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Autore: InuAra    19/06/2014    12 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Come molti “amanti di storie” ho sempre oscillato tra la voglia di scriverle e il desiderio di leggerle. Ho poi optato per una terza possibilità: quella di interpretarle sul palco. E ora? Voglio raccontarne una, rubata al teatro…

***

 
But pardon, and gentles all,
The flat unraised spirits that have dared
On this unworthy scaffold to bring forth
So great an object.
(…)
Piece out our imperfections with your thoughts.
(…)
For the which supply,
Admit me Chorus to this history;
Who prologue-like your humble patience pray,
Gently to hear, kindly to judge, our play.
 
 
Perdonate, cortesi spettatori,
le nostre disadorne e anguste menti
se abbiamo osato presentarvi qui,
su questo nostro indegno palcoscenico,
sì grandioso argomento.
(…)
Sopperite alle nostre deficienze
con le risorse della vostra mente
(…)
E a questo fine vogliate permettere
a me, Coro, d’entrare in questa storia,
e di pregarvi qui, in veste di Prologo,
di ascoltar con benevola pazienza
il dramma che vi andiamo a presentare,
e con molta indulgenza giudicarlo.
 
Henry V – William Shakespeare





“Finalmente vedo ridere nuovamente la piccola Akane”, sorrise la vecchia Obaba non togliendo lo sguardo da una bambina di appena quattro anni che sgambettava al seguito di un rumoroso coetaneo tra i vialetti del bel giardino curato.

“Sono passati già tre anni, tre lunghi anni senza né ridere né versare una lacrima, povera piccola”, rispose il vecchio a cui Obaba si era rivolta, dopo aver dato una boccata di pipa, “E la stessa sorte è toccata a tutti noi”.

L’anziana donna sospirò profondamente mentre guardava disegnarsi sull’erba del cortile le ombre delle nuvole che correvano veloci in quel cielo azzurro di maggio.
 
Lei e Happosai erano a servizio di Soun-sama, sommo principe delle terre dell’ovest, come consiglieri e indovini; vivevano in quell’antico palazzo dai tempi del primo venerabile sovrano di quelle terre, nonno dell’attuale loro signore, ed erano sempre stati fedeli alla casata dei Tendo, una casata giusta e onorevole.
 
Eppure negli ultimi anni avevano visto e sofferto ciò che non si sarebbero mai augurati di vivere a quella veneranda età. La moglie del principe era morta di un male improvviso quando Akane, la più piccola delle tre figlie di Soun Tendo, aveva solo un anno.

“E’ stato un ordine del nostro signore, come dimenticarlo. Nessuno a corte deve mostrare troppa felicità o troppa tristezza… Che decisione assurda”, sussurrò il vecchio Happosai dopo aver appurato che nessuno potesse sentirlo.

“Eppure te lo ricordi quanto pianse all’inizio per la morte di quella donna magnifica che era sua moglie? Pianse tutte le sue lacrime per tre interi mesi su quella tomba. E quando tornò a mostrarsi in pubblico era un uomo cambiato, il suo volto si era indurito, i suoi occhi erano freddi e severi, non più una lacrima, non più una parola dolce”

“Povero folle… Scaricò la sua rabbia in una guerra senza senso contro i territori confinanti, causando paura e miseria”, continuò Happosai, amaramente.

Non riuscivano a dimenticare la ferocia di quella guerra, una guerra che gli era alla fine costata davvero molto. Soun aveva raso al suolo interi villaggi, dimentico degli amici e dei nemici che vi abitavano.
 
In quel momento Akane, dimenticandosi di avere uno yukata che non le permetteva di fare i movimenti ampi che avrebbe voluto, ruzzolò sul prato dall’erba corta, e rialzandosi senza un solo lamento, si guardò imbronciata il ginocchio sbucciato.
 
Il bambino che le correva avanti si voltò di scatto, e le corse incontro.

Aveva i capelli neri legati in un buffo codino e due occhi grandi e blu, con cui scrutò il viso della bambina.

“Puoi piangere se vuoi! Non lo dirò a nessuno”, le disse picchiettandole la piccola mano sul caschetto corvino, a mo’ di consolazione.

Akane fissò per qualche secondo i suoi occhioni castani in quelli di lui, come a cercare una risposta a chissà quale muta domanda.

Evidentemente la trovò perché dentro di lei un nodo troppo a lungo stretto, improvvisamente si sciolse e cominciò a piangere, mentre con i pugnetti si stropicciava le guance rigate da calde lacrime finalmente copiose.

“Dai, adesso non esagerare”, tentava di smorzare il bambino, sorridendo un po’ imbarazzato, “Sei proprio imbranata, eh? Guarda, ora ti fa vedere Ranma come si fa in questi casi”, e strappò un pezzetto di stoffa dalla propria casacca azzurra.

Il gesto improvviso e inusuale fermò immediatamente le lacrime alla piccola, che seguì con lo sguardo curioso il bambino col codino correre verso il ruscelletto che scrosciava nel giardino, bagnare la pezza e saltellando tornarle di fronte e mettersi in ginocchio.

“Adesso ferma, eh! Farà un po’ male, ma fidati di me, poi passa tutto”

Le premette la stoffa strizzata sul ginocchio, e aspettò un urlo, che non arrivò.

Sollevò timidamente lo sguardo e vide Akane sorridergli.

“Sono felice che sei qui”

Da lontano anche Obaba sorrideva.

“Trovare questo orfanello è stata una benedizione. Per Akane, ma anche per Soun-sama”

“E’ stato lui a trovarlo. Ero con lui quando, fuori dalle mura, l’abbiamo incontrato. Un bambino di quattro anni -ti rendi conto Obaba?- che incrocia lo sguardo del principe e con una dignità da adulto si inginocchia in segno di rispetto! Puoi immaginare come ne sia rimasto colpito, e come me Soun-sama… ‘Come ti chiami, bambino’, gli ha chiesto, serio. E lui: ‘Sono desolato ma non conosco il mio nome per intero, così come non ricordo nulla del padre che me lo ha dato, ma una donna che ho incontrato un giorno per strada mi ha detto che le ricordavo un cavallino scalpitante e da allora mi faccio chiamare Ranma, signore’”

“Ah ah!”, rise di gusto la vecchia, “Non si può dire che il ragazzino non conosca il fatto suo!”

“Già, cara mia, un bambino sveglio e forte. Scampato alle guerre chissà come e che deve averne passate tante… Probabilmente sotto certi aspetti è cresciuto prima del tempo… Eppure quella luce così pura e determinata che ha negli occhi… Quella luce deve aver colpito anche il nostro signore, che gli ha chiesto, se voleva, di seguirlo”

“Se voleva?!”

“Già! ‘Se vuoi’, gli ha detto, ‘sei libero di seguirmi a palazzo’. Ero esterrefatto. Dopo tutto questo tempo, mi sono detto, forse qualcosa sta cambiando nell’animo del nostro signore… Ranma, come sai, non se lo è fatto ripetere una seconda volta ed eccolo qui! E’ diventato il paggetto del principe e gioca con la nostra principessa!”

“Un po’ di baccano finalmente, come è giusto che sia quando ci sono dei bambini in giro!... Chissà che fine hanno fatto le mie due piccole”, sospirò poi Obaba, rabbuiandosi improvvisamente.

Ricordava bene la sua dolce Kasumi, la maggiore delle figlie di Soun Tendo, e Nabiki, la mezzana, che lei chiamava la sua ‘piccola furbetta’…

E ricordava troppo bene quella notte senza luna di tre anni prima, quando erano state rapite dalla culla. Nessuno udì un rumore, non un’ombra.

Sparite nel nulla, senza lasciare traccia.

Soun crollò del tutto, ma era un cedimento diverso: gli mancarono le forze anche per fare la guerra. Si chiuse nel silenzio più assordante.

Gli erano state portate via, senza una ragione apparente le sue due bambine all’età di due e tre anni.

Ma Akane… Akane gli era stata risparmiata! Si trovava con la balia durante il rapimento ed era ancora attaccata al suo seno quando Obaba gridò scoprendo le culle vuote.

Soun corse da lei, la strappò alle braccia della donna e, ancora col fiatone, la strinse con tutta l’urgenza disperata di un padre che ha perso tutto e ha un solo appiglio a cui aggrapparsi.

Soun si aggrappò ad Akane come alla sua unica salvezza.

“Ti proteggerò, bambina mia, non permetterò a niente e a nessuno di farti del male”


Happosai, assorto, continuava a guardare Akane che, dopo tanto tempo, era tornata a giocare allegra grazie a quel bambino. Quel bambino che il padre aveva deciso di metterle accanto, per non farla sentire sola, chiusa tra le mura sorvegliate giorno e notte di quel grande palazzo.

“Chissà…”, disse tra sé e sé.


***


Dodici anni dopo.

“Akane-san!... Akane-san, dove siete?”

Con voce trafelata e volgendo lo sguardo preoccupato sul tetto, una ragazza irruppe nel cortile. I lunghi capelli castani, tenuti fermi da una fascetta di stoffa bianca, le ondeggiavano lungo la schiena a ogni movimento. Era vestita con uno yukata bianco e celeste, la tenuta delle ancelle di palazzo Tendo.

“Principessa!”

Una voce maschile si affiancò alla sua e voltandosi vide avvicinarsi a lei un ragazzo dallo sguardo accigliato e adombrato dai capelli corvini che gli ricadevano sulla fronte, cinta da una fascia di stoffa ocra. Portava una semplice casacca di cotone dello stesso colore incrociata sul petto, degli stretti pantaloni scuri lunghi fino a metà polpaccio e dei sandali di corda.

“Ancora niente?”, gli chiese la ragazza con aria apprensiva.

“Niente, Ukyo, non li trovo da nessuna parte…”

“Hai guardato nell’arena dietro le stalle? Sai che la principessa ama galoppare lì col suo cavallo”

“S-sì, ci sono stato e non c’era…”

“Sei sicuro”, alzò lei un sopracciglio guardandolo fisso negli occhi grigioverdi, “Tu ti perdi in continuazione in questo palazzo!”

“Ma è così grande!”, si schermì lui strappandole un sorriso, “Comunque sì, ci sono passato e non c’erano… A meno che…”, volse lo sguardo verso il tetto, coprendosi dal sole con una mano.

“Sì, ci ho pensato anch’io, ma non posso mica salire fin lassù, ti pare, Ryoga?”

“Lascia fare a me”

Il giovane stava per fare un balzo sulle tegole più basse quando si bloccò, vedendo con la coda dell’occhio che poco lontano stavano passando due guardie. Perciò si limitò a chiamare con voce ferma e tonante, verso l’alto: “Padrone! Padrone vi stiamo cercando!”

Non appena le guardie voltarono l’angolo più lontano del cortile e sparirono dalla loro vista, il ragazzo cambiò tono, esaperato.
 
“Insomma Ranma, dove diavolo sei finito?!”

“Ora ti riconosco, vecchio mio!”

A parlare era stato un ragazzo alto e sorridente, dal fisico asciutto, i capelli neri legati in un codino, che con un balzo leggerissimo gli si era messo accanto.

“Mi stai cercando da un po’, eh?”, gli fece un sorrisino sghembo.

“Ti abbiamo cercato dappertutto, dove ti eri cacciato…?!”

“Scusami Ryoga, abbiamo perso la cognizione del tempo!”, il volto luminoso di una ragazza aveva fatto capolino dalle tegole spioventi.

“A-Akane-san, principessa!”, come la vide Ryoga le si inchinò, improvvisamente imbarazzato.

“Dai, smettila con tutta questa reverenza, abbiamo la stessa età e ci conosciamo da una vita”

“Sì, ma io non dimentico il mio posto, sono un servo di questa casa e voi siete la mia principessa”

“Come vuoi”, sorrise Akane saltando giù dal tetto e facendolo alzare con una carezza sulla spalla, mentre con l’altra mano smuoveva il caschetto corvino e si asciugava un po’ del sudore che le imperlava la fronte.

“Nè io dimentico il mio, Ryoga”, gli diede una gomitata Ranma, “Quando la smetterai di chiamarmi ‘padrone’? Lo capisci che sono un ragazzo come te, senza titolo né averi?!”

“Questo lo so bene… E sai benissimo”, aggiunse sottovoce, con un pizzico di orgoglio, “quanto anch’io detesti chiamarti così, ma Soun-sama mi ha affidato il compito di farti da servo, pertanto in pubblico devo chiamarti ‘padrone’”

“Basta con tutte queste chiacchiere”, sospirò Ukyo, avvicinandosi ad Akane e squadrando il modo in cui era vestita: una tutina da combattimento e una camicia leggera, fermata sul busto da una mezza corazza rigida. “Signorina, non dovete correre sui tetti con questo scapestrato!”

“Scapestrato a chi?!”

“Vostro padre vi cerca!”, continuò lei senza neanche guardare Ranma.

“Ma noi ci stavamo solo allenando un po’”, si lamentò fintamente la principessa cingendo con un braccio le spalle della sua ancella preferita.

“Già già! Tutta colpa di quei vecchietti arzilli, che da bravi maestri centenari vi hanno insegnato tutto quello che sapevano sulle arti marziali e voi non fate altro che combattere sui tetti! Akane-san, insomma, siete una principessa!”

“Ma quale principessa! Tu sei un maschiaccio”, la canzonò Ranma.

“E anche fosse?”, gli fece una linguaccia  Akane, a cui lui rispose con un occhiolino. “Io mi annoio da morire…”, continuò lei alla confidente, “Lo sai che non mi è permesso uscire da palazzo… Lasciami almeno fare quello che più mi piace: allenarmi!”

Ukyo sorrise.

La sua padrona scoppiava di vita ed era davvero ingiusto tenerla segregata in quella maniera.
 
Per fortuna che c’era Ranma con lei! Quel ragazzo, che Soun trattava come un figlio adottivo e che si era fatto ben volere da tutti lì a corte, sapeva bene qual era il suo posto nella gerarchia dei ruoli. Era rispettoso delle regole e semplice. Si accontentava di poco e indossava gli indumenti che non andavano più bene agli altri, come adesso che aveva addosso dei pantaloni verde scuro di cotone leggero e una casacca rossa senza maniche di taglio cinese uscita da chissà quale vecchia cesta dimenticata.  
 
Eppure con Akane era diverso. Con lei usciva fuori un lato del suo carattere fiero e focoso, determinato e intraprendente. Era cresciuto con lei e, pur rispettandone il grado, aveva con lei quella confidenza e quella complicità che si riservano solo alle persone più intime.  
 
E Akane? Akane si fidava di tutti loro, ma con Ranma… Con Ranma era davvero se stessa. Con Ranma rideva, combatteva, si arrabbiava e poi faceva di nuovo pace.  
 
Un po’ come lei con Ryoga, in fondo.  
 
Ryoga era il figlio di un’ancella di palazzo, venuta a mancare durante uun’epidemia di febbre anni prima; si era ritrovato solo ed era cresciuto tra la cucina e le stalle.

Una sorte non troppo dissimile era toccata a lei, che nella stessa epidemia aveva perso il padre, uno dei cuochi di palazzo.

Unici bambini in mezzo alla servitù di corte, avevano stretto un fortissimo legame e si erano rimboccati le maniche, rendendosi utili in mille modi.

E poi era arrivato Ranma, che era come loro ma poteva avvicinare la principessina e stare accanto al principe.
 
Qualche anno dopo il suo arrivo Soun decise che Ranma doveva avere un servitore, e gli aveva affidato Ryoga.

Ranma era scoppiato a ridere, ma nella sua posizione non poteva certo rifiutare! In realtà i due erano grandi amici. Si erano conosciuti da subito, quando ancora bambini, nelle fredde sere d’inverno ascoltavano le stesse storie che Obaba raccontava davanti al fuoco della grande cucina.
 
E poi, nei momenti in cui non aveva nient’altro da fare, Ryoga si aggregava alle lezioni che il maestro Happosai impartiva a Ranma e alla principessa.  
 
Era anche piuttosto bravo e teneva testa al codinato, sfidandolo spesso, giusto per il gusto del divertimento. Era un ragazzo tutto d’un pezzo Ryoga, affidabile, gentile… 
 
D’un tratto Ukyo, arrossendo leggermente, si rese conto che non era il momento di stare con la testa tra le nuvole e prendendo la padrona per un braccio la strattonò via. 
 
“Vostro padre vuole che vi facciate immediatamente un bagno e che indossiate il vostro kimono più bello, per poi raggiungerlo nella Sala Grande”  
 
“Per quale motivo, Ucchan?”  
 
“Questo non lo so, ma dovete ubbidire. E la stessa cosa vale anche per te!”, urlò in direzione di Ranma un attimo prima di entrare in casa da una delle porte scorrevoli che davano sul cortile.  
 
“Per me?”, si stupì Ranma, parlando ormai più che altro a se stesso.  
 
“Già”, intervenne Ryoga, risoluto, “Soun-sama ti vuole al più presto al suo cospetto in qualità di paggio. Non so perché ma gli piace averti accanto. Perciò, amico, ora andiamo a farci decisamente un bel bagno. E poi cercherò di darti una sistemata, ne hai davvero bisogno!”, disse chiudendogli il braccio intorno al collo come in una morsa e trascinandolo senza troppi riguardi in casa.  
 
“Ehi ehi! Senti chi parla! Mica profumi di rose tu!”, lo provocava l’altro dandogli dei colpetti sulla casacca color ocra, giusto per dargli fastidio.  
 
“No, ma io non sono richiesto nella Sala Grande tra meno di un’ora”, concluse Ryoga con una fermezza nella voce da non lasciare possibilità di replica alcuna. 


***



Ed eccoci arrivati alla fine del prologo!

Mi sono avvicinata a questo fandom da lettrice dichiarando a me stessa: “Non mi interessano le AU e non mi piacciono gli OOC!”. Poi, leggendo leggendo, ho scovato storie talmente belle che non mi importava più nulla delle note che avevano. E ora mi ritrovo con questa voglia di scrivere una ‘long’… e si tratta proprio di una AU! Non è un caso. C’è un mondo che amo tanto quanto quello di Ranma, ed è il mondo shakespeareano.

 
Devo ringraziare Faith84, con la sua stupenda “Molto rumore per Ranma”, perché mi ha messo un tarlo che ha lavorato nella mia testa, fino a quando un bel giorno me ne stavo lì ripensando alla trama meravigliosa dell’opera di Shakespeare su cui ho lavorato negli ultimi due anni e mi è arrivata l’illuminazione di far “recitare” i suoi personaggi a Ranma & co!  Mi sono sembrati tutti così tremendamente in parte che il mio ‘occhio registico’ ha cominciato a pensare a dovere all’ambientazione!
Ovviamente, per motivi di trama, alcuni personaggi purtroppo sono necessariamente un po’ OOC o comunque calati in una situazione che potrebbe vederli reagire in modo un po’ inusuale per i canoni di Nerima. Per cui qualche spasimante non spasimerà affatto, qualche ‘buono’ sarà inaspettatamente un po’ più ‘cattivo’ e  qualche maniaco non ruberà biancheria. D’altra parte se siete arrivati fin qui avete per esempio già visto che Soun-fontana-Tendo è qui Soun-siccità-Tendo.
 
La storia originale è ambientata in un passato lontano rispetto ai tempi dello stesso Shakespeare, per cui, trattandosi dei nostri cari personaggi, ho deciso di trasporre il tutto in un immaginario antico Giappone, sperando di non prendere troppe cantonate a riguardo.
 
Al momento –spero che sia la scelta giusta-  preferirei non citare l’opera shakespeareana in questione, per un semplice motivo: mi piacerebbe che, non conoscendo la storia originale,  nei limiti del possibile vi godiate la lettura di questa mia trasposizione senza già sapere come andrà avanti. L’originale è un’opera davvero poco conosciuta e io stessa quando l’ho letta mi sono goduta l’effetto sorpresa della prima volta! Ma magari a qualcuno potrebbe far piacere confrontare la mia storia con quella –ommioddio- di Shakespeare. Ovviamente facendo un confronto con le dovute distanze perchè mi sembra chiaro che la mia storia non può che uscirne distrutta, eheh!  E se qualcuno indovinasse di che opera si tratta mi scriva in privato, please! ;-)
 
Ma adesso basta chiacchiere, direi che la mia introduzione l’ho abbondantemente fatta!
 
Ci terrei solo a ringraziare tantissimo Faith84, senza la quale questa storia non starebbe nascendo, Pchan05 che è stata la prima a spronarmi e a consigliarmi nonché la prima a recensirmi, e poi VioletLumos, Gretel85, Spirit99, Aron_oele, VioletArmstrong2013, Biba89 a Maymell che mi hanno esortato a continuare a scrivere dopo la mia prima one-shot, infondendomi coraggio a cimentarmi in una long e dandomi preziosi consigli.
Ne desidero ancora tanti, così da migliorare volta per volta!
Grazie grazie grazie a voi tutte!

 
 
 
 
 

 
 
 
  
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