi tanto pallido com’era sembrato finora. Continuò soltanto a tendergli la tessera, guardandolo senza una vera espressione. Solo quando Bran riuscì a stringerla tra le dita malferme, la sua mano si allontanò dal suo ginocchio, ma passò ancora un mezzo secondo prima che gli spazi personali si ristabilissero nel giusto ordine.

«Li... Li riporto indietro presto.»

Nemmeno ora aveva pianificato di parlare. Ma quando lo vide sorridere non si pentì di averlo fatto. C’era qualcosa di stranamente familiare, in quel sorriso fermo e adulto...

«Hai tutto il tempo che vuoi. Ti aspetto qui.»

 

 

 

The man who never reads lives only one.

 

 

 

Lo osservò non visto da questa parte del vetro smerigliato della porta; di nuovo alla fermata dell’autobus, con i libri ben stretti sulle ginocchia, tra le mani un sms che certo gli diceva che sua sorella – la più grande, quella dai lunghi capelli rossi – sarebbe arrivata presto, e stavolta incurante del nevischio che in quei pochi minuti era diventato neve vera.

Sorrideva, a guardare con attenzione.

Jojen si chiese se non avesse dovuto dirgli, prima di lasciarlo andare o magari piuttosto la prossima volta, che una notte l’aveva sognato e che sempre da allora aveva sognato di salvarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Io non ho la minima idea di – no, aspettate, non è vero. Ce l’ho. La verità è che, trovando inaccettabile la netta interruzione di ispirazione su questi due dovuta ai geniali (?) D&D, ho deciso di buttarmi sull’AU. Sì, su Game of Thrones. Sì, su una di quelle storie delle quali non rinnegherei mai e poi mai il contesto originale.

Certo, beh, non mi aspettavo di farlo così presto. X’D

Allora, mi sembra tutto molto semplice... Ho immaginato un primo incontro Jojen/Bran adattato ai giorni nostri, e ho cercato di rendere un background credibile per Bran, che qui è sulla sedia a rotelle perché la prima vera ispirazione me l’ha data questa dolcissima fanart. (A proposito, il non meglio specificato incidente che ho scelto di menzionare soltanto è lo stesso che ha ucciso Ned, Cat e Robb – con tutta la buona volontà non ho potuto star lì a immaginare tradimenti su tradimenti, non sono sadica quanto Martin. ;__;) La ragazza che appare in un breve cameo è Meera, naturalmente (apparizione doverosa perché sono tanto tanto affascinata anche dal rapporto Bran/Meera, anche se più nei libri che nella serie tv), mentre i riferimenti che ho piazzato qua e là, oltre quelli al vero universo di Westeros che non vi elenco perché sono pigra e mi aspetto che li riconosciate da soli XD, si riallacciano anche ai fantasy immortali Il signore degli Anelli e Le cronache di Narnia. La saga che Jojen suggerisce a Bran vuole essere un riferimento alle stesse Cronache del ghiaccio e del fuoco, ma è una cosa del tutto soggettiva perché mi rendo conto che l’autocitazionismo in un’AU può essere strano forte. XD

Il titolo è una frase ricorrente ne La Storia Infinita di Michael Ende (), mentre la citazione spezzettata in incipit e chiusura appartiene allo stesso Jojen Reed.

Un appunto sul finale: se era relativamente facile costruire un background per Bran, non sarebbe stato altrettanto realistico riportare pari pari la Vista di Jojen. Potete interpretarlo a vostro piacimento; il suo può esser stato un sogno letterale, ma può anche esser stato un Sogno dell’Oltre, perché in fondo credere al potere rivelatore dei sogni è a nostra libera discrezione, giusto? :)

Infine un’altra cosa. Confesso che mi piacerebbe rendere questa shot l’esordio di una raccolta – non necessariamente SOLTANTO Jojen/Bran; la mia idea era anzi di spaziare tra varie ship in AU, ma il periodo mi fa convergere puntualmente su questi due e sono certa che ormai abbiate capito il perché u///ù – ma non vi nascondo che l’ispirazione in questo senso è per me una ballerina, per cui si vedrà. Intanto, spero che questo esperimento non vi faccia troppo schifo. :3

Alla prossima,

Aya ~

   
 
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