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Autore: ryuzaki eru    22/06/2014    4 recensioni
Si diceva che incontrarlo fosse molto difficile.
Si diceva che Lui fosse introvabile e che apparisse solo nei luoghi che più lo garbavano, senza uno straccio di programma o preavviso.
Pareva anche che ci si potesse imbattere nel Giocattolaio una volta soltanto nel corso della propria esistenza…

La favola di una ragazza che non smise mai di cercarlo.
(Contiene velati tratti “fiabeschi” e un vaghissimo accenno al soprannaturale, ma a mio modesto parere sarebbe stato esagerato inserirla in quei generi.)
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavano mano nella mano, la bimba e la giovane zia, e si guardavano intorno, circondate dai colori e dall'allegria della festa, canticchiando allegramente una canzone.
I ricci arruffati della bambina dondolavano appena, ai lati del capo, in due codini che parevano due cespuglietti esplosi oltre la stretta di due soffocanti elastici, che lei portava fieramente, perché erano nuovi, perché erano verdi e con una bellissima coccinella rossa applicata. Così quella testolina sembrava proprio una collinetta brulla con due soli cespuglietti sui fianchi.
«Zia...» si interruppe improvvisamente la bambina «Perché mamma non viene mai con noi quando veniamo alle fiere?»
«Semplicemente perché mamma è un po' noiosa.» rispose ridendo la ragazza, continuando a guardare davanti a sé. Poi si voltò «Ma non dirle che te l'ho detto.» aggiunse con uno sguardo d'intesa.
La bimba si inorgoglì della complicità ed annuì in modo quasi solenne, sbatacchiando i cespuglietti. Poi aggiunse «Questa volta lo incontreremo, il Giocattolaio?»
La ragazza sollevò appena le spalle, si portò la mano sul collo sinuoso e da lì fece scorrere le dita fino alla nuca, massaggiò appena i sottili e cortissimi capelli, alla radice, e poi rilassò le spalle «Chi lo sa... Ma alla fine cosa ci importa? In fondo, se non lo vedremo nemmeno oggi, be', vorrà dire che ci toccherà continuare a cercarlo, in giro per altre feste.» le strizzò l'occhio.
La nipotina, stranamente, si rabbuiò «...Zia...Ma, se lo incontriamo adesso, non è che poi non ci veniamo più alle fiere?»
La ragazza si fermò.
Rimase in silenzio, guardando davanti a sé, mentre la bimba la osservava, dal basso.
E fu così che, in quel preciso momento, nel battito d'ali di una coccinella, dopo tanti anni passati a cercarlo, la giovane donna capì il motivo per cui si diceva che il Giocattolaio non avrebbe mai definito se stesso in quel modo...
 
Si diceva che incontrarlo fosse molto difficile.
Si diceva che Lui fosse introvabile e che apparisse solo nei luoghi che più lo garbavano, senza uno straccio di programma o preavviso.
Pareva anche che ci si potesse imbattere in Lui una volta soltanto nel corso della propria esistenza.
In paese, i più ritenevano che l'alone di leggenda che lo circondava fosse una montatura, mentre i pochi che per qualche fortuito motivo avevano potuto vederlo sostenevano con noncuranza che Lui non fosse altro che un semplice fabbricante di giocattoli.
Il nonno di Apollonia, però, non la pensava così.
Egli sosteneva infatti che Lui non fosse affatto un ordinario mercante e che, anzi, fosse addirittura scorretto appellarlo "Giocattolaio", perché Lui assolutamente non avrebbe definito se stesso in quel modo. C'è da dire però che, se anche fosse stato un comune venditore, è indubbio che la sua figura avrebbe comunque attirato l'attenzione e incuriosito un certo uditorio. E questo sarebbe accaduto perché l'attività di qualunque semplice giocattolaio, per quanto possa essere ordinariamente ritenuta un lavoro come tanti altri, riesce sempre ad affascinare i bambini, che non vedono proprio nulla di comune e noioso nell'adulto che costruisca e venda i loro giochi.
Ad ogni modo, il nonno di Apollonia ribadiva spesso alla bambina che, quando Lui arrivava, solo gli sciocchi si sarebbero persi l'occasione di poterlo vedere, ma, nonostante questo e sebbene ne esaltasse sempre le qualità, non ne parlava mai in modo più dettagliato e diffuso.
"A me non è concesso raccontare troppo di Lui." le diceva "Ognuno deve fare la sua esperienza in prima persona per poter capire veramente. Sappi soltanto che in alcuni rari casi è Lui stesso a voler scegliere il gioco adatto e perfetto. Con me accadde così e fu proprio questa la mia enorme fortuna. Ricordati, Apollonia, se la sorte vorrà che anche tu possa incontrarlo, non essere precipitosa o vogliosa di individuare e possedere una qualunque delle meraviglie che lui espone, perché è infinitamente meglio che sia Lui a scegliere il gioco per te. E quello, allora, sarà il tuo dono più grande!".
E fu così che la piccola Apollonia attese con impazienza e fervida speranza l'avvento di ogni fiera e ogni festa, al proprio villaggio o in quelli vicini. Lo fece ogni volta, per tanti anni.
Ma poi, attendendo, come capita sempre, avvenne anche che lei crebbe.
E così fu accolta in una calda sera di luglio, nel corso del suo quindicesimo anno di vita, quando, tra i tanti nuovi e fastidiosi disagi, si era ritrovata pure a considerare insopportabile quel nome che si portava appresso. Il nome di una nonna che lei aveva visto solo in una fotografia: una donna anziana con indosso una vestaglietta a fiori; un nome che condivideva con un numero imprecisato di cugine, alcune nemmeno mai viste, e con altrettante vecchiette del suo paese, che, queste sì, vedeva sempre.
Era un nome da vecchia, questo pensava.
Ma quella sera la questione nome poteva essere sorvolata con leggerezza, perché c'era ben altro a cui pensare.
Così Apollonia camminava sorridente lungo la strada sterrata che costeggiava le pendici di una collina boscosa, di poco fuori dal centro del suo paesino, dove da sempre si svolgeva la fiera. Lungo il ciglio del sentiero, tra esso ed il bosco arrampicato sul colle, erano costrette decine di bancarelle illuminate, con i tendoni colorati, zeppe di mercanzie.
Durante tutto l'anno, quel luogo era buio e solitario, per lo più frequentato dai ragazzi che di notte vi si avventuravano solo per provare l'ebbrezza dell'oscurità e del silenzio, raccontando qualche storia paurosa e magari guardando il cielo stellato.
Nei giorni della fiera, però, quel posto ai margini del villaggio si trasformava.
Tutto il paese si riversava sul sentiero e le luci si imponevano nella sera, facendo completamente dimenticare a tutti di sollevare il capo verso l'alto, nel blu della volta notturna, dove il chiarore della via lattea continuava però a manifestarsi silenzioso, senza dare fastidio.
Il rombo gracchiante dei motori a scoppio delle macchine per lo zucchero filato era un sottofondo costante, ma non sgradevole, mentre le voci dei passanti si affastellavano le une alle altre, sovrastate a momenti dalle musiche diverse che alcuni ambulanti accompagnavano alle proprie mercanzie e che si imponevano alternativamente quando ci si avvicinava ad una bancarella piuttosto che a un'altra.
Apollonia camminava lungo il sentiero affollato, con un'andatura un po' ondeggiante e le ricurve scapole in vista, quasi appese, come fosse stata un camice leggero, troppo lungo e troppo ampio per la minuscola gruccia cui era stato appeso. E, così ondeggiando, fiancheggiava la sorella maggiore, che per l'occasione aveva sfoggiato un grossolano e vistoso trucco e procedeva fiera, falsamente inconsapevole degli sguardi dei giovanissimi "forestieri" venuti dai paesotti vicini.
E ridevano, tutte e due.
La fragranza dello zucchero filato e delle noccioline tostate invogliava a mangiucchiare, per gustare sapori che non sempre si sarebbero rivelati così irresistibili quanto i profumi.
E poi, ad un certo punto, il camminare ridente e da buffa passerella delle due ragazzine fu rallentato più di quanto già non lo fosse da un affollamento piuttosto denso di bambini che, accompagnati o meno dai genitori, si affastellavano intorno ad una bancarella.
Apollonia capì all'istante.
Dopo tanto attendere, Lui era arrivato per davvero.
Cercò invano di sbirciare oltre la folla che si accalcava davanti a lei.
Fece quasi per avvicinarsi...
«Uffa... Che strazio, ma quanto si agitano per degli stupidi giocattoli!» sbuffò la sorella con fare "maturo".
E Apollonia si bloccò. Rimase lì.
Con ancora nelle gambe lo slancio a fare quel passo, lo represse e non ebbe il coraggio di ribattere.
Vergognandosi della propria "infantile immaturità", soffocò l'istintiva voglia di scoprire il volto del famoso fabbricante di giocattoli ed il suo segreto.
Così, annaspando in mezzo a quel tumulto di bambini, le due ragazzine "cresciute" sorpassarono la leggendaria bancarella e continuarono la sfilata fino alla fine del sentiero.
Non fecero altro per tutta la sera, avanti e indietro su quella strada.
E, ogni volta, superarono i tanti "mocciosi" che anelavano davanti a quel banco e provocavano in sua sorella un diverso sbuffo di superiorità e sufficienza. Ma Apollonia, appesa a quella stampella troppo piccola, ad ogni tornata tacitamente indugiava dietro questo o quell'ostacolo, in mezzo alla calca, e si attardava volutamente nell'impresa di superarlo con la recondita speranza di riuscire almeno a scorgere il proprietario di quella bancarella.
Invano.
E poi, alla fine, le due ragazzine se ne ritornarono a casa.
Quando però il villaggio fu completamente immerso nel silenzio e anche il rombo delle ultime automobili si perse in un'eco lontana, Apollonia si alzò.
Attraversò il buio della propria casa e scivolò fuori dalla porta.
Si addentrò nella quiete addormentata delle vie del villaggio, delle persiane accostate e dell'intima oscurità che celavano, accompagnata solo dal rumore dei propri passi.
Superò quindi il piccolo abitato raccolto e si ritrovò alle pendici della collina, all'imbocco del sentiero terroso. E si fermò.
Il battuto si snodava adesso oscuro e desolato.
Una lunga fila di camioncini lo costeggiava, insieme ai tavolacci spogli delle bancarelle.
Dalla boscaglia e dai prati giungeva il placido frinire dei grilli, vicini e lontani.
Apollonia, intimorita, ebbe l'istinto di alzare gli occhi al blu adorno di stelle.
Adesso, nel silenzio e nell'oscurità, la volta del cielo notturno ridiventava un punto di riferimento noto e quasi rassicurante.
Quindi si decise, intraprese il suo solitario cammino nel sentiero, con quello slancio nelle gambe che era stato represso solo poche ore prima e che ora la faceva invece procedere con trepidazione.
Proseguì attenta, in uno scalpiccio sporadico di terra e sassi, al centro della strada, per mantenersi ad una certa distanza sia dai furgoncini bui e sigillati che si paravano davanti all'oscurità del bosco arrampicato sulla collina, sia dalla campagna addormentata che invece si apriva oltre il lato opposto del sentiero.
Quando però giunse al punto in cui Lui avrebbe dovuto essere, non trovò altro che una piazzola vuota, il ciglio erboso ed un albero che si inerpicava nel buio, sulla collina rigogliosa.
Il fabbricante di giocattoli era andato via.
La ragazzina sospirò.
«Ciao, Apollonia.»
Una voce calda e giovane sortì dalle nere ombre del bosco, molto vicina.
«Ancora qualche minuto e me ne sarei andato.» continuò, con calma e sicurezza.
Apollonia rimase immobile, raggelata dalla paura, anche se il calore di quella voce cristallina suggeriva al suo istinto di non scappare, di rimanere lì, inchiodata a quel sentiero.
«Sei venuta qui per me, giusto?»
La lingua annodata di Apollonia riuscì a disincastrarsi «Tu sei... sei... Come fai a sapere che sono qui per te?» disse, rimanendo sempre immobile e fissa a guardare il punto buio da dove provenivano quelle parole.
Seguì il breve soffio che accompagna in genere i sorrisi spontanei e veri e poi, incredibilmente, gli occhi di Apollonia incominciarono a scorgere nell'oscurità il profilo di un giovane uomo, seduto per terra e appoggiato al fusto di quello stesso albero che era inerpicato sul pendio a pochi passi da lei, dove prima non c'era nessuno.
Più i secondi passavano, più quel profilo diventava nitido, pieno di dettagli, nonostante rimanesse al buio.
Il giovane la osservava con un sorriso bellissimo e aperto, che gli illuminava le labbra e i grandi occhi. Aveva i capelli raccolti in una treccia che gli spariva dietro le spalle e, sebbene fosse seduto, si capiva che doveva essere alto.
«Sono felice che tu sia qui. Lo sono per te.» le disse «Questo significa molto, anche se ormai è troppo tardi perché tu possa scegliere un gioco...»
Apollonia inghiottì e poi annuì, in silenzio.
«Ma tu mi rincontrerai.»
La ragazzina sgranò gli occhi.
Lui sorrise di nuovo, in quel modo caldo e gentile «E, quando succederà, se ancora sarai curiosa, avrai la risposta alle domande che adesso aggrovigliano la tua testolina riguardo me e i miei giochi.»
«...Ma... Dicono che nessuno possa incontrarti più di una volta...» provò Apollonia.
«Be', evidentemente lo dice chi mi ha visto una volta soltanto.» rispose il fabbricante di giocattoli con semplicità.
Poi si alzò.
Sì, era alto.
Fece un profondo inchino e la lunga treccia gli valicò la spalla e gli ondeggiò davanti, quasi a toccare terra.
«Dunque, arrivederci, piccola Apollonia.»
Poi si voltò e svanì così, dietro l'albero, e Apollonia sentì solo il fruscio del prato sotto i passi che si arrampicavano nel buio del bosco.
E la bella figura del Giocattolaio era scomparsa.
 
Dopo qualche istante la zia rispose alla nipotina «Non temere, se anche lo incontreremo oggi, continueremo a venire alle fiere e io seguiterò a voler giocare esattamente come faccio ora...».
Gli occhi della bambina ridivennero adesso raggianti e la ragazza sorrise. Subito dopo la sua attenzione fu attratta da un fitto e concitato vociare poco lontano.
Istintivamente la giovane zia si fece largo tra la calca, adesso sicura nella sua figura dinoccolata e solo ancora appena un po' fluttuante, trascinandosi delicatamente dietro la nipote, e riuscì così a raggiungere il banco affollato.
«Zia!» esclamò eccitata la bimba «Zia Apollonia!»
La giovane donna si voltò allora verso la bambina, che subito continuò con fare elettrizzato e le guance rosse «È lui!! È il Giocattolaio!!»
Apollonia, osservando la lunga treccia adagiata sulla schiena del giovane che adesso si parava davanti a lei, dietro a quel banco, rispose «Sì...»
La bimba iniziò estasiata a guardare tutti i meravigliosi giocattoli esposti, agitando così la collinetta brulla ed i suoi cespuglietti appallottolati, e non fece nemmeno caso al fatto che la zia, tra sé e sé, sussurrò «Sì, è Lui...anche se credo che preferirebbe essere chiamato in un altro modo...»
«Ben tornata, Apollonia.» dopo tanti anni, quella voce era sempre la stessa, calda e cristallina.
Lui era sempre lo stesso giovane uomo «Ora, finalmente, puoi scegliere il tuo gioco.»
Apollonia sorrise «Non ce n'è bisogno... lo hai scelto tu per me, molto tempo fa...»
Gli occhi del fabbricante di giocattoli si aprirono in quel noto largo e luminoso sorriso «E dunque, tu, adesso, come mi chiameresti, Apollonia?».
«Il Maestro del Gioco...»
Perché il Gioco non sempre è un giocattolo.
Perché il Gioco non invecchia mai.
Perché il coraggio di continuare a cercarlo e desiderarlo, sempre, è uno dei doni più grandi che ogni essere umano possa ricevere.
 
 
 
 
 
Note di Eru
Scrissi questa storiella ormai un bel po' di tempo fa. Oggi l'ho ripresa in mano, revisionata e modificata in alcune parti.
Era ed è un esperimento su tipologie narrative che non mi sono congeniali: non sono esattamente portata per i racconti brevi e faccio molta fatica a partorirli, motivo per cui mi forzo e chiedo scusa per il risultato: la trovo "sbilanciata", ma non vi tedierò a spiegarne i motivi, non ne vale la pena, anche perché, come ho detto, alla fine è solo un esperimento (ma anche perché veramente c'è qualcuno che l'ha letta???)
A chi è arrivato fin qui, dico solo: grazie infinite di aver letto!!!

Eru

 

 

   
 
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