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Autore: Kiki87    20/06/2014    9 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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prologo
Una premessa prima di lasciarvi alla lettura: tra gli avvisi non ho ritenuto necessario inserire “OOC”. Considerando che ci troviamo in un diverso contesto (anche se non mancheranno dei riferimenti alla storia originale), Sebastian, Kurt e gli altri personaggi hanno anche un diverso passato. Si sono conosciuti in modi e tempi differenti e, di conseguenza, spesso non interagiscono come è usuale in Glee. Inoltre, avviso fin da adesso per gli amanti della Klaine, che Blaine sarà spesso oggetto di critiche, epiteti e commenti ben poco lusinghieri, ma il tutto, naturalmente, non avverrà gratuitamente (non ci sono intenti diffamatori :D).
Vi rimando ai saluti finale, buona lettura! :)





Drink it if you can1
( fall in love with him).

Sono qui con te,
non potrei essere più vicino.
Fingendo di star vivendo quest’istante,
quando sono solo un fantasma.

Ascolto le parole che stai dicendo,
parole a cui stento a credere.
E’ come se vivessi molto lontano,
quando tu sei fuori portata.

E mi sento così lontano, così lontano da tutto.
Al di fuori, chiedendomi quando mi sono perso.
Alzo le braccia al cielo, perché sono scomparso?

Non voglio sprecare tempo,
vivendo una mezza vita.
Mi stai ascoltando?
Ricordo com’era prima,
ridammi la mia vita.
Sento la tua voce,
ma dentro sono perso.

So far away - Red2






Prologo.


Era il momento della giornata che preferiva: quando la sera calava sul profilo maestoso della città e le luci creavano un gioco di colori in perenne movimento. I raggi del sole morente si riflettevano sulla superficie dello skyline di New York, tingendolo di una sfumatura aranciata. Un panorama che lasciava col fiato sospeso, un paesaggio che, per quanto urbano e artificioso, sembrava avere ancora una sua anima e concedersi di estraniarsi da se stesso e confondersi nella folla, quando ne sentiva il bisogno.
Il suo passo era regolare quella sera, la mano era conficcata nella tasca del soprabito, mentre dalle labbra sgorgavano sporadicamente nuvole di fumo. Con un movimento pigro e naturale, di tanto in tanto, abbassava la mano e abbandonava il braccio lungo il fianco.
Non erano molti a passeggiare in quel vicolo del dedalo che il Dumbo3 rappresentava e l'eco dei suoi passi era l'unico sottofondo ai suoi pensieri.
Il ragazzo aveva una figura allampanata, i capelli castani, i cui ciuffi più lunghi erano spesso sollevati a lasciarne la fronte libera, in una pettinatura che ben si confaceva al volto ovale e al sorrisino impertinente che spesso ne increspava le labbra e ne faceva dardeggiare gli occhi.
Si volse ad osservare il paesaggio, Sebastian Smythe, un monito a ricordarsi che, a dispetto della sicurezza ostentata in ogni dialogo o situazione affrontata fino a quel momento, lui non fosse altro che un puntino nel caos delle infinite possibilità.
Spense la sigaretta contro una delle mura più antiche del quartiere, su cui erano impressi dei graffiti, e s’insinuò in un vicolo illuminato e decisamente più affollato.
Lo sguardo di smeraldo sfiorò l'insegna stucchevole dell'uccello acquatico che così poco sembrava affine agli abituali avventori del locale, tanto meno agli spettacolini più accattivanti delle ore notturne.
Spinse la porta del Penguin Pub4, ma già dalla soglia fu investito dall'odore di birra e dall'alone dei profumi misti al sudore degli avventori disseminati sulla pista da ballo.
Vi si era imbattuto per puro caso, una delle prime sere in cui era uscito in ricognizione, dopo essersi trasferito nel proprio loft.
Brooklyn era stata una scelta immediata: si era assicurato che uno stretto marino lo separasse da Manhattan (gloriosa da osservare a distanza di sicurezza), dalla famiglia e dai lussi dell'Upper East Side.
In quell'occasione, si era detto che un posto sarebbe valso l'altro pur di bere qualcosa di abbastanza forte da procurarsi una sbornia che potesse giustificare l'ennesima assenza al corso di legge alla Columbia University. Non che dubitasse che, se si fosse applicato, sarebbe stato un eccellente studente, ma era poco incline allo stare chiuso in un'aula e sorbirsi una lezione accademica. Soprattutto dopo essersi costretto ad attraversare la città in metro e arginare a piedi il traffico che, già dalle prime ore del mattino, era il flagello dei newyorchesi. In compenso la sua memoria fotografica lo facilitava nell’apprendere nozioni e il fascino riusciva a compensare le incertezze di fronte ad un’esaminatrice, specialmente se neolaureata.
Ma aveva presto scoperto, e non certo per merito del suo inetto barista, che al Penguin vi era un'atmosfera del tutto particolare: un ambiente nel quale rifugiarsi per una piacevole distrazione, talvolta persino utile a trovare qualche sporadico appuntamento (un “tromba e getta” rispettabile e non da matricole di coming out che affollavano i locali notoriamente frequentati da gay). O per avere la sua “ora d’aria libera”, da che aveva avuto la brillantissima idea di affittare l'altra camera da letto disponibile.
Si fece largo tra la folla, gettò uno sguardo al palco e allo spettacolino serale dedicato presumibilmente a Lady Gaga, a giudicare dai costumi vistosi, fino a quando non riuscì a raggiungere il bancone. Si sedette sullo sgabello e allentò i bottoni del cappotto, cercando di incrociare lo sguardo del barista che stava discutendo con una moretta dallo sguardo quasi strabico. Probabilmente ciò era una conseguenza di quella stupida treccia laterale e la frangetta che le arrivava fino agli occhi, spesso sgranati in un'espressione da pazzoide mestruata.
Sì, doveva riconoscersi una dote da minuzioso osservatore (anche di futili dettagli), soprattutto quando si trattava di soggetti che ostacolavano i suoi propositi ed intenzioni.
Osservò il ragazzo con aria scettica, Sebastian: doveva concedergli una buona “faccia da stronzo”, quando riusciva ad ostentarla. Una discreta capacità di simulare l'aria da bravo ragazzo, il ragazzo della porta accanto e asessuato che bussava soltanto quando aveva finito il sale; ma in realtà nascondeva manie da arrapato e disperato studente di medicina. Non aveva nulla a che vedere con i barman che improvvisavano piacevoli coreografie con lancio di bottiglie ed affini, piuttosto quell'attività era una scelta quasi obbligata (e non apprezzata) per pagarsi gli studi.
Contò mentalmente, Sebastian e, come prevedibile, allo scoccare del cinque, la moretta si voltò con aria furiosa, facendo ondeggiare la borsa e sgomitando per guadagnarsi l'uscita.
Emise un fischio di finta sorpresa e finalmente il barista si accorse della sua presenza. Tutt'altro che incoraggiato, sembrò afflosciarsi. Si passò una mano tra i capelli in un gesto di reale stanchezza, prima di avvicinarsi con lo stesso incedere di un condannato al patibolo. Improvvisò un finto sorriso di cordialità che ben avrebbe dovuto accompagnarsi al suo ruolo.
“Sempre al posto giusto al momento giusto”, lo accolse, Hunter Clarington, con improbabile allegria.
“Frena l'entusiasmo: la vista di Johanna, Jolanda-”, finse un'espressione concentrata nel tentativo di rammentare il vero nome della ragazza.
Jenna”, lo corresse l'altro in una sorta di ringhio.
“Di solito ha effetto sgonfiante”, continuò come se non fosse stato interrotto. Si puntellò con il gomito sulla superficie del bancone e sorrise con aria affettata: “Dammi il solito”.
Non lo stava neppure ascoltando, Hunter, che osservò l'uscita con aria afflitta: “Credo che stavolta sia finita sul serio”.
“Non ti sto ascoltando”, specificò Sebastian, sollevando gli occhi al cielo, prima di lasciar vagare lo sguardo sugli altri clienti. Fino a quando le note della canzone più ritmata non si dispersero e osservò, con aria evidentemente disgustata, la coppietta diabetica che stava ostentando un repertorio fin troppo vasto di romanticherie strazianti e gratuite. Soprattutto considerando che la ragazza si stesse cimentando in un brano di Céline Dion, senza averne assolutamente l’estensione vocale.
“Credeva che le avrei chiesto di venire a vivere da me”, stava continuando letteralmente il suo soliloquio, Hunter, scuotendo la testa con aria da cane bastonato.
“Il suono delle tue lamentele mi offusca la vista: non te lo sto chiedendo”, precisò Sebastian con voce sarcastica fino a quando non lo vide, con aria rassegnata, riempirgli il bicchiere che afferrò di malagrazia. Un sorrisetto insolente sulle labbra: “Comunque ci avrei scommesso che non sareste arrivati alla quinta uscita, sesso incluso”, ingollò la bevanda avidamente prima di scrutarlo di nuovo.
“Un altro”.
Nulla sembrava poter consolare il barista, se non improvvisare quell'aria da allegro chirurgo5 e cominciare a farfugliare i nomi di qualche patologia che neppure si sarebbe preso la briga di googlare per verificarne l'attendibilità o meno. “Preliminari modesti,” sentenziò con un'inarcata di sopracciglia e le braccia incrociate al petto, “dovrei preoccuparmi”.
“Fossi in te, scriverei la tesi su un laureando in medicina e il sostegno dimostrato ai suoi pazienti desiderosi di abbandonarsi ai fiumi dell'alcol e alla ricerca di piacere. Un bonus per ogni cirrosi e/o gravidanza involontaria di cui ti sei sporcato il bisturi”.
Si concesse un vago sorriso, Hunter, che scrollò le spalle. “Dovrebbero aggiungerlo al giuramento di Ippocrate”, gli concesse con aria vagamente divertita, prima di guardarlo intensamente: “Che succede, Sebastian?”.
Sbuffò, facendo roteare il bicchiere con aria pensierosa. “Non vorrei dirtelo, ma tu insisteresti e andremmo avanti allo sfinimento. O fino a quando non sarei abbastanza sbronzo da spifferare tutto, perché nel frattempo tu mi avresti versato dieci bicchieri. Quindi, saltiamo i preliminari e aspetta che sia sbronzo, ” gli porse di nuovo il bicchiere con un gesto secco, “ versa e sta zitto”.
“Bene”, obbedì l'altro con aria incurante.
Sebastian si avvicinò il bicchiere alle labbra in un movimento fluido, ignorando il bruciore in gola, lo tracannò come se gli fosse vitale per la sopravvivenza. Fissò nuovamente disgustato la coppia che, all’apice dell’intensità del ritornello, aveva ben pensato di tenersi per mano e guardarsi come due poveri allupati senza sesso da sei settimane.
Si voltò nuovamente verso il bancone, lo sguardo perso in un punto indefinito.
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Quella parte di sé che sembrava galleggiare, tornò a pulsare dolorosamente, da qualche parte al centro del suo petto. Rilasciò il respiro.
La bottiglia quasi sfuggì dalle mani di Hunter. “Che cosa?”, domandò con tono incredulo e l'espressione da cane randagio lasciò spazio al meravigliato stupore: “Con CHI?”.
Avrebbe quasi potuto ridere del modo in cui quella seconda domanda, proferita con tono esterrefatto e la voce stridula, fosse indice dell'evidente ed assoluta incoerenza che si celava dietro la decisione. Ne incrociò lo sguardo, Sebastian, un sorriso appena accennato, prima di stringersi nelle spalle: “Mezza SegAnderson”.
Ci vollero evidentemente pochi secondi perché Hunter decifrasse il reale nome, camuffato dall'epiteto, ma lo vide aggrottare le sopracciglia, con aria ancora più perplessa. Sembrò ricordare qualcosa, perché la sua fronte s’increspò: “Non mi è nuovo questo nome”.
Allungò la mano a prendere la bottiglia, Sebastian, per versarsi un altro bicchiere con uno scrollo di spalle. Lo sollevò e fissò il liquido al suo interno: “Neppure a me”.
Non fu certo di esser riuscito a simulare indifferenza.


Un anno prima.

Un sorriso soddisfatto ne increspava le labbra, come ogni volta che tornava da una serata interessante, con annesso un bonus da ottima prestazione. Avrebbe dovuto incassare la scommessa con lo sfigato barista per l'ennesima conferma che il suo istinto era infallibile. Non che si sarebbe tirato indietro, in caso opposto, ma confidava che il suo arsenale potesse “confondere” un etero abbastanza da concedergli una buona soddisfazione.
Insinuò le chiavi nella toppa: avrebbe dovuto premunirsi di non fare troppo rumore o Kurt avrebbe avuto un'altra spropositata reazione isterica, alludendo al suo bisogno categorico d’otto ore di sonno, degli impegni tra tirocinio, scuola e lavoro, nonché della sua pelle e tutta una serie di ciance che sarebbero state reputate inutili da una persona normale.
C'era da sperare, inoltre, che non fosse proprio lui costretto ad assistere a qualche parodia di bassa lega della riconciliazione tra i due innamorati, nello stile di “Le pagine della nostra vita”.
Schiuse l'uscio e cercò a tentoni l'interruttore (scampato pericolo!), ma la lampada sul comodino del soggiorno fu azionata da Kurt stesso.
Il suo volto era pallido e i capelli sembravano aver ceduto alla forza di gravità: si era persino tolto quei pantaloni rossi che così deliziosamente ne sottolineavano il fondoschiena. Indossava una tenuta sportiva e piuttosto trasandata rispetto al pigiama che solitamente era coordinato al cambio di lenzuola e di piumone. Stava seduto sulla poltrona e, prima che entrasse, completamente al buio.
Mi stavi aspettando?”, chiese con le sopracciglia inarcate e l'aria divertita.
Non riuscivo a dormire”, sussurrò Kurt in risposta.
Insonnia post attacco glicemico?”, gli chiese distrattamente, riponendo il cappotto all'attaccapanni e avanzando in sua direzione, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni e il sorrisetto beffardo e compiaciuto. Cercò di spiare nella camera del ragazzo, alla ricerca delle tracce del suo storico fidanzato.
Scosse il capo, Kurt: “Gli ho chiesto di andarsene”.
Inarcò le sopracciglia a celare la reale sorpresa, ma fu lesto a sorridere. “E' andato così male? Fammi indovinare: il suo usignolo si è incastrato nella zip e-”.
Sebastian”. Sembrava esserci una nota d’ammonimento e solo allora si soffermò con più attenzione sul viso emaciato e gli occhi gonfi, leggermente arrossati che gli erano sfuggiti di primo acchito, probabilmente perché ancora un po’ brillo e ingannato dalla sua pacatezza.
E' finita”, dichiarò e un grave silenzio riempì la stanza.
Aggrottò la fronte, Sebastian, memore del suo canticchiare irritante e il depennare i giorni dal calendario di Vogue.com, nonché la cura con cui si era preparato a quell'appuntamento tanto atteso con aria così beata e felice da apparire insulso. Sentì la mascella serrarsi, mentre si fermava di fronte a lui, le braccia incrociate al petto e il viso inclinato di un lato:
Quindi lo stronzo è venuto fin qua per mollarti?”, il tono di voce ne tradiva l'indignazione e la stizza, nell’attesa di una conferma.
Potremmo far scendere gli altri passeggeri e dirottare il suo volo”. Un sorrisetto diabolico ne aveva increspato le labbra, come sempre pragmatico nel cercare una soluzione immediata.
“Io l'ho lasciato”, la sua voce era stanca ed era evidente che non fosse entusiasta di affrontare l'argomento. Si mosse verso la zona cucina e Sebastian lo seguì.
La prima cosa intelligente che tu abbia fatto, dopo aver accettato la mia proposta di vivere qui, ovviamente”, si compiacque, neppure cercando di celare il sorriso.
Seppur non avesse (ancora) incontrato di persona il ragazzo (limitandosi a disprezzarlo in foto), il solo modo in cui Kurt ne aveva prolissamente descritto il loro incontro, il loro primo bacio (e lì Sebastian era collassato per il sonno e Kurt non gli aveva rivolto la parola per i tre giorni successivi), glielo aveva fatto detestare poco cordialmente dal giorno in cui ne aveva scoperto l'esistenza. Ossia da quando aveva appurato che un fidanzato esisteva davvero e Kurt non lo aveva inventato, in risposta al suo malcelato tentativo di abbordaggio.
E io che credevo che fossi felice di rivederlo: evidentemente in te si nasconde un bastardo incallito, perverso e-”.
Si era voltato bruscamente, Kurt, l'aria stremata e sconvolta: “Ho dovuto farlo”, pareva supplicarlo di non costringerlo ad affrontare quella conversazione.
Lo scrutò stranito. Si era evidente che la decisione non fosse stata pianificata (e fosse stato sinceramente impaziente di rivederlo), non riusciva a capire che cosa fosse cambiato nell'arco di poche ore.
Parve un silenzio lungo quello in cui Kurt si richiuse, prima di abbassare le braccia lungo i fianchi, in una posa d’evidente arresa. “Mi ha tradito”, sussurrò e la sua voce strozzata era colma di pure e semplice vergogna.
Sgranò gli occhi, Sebastian, parvero lunghi istanti quelli in cui cercò di assimilare quelle parole. Non conosceva molto delle attitudini del suo fidanzato, tanto meno se fossero ben assortiti per carattere, ma dal modo in cui Kurt, anche a distanza, coltivava quel sentimento, persino lui aveva creduto che fosse qualcosa di reale. E destinato ad essere eterno soprattutto.
Lo stupore lasciò spazio ad una tiepida rabbia e al disgusto. Non tanto l’atto di per sé (non si era mai tirato indietro, quando un suo amante occasionale aveva dichiarato di essere fidanzato), quanto l’idea che ciò fosse avvenuto alle spalle di Kurt. Che lui osservava giorno dopo giorno, che era divenuto una presenza costante e spesso scomoda e fastidiosa. Ma pur sempre desiderata.
Che figlio di puttana”, commentò in tono squillante che sembrò spezzare violentemente il silenzio.
Trasalì, Kurt, ma scosse il capo, l’aria contrita e sofferente. “H-Ha detto che credeva che tra noi fosse finita: i nostri contatti erano diminuiti, da quando ho iniziato il tirocinio a Vogue. L’ho trascurato e la distanza non era più solo fisica e-”, esordì con voce tremante.
Sebastian detestò come, persino in quel momento, stesse cercando di giustificarlo, di delineare un quadro che non mettesse il suo (ex) ragazzo troppo in cattiva luce. Se anche ciò fosse stato un modo di lenire il suo amor proprio, Sebastian non avrebbe tollerato ulteriore buonismo, soprattutto a beneficio di chi non meritava alcuna clemenza.
E il dolore lo ha spinto a eiaculare?”, chiese in tono pungente, prima di scuotere il capo. “Oh, povero Blaine”, soggiunse con tono evidentemente sarcastico.
Potresti dimostrare un minimo di-”, abbassò le mani lungo i fianchi e scosse il capo. “Lascia perdere: non so neppure perché te l'ho detto”. Si voltò e sembrò soltanto voler scappare verso la propria camera e trincerarsi nel dolore e nella solitudine.
Perché la tua visione idilliaca dell'amore è appena stata infranta e forse cominci a pensare che la mia filosofia di vita non sia la cosa più disgustosa al mondo”, fu la sua rapida analisi, avvicinandosi perché non potesse sfuggire all'intensità del suo sguardo.
Perché di fatto lo sai che per quante giustificazioni lui possa trovare e tu concedergliele, non potranno cancellare quello che è successo. E se vuoi che io te lo ricordi-”.
Si voltò bruscamente, Kurt, il viso contratto in una smorfia rabbiosa: “Vorrei solo un po' di pace e di comprensione, ma è evidente che mi sia rivolto alla persona sbagliata”.
Non farlo”, sollevò le mani ad interromperlo, Sebastian, la cui voce, per contrasto, era un sussurro tranquillo.
Cosa? Piangermi addosso?”, chiese a mo’ di sfida, le mani adagiate ai fianchi, quasi si stesse proteggendo da Sebastian stesso. “ Non ho più intenzione di-”.
Smettila di pensare che tu non sia stato sufficiente”.
Lo vide sbattere le palpebre, evidentemente spiazzato e ridotto al silenzio per un lungo istante. Sorrise amaramente, Kurt, ma parve sorpreso per come ne aveva brillantemente compreso lo stato d'animo. “Ma i fatti sembrano dirlo chiaramente, se è bastato un estraneo mai conosciuto che-”, si era interrotto, la mano premuta alle labbra a trattenere il singhiozzo di cui si era già intrisa la sua voce. Stava tremando e sembrò vacillare, evitandone lo sguardo.
Era stato un movimento quasi involontario quello con cui Sebastian si era avvicinato ulteriormente, inclinando il viso di un lato e appoggiandogli la mano sulla spalla.
Ci sono due motivi per fare sesso con un estraneo: non volere alcun coinvolgimento emotivo, ” e sorrise con aria ironica ad indicare se stesso, prima di sospirare e rimirarlo con più intensità,“o non essere più in grado di averne uno. Non è stata colpa tua, Kurt”. Aggiunse, cercando di conferire alla propria voce un'intonazione più dolce.
Gli occhi di zaffiro traboccavano delle lacrime che quella notte sarebbero ancora scivolate sul suo cuscino, all'insaputa del mondo. Le labbra si schiusero per quel verso strozzato che ne sgorgò, ma fu con slancio quasi infantile che si rifugiò contro il suo petto. Ne strinse la t-shirt impregnata dall'odore di fumo e d’alcol, ma cercò di trattenere i singhiozzi che ne facevano tremare il corpo esile.
Sussultò, Sebastian, sorpreso che fosse lui quel punto saldo a cui aggrapparsi in un momento simile. Qualcosa che sembrava andare oltre lo stringersi alla prima persona che poteva fornire un po’ di calore umano: il solo fatto che non si fosse ritratto al suo ritorno, che avesse raccontato ciò che era realmente accaduto e che fosse stato Kurt stesso a ricercare quel contatto, sembrava suggerire che stesse cercando proprio la sua presenza.
Ne inspirò il profumo di vaniglia, e quella penetrante fragranza sembrò stordirlo, ma lo pressò contro di sé, senza commentare. A quel punto la cosa migliore che avrebbe potuto fare, si era detto, era tacere e permettergli soltanto di restargli vicino. Senza altre elucubrazioni ciniche e spassionate, senza giudicarlo o farlo sentire ulteriormente fragile e insignificante.
Era curioso, lo realizzò molto tempo dopo, nessun abbraccio intimo con un partner occasionale, aveva mai mantenuto una traccia. O un minimo ricordo significativo. O dato la parvenza di serbare ancora quell'alone, anche a distanza di tempo, sorprendendolo quando tutto era buio e il sonno faticava ad avvolgerlo.
Quasi fosse divenuto un tutt’uno con l'idea di Kurt: la consapevolezza che facesse parte della sua realtà quotidiana, fino a divenire un complemento di sé. In modo naturale, indesiderato e silenzioso. E per questo più insidioso.
Non è colpa tua, ricordalo sempre”, sussurrò contro il suo orecchio, lasciando che le dita ne sfiorassero i capelli ancora impasticciati della lacca con cui doveva averli fissati poche ore prima.
Non aveva risposto, Kurt, ma si era rifugiato maggiormente contro il suo petto, rinsaldando la pressione con cui le dita ne stavano stringendo la maglia. Lo interpretò come un silenzioso ringraziamento e, al contempo, la richiesta di non lasciarlo ancora andare. Non lo avrebbe fatto comunque, si era sorpreso a pensare.
Solo dopo molto tempo si addormentò sul divano in un sonno apparentemente tranquillo. Sebastian lo aveva osservato a lungo, allungando la mano a scostarne quel ciuffo più sbarazzino che sovente scivolava sulla sua fronte, ma aveva scosso il capo.
Quella notte sembrò confermare la sua filosofia di vita: se Kurt non era stato amato quanto avrebbe meritato o quanto era in grado d’amare, non sarebbe stato proprio lui, Sebastian, a credere nell'amore. O esigerlo per sé.



Appoggiò il bicchiere sul bancone: l'aria cominciava a diventare soffocante e il cicaleccio fastidioso e assordante tra i brindisi improvvisati, le comitive che festeggiavano e gli schiamazzi d’apprezzamento alle ballerine sul palco.
Si sfiorò la tempia nel tentativo di recuperare una parvenza di lucidità. Neppure sembrava avvedersi dello sguardo prolungato del barista che pulì la superficie per l'ennesima volta e la liberò dei bicchieri vuoti.
Si fermò, infine, Hunter, appoggiandosi con i gomiti al bancone per osservarlo. “Sei turbato”.
Aggrottò le sopracciglia, Sebastian, rifilandogli un'occhiata di sbieco: “Non me ne frega niente, se vuole rovinarsi la vita”, nonostante lo sguardo rabbuiato e la dichiarazione inflessibile, la voce tradiva una nota d’ilarità per l'effetto distensivo dell'alcol.
“Sei qui da mezzora e ancora non ho sentito commenti su come la canottiera nera mi dia un'aria da gay”, fu la replica dell’altro, le sopracciglia inarcate a testimoniarne un’osservazione arguta.
Un vago sorrisetto ne increspò le labbra e lo sguardo baluginò del consueto divertimento nell'umiliare il prossimo: “E' una verità risaputa Mr Non-Sono-Bicurioso”.
Ma l’effetto benefico sembrò non durare a lungo e nuovamente distolse lo sguardo.
Sospirò, Hunter, e si sollevò. Incrociò le braccia al petto, osservandolo con il viso inclinato di un lato: “Dovresti dirlo a Kurt”.
“Che ha un complesso d'inferiorità per una mezza sega che usa il gel come lubrificante?”, rispose quasi di riflesso.
“Che lo ami”, ribatté l'altro, le sopracciglia inarcate, quasi a sfidarlo a sostenere il contrario.
Questo fece tacere Sebastian. Schiuse le labbra e le richiuse l'attimo dopo, sembrò vacillare come se fosse stato colpito inaspettatamente. O forse era l’effetto di qualche bicchiere di troppo che gli dava l’erronea impressione di trovarsi di fronte a tre facce da idiota, con la conseguente difficoltà di individuare quale fosse quella giusta a cui rivolgersi.
Aggrottò e sopracciglia, un verso prolungato d’incredula ilarità: “Clarington, non sono abbastanza sbronzo da prendere consigli da un segaiolo seriale, ma se proprio insisti”, aveva inclinato il viso di un lato con fare sardonico, “sarò lieto di suggerirti dei posti originali nei quali ficcarteli”.
Si era stretto nelle spalle, l'altro, evidentemente abituato a quel tipo di turpiloquio. Aveva persino sollevato l'ennesima bottiglia per versarne il contenuto in due bicchieri: uno scivolò verso Sebastian e tenne stretto l’altro per sé. “Questo lo offro io, ” sollevò il drink, “alla mezza SegAnderson e ad un felice divorzio, salute!”.
Aveva emesso un verso di divertimento, Sebastian, facendo cozzare il bicchiere contro il suo (dopo che Hunter parve avere pietà e allungare il proprio, visto che non riusciva ancora a capire chi fosse il vero barista tra quelli che vedeva). Bevve di un fiato, ma gli rivolse un’occhiata scettica. Non soltanto il barista sfigato non aveva avvicinato il calice alle labbra, ma lo aveva scrutato quasi a sincerarsi che bevesse interamente dal suo. “Se credi di potermi indurre ad una sbornia triste che mi faccia tornare da Kurt e supplicarlo di non sposarlo-”.
Si strinse nelle spalle, l'altro. “Chiamami pure romantico: solo perché la mia vita privata va a pezzi, non significa che lo auguri anche a te”.
Sembrò soppesare quelle parole: “Sei davvero sicuro di non essere gay?”.
Non sentì la risposta alla domanda, ma crollò con il capo contro la superficie del bancone.

~

La brezza fredda era un conforto: scansò i tentativi di Clarington di accompagnarlo, lo insultò pesantemente alla proposta di telefonare a Kurt per avvisarlo del suo imminente ritorno.
L'andatura era decisamente più goffa di quella che lo aveva visto giungere al bar poche ore prima, ma camminava lentamente. I suoi piedi sembravano ormai conoscere il percorso, anche se la sua mente era un colabrodo d’immagini, suoni e di una strana euforia, mista alla sensazione sempre più netta di una nausea crescente.
Avrebbe dovuto capirlo fin da quando era rientrato e lo aveva sorpreso a canticchiare. Aveva intuito che qualcosa doveva esser successo, qualcosa più emozionante della semplice visita al padre per il weekend nella squallida cittadina dell'Ohio. Era stato un momento folle e incredibile quello nel quale Kurt si era voltato e, con un sorriso che mai aveva visto impresso sul viso, aveva indicato con orgoglio l'anello di fidanzamento al dito.
“Io e Blaine ci sposiamo”, erano state le sue parole e c'era voluto qualche istante perché Sebastian le assimilasse. Soprattutto perché riuscisse a convincersi che stesse parlando dello stesso Blaine che, solo pochi mesi prima, gli aveva spezzato il cuore. Colui che, così aveva ripetuto a lungo, non avrebbe più voluto avere nella propria vita.

Poche ore prima.

Il tuo senso dell'umorismo non è affatto migliorato, ma apprezzerò il tentativo: devo esserti mancato”, fu il suo bentornato.
Non è uno scherzo”, aveva ribattuto prontamente, Kurt, e quel sorriso più stucchevole ne aveva fatto scintillare lo sguardo, mentre gli si avvicinava a mostrare il brillante al dito.
Aveva sollevato la mano, Sebastian, per tenerlo a distanza, la mascella serrata: “Che cosa cazzo significa? Fino a due giorni fa non meditavi neppure di incontrarlo di nuovo”, c’era una nota accusatoria nel suo tono. Ricordava perfettamente quanto era sembrato allarmato all’idea che suo padre si fosse lasciato sfuggire la notizia del suo ritorno con gli ex compagni del liceo e che qualcuno prontamente avesse avvisato l’ex fidanzato.
Aveva continuato a sorridere, Kurt, in maniera irritante: sembrava provare divertimento al suo evidente sdegno e al legittimo sconcerto. “Lo so che è inaspettato-”, aveva esordito con lo stesso tono pacato con cui gli avrebbe spiegato la differenza tra una crema idratante e una rassodante per il viso.
Inaspettato?”, ripeté con voce grondante di sarcasmo, “vorrai dire totalmente insano, inspiegabile ed incoerente, a meno che tu non abbia subito una lobotomia durante il volo”.
Lascia che ti spieghi”, lo aveva trattenuto per il braccio con aria più dolce. Lo sguardo sembrò nuovamente perdersi nei ricordi, data l'espressione sognante: “Avresti dovuto assistere alla sua dichiarazione alla Dalton davanti ai nostri amici, mio padre, gli avversari storici del Glee Club-”.
Dimmi, Kurt, esattamente che cosa mi sono perso?”, lo incalzò con espressione provocante.
Il modo narcisistico in cui persino una personale proposta di matrimonio è diventata lo spettacolo di un nano da giardino, o il modo in cui il tuo senso di inferiorità questa volta potrebbe fotterti per tutta la vita?”.
Boccheggiò, Kurt, per l'intensità con cui quelle parole furono pronunciate, ma l’effetto fu breve. Sembrava che quella nuova serenità gli permettesse di sopportare qualsiasi opinione contraria alla propria. O qualsiasi reazione negativa. “Apprezzo che tu ti preoccupi, ma Blaine è stato... Blaine è l'amore della mia vita”, si corresse. “Anche le coppie più felici hanno momenti di fragilità ma-”.
Ma cosa?”, lo sfidò Sebastian, alzando ulteriormente la voce. “E' così, Kurt? Basta una performance pubblica per far vacillare tutte le tue convinzioni e prendere una decisione del genere?”.
E' una decisione seria”, ribatté a denti stretti, per la prima volta ostentando un reale fastidio. Ma che ciò fosse riconducibile al dover proteggere Blaine e il loro rapporto (e non un’accusa di superficialità) fu persino più insopportabile agli occhi di Sebastian.
A me sembra solo l'ennesimo capitolo del Blaine Show a cui ti sei chinato per l'ennesima volta”.
Non è così!”, ribatté, Kurt, la voce più stridula e l'aria esasperata nel tentativo di farsi comprendere.
Se non altro era riuscito a lanciare una brezza in quello stato d’ilarità impenetrabile.
Certo, ci sarà molto di cui discutere, prendere altre decisioni per la nostra vita insieme e-”.
Sollevò ulteriormente la mano, Sebastian, interrompendolo. “Non resterò qui ad ascoltarti farneticare sul vostro matrimonio perfetto, mentre cerchi di giustificare la più grande cazzata della tua vita”.
Lo aveva scrutato ancora a lungo, le labbra strette in una smorfia e lo sguardo più fosco: sembrò stentare a riconoscere il giovane che aveva di fronte. Quasi rassegnato, scosse il capo e si voltò bruscamente.
Sebastian!”.
Non aveva risposto, aveva infilato il cappotto ed era uscito, sbattendo l'uscio alle sue spalle.


Non occorreva controllare l'orologio per immaginare che fosse molto tardi: non lo sorprese vedere che ogni luce era ormai spenta. Si tolse il cappotto e camminò a tentoni.
Era tentato di lasciarsi cadere sul divano e abbandonarsi al sonno (se mai le tempie avessero smesso di ballare il tip tap), ma puntò lo sguardo alla camera di Kurt. Sembrò essere ancora abbastanza lucido da riuscire a raggiungerla.
Barcollò sulla soglia, ne osservò il volto illuminato dai raggi di luna, la mano con l'anello che scintillava e che gli fece storcere le labbra. Si accomodò sul letto, attento a non sbilanciarsi e ruzzolare sul pavimento (quello sì che sarebbe stato divertente!) e ne ascoltò a lungo il respiro.
Era come se, in quel momento, potesse congelare il tempo: tutte le parole che erano state pronunciate poche ore prima, erano sospese. Così tutto ciò che avrebbero dovuto affrontare dal giorno dopo. Tutto in una dimensione distante e lontana.
Probabilmente per effetto del tasso d’alcol nel sangue, la rabbia e la reazione esacerbata che aveva ostentato, sembravano spropositate. Uno strano ottimismo sembrava dirgli che non tutto fosse finito. Era ancora in tempo per cambiare le cose.
Sospirò e ne rimirò il viso pallido.
“Coglione”, borbottò in sua direzione.
Si chinò fino a quando non poté contare le efelidi sotto l'occhio, allungò le dita a sfiorare la pelle morbida e fresca.
Sentì qualcosa contrarsi dolorosamente dentro di sé. “Non farlo”, si sentì dire e si sorprese della flessione più rauca della sua voce, della difficoltà di respirare alla sola idea che quella camera fosse nuovamente vuota e fosse privato della sua presenza.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse rimasto in quella posizione: fino a quando avesse continuato a sfiorarlo. Fino a quando avesse potuto sottrarre persino a Kurt quegli istanti soltanto per sé, tutto il resto avrebbe potuto attendere.
Almeno fino a quando la stanchezza non lo fece letteralmente crollare sul suo stesso materasso, abbarbicandosi di un fianco, cercando di lottare contro il sonno, per continuare ad osservarne il viso. Si era sentito serrare le palpebre, ma aveva stretto istintivamente il corpo dell'altro.
Lo sentì muoversi, come se anche dormendo, ne avesse percepito la presenza. Ne sussurrò il nome con intonazione confusa, prima di emettere un verso disgustato: “Puzzi di alcol”, disse con voce alterata, evidentemente quando si era coricato, era ancora arrabbiato per il loro litigio.
Sorrise per risposta, non offeso da quelle parole: “Mhm, tu sai di vaniglia e di creme da gay”, constatò, anche se ormai quella fragranza gli era familiare e non occorreva verificarlo. Affondò il volto contro la sua spalla, gli occhi chiusi e il suo respiro pesante a riversarsi sul collo di Kurt.
“Sei ubriaco”, era ancora rigido tra le sue braccia, seppur non lo avesse scostato a forza o spinto giù dal letto, come si sarebbe aspettato, ma la voce era ancora fredda.
“Non tanto”, ribatté e rafforzò la pressione con cui ne cingeva la vita, affondando maggiormente contro il suo corpo, incurante della sua apparente indifferenza a quella vicinanza.
“Non ti ho perdonato”, precisò Kurt con tono da moglie permalosa, premunendosi tuttavia di non parlare con voce troppo alta o quell'incrinatura stridula che gli avrebbe trapanato i timpani nella quiete della notte. “Sei stato villano e precipitoso”.
“E tu resti un idiota”, borbottò per risposta, quasi risentito, ma senza la benché minima intenzione di sciogliere quell'abbraccio a cui lo stava costringendo.
“Ti convincerò del contrario”, sospirò Kurt e Sebastian sorrise perché cominciò a scorgere un segnale d’apertura e di riavvicinamento. “Ma, anche se nel tuo più che discutibile modo, è dolce che ti preoccupi per me”.
Rafforzò la pressione del contatto, con aria compiaciuta, strusciando appena le labbra contro la sua mascella, nell'imitazione di un bacio. Rise del verso di disgusto causato da un alito tutt'altro che fresco e piacevole su quella pelle soffice e levigata. Sono tenero dentro e duro all'esterno”, precisò con voce più suadente al suo orecchio.
“Da ubriaco sei anche più volgare”, sbuffò l'altro, cercando di divincolarsi. “Potresti almeno girarti dall'altra parte: ricordi che hai una tua camera?”.
Ridacchiò vagamente divertito ma, malgrado Kurt fosse riuscito a dargli le spalle, si pressò contro la sua schiena. Affondò il volto contro l'incavo del suo collo: “Sì”, rispose con una traccia di divertimento nel baciarne la nuca.
Lo sentì trasalire. Sospirò l’attimo dopo: “Dormi, Sebastian: non ti attende un bel risveglio”, cercò di scioglierne la pressione con cui lo aveva cinto all'altezza dello stomaco. Per qualche motivo, quella previsione non sembrava riguardare soltanto il post sbronza.
Mugugnò, Sebastian, ma lo cinse con entrambe le braccia ad incastrarlo contro il proprio petto, con intensità quasi angosciante per il modo in cui si chinò al suo orecchio, con voce più rauca: “Non farlo, Kurt”.
Lo sentì emettere un verso di sorpresa: probabilmente domandandosi se si stesse riferendo al matrimonio o a quel tentativo di allontanarsi da lui.
“Non farlo”, ripeté con tono impregnato di reale timore.
Kurt aveva cercato di voltarsi nella stretta morsa del suo abbraccio, ma non aveva forza di schiudere gli occhi, Sebastian. Era consapevole che guardarlo in quel momento avrebbe potuto significare perdere tutto o lasciare che Kurt scorgesse qualcosa d’insopportabile.
Sospirò di beatitudine, invece, al tocco delicato della sua mano fresca ed esile lungo la guancia, lo sentì scostargli i capelli dal volto e lo trattenne, il volto affondato nel cuscino e il sorriso ad incresparne le labbra.
“Kurt”, ne sussurrò il nome, quasi ciò potesse contenere tutti i pensieri inespressi.
Gli sfiorò nuovamente la gota, l’altro: “Sebastian”, sussurrò per risposta, la voce così delicata che sembrò cullarlo con amorevole dedizione.
O poteva fingere che fosse così: fino a quando fossero rimasti soli, fino a quando le luci del nuovo giorno non avrebbero di nuovo gettato lo scompiglio nella sua vita.
“Adesso dormi: affronteremo tutto quanto”, aveva sussurrato, Kurt, carezzandone i capelli in un moto regolare che lo aveva indotto ulteriormente a sospirare e rilassarsi. La fragranza di vaniglia sembrò inondare tutto il resto, persino la nausea sembrò sciogliersi.
Lo strinse ulteriormente a sé, affondando il volto contro la sua spalla: soltanto quando Kurt si rilassò e si abbandonò al suo abbraccio, riuscì finalmente a cadere nel sonno.
Sebastian dubitava che le parole sarebbero servite, ma Blaine Anderson avrebbe dovuto stare attento: non avrebbe lasciato andare Kurt tanto facilmente.


To be continued…


Ed eccoci alla conclusione :)
Spero che l’alternanza tra narrazione presente e passata non vi risulti confusionaria: dal primo capitolo i flashback saranno riferiti ad un solo episodio, ma qui era importante focalizzarsi sulla fine della storia tra i Klaine (ho rispettato la versione originale) e il momento in cui Sebastian apprende del fidanzamento.
Prima di salutarvi, una sbirciata al prossimo capitolo (quanto mi era mancato scriverlo *-*):


Non puoi provare ad essere felice per me?” “Me lo chiederesti, anche se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo, mentre ti getti dal ponte di Brooklyn?”.
Grazie, Kurt” “Ti porto altro?” “Se vuoi saltare i preliminari, puoi sempre portarmi il tuo numero”.
Scusa dolcezza, temo che il tuo amico sia già impegnato in un’altra squadra” “Porco!” “Bene, ora che ti sei liberato, passiamo alle cose serie”.

Fin da adesso, ringrazio di cuore chiunque si appresterà a leggere questo racconto, spero di sapervi intrattenere. Un particolare pensiero alla mia Sebastian che ha atteso tra spoiler provocanti e previsioni catastrofiche sul mio modus operandi narrativo :P
Come sempre, sarò più che disponibile ad uno scambio di opinioni o qualora si necessitino chiarimenti, non esitate a contattarmi :)

Non mi resta che augurarvi buon weekend e darvi appuntamento al prossimo capitolo :)
Kiki87
 


1Il titolo fa naturalmente riferimento al verso tratto da “Glad you came” dei “The Wanted”. In verità ne avevo scelto un altro ma il mio iPod (che sospetto essere un Kurtbastian shipper più pazzo della proprietaria), ha voluto che le mie sinapsi si soffermassero sulla voce di Grant in quel preciso istante e fossi colta dalla folgorazione :)
2 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale (purtroppo la traduzione non è sempre bellissima a leggersi), cliccare QUI
3Acronimo di: "Down Under the Manhattan Bridge Overpass”, letteralmente indica il passaggio sotto il ponte di Brooklyn, si tratta di un caratteristico quartiere con un'atmosfera del tutto antica e molte strade a ciottoli dalle cui angolazioni si può ammirare il ponte. Per avere un'idea più precisa, vi allego un'immagine: DUMBO
4Ovviamente il nome è di mia invenzione, dopo aver rinunciato a scandagliare pagine di google per cercare un locale effettivamente esistente. Ma un piccolo tocco “kurteggiante” era decisamente dovuto :P
5 Fa riferimento al famoso gioco da tavola. Il nome originale è “Operation” ma perché avesse senso la frase, ho dovuto lasciare la traduzione italiana.
   
 
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