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Autore: Oducchan    19/06/2014    3 recensioni
La linea telefonica gracchia così sinistramente che a Makoto viene istintivo aggrapparsi di più a quella maledetta cornetta, le dita attorcigliate sulla plastica bianca per impedirle di interrompere definitivamente la comunicazione.
Haruka è di là dell'oceano, ma è comunque a casa.
[MakoHaru]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore: Queen of the lower court 
Prompt: Free! Iwatobi Swim Club, Makoto/Haruka, prompt "If my heart was a house, you'd be home" - by gay-angels-in-trenchcoat on The Flash Point
Titolo: Home is wherever I'm with you
Personaggi:  Makoto Tachibana, Haruka Nanase
Pairing: MakoHaru
Genere: slice of life, introspettivo, sentimentale, angst (un po', dai), melanconico
Avvisi: what if (future!fic)
Rating: giallo? Verde? Giallo.
Note:
L'idea mi è venuta subito.
La fic non proprio.
Non sono molto convinta dell'IC ma di più non mi arrischio a fare.
è una future!fic, i bimbi si sono diplomati e vanno all'università, si sono sparpagliati in giro per il globo, Haru è in America e Makoto è rimasto in Giappone. Sono al telefono e la linea fa schifo.
Il titolo viene da Home by Edward Sharpe & The Magnetic Zeros (che col tema della fic si sposava bene, no?)


Home is wherever I'm with you
 


La linea telefonica gracchia così sinistramente che a Makoto viene istintivo aggrapparsi di più a quella maledetta cornetta, le dita attorcigliate sulla plastica bianca per impedirle di interrompere definitivamente la comunicazione. Dopo qualche istante e un’interminabile serie di fruscii, la voce di Haruka riesce ad emergere di nuovo e gli permette di tornare a respirare quietamente.
-Makoto, ci sei ancora?-
Sarà la distanza, sarà l’ansia di perderlo che è ancora in circolo, ma quella semplice e innocua domanda gli suona carica di timore, più che d’incertezza. Il pensiero gli fa stringere il petto, quel famigliare dolore che serpeggia sotto lo sterno quando pensa ad Haru, ad Haru spaventato all’idea di non sentirlo, ad Haru che è di là dell’oceano e non tornerà se non in capo a sei mesi e solo per un paio di gare. Di Haru che è così lontano che a volte gli toglie il fiato, il peso quasi fisico di quella distanza.
La fine dell’infanzia li ha colti impreparati, tutti. Rin è tornato in Australia, a rincorrere ancora quel sogno che non era più impossibile. Haru è volato dall’altra parte del mondo per inseguirlo e al tempo stesso farsi inseguire, per lasciargli un obiettivo da raggiungere tra le acque chiare della piscina e provare ad agguantarlo lui stesso. Non sa cosa abbiano fatto Rei e Nagisa ―si sono dispersi nel mondo, tutti, con le promesse del nuoto aperte davanti a loro e la sola, sottile certezza di una linea telefonica  a mantenere salda la garanzia della loro amicizia, e col fuso orario fanno fatica a sentirsi regolarmente. Nuotano, certo, che ne sia effettivamente delle loro vite è un terno al lotto, impossibile da prevedere― ma Makoto è rimasto. Fermo in Giappone come una salda pietra di riferimento, come una Stella Polare attorno cui tutto ruota.
Ma a volte restare è più difficile che partire.
-Sì, ci sono ancora- risponde, piano, inspirando a fondo e poi espirando di bocca, lentamente, cercando di buttar fuori l’angoscia e quei cattivi pensieri. Va tutto bene –Stavi dicendo dell’allenamento di oggi...-
Ma Haruka non riprende il discorso. Lo sente respirare bruscamente, il fiato che crepita contro il ricevitore in una cascata di scariche elettriche che gli fanno temere di perdere di nuovo la linea. Respira, e per Makoto quel suono è peggio di una mazzolata tra le costole.
-...Haru?-
-Makoto, non è la stessa cosa. Non è la stessa acqua. Non è...- si ferma, incespica, tace, e lo sente sospirare di nuovo –Non ci sei-
Non è un mi manchi. Non è un ti prego, vieni qui anche tu, senza di te non ce la posso fare. Non è un mollo tutto e torno indietro, senza te non ha senso.
Non lo è.
È peggio.
Improvvisamente si sente la testa leggera, così leggera che pare vorticargli paurosamente pronta a staccarsi da un momento all’altro per galleggiare via, e gli tocca appoggiarsi al muro più vicino per premere la fronte contro la parete fresca, pregando che gliela raffreddi, che gli faccia tornare la capacità di pensare lucidamente e di non dire assurdità.
-Lo so- ansima –Lo so. Anche tu...- stringe il pugno, le unghie che graffiano l’intonaco bianco e si riempiono di polvere, tremule e impotenti nei confronti dello scorrere della vita; poi lo rilassa, lentamente, lasciando che le labbra gli si sollevino in un sorriso dolceamaro –Ma lo sapevamo, no?-
-Sì- dall’altra parte della linea, Haruka muove qualcosa, un suono morbido di stoffa umida che lo riporta a certi pomeriggi quando si attardavano a baciarsi negli spogliatoi; poi si lascia sfuggire uno sbuffo, una piccola emissione di fiato che assume mille sfumature di suono –Vorrei essere a casa-
Stavolta Makoto non riesce a trattenersi dal sorridere. Sorride, e il suo cuore sprofonda di un centimetro, fa un paio di capriole e torna a battere con violenza nella cassa toracica, con un’energia che pare volergli consumare il resto degli organi. Le parole gli si formano da solo, in bocca, prima ancora che se ne renda conto.
-Ci sei già, sciocco-
-Mako, cosa...-
-Sei nel mio cuore- ribatte, e ringrazia il cielo che Haru non può vederlo, che si sente morire d’imbarazzo, e al contempo dalla voglia che ha di stringerselo al petto e affondare il naso nei suoi capelli neri e respirare l’odore del cloro che nonostante le docce non va mai via–Sei nel mio cuore, e quella è casa tua. Puoi venirci quando vuoi, ti ho lasciato le chiavi...-
-Makoto...-
Silenzio.
-Haru?-
Ancora silenzio.
Makoto allontana il telefono dall’orecchio fissandolo terrorizzato. Impiega interi minuti a comprendere che è solamente caduta la linea, che Haruka è ancora di là dell’oceano, che non è sparito, che non l’ha lasciato, che non se n’è andato del tutto. Lo fissa, respira, e poi lo posa sulla sua base a ricaricare.
Quasi contemporaneamente sente il proprio cellulare vibrare sulla scrivania, lo schermo che si illumina flebile nella penombra della stanza, e prima di poter connettere qualunque altro pensiero, si getta a recuperarlo. Scavalca il borsone ancora pieno, getta a terra i libri dell’università, quasi si sloga una caviglia, ma fa in tempo a prenderlo e a stringerlo tra le mani, prima di crollare per terra.
Un messaggio.
“Scusa, stanno facendo dei lavori alla linea telefonica, la ricezione fa schifo. Ci sentiamo domani?”
Sollievo. Un’ondata che gli innaffia il petto e poi l’addome, gli fa sentire le gambe molle e grazie a dio è lungo e disteso.
Poi, di nuovo una vibrazione insistente. L’icona di un SMS torna a brillare vivace.
Grazie”
Il suo respiro si fa accelerato. Sente il nodo della nostalgia sciogliersi, allentarsi fino ad ostruirgli la gola, quasi volesse soffocarlo. Vorrebbe riprendere la cornetta e chiamarlo di nuovo, e ...
Terzo messaggio.
“Aishiteru”
Makoto non sa cosa gli risponda, alla fine, perché non è che vede chiaramente lo schermo, ha gli occhi così appannati e liquidi che è un miracolo se riesce ancora a tenere correttamente in mano il telefonino. Riesce a pigiare qualche tasto e a premere invio, poi resta lì, con lo sguardo pieno di lacrime che non riesce a versare e il cuore gonfio, così gonfio che pare scoppiare, ma è felice, perché è pieno di Haru, Haru è lì e anche se deve stare dall’altra parte del mondo per altri sei mesi e poi ancora un anno e poi finché non arrivano le Olimpiadi, va bene lo stesso, lo ama e non ha bisogno di sapere altro.
   
 
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