Serie TV > True Blood
Segui la storia  |       
Autore: As_tat    19/06/2014    0 recensioni
Nel futuro di True Blood, descritto da Charlaine Harris, Helena conduce un'esistenza raminga e solitaria, all'apparenza una semplice ragazza trasandata, come se il destino l'avesse sbatacchiata da una città all'altra senza apparente motivo. Questo finchè una notte, in un bar nella periferia di qualche cittadina sperduta, una sua vecchia conoscenza non rientra in modo prepotente nella sua vita, distruggendo in poche parole l'identità che Helena era riuscita a costruirsi. Ricordandole che lei non è la semplice umana che interpreta e che il fatto che stia scappando dal mondo sovrannaturale non significa che quella realtà dolorosa abbia smesso di esistere. Nè che lei abbia smesso di farne parte.
I personaggi di questa storia sono completamente originali e di mia invenzione, l'universo è invece quello creato da Charlaine Harris nel "Ciclo di Sookie Steakhouse", per cui i miei assunti sono gli stessi (esiste il sangue artificiale e la presenza dei vampiri è stata rivelata agli esseri umani, esistono altre creature sovrannaturali di cui però gli umani non sanno ancora nulla). Non escludo che in futuro alcuni personaggi del ciclo possano comparire nella storia, ma per ora non ce ne sono.
Genere: Avventura, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1
 
Helena aveva imparato ad avere poche pretese. O forse non aveva imparato, ci era nata con un profondo, monolitico e coriaceo scetticismo nei confronti di quello che poteva offrirle la vita.
Neanche lei avrebbe saputo dirlo con precisione, rifletté mentre mescolava il proprio drink, osservandolo con la stessa attenzione che avrebbe riservato ad un Van Gogh.
Ma, benché quella riflessione fosse dotata di sostanziose fondamenta e quindi assolutamente veritiera, si chiese ancora se fosse davvero così o se invece non stesse pretendendo troppo. Perché, quando lei ordinava uno Screwdriver, in effetti quello che si aspettava era uno Screwdriver. Che, essendo in buona parte succo d'arancia, avrebbe accettato se fosse stato di una gamma di colori compresa tra il bordeaux amarena al giallo canarino. Quello di cui non riusciva a capacitarsi in quel momento era dell'agghiacciante color verde smalto che stava rimestando con un'azzeccatissima cannuccia rossa.
 
Lasciò perdere il bicchiere, per nulla esaltata dall'idea di bere qualcosa che aveva tutta l'aria di essere vernice o detersivo per WC, e di averne anche il sapore. Un vocina malefica le sussurrò tentatrice di ordinare qualcos'altro, un bourbon o un whiskey liscio, da bere tutto d'un fiato e sentire ardere lungo la gola.
No, si disse imponendo la parte razionale su quella capricciosa. Non poteva permettersi degli alcolici così forti, soprattutto perché si conosceva, e sapeva che una volta iniziato difficilmente avrebbe rinunciato ad un secondo bicchiere, con la conseguenza inevitabile che niente e nessuno l'avrebbe bloccata lungo la china dell'ubriacatura. E ubriacarsi, sebbene in quel momento fosse una prospettiva allettante e consolatoria, non era esattamente la più brillante delle idee.
<< Hey, bellezza, sei qui tutta sola? >>
Ecco, appunto. Ci mancava solo che collassasse sbronza tra le braccia dell'idiota di turno. No, meglio mantenere la sobrietà.
<< Sì >> rispose la ragazza laconica, gettando uno sguardo indagatore all'individuo che si era appollaiato sullo sgabello di fianco al suo. Aveva un viso strano, come se gli occhi e la bocca fossero stati schiacciati verso il naso, lasciando un mento prominente e una fronte troppo spaziosa.
Rimase scostante, ritornando a fissare il suo drink (ancora comicamente verde) per indicare che la conversazione era finita lì.
 
Ma FacciaSchiacciata non sembrava essere un tipo particolarmente recettivo.
<< Che ne dici se ti faccio un po' di compagnia? >>
La parte più compassionevole in Helena provò pietà per quell'approccio goffo, ma lei la mise immediatamente a tacere. Ci mancava solo che facesse saltare la sua copertura per un rimorchio così deprimente.
<< No >> rispose lapidaria.
FacciaSchiacciata purtroppo prese quel suo rispondere a monosillabi come una sfida, un gioco dell'accoppiamento che non si era accorto di condurre a senso unico.
<< Sei giù di morale, piccola? Una ragazza così bella non dovrebbe mai essere arrabbiata... >>
Helena gli gettò un'occhiata pigra, annoiata. Quella frase sarebbe stata più appropriata sulla bocca di un nonno che consola la nipotina, e la ragazza si chiese se quel tizio avesse mai rimorchiato qualcuna in vita sua con quella tecnica. Certo, si rispose. Sicuramente aveva fatto le sue conquiste, in sere più fortunate e con ragazze più disponibili.
Era lei l'unica deficiente lì dalla vita sociale e sentimentale pari a quella di un broccolo. Così incapace da non riuscire a respingere dignitosamente FacciaSchiacciata senza scadere nello stereotipo della ragazzetta che fa la preziosa. Patetica.
<< Già >> buttò lì, distrattamente, del tutto indifferente.
 
<< Sono completamente d'accordo >> commentò qualcuno accanto a lei.
Helena ci mise diversi istanti a realizzare, decisamente troppi rispetto a quelli che le sarebbero serviti un tempo. Quella voce non le era nuova, ma non la collegò subito alla giusta conoscenza. Troppo vaga la familiarità, anche quando si girò verso l'uomo che era comparso alla sua sinistra, appoggiandosi scanzonatamente al bancone ed intromettendosi con nonchalanche nel monologo di FacciaSchiacciata. Poi la sua mente registrò i capelli impomatati, il completo elegante eseguito su misura, il luccichio dei gemelli d'oro che facevano capolino dal polsino di una camicia d'alta moda. E un viso artificialmente abbronzato, dal naso un po' troppo dritto, che purtroppo aveva una fisionomia a lei nota. Helena non avrebbe saputo dire se lei fosse sbiancata al pigro sorriso che aveva disteso le labbra di quell'uomo o fosse stato il suo impallidire a generare la reazione di lui. L'unica cosa che seppe in quel momento, mentre un vago aroma di pino silvestre solleticava le sue narici, fu che era nei guai.
 
Mentre Helena cercava di riprendere a respirare, scacciando l'ipotesi della vocina più allarmista nel suo cervello che le proponeva una bella asfissia come via di fuga, FacciaSchiacciata corrugò la fronte, gettando un' eloquente occhiata scocciata al nuovo damerino comparso dal nulla, per dirgli che così non valeva, quella brunetta carina l'aveva vista prima lui. Nell'amore potevano anche non esserci regole, ma nel rimorchio sì.
Il suo fastidio ci mise poco a diventare rabbia quando quel tizio dalla tipica capigliatura alla “Leccata di Mucca” gli rivolse un sorriso apertamente di scherno, facendo scintillare i denti di un bianco smagliante.
<< Hey, tu, si può sapere che cazzo vuoi? >> gli strepitò contro all'improvviso, alzandosi di scatto e rovesciando lo sgabello. Non che il damerino avesse fatto granché per meritarsi tale reazione, ma FacciaSchiacciata, al secolo Henry Gonzales, non era conosciuto dagli amici come Fuse per niente. Probabilmente in quel buco di città aveva scatenato più risse lui che chiunque altro, appigliandosi anche al più idiota dei pretesti pur di poter menar le mani. E se il pretesto poi era un'offesa al suo orgoglio, la sua indole rissosa ci sarebbe andata a nozze.
Il suo gruppetto di compagni attaccabrighe, che era rimasto seduto al tavolo dall'inizio della serata, si fece vicino senza che neanche Fuse l'avesse chiesto, rispondendo in modo automatico alla nota stridula della voce del loro compare, campanello d'allarme di una rissa.
 
Quando Helena riuscì ad ossigenare il cervello e a ricucirsi addosso la sua facciata di aplomb adamantino, Fuse era già sul piede di battaglia e tra le sue nocche scintillava un tirapugni d'acciaio. Lei buttò un'occhiata ai sei tizi che si erano schierati dietro a FacciaSchiacciata, sempre non tradendo alcuna emozione, per poi guardare con la coda dell'occhio il damerino alla sua sinistra, ancora in quella posa da fotografia, che non aveva smesso di fissarla sorridendo, come se lei fosse qualcosa di estremamente buffo e bizzarro.
Il cervello di Helena aveva già fatto l'equazione: rissa=scompiglio=ottime possibilità di fuga, e la parte più ingenua di lei credette anche che una soluzione così facile e pronta da essere afferrata fosse concretamente realizzabile. Poi vide il damerino staccarsi dal bancone per avvicinarsi di qualche passo a FacciaSchiacciata per fronteggiarlo. Si impedì di sobbalzare quando sentì una mano dalle unghie pulite e ben curate appoggiarsi sulla sua spalla, e strinse i denti per non emettere neanche un suono quando sentì la pressione di quelle dita estremamente forti aumentare fino a farle sentire le giunture tra scapola e clavicola scricchiolare.
<< Un attimo solo, cara >>
A discapito del tono di quel sussurro, carezzevole e gentile, la presa violenta sulla sua spalla era il vero messaggio. Prova a scappare, e sei morta.
E quindi sì, non era un caso, l'aveva riconosciuta. Non c'era speranza di svignarsela tanto facilmente, perché se non era lì, in quel pub di quart'ordine, per caso (cosa, in effetti, già di per sé abbastanza sospetta), significava che l'aveva trovata.
Dannazione.
 
<< Allora, stronzo? Si può sapere chi cazzo ti credi di essere? >>
FacciaSchiacciata, forte del sostegno dei suoi amici, sfoggiava il suo repertorio da duro che si incazza e spacca il culo a chiunque gli si pari davanti. Ovvero quattro frasi in croce da sbraitare prima di far partire la rissa.
Helena non osò neanche voltarsi. Non che tifasse per FacciaSchiacciata, anzi, prima dell'arrivo dell'altro, era stato nella hit parade di chi rischiava di essere pestato da lei. Ma avrebbe lasciato che FacciaSchiacciata la annoiasse ancora tre quarti d'ora con quell'approccio insulso, piuttosto che vedere il suo sangue sparso sul pavimento in linoleum.
<< Signori, signori...>> rispose il damerino, con la sua voce ricca e profonda, dall'accento vagamente esotico.
 
Helena fissò il suo drink intensamente, rispecchiandosi nel verde vernice. Sperava solo che fosse tutto un sogno.
 
Fuse fu preso alla sprovvista. Nessuno, a parte quelli della previdenza sociale, l'aveva mai chiamato signore.
<< Suvvia, non mi sembra il caso di agitarsi così tanto >> proseguì l'uomo elegante, alzando i palmi delle mani. La sua interpretazione di un impiegatuccio mingherlino finito tra le grinfie di sette malviventi era a dir poco pessima. Le parole erano giuste, ma il tono vagamente beffardo, la postura impettita e sicura e lo sguardo placido lo rivelavano per quello che era. Un gatto che stava giocando con un topolino appena catturato.
<< Sono sicuro che possiamo essere amici... Qualcosa da bere, amico? >> concluse l'uomo gioviale, appoggiando una mano sul braccio dell'ispanico che l'aveva insultato fino ad un momento prima.
<< Hey, cazzo tocc... >>
Fu un attimo. Fuse non solo non fece in tempo a scrollassero di dosso, ma non sentì il dolore fino a quando non si ritrovò disteso per terra supino, il braccio spezzato in due punti e la suola di una scarpa in costosa pelle italiana premuta ferocemente contro il suo naso rotto.
Poi le sue terminazioni nervose esplosero di dolore, infuocandogli il braccio e il setto nasale. Fece appena in tempo a sgranare gli occhi, che il tacco affilato della scarpa gli premette sulle labbra, fino a schiacciargliele dolorosamente contro i denti.
<< Vediamo di non urlare, se non vogliamo anche la mandibola spezzata e un bel foro tra i denti >> suggerì il damerino a Fuse, sorridendo come se stesse spiegando come arrivare al museo più vicino ad una vecchietta sperduta << Non credo che tu ti possa permettere un dentista >> aggiunse, vagamente disgustato.
<< Ora, stasera ho degli affari urgenti che mi impediscono di trattenermi con voi, cari amici >> si rivolse poi alla combriccola di Fuse, che lo guardava spaesata ed intimorita << quindi gradirei se apprezzaste il mio gentile avvertimento e vi congedaste >>
Il silenzio pesante e terrorizzato che cadde subito dopo fu interrotto da un mugolio disperato che salì dal pavimento e fece rabbrividire tutti gli avventori del locale, congelati ad osservare quello spettacolo di violenza gratuita.
Helena sentì i muscoli della schiena contrarsi e diventare di marmo. Strinse il bicchiere fino a sentire le dita intorpidite, sapendo già che FacciaSchiacciata si era appena giocato gli incisivi.
 
<< Beh, era ovvio che intendevo “gemere” quando ho detto “urlare” >> commentò l'uomo, una volta che lui ed Helena furono usciti dal locale. Non che lei gliel'avesse chiesto, ma sembrava trovare esilarante quel malinteso.
<< Non erano alla tua altezza, Terence >> commentò Helena, incolore. Non era un complimento, anzi. Il fatto che se la fosse presa così con quei bulletti di quartiere la disgustava.
Terence però non colse il significato che attribuiva Helena a quelle parole, e si limitò ad annuire compiaciuto mentre si sistemava distrattamente i polsini.
<< Sai, ti preferivo castana e con i capelli lunghi >> disse dopo qualche istante, sorridendo affabile. Helena si accarezzò la corta zazzera nero-bluastra, frutto di continue tinte, sapendo che a Terence in fondo non fregava un fico secco del suo aspetto. Si stava solo auto-elogiando per averla riconosciuta.
Era fatto così. Nulla di quello che diceva si limitava al senso letterale delle parole, spesso il vero significato era nascosto insidioso tra quei vocaboli ricercati e quelle frasi gentili.
<< E io ti avrei preferito spalmato sotto un tir >> ribatté, senza acredine. Con Terence era un gioco al miglior attore, in quel momento vitale come non lo era mai stato. E non poteva permettersi che intuisse i suoi veri pensieri più del necessario.
Terence non si offese, anzi le concesse una breve risata che coinvolse poco l'espressione del suo viso. Lei non si unì, limitandosi a chiedersi, guardando la sua pelle plastificata, quante ore avesse passato sotto il bisturi per ottenere quell'effetto inquietante. Il fatto che quelle considerazioni non fossero assolutamente nuove le diede la sensazione di uno spiacevole dejavù.
<< Sempre il tuo solito umorismo macabro, è proprio vero che certe cose non cambiano mai. Oh, Helena... Quanto tempo è passato? Tre anni? >>
<< Quattro e mezzo >> replicò, senza muoversi di un millimetro. Terence si era già avviato lungo il marciapiede, dando per scontato che lei lo seguisse. Helena fissò la sua schiena, assorta in pensieri che non trapelavano assolutamente dalla sua espressione neutra.
Forse, se fosse riuscita ad infilarsi in quel vicolo laterale, abbastanza veloce da essere inghiottita nel buio, e poi su per la scaletta, dentro la conduttura dell'aria...
Forse, se si fosse imbarcata con il primo volo disponibile, per la prima meta disponibile...
Forse...
<< Non ci pensare neanche a scappare. Non vorrai costringermi a diventare sgradevole, vero? >> la richiamò, guardandola da sopra una spalla.
Bastardo.
 
La ragazza lo raggiunse, senza mostrare alcuna reazione davanti al suo smascheramento, con la mente lucida ed efficiente come non lo era stata da parecchio tempo a quella parte. Sì, mantenere la copertura richiedeva il suo impegno, ma una situazione così potenzialmente mortale come quella non le capitava da più di quattro anni.
Lasciò che il panico nascosto defluisse dal suo corpo, come le era stato insegnato quelli che sembravano secoli prima, per riflettere gelidamente priva di sentimenti ed emozioni di intralcio. Poteva fregare Terence, sapeva di potercela fare. Certo, non era l'ultimo degli idioti, né il solito poliziotto puntiglioso che appariva sulla sua strada, ma, sebbene più impegnativo, sarebbe stato fattibile. E poi via, lontana dagli States, anche se prima di quanto avesse programmato e per di più da sola.
<< Cosa vuoi, Terence? >> chiese lapidaria << Tu non hai più alcun potere su di me>>
L'uomo impomatato le lanciò un'occhiata divertita, che la irritò profondamente. Ovviamente non lo diede a vedere.
<< Sai che appena ti distrarrai o sarai costretto ad allentare il guinzaglio io sparirò>> si limitò a proseguire << Non voglio avere niente a che fare con te, né con nessuno... degli altri >>
 
<< Oh sì, lo so che sai essere molto elusiva, signorinella >> replicò placido Terence, sebbene poco prima l'avesse minacciata di morte se solo avesse tentato a fuggire << E non credere che non abbia fatto fatica a trovarti e che non sappia di esserci riuscito solo perché ti ho colto di sorpresa. Non ti stavi impegnando per fuggire da noi, al massimo per qualche impiegato del fisco >>
Helena rimase in silenzio, squadrando il suo profilo artificiale. Non stava facendo altro che dire cose assolutamente ovvie. Ma perché allora tutta quella sceneggiata? L'unico motivo per cui l'aveva trovata era che lei non avrebbe mai pensato che proprio lui si sarebbe messo a cercarla, e quindi non aveva preso precauzioni per quell'evenienza. E non aveva valutato quell'ipotesi... beh, perché non c'erano motivi per spingerlo a farlo.
All'improvviso l'uomo si fermò, costringendola a fare altrettanto. E con uno sguardo crudele denudò in un ghigno feroce la sua vera natura.
<< Sai, sono passato da un paesino molto caratteristico, ultimamente. Quartieri residenziali ben curati, un centro di pochi edifici vivaci e colorati. E una scuola elementare di mattoni rossi! Ci credi? Pensavo non ne esistessero più! E chi non ti vedo, che corre festante nel cortile, se non la piccola Matilda? >>
 
Una doccia gelida bloccò Helena sul posto. Fu uno shock così violento che qualsiasi forma di autocontrollo crollò miseramente, spazzata via.
No, non poteva essere.
<< NO! >> ansimò in un ruggito, artigliando bruscamente i lati del colletto della camicia di Terence con entrambe le mani nel vano tentativo di scrollarlo. Era più alto di lei di almeno una decina di centimetri, e decisamente più massiccio nonostante il suo fisico asciutto.
Il manrovescio che le cozzò contro lo zigomo si abbatté con una violenza tale che si ripercosse in tutto il suo cranio. Helena perse l'equilibrio, piombando a terra sgraziatamente, mentre dall'alto Terence continuava a squadrarla beffardo.
La ragazza si passò il dorso della mano lungo linea delle labbra, per poi vedere che un lieve rigagnolo di sangue le aveva imporporato la pelle delle nocche.
Erano anni che non prendeva quel genere di botte che ti fanno vedere le stelle.
 
<< Non osare mai più gualcire la mia camicia >> sibilò Terence estremamente serio. Helena avrebbe dovuto aspettarselo, quell'uomo vanesio avrebbe potuto vendere la propria madre pur di indossare abiti di alta sartoria. Poi si rese conto, con la sensazione di una frustata incandescente, di quello che aveva fatto. Non si era trattenuta, si era irrimediabilmente scoperta. Fine della recita.
Tuttavia, nonostante l'amaro in bocca, colpa non solo del sangue, ma anche del suo mastodontico errore, non riusciva a capacitarsi delle parole di Terence. Se aveva una certezza, in quel surrogato di vita che stava conducendo, era che mai e poi mai avrebbero potuto rintracciare Matilda o Zack. Lei stessa aveva provveduto a loro, e con molti più mezzi e sotterfugi di quanti ne avesse riservati per nascondere la sua persona.
Perché se qualcuno l'avesse voluta, non avrebbe scoperto quei potenziali intermediari prima di scoprire lei.
Fugacemente pensò a Barbara, anche lei sarebbe potuta essere a rischio. Ma persino Helena aveva perso le sue tracce, e quindi non era possibile che loro l'avessero trovata.
 
Il suo sguardo si posò su Terence, mentre si rialzava con studiata lentezza. Lo scatto incontrollato di panico e rabbia l'aveva definitivamente compromessa, era inutile fingere indifferenza e ignoranza in merito a quella descrizione precisa e purtroppo assolutamente veritiera del luogo.
<< Cosa vuoi? >> ripeté più rudemente, imponendosi di non tremare per la furia.
Gente della risma di Terence quando faceva un lavoro sporco lo faceva bene, e se il lavoro era per mettere lei alle strette significava che l'aveva fatto alla perfezione. Quindi la sua piccolina era in pericolo non meno di quanto lo sarebbe stata con una pistola puntata alla tempia.
<< Non mi guardare con quell'aria truce, Helena >> rispose lui, mentre sulle sue labbra si allargava un sorriso mefistofelico << Mi sembra evidente che siano ancora richiesti i tuoi servigi >> concluse, muovendo la mano in modo plateale, come se la cosa fosse assolutamente intuibile anche da un imbecille.
La ragazza osservò l'inquietante viso privo di rughe e di un colore quasi aranciato, mantenendo la sua espressione glaciale. La prima volta che aveva visto Terence le aveva ricordato un Ken tirato a lucido, ed in quattro anni non era cambiato. Come il fidanzato della Barbie aveva occhi azzurri ed incredibilmente freddi, un naso tracciato con la squadra e nessuna ruga di espressione. Oltre ad una pelle che sembrava plastificata. Sarebbe potuto anche risultare comico, se non fosse stato un sadico mercenario, il cui unico tormento dopo un assassinio era di aver macchiato indelebilmente di sangue qualche indumento del suo costosissimo vestiario.
Mentre la guancia le pulsava dolorosamente nel punto in cui era stata colpita, rifletté che il bastardo l'aveva incastrata per bene. Lei poteva sparire dalla circolazione senza farsi mai più ritrovare, aveva le capacità e i mezzi per farlo anche così, senza preavviso, ma Matilda e Zack... sarebbe stato già un suicidio per loro tentare di nasconderli per bene con il tempo necessario per organizzare il tutto, visto chi avevano alle calcagna.
Le serviva tempo e un piano per proteggerli, ma al momento non aveva a disposizione nessuno dei due. Era in trappola.
<< Cosa devo fare? >> disse rassegnata, spostando lo sguardo sull'insegna luminosa al neon dello strip club sull'altro lato della strada. Dio, come bruciava quella sconfitta.
Un fresco venticello autunnale spazzò la strada, facendo sollevare qualche cartaccia e i borbottii infastiditi di un barbone che sonnecchiava poco distante.
Terence sollevò leggermente gli angoli della bocca. La sua espressività era al massimo quella sera, considerò Helena, visto che da quanto ricordava temeva il formarsi delle rughe come la peste. I suoi vestiti come i suoi capelli stettero fissi, impassibili al venticello che invece faceva frusciare quelli della ragazza.
Sfilò con eleganza un foglietto dal taschino della sua giacca, tenendolo tra l'indice ed il medio, per poi consegnarlo in mano alla giovane che lo fece sparire senza neanche guardarlo.
<< Ti concedo fino a domani mattina per cancellare le tracce del tuo passaggio in questa topaia di città. Ah, Helena? Non c'è bisogno di dire che è meglio che tu non faccia sciocchezze, vero? >>
 
 
Helena giunse al parcheggio dove aveva lasciato quello scassone della sua macchina (o meglio, l'Honda Civic rantolante che aveva rubato qualche tempo prima) in preda ad una febbrile necessità di progettare e stabilire il da farsi. Gettò un'occhiata circospetta, frugando con lo sguardo le poche macchine parcheggiate e gli arbusti rinsecchiti sull'altro lato della strada. Terence la teneva praticamente per il collo, quindi sarebbe stato inutile farla seguire. Se c'era qualcuno che la stava pedinando, tuttavia, poteva sfruttare la cosa a suo vantaggio.
Mentre cominciava ad elaborare un piano, Helena sfilò il biglietto dalla tasca interna della sua felpa sportiva.
“Fermata dell'autobus, Kennedy Street, domani mattina alle 8.00” lesse in una grafia elegante e ordinata. Quello stronzo sapeva già di averla in pugno ancora prima di vederla, dato che il bigliettino era stato evidentemente preparato prima.
Guardò l'orologio allacciato al suo polso, le cui lancette fosforescenti la informavano che mancava un quarto d'ora all'una del mattino. Non perse tempo a chiedersi se valesse la pena farsi quattro ore al volante, mentre saliva sulla macchina. Il tempo per cancellare le sue tracce non le serviva, dato che aveva dormito nella sua macchina e mangiato di fortuna in supermercati e tavole calde. In quel momento era vitale andare a vedere quanto in là si fossero spinti con Zack e Matilda.
 
***
 
Chissà se Zack era mai riuscito a dormire, dormire veramente, dopo la morte della mamma. Helena se lo chiedeva da sempre, ed anche allora, appollaiata sul fondo del letto matrimoniale in cui un uomo sulla trentina si agitava in un sonno convulso, non riuscì a smettere di domandarselo
Probabilmente no, ma forse non era mai stato un tipo da sonno profondo e rigenerante, anche prima della morte di mamma. Sorrise amaramente a quel pensiero, continuando ad osservarlo mugugnare e piagnucolare contro il guanciale. Quando la mamma era morta Zack non aveva che dodici anni, e non si dice “dormire come un bambino” per niente, quindi era stupido pensare che anche prima soffrisse di quella strana insonnia. Consolatorio, certo, ma incredibilmente stupido.
 
Helena sospirò, scacciando bruscamente quei pensieri melodrammatici. Non era il momento di indugiare in sentimentalismi sprecati. L'importante era che Zack e Matilda fossero nei loro letti, quindi per il momento salvi. E se voleva che lo rimanessero ancora doveva sbrigarsi.
<< Zack >> sussurrò pacatamente, sapendo che sarebbe bastato quel bisbiglio a svegliare suo fratello.
L'uomo infatti sobbalzò, emettendo un mugugno gutturale. Di scatto sollevò il torso, spaventato dall'ombra che i suoi occhi assonnati gli permettevano di percepire confusamente ai piedi del suo letto.
<< Zack, sono io >> mormorò ancora Helena, senza tuttavia avvicinarsi << Il giorno del tuo decimo compleanno nostro padre ci portò al Luna Park e tu vomitasti l'anima sulla giostra delle tazze >>
Come ricordo che potesse identificarla senza riserve non era un granché, meditò Helena, subito dopo averlo raccontato, ma era certa che Zack non avesse dimenticato quell'esperienza, e quindi era perfetto a far sì che la riconoscesse.
Zack, dopo lo spavento iniziale che l'aveva irrigidito e messo in guardia, la osservò per qualche istante ancora con circospezione e sospetto, per poi annuire impercettibilmente e afflosciarsi su se stesso.
<< Il fatto che tu sia qui significa che siamo nei guai >> disse, passandosi la mano aperta sul volto. Sembrava molto più vecchio dei suoi trentadue anni, con i capelli già venati di qualche sfumatura grigia e la sua aria esausta.
 
Zack la odiava. Oddio, detta così suonava molto più lapidaria come sentenza, nonché molto più romanzata, pensò Helena, mentre suo fratello accendeva l'abat-jour sul comodino. La verità era che Zack ormai non provava più per lei alcun affetto fraterno, né percepiva più loro due come appartenenti alla stessa famiglia, legati in un modo speciale o diverso rispetto a ciò che lo legava ad un qualsiasi conoscente. Quindi non è che la odiasse, semplicemente non la considerava sua sorella, ma una persona che saltuariamente compariva nella sua vita e che di solito quando lo faceva era una fonte di grattacapi potenzialmente mortali.
“Che in fondo è ciò che è una sorella, no?”, si chiese ironica Helena, senza nessuna intenzione di recriminare né di compatirsi.
<< Beh, allora? Cosa è successo? >> le chiese, incrociando il suo sguardo. La luce fioca della lampada faceva addensare ombre scure tra i lineamenti di Zack, facendolo sembrare ancora più dolorante e sconfitto.
Helena si chiese se non fosse il caso di tacergli tutto, di non addossargli anche questo fardello. Fu un attimo, un momento in cui il suo affetto per Zack penetrò imprevisto nella sua solitamente impassibile razionalità, istante che venne presto archiviato. Perché anche se lei non lo avrebbe mai ammesso, in un angolo oscuro ed impolverato del suo inconscio giaceva come sempre inesausta la speranza che un giorno o l'altro Zack ricominciasse a tenere a lei.
<< Dovrò andare via, non so per quanto tempo. E ho... il sospetto che qualcuno sia sulle tue tracce >> spiegò Helena, distogliendo lo sguardo. Aveva un po' addolcito la pillola, fingendo che il suo fosse un sospetto e non la certezza che era in realtà << Quindi, cerca di prestare più attenzione del solito, ma non scappare prima che io ti dica di farlo, perch- >>
<< Perché fingere di non sapere mi terrà in vita più a lungo. Lo so, Lena >> concluse, corrucciato, Zack, appoggiando la schiena alla spalliera.
Helena annuì e si alzò dal letto lentamente. Si sarebbe pentita di aver avvertito Zack, lo sapeva già. Ma immaginarlo inconsapevole di un pericolo così incombente l'avrebbe fatta sentire in ansia. E visto dove stava andando, era meglio limitare al minimo gli unici sentimenti che fosse in grado di provare, quelli verso Zack e Matilda.
Zack la osservò ancora ed un sorriso vagamente isterico gli increspò le labbra: << Cazzo, Lena, hai quasi trent'anni e a malapena te ne darei diciotto >> disse, beffardo, con una punta di acredine. Helena non si offese, non c'era tempo per rimanere feriti dal fatto che Zack non solo non l'accettava come sorella, ma che non l'aveva accettata come essere umano. E che ovviamente non mancava occasione per ricordarglielo.
<< Stai attento e pronto ad ogni evenienza >> si limitò a commentare prima di andarsene, mentre una vocina infida nella sua testa le diceva che in fondo Zack aveva ragione a non considerarla uguale a lui, a non vedere niente di umano in lei. E ad essere infastidito dal fatto che una ragazzetta all'apparenza adolescente non solo si ostinasse a mettere in pericolo di vita lui e sua figlia, ma lo redarguisse su come si dovesse comportare per salvarsi il fondoschiena.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > True Blood / Vai alla pagina dell'autore: As_tat