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Autore: Michimeow    22/06/2014    0 recensioni
La vita è tua Alabama- mi dice, sedendosi accanto a me- devi decidere se affrontarla o nasconderti. Devi decidere se inseguirla o scappare da lei. Devi decidere se essere il lupo o l'agnello. Capisci ?
Annuisco, lo guardo mentre si accende una sigaretta e penso che non ci sia persona più strana e bella al mondo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sveglia suona. Un suono odioso, disturbante. La spengo emettendo un grugnito che soffoco affondando la testa nel cuscino. È bollente, così lo giro dall’altra parte per godere ancora per qualche minuto della sua freschezza. Quando mi accorgo che mi sto per riaddormentare, decido che è ora di alzarsi. Devo resistere ancora per due settimane, poi sarà estate. Finalmente. Mi trascino in bagno e mi “ammiro” allo specchio. Sono uno straccio. Ho fatto tardi per finire di ripassare per il test e i risultati si vedono. I miei capelli corti sono assolutamente indecenti così cerco di sistemarli un po’ con la spazzola. Sarebbero castani, ma li ho tinti di un colore per certi versi ambiguo, ma che a me fa impazzire; un misto tra il grigio e il biondo platino. Un grigio platino argentato. Semmai esista questo colore. Mi lavo il viso con acqua fredda. Dopodiché scendo in cucina a fare colazione. Mamma sta preparando il caffè. Mi bacia sulla testa e quando è pronto me lo versa nella tazza. Aspetto un po’ in modo che si raffreddi e lo sorseggio lentamente, accompagnandolo con qualche biscotto. La colazione nella nostra famiglia è un rito silenzioso. Mio fratello maggiore, Ezra, entra in cucina e prende una mela dalla dispensa. È fissato con la linea. Va in palestra e gioca a football , insomma, ci tiene a mantenersi in forma altrimenti perderebbe metà della sua fama a scuola. Ha due anni più di me. Prima di sedersi mi bacia sulla fronte. Una volta finita la mia colazione risalgo in camera per vestirmi. Felpa extralarge e jeans strappati. Insignificante e poco appariscente, proprio come sono io. Prima di scendere afferro la cartella e faccio una minuscola tappa in bagno per mettermi il piercing. Mi metto gli auricolari, faccio partire una bella canzone, saluto mamma e Ezra con un abbraccio e mi avvio. La mia scuola non è lontana da dove abito e in dieci minuti a piedi sono arrivata. Negli ultimi cinque minuti di tragitto, però, inizia a piovere. Una pioggerella leggera, ma mi alzo distrattamente il cappuccio della felpa. Entro a scuola. Sempre le solite facce, sempre le solite persone. Siccome mancano ancora quindici minuti all’inizio delle lezioni, decido di riuscire per fumarmi una sigaretta sotto il porticato. Insipiro lentamente e offro l’accendino a una ragazza che mi chiede se ho da accendere. La campanella suona. Getto il mozzicone ed entro in classe. La prima ora c’è letteratura che è in assoluto la mia materia preferita. Nessuno lo sa, ma sono segretamente e incondizionatamente innamorata del professor Miller, colui che ci insegna letteratura. Mi abbandono sulla sedia e tiro fuori il libro che stiamo leggendo in classe. MIller entra dopo qualche minuto. È un uomo sulla quarantina. Affascinante. Ha i capelli brizzolati e la barba folta. È alto e ben piazzato. E spiega in maniera eccelsa. Ti fa amare la letteratura in ogni sua forma e sfumatura.

-buongiorno ragazzi- ci saluta, appoggiando i libri sulla cattedra e sedendosi.
Ricambiamo il saluto e apriamo il libro alla pagina che ci indica. Stiamo leggendo “ Il grande Gatsby”. È un libro interessante, soprattutto per come è scritto. Dopo dieci minuti di lezione qualcuno bussa alla porta. È il preside.

-Salve ragazzi- entra in classe con il suo solito passo pesante.
Lo segue un ragazzo. Statura media, bicipiti gonfi, spalle larghe. Ha i capelli rasati e neri. La pelle chiara, gli occhi color nocciola. Qualche accenno di lentiggini, che gli donano un aspetto un po’ più dolce. Ha un tatuaggio sul braccio destro. è un drago. Ma noto che ne ha anche un altro sul dorso della mano sinistra. Sono tre numeri romani.
“Bei tatuaggi” penso. Il drago è realizzato benissimo e i tre numeri romani, anche se non ne conosco il significato, hanno il loro fascino. Anche io ho qualche tatuaggio sparso per il corpo. Alcuni sulle braccia, uno sulla coscia della gamba sinistra. Due o tre sulle dita e uno dietro l’orecchio. Dire che sono piena di tatuaggi è sbagliato, diciamo che mi piacciono. Oh, al diavolo. Io amo i tatuaggi e se avessi tanti soldi mi ricoprirei completamente.

- Questo è Derek. Sarà il vostro nuovo compagno di classe e di avventure- annuncia il preside con un sorriso sbilenco.Derek ci saluta con un cenno. Ah, a proposito, io mi chiamo Alabama. Sì è un nome strano e bla bla bla.
Il preside invita Derek a sedersi. Poi se ne va . Lui prende posto dietro di me. Non fraintendete, era l’unico posto libero in tutta la classe. Sul serio.
Il professor Miller ci fa leggere ad alta voce in modo che anche Derek possa seguire e lo esorta a comprare il libro appena possibile. La lezione di letteratura finisce. Ne seguono altre cinque, con in mezzo anche il test di francese,  e la campanella di fine lezioni suona. Mi alzo e sistemo i libri nello zaino, sfilo una sigaretta dal pacchetto e me la infilo in bocca. Una volta uscita dalla scuola me l’accendo. Non faccio in tempo a mettere via l’accendino, che Derek si materializza di fianco a me e mi chiede se posso prestarglielo.

       -Certo- dico
       -Grazie- ribatte lui portandosi la sigaretta alla bocca.Non so come comportarmi. Insomma non so se se avviare una conversazione       o starmene zitta. Butto fuori una nuvola densa di fumo e lo guardo con la coda dell’occhio. Se non avesse avuto voglia di parlare se ne sarebbe già tornato a casa, così provo ad abbozzare un:

-allora, la scuola ti piace ?Lui fa un tiro profondo e butta fuori il fumo.
-Sì mi piace- risponde poi- non è di certo come la mia vecchia scuola.
-La tua vecchia scuola com’era ?- gli chiedo
-Brutta, fatiscente. Sembrava più un riformatorio che una scuola. Ah, se te lo stai chiedendo.. no non sono mai stato in carcere o cose così.
-Perché dovrei pensarlo ?- la risposta la so ma mi fingo comunque stupita.
-Per via del mio aspetto. Tatuaggi, capelli rasati. Classico aspetto da Tipo Da Riformatorio.
Gli sorrido e mi tolgo la felpa. Sotto ho una canotta quindi non rimane scandalizzato. Mi guarda le braccia e i tatuaggi. Poi fa a caso anche a quelli sulle dite. Non è un ragazzo molto attento. Mi sorride a sua volta.

-Allora sono anche io una Tipa Da Riformatorio ?- gli chiedo saccente, con una punta di sarcasmo nella voce.Lui scoppia a ridere.
-Probabile- dice continuando a ridere- hai mai rubato qualcosa al supermercato?
-Le caramelle quando avevo cinque anni contano ?
Derek ride di nuovo. Poi mi guarda per un po’ mentre mi rimetto la felpa. È uno sguardo curioso e innocente. Non mi da fastidio, come altri sguardi che ricevo.
Dopo avermi chiesto se ho altri tatuaggi, essersi complimentato per il piercing, dicendo “quel piercing su una ragazza è maledettamente sexy”( per chi se lo stesse chiedendo ho il central labret, quel piercing sotto la bocca) e aver apprezzato il mio colore di capelli, mi chiede:
-Posso sapere il tuo nome, Donna Tatuata ?
-Oh certo- accenno una risata- mi chiamo Alabama.
-Alabama ?- ripete stupito
-Lo so, lo so. È un nome strano e insensato. A mia mamma piacciono i nomi strani e insensati. Mio fratello si chiama Ezra, per esempio.
-Beh .. – inizia, passandosi una mano tra i capelli quasi inesistenti- io lo trovo un nome molto affascinante, invece
-Grazie, sei gentile- gli sorrido.
Guardo l’ora dal cellulare. È tardi, dovrei già essere a casa. Mia madre odia i ritardatari, soprattutto se sono i suoi figli. Getto il mozzicone della sigaretta a terra.
-Scusami Derek, devo proprio andare. Ci vediamo domani ok ? Mi ha fatto piacere parlare con te.
-Anche a me ha fatto piacere parlare con te Alabama, a domani- mi saluta leggermente con la mano mentre mi allontano e vedo sorgere un lieve sorriso tra le sue lentiggini.
Mi infilo le cuffie e metto le mani nelle tasche della felpa. Per essere maggio, il caldo non si sente nemmeno un po’. 
   
 
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