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Autore: Kicchina    23/06/2014    4 recensioni
[AoKaga - Aomine/Kagami]
"La prima volta che il professore aveva consegnato loro i libri aveva richiesto che, in qualche modo, ci lasciassero sopra il loro nome o un segno di riconoscimento – nella maniera più discreta possibile. Aomine aveva aperto la copertina, con tutta l'intenzione di scribacchiare da qualche parte sulla prima pagina il suo cognome, ed era stato sorpreso dal fatto che qualcuno avesse già segnato il libro come proprio."
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Taiga Kagami
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Word Count: 7023
Ship: AoKaga - Aomine/Kagami
Altri Personaggi: Momoi Satsuki (e sono presenti/vengono nominati Kise, Kuroko, Midorima, Takao, Murasakibara, Akashi, Himuro, Riko e Sakurai)
Note dell'Autore: Innanzi tutto, oltre che essere una fic AoKaga questa storia parla un sacco del rapporto di amicizia tra Momoi e Aomine - nel senso che, per la maggior parte della fic Satsuki è lì con Daiki. Amo il rapporto che li lega ed ho sempre voluto provare a parlarne, spero di avergli reso giustizia!
Seconda cosa, nella fic ho implicato (in modo moooooolto sottile) il MuraHimu - voglio scrivere una fic compagna per spiegare che sta succedendo con quei due aaaaaaaaaaa non accadrà - in più nella mia testa era anche MidoTaka ma, ehi, quello potete totalmente decidere non sia vero.
Tre, la fic non doveva coinvolgere il basket ma, wow, incredibile ma vero lo fa. C'è un sacco di basket, tutto il basket. Alla fine è una AU in cui sono tutti nella stessa scuola e per qualche ragione non tutti sono nel club di basket. In più, ho diminuito un po' le capacità di Aomine - oppure ho aumentato quelle di tutti gli altri? Comunque non è un mostro come in canon, e lo sport ancora lo diverte come quando era alle medie.
Come ultima cosa, volevo precisare, per chi non lo sapesse, che il primo dei due kanji che compongono il nome "Kagami" è "fuoco", mentre il primo di "Aomine" è "blu" - inoltre, sia "Taiga" che "Daiki" iniziano col kanji di "grande" (ci faccio riferimento nella fic, per questo lo sto dicendo)
Per favore, ditemi se è ooc. Se tutto è ooc. Alcune cose mi sembrano così ooc da farmi piangere.

 

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Condividere i libri di scuola alla fine non era male, dal punto di vista di Aomine.

Quando il professore di geometria, a inizio anno, aveva detto che le copie del libro di testo le avrebbe fornite lui, ma che erano un numero limitato e per questa ragione avrebbero dovuto restituirle a fine ogni lezione per far sì che potessero utilizzarle anche altre classi, molti dei suoi compagni non erano stati contenti – anche se, Aomine non ne vedeva la ragione.

Innanzitutto voleva dire che quei libri non potevano portarseli a casa, e quindi la cartella era più leggera di uno - il che era decisamente un punto a favore; in più, i suoi genitori non avevano dovuto sborsare soldi per comprare il testo, e a conti fatti anche quello era un bene (i libri di scuola, comunque, erano solo uno spreco di denaro. Almeno, lo erano per quanto lo riguardava).

E poi non avere il testo a casa voleva dire una quantità minima di assegno, che ovviamente era ciò che di meglio si potesse chiedere per una materia che si sopporta praticamente zero.

Meno aveva a che fare con quella roba inutile e meglio era.

 

La prima volta che il professore aveva consegnato loro i libri aveva richiesto che, in qualche modo, ci lasciassero sopra il loro nome o un segno di riconoscimento – nella maniera più discreta possibile.

“In questo modo, nel caso in cui una copia venga a mancare o sia in qualche maniera rovinata, saprò di chi è la colpa,” aveva detto sorridendo.

Aomine aveva aperto la copertina, con tutta l'intenzione di scribacchiare da qualche parte sulla prima pagina il suo cognome, ed era stato sorpreso dal fatto che qualcuno avesse già segnato il libro come proprio.

Nell'angolo in alto a destra, ad un paio di centimetri di distanza dal bordo della pagina, c'erano scarabocchiati in pastello rosso, separati da un pallino, i kanji di fuoco e grande.

Daiki guardò la scritta qualche secondo, poi sorrise storto, posò la matita e si voltò verso Satsuki.

“Hai un pastello blu?” le chiese, e lei annuì con un sopracciglio alzato, cercando l'oggetto nel porta-pastelli e ponendoglielo.

“A che ti serve?” domandò sottovoce, per non farsi sentire dall'insegnante, ed in risposta Aomine scrollò le spalle, voltandosi nuovamente verso il proprio libro.

Con gesti accurati ricalcò in blu il kanji di grande, trasformandolo in un un viola spento, quasi tendente al marrone, e poi, subito sotto, aggiunse il kanji di blu. Tra i due simboli, così come era stato fatto in rosso, pose un puntino di separazione.

Poi passò il primo quarto d'ora della lezione a fissare soddisfatto la propria opera, ed i restanti tre a domandarsi perché non fosse sul tetto a dormire.

 

La lezione successiva accanto al kanji del suo cognome era stato aggiunto – sempre in matita rossa – un punto interrogativo; Daiki si fece prestare di nuovo il pastello da Satsuki e ci scarabocchiò un piccolo BP esattamente accanto.

 

Chiunque fosse il proprietario di quel pastello rosso, dopo quello scambio non si fece sentire per quasi un mese e mezzo di lezioni incomprensibili e per gran parte passate a dormire.

Aomine ritrovò la stessa grafia a decorare le pagine del libro la quarta ora di un giovedì in cui si stava più o meno annoiando da morire; usando il solito colore scarlatto era stata cerchiata una parola, indicata poi da una freccia e affiancata dalla frase e questo come diavolo si legge???

Daiki riuscì per un pelo a trattenersi dal ridacchiare, dissimulando all'ultimo momento il suono con un colpo di tosse e ringraziando il cielo che nessuno l'avesse notato. Poi si fece prestare il pastello per l'ennesima volta e scrisse 'trapezio', ma che sei idiota? accanto alla frase in rosso.

Il martedì seguente entrambe le scritte erano state cancellate – per quanto i segni celeste e rosa pallido restassero ancora intravedibili sulla carta del libro di testo – e tra le pagine era stato lasciato un pezzo di carta a quadretti con sopra scribacchiato in rosso chi ti ha chiesto niente!

Quella volta, Aomine non poté far nulla per evitare la risata che gli sfuggì dalle labbra, e per questo si meritò venti minuti in piedi in corridoio.

Non che la cosa gli importasse particolarmente, ma si sentì comunque in dovere di farlo pesare a Pastello Rosso, quindi rientrato in classe si fece ridare la matita blu da Satsuki (Puoi tenertela se devi chiedermela ogni due minuti) e sul retro del pezzetto di carta scrisse, nella sua solita grafia storta e sgangherata, i suoi sarcastici ringraziamenti per il richiamo.

La lezione seguente accanto alla lamentela era stato aggiunto un >:P a cui Daiki non si degnò di rispondere.

 

Due settimane più tardi il professore li aveva messi a sprecare l'ora su esercizi che Aomine non aveva la minima idea di cosa volessero da lui - erano stati sessanta minuti trascorsi ad aspettare che Satsuki risolvesse i problemi e gli passasse poi il procedimento, mentre disegnava ghirigori e piccole palle da basket sulla copertina del suo quaderno.

Quando finalmente lo strazio finì, Satsuki stava ancora tentando – invano – di risolvere l'ultimo quesito.

“Non so da dove partire...” stava dicendo, e quando l'insegnante li spronò a restituire i testi, spiegando loro che avrebbero avuto trenta minuti la prossima lezione per completare gli esercizi, Aomine segnò distrattamente un piccolo punto interrogativo accanto al problema che gli mancava, giusto per ricordarsi (ricordare a Satsuki) quale fosse, giusto perché non aveva altro da fare con le mani in quel momento e la testa era già due ore più avanti e tre piani più giù, nella palestra della scuola.

Aggiunse un piccolo come? senza pensarci troppo, giusto per fare qualcosa, e consegnò il libro quando gli venne richiesto, sperando quelle ultime ore passassero il più velocemente possibile.

 

Il foglio a quadretti che si ritrovò davanti la lezione successiva era completamente inaspettato e stranamente benvenuto. Sulla sua superficie, più ampia di quella del foglio della volta precedente, era stato segnato in matita rossa e grafia più precisa del solito l'intero procedimento del problema che non erano stati in grado di risolvere – solo le formule e l'ordine in cui usarle, niente calcoli o risultato, ma era qualcosa.

In alto nell'angolo sinistro, quasi fossero stati messi lì come conferma, erano scarabocchiati i numeri di pagina e problema in questione; nell'angolo in basso a destra, invece, era stato scritto un piccolo di' grazie.

Aomine sollevò il foglio incerto, fissandolo con un sopracciglio alzato e la testa inclinata, ed avrebbe continuato a guardarlo per chissà quanto tempo non l'avesse riscosso la voce di Satsuki.

“Cos'è?” chiese curiosa, e Daiki la guardò, guardò il foglio, e poi glie lo porse.

“Il procedimento di quel problema che non riuscivi a fare, credo.”

Gli occhi della ragazza quasi brillarono prima che la sua mano, rapida, gli strappasse il foglio di mano per analizzarlo, mormorando oh quindi era così ed iniziando a scrivere numeri e lettere sul quaderno, confrontando i risultati con la calcolatrice quando possibile.

Aomine la guardò per tutta la durata del processo e, grazie a come le si illuminò il volto, seppe che si trovava con il risultato dato dal libro prima ancora che l'esclamazione lasciasse le sue labbra.

“Era giusto, Dai-chan! Dove l'hai trovato?”

Daiki scrollò le spalle, riprendendosi il foglio e chiedendo poi il quaderno della ragazza.

“Fammi copiare,” disse, e per una volta lei glie lo lasciò fare senza protestare.

Sai risolvere 'sta roba? scrisse invece sul retro del pezzo di carta a quadretti, infilandolo poi tra le pagine del libro e poggiandovi sopra la testa, ignorando il resto della lezione.

 

Perché non dovrei saperlo fare? arrivò la risposta due giorni dopo.

Perché la geometria è per i nerd, spiegò lui.

 

Il mio migliore amico non è un nerd!, aveva scritto Pastello Rosso.

Lo sapevo che non era roba tua lol, fu la risposta in blu.

 

Il che vorresti dire?! che seguì fu l'inizio di una discussione molto infervorata e generalmente inutile che durò settimane e, in senso stretto, fu anche l'inizio di uno scambio regolare di biglietti tra le pagine del libro e note agli angoli dello stesso.

 

Dopo quasi altri tre mesi, Aomine non era proprio disposto a definire quello strano rapporto che lo legava a Pastello Rosso come amicizia – ed il fatto che non riuscisse a trovare una parola migliore per descriverlo non era indicativo di nulla, davvero.

Tutto ciò che facevano era litigare su fogli a quadretti e lamentarsi di quanto noioso fosse il professore. A volte Pastello Rosso lasciava le risposte agli esercizi che Satsuki non riusciva a risolvere, a volte Daiki chiedeva alla ragazza di risolvere determinati quesiti per lasciare la risposta a Pastello Rosso.

Per ogni lamentela riguardo a quanto sonno avesse Aomine, in scarlatto veniva lasciata una nota per quanta fame avesse invece l'altro; avevano sempre almeno sei diverse partite di tris in corso e di tanto in tanto si lasciavano banali giochi di logica e stupidi indovinelli da risolvere a tempo perso (seguiti da note del tipo questo l'ho risolto subito o scommetto che sei troppo stupido per arrivarci).

Nel giro di quei tre mesi, ciò che Daiki era riuscito a capire di Pastello Rosse era ben misero: sapeva che era un uomo e sapeva che gli piaceva il basket; sapeva che non era parte della squadra della scuola perché preferiva lo streetball e sapeva che era cresciuto in America e per questo non capiva buona parte dei kanji; sapeva che gli piaceva mangiare e sapeva che a scuola andava uno schifo tanto quanto lui.

Per quanto fosse poco, comunque, ad Aomine non interessava molto.

Non era come se fossero amici, si diceva: l'altro era solo un pastello rosso. Anche se era vero che la voglia di giocare contro di lui uno-contro-uno era più grande di quanto fosse il suo interesse nelle partite ufficiali – e le partite ufficiali erano in grado di tenerlo sveglio la notte, spesso.

 

“Sembri contento ultimamente, quando c'è geometria,” gli fece notare Satsuki un martedì durante l'ora di pranzo, e Daiki, per un attimo, non seppe cosa rispondere.

“Ah sì?” chiese alla fine, voltandosi verso la finestra e puntando gli occhi all'esterno, e Satsuki, dietro di lui, sorrise.

“Sta iniziando a piacerti la materia?” domandò la ragazza con tono casuale, e Aomine quasi si strozzo con la propria saliva.

“Ma va!” esclamò appena riuscì a calmare le fitte di tosse, portando di nuovo le iridi blu sull'amica, e lei si picchiettò lieve le labbra con un indice.

“Però stai sempre a scrivere...”

Il ragazzo distolse lo sguardo, di nuovo, e scarabocchiò una spirale all'angolo del quaderno con la solita matita blu.

Ci vollero circa venti minuti prima che Satsuki riuscisse a tirargli fuori la storia completa – anche se Aomine aveva saputo che la conclusione sarebbe stata quella nel momento stesso in cui l'amica aveva iniziato il discorso riguardo la materia – e, per qualche ragione di cui Daiki aveva stranamente timore, la ragazza parve incredibilmente compiaciuta del racconto.

“Ma è stupendo, Dai-chan!” esclamò contenta, e Aomine, inconsciamente, si mise sulla difensiva.

“Come si chiama?” fu la domanda successiva, entusiasta, ed il ragazzo alzò un sopracciglio.

“Non so manco in che classe sia?” rispose, ed un solo sguardo di Satsuki fu in grado di farlo sentire, anche se solo per un attimo, come il più grande fallimento nella storia dell'umanità.

“Beh, che aspetti a chiedere!” disse la ragazza, allargando le braccia esasperata, e Daiki non era certo di perché fosse così interessata alla sua strana non-proprio-amicizia, ma la cosa non lo rendeva felice per niente.

“Perché dovrei farlo?” le chiese, voltandosi nuovamente verso il suo banco ed aprendo un quaderno, giusto per fare qualcosa.

“Perché no?”

Daiki scrollò le spalle.

“Stiamo bene così,” disse, per poi passare il resto della giornata scolastica a rifiutarsi di rispondere a qualsiasi altra domanda sull'argomento lei gli ponesse.

 

Torneo di streetball sabato alle dieci!!, diceva il solito pezzo di carta quadrettata il giovedì due settimane dopo, chissà che non si faccia vedere qualcuno di forte!

Daiki impiegò esattamente trenta secondi per decidere che, dovunque fosse quel torneo, avrebbe partecipato.

Fosse anche stato in Tibet, lui avrebbe partecipato.

Forse potrei esserci, scrisse invece sul foglio, perché mostrarsi impaziente non era assolutamente nel suo stile.

Il fatto che passò i due giorni successivi completamente sommerso dall'impazienza fu totalmente secondario, ovviamente.

 

Il torneo si teneva nel parco cittadino, aveva scoperto alquanto facilmente grazie alla gentile collaborazione di Midorima – che aveva risposto alla sua domanda posta nel mezzo dell'allenamento con un se è streetball allora è al parco per forza, certo che sei cretino.

(A sua discolpa, Aomine poteva dire di non aver nemmeno provato a ragionare da solo su quale potesse essere il posto, aveva semplicemente chiesto.)

A lui si erano immediatamente accodati Ryo e Satsuki, per quanto la seconda non avrebbe partecipato, ed un non molto entusiasta Midorima trascinato da un ben più che esaltato Takao.

Di Murasakibara, Daiki avrebbe fatto volentieri a meno, così come lo stesso Atsushi avrebbe di gran lunga preferito starsene a casa a dormire o mangiare dolci invece che sprecare energia inutilmente, ma Aomine non aveva idea di quanti giocatori dovesse portarsi per poter partecipare – se oltre lui ne sarebbero bastati altri due o se gli incontri sarebbero stati cinque-contro-cinque – e Akashi aveva deciso che quell'esperienza avrebbe potuto fare bene al loro Centro.

A volte bisogna scendere a compromessi per ottenere ciò che si vuole, si era detto Daiki scrollando le spalle.

Comunque, alla fine, il torneo era risultato essere strutturato tre-contro-tre ed, ovviamente, Midorima e Murasakibara avevano colto l'occasione per tirarsene fuori. Non che dispiacesse a qualcuno, tralasciando Takao.

 

Il torneo, in generale, era stato relativamente una passeggiata.

Anche ignorando l'ovvia bravura di Daiki, che sui campi di streetball ci aveva più o meno letteralmente passato l'infanzia, avere Takao e Ryo in squadra significava vincere le partite così facilmente da renderle quasi noiose – solo quasi, in quel luogo si era riunita più gente interessante di quanta Aomine si sarebbe mai aspettato.

Dopo aver vinto la partita che li avrebbe portati ai quarti di finale, l'organizzazione del torneo dava loro un'ora per riposarsi e mangiare, e Daiki naturalmente decise di sfruttare il tempo per un po' di vecchio, sano people watching.

Pastello Rosso doveva essere lì da qualche parte, dopotutto.

Non che avesse una minima idea di come individuarlo, visto e considerato che non aveva alcun indizio riguardo il suo aspetto fisico – più che altro Daiki era stato certo che, quando se lo fosse trovato contro in campo, l'avrebbe riconosciuto istintivamente.

E quello era ancora il suo piano primario, dato che era impossibile l'altro avesse perso prima dei quarti. Prima di arrivare contro di lui.

Aomine si rifiutava di accettarlo.

Però guardarsi un po' attorno non poteva fare male.

“Cerchi qualcuno?” domandò quasi immediatamente Satsuki, e, ah, era per questo che aveva insistito per seguirlo al parco.

Certo.

“Nessuno di preciso,” rispose dopo averla guardata alcuni secondi con un sopracciglio alzato e labbra arricciate.

“Oh, credevo stessi cercando la tua... fiamma.” disse lei con espressione soddisfatta ed un sorriso malamente trattenuto, e Aomine la fissò immobile un momento prima di sgranare gli occhi quasi scioccato.

“Un gioco di parole, Satsuki? Sul serio?” domandò indignato, cercando di afferrarla per la testa con una mano mentre lei si nascondeva dietro Takao con la risata sulle labbra e Midorima urlava ad entrambi di smetterla di agitarsi tanto.

“Da oggi in poi ti vieto di uscire con quel gruppo di idioti che sono gli amici di Riko, - decretò quando riuscì ad afferrarla, scombinandole i capelli e guardandola dimenarsi e urlare tra le risa di lasciarla andare, - che razza di influenza hanno su di te?”

Takao li osservò incuriosito per quasi un minuto prima di chiedere cosa stesse succedendo, e Daiki non fu in grado di reagire abbastanza velocemente per evitare che Satsuki aprisse bocca.

“Dai-chan cerca qualcuno con il nome che si scrive col kanji di fuoco!” esclamò prima che l'altro potesse coprirle le labbra.

“Non cerco nessuno!” urlò lui immediatamente, prima ancora che l'altra riuscisse a completare la frase, e riprendendo ad inseguirla nel momento stesso in cui la ragazza riuscì a liberarsi dalla sua presa.

Il Playmaker fece per chiedere ulteriori spiegazioni, interessato e divertito, quando la voce di Murasakibara catturò l'attenzione di tutti e tre, facendoli voltare verso il campo più vicino.

“Oh, non male,” disse con tono colpito.

 

A pochi metri di distanza da loro si stava svolgendo l'ultima partita per decidere chi passava ai quarti – se l'interesse di Daiki non fosse già stato attirato dal fatto stesso che Atsushi avesse espresso un commento positivo, sicuramente lo sarebbe stato dal modo in cui stavano giocando tre dei sei ragazzi in campo.

Il loro gioco di squadra, innanzitutto, era fenomenale: Aomine non era certo avesse mai visto nessuno giocare in modo così coordinato, due di loro sembravano quasi comunicare telepaticamente per quanto bene reagivano uno ai movimenti dell'altro.

Quello coi capelli scuri e uno dei due occhi coperto aveva un'agilità che avrebbe potuto fargli invidia, non fosse stato Daiki completamente certo che la sua fosse comunque migliore. Aveva una precisione nei movimenti quasi affascinante, e le sue triple sembravano essere infallibili.

Anche il biondo era forte – di una forza che Daiki non riusciva a comprendere, uno stile che sembrava l'unione di tutto ciò che nel momento potesse essere utile; sembrava essere un giocatore incredibilmente versatile. Dei tre era quello che ai movimenti degli altri due reagiva più lentamente, come se fosse meno abituato a giocare con loro, ma probabilmente sopperiva con semplice intuito, visto come la cosa non lo rallentasse minimamente.

Quello che aveva completamente catturato l'attenzione di Aomine, ad ogni modo, era il terzo.

Quello coi capelli rossi.

Daiki sentiva di non potergli staccare gli occhi di dosso, non che ne avesse la minima intenzione. Sembrava una forza della natura da quanto era esplosivo il suo modo di giocare.

Voglio andare contro di lui, si ritrovò a pensare. Uno-contro-uno, anche una partita veloce, ma voleva stare sul suo stesso campo. Contro di lui. Si sentiva vibrare dall'eccitazione, e un sorriso esaltato gli stirò le labbra senza che lui potesse far nulla per trattenerlo.

È lui, pensò. È Pastello Rosso, deve essere lui.

Non sapeva cosa lo rendesse così sicuro, ma non poteva essere altri se non lui. Il tipo di atmosfera che lo circondava, forse. O forse il fatto che fosse così incredibilmente rosso.

Era come fuoco vivo.

 

Senza rendersene conto, Daiki si era avvicinato alla rete che circondava il campo, intrecciandovi le dita e mantenendo costantemente gli occhi sul ragazzo in campo.

Mancava poco alla fine della partita, era evidente che la squadra del rosso avrebbe vinto – il biondo stava dribblando la palla oltre uno degli avversari, per passarla al moro con un gesto fluido. Quello la recuperò e si mise in posizione di tiro, lasciando che il suo marcatore saltasse per fermarlo; mosse la palla di lato, allora, passandola senza nemmeno voltarsi al rosso dietro di lui.

“Taiga!” urlò, e l'altro ricevette la palla senza fermarsi, facendo passare meno di un secondo prima di completare il movimento con una schiacciata che concluse la partita.

Taiga.

“È lui,” mormorò Aomine a mezza voce, sorriso ancora a stirargli le labbra, ed aspettò giusto il tempo che le due squadre si rivolgessero i rispettivi ringraziamenti prima di prepararsi a chiamarlo.

Venne fermato prima di poterlo fare, comunque, da un tuono talmente violento ed imprevisto da far saltare sia Satsuki che Takao al suo fianco (quand'era che l'avevano seguito, Daiki non ne aveva idea), e provocare un improvviso urlo di scuse da parte di Ryo.

Nel giro di venti secondi aveva iniziato a piovere, entro un minuto diluviava – nel caos per trovare riparo che ne seguì, Aomine perse di vista il rosso senza nemmeno accorgersene.

Quando finalmente si rese conto che quel temporale l'aveva interrotto in un momento decisamente importante, l'unico membro della squadra del rosso ancora in vista era il moro – che, per qualche ragione, stava parlando con Murasakibara nel bel mezzo del campo di streetball, ignorando completamente come la pioggia li stesse inzuppando entrambi da capo a piedi. Non che a Daiki importasse più di tanto quel che facevano quei due, quel che gli interessava era solo che aveva perso Pastello Rosso.

Dove poteva essersi cacciato in così poco tempo?

 

A causa del tempo, il torneo venne annullato.

Naturalmente.

Aomine si ritrovò a tornarsene a casa prima del previsto, fradicio, insoddisfatto e con una troppo allegra Satsuki a pregarlo di spiegarle come lo sapesse che fosse proprio quel rosso il suo “amico di penna”.

 

Tra la sera di quel sabato e l'intera domenica seguente, ad ogni modo, ebbe abbastanza tempo per riflettere sul quasi-incontro da rendersi conto che la pioggia, in quel momento, era stata una benedizione.

Perché stava per chiamarlo? E per dirgli cosa, poi?

“Yo non è che per caso sei quel tipo che continua a scarabocchiare nel mio libro?”

Certo, come no. E come glie lo spiegava il perché sapesse che fosse proprio lui? No, più che altro, e se non fosse stato lui, invece?

Chiamarlo sarebbe stato davvero stupido.

Giocare contro di lui in finale, comunque, sarebbe stato fantastico. Per quello Daiki non aveva ancora perdonato il temporale improvviso – chissà quando gli sarebbe ricapitato di poter giocare contro quel rosso...

 

La settimana e mezza successive Aomine le passò come al solito, dormendo per la maggior parte delle ore scolastiche e scarabocchiando nel libro di geometria quando possibile - con l'aggiunta però dell'immagine di quel giocatore dal capelli rossi costantemente stampata nella mente e l'ininterrotto rompere le scatole da parte di Satsuki riguardo al perché non cerchi di trovarlo se sei convinto sia lui!

Il punto era, Daiki non era più tanto certo fosse davvero lui.

La sensazione che aveva avuto al campo di streetball il sabato precedente era stata sincera, certo, ma era pur sempre solo quello – una sensazione.

Poteva anche non essere lui.

Magari aveva visto quell'ottimo giocatore di basket ed aveva pensato, wow, sarebbe figo se quello fosse Pastello Rosso, e se ne era auto-convinto. Era possibile!

“Però non lo saprai mai finché non controlli,” gli disse un mercoledì dopo scuola Satsuki, mentre scartavano i gelati che avevano appena comprato e si incamminavano finalmente verso casa.

“Controllare come!” domandò esasperato lui in risposta.

Chiederlo al diretto interessato era fuori questione, sarebbe stato troppo strano – e si premurò di renderlo noto alla ragazza dai capelli rosa quando la sua risposta fu suggerire di fare esattamente quello.

“Non l'ho neanche mai visto a scuola, quel rosso,” le fece presente, anche se era vero che i suoi orari erano un po' ridicoli, considerando che arrivava sempre in ritardo a causa della pigrizia ed andava via sempre alla chiusura dei cancelli a causa del club, e quelle volte che non era a dormire in classe era a dormire sul tetto.

Fatto stava, comunque, che non l'aveva mai nemmeno intravisto.

Satsuki ci pensò un po', mangiando attentamente il suo gelato ed arricciandosi una ciocca di capelli con l'indice sinistro.

“Potresti chiedere a Mukkun di presentarti quel ragazzo dai capelli scuri, ultimamente sembrano vedersi spesso,” suggerì, e Daiki quasi sputò il suo ghiacciolo.

“Scherzi?! Ti ho già detto che probabilmente quel rosso non c'entra niente!” protestò con veemenza, e si chiese per l'ennesima volta per quale ragione ne stesse parlando proprio con Satsuki.

(Anche se, con chi altri ne avrebbe dovuto parlare?)

La ragazza rimase in silenzio alcuni minuti, immersa nei suoi pensieri, poi sorrise e si voltò verso di lui.

“Beh, un modo ci sarebbe...” disse guardandolo, e lui alzò un sopracciglio, vagamente in allarme.

“Ma?” domandò circospetto, ed il sorriso di Satsuki si fece solo lievemente più ampio.

“Ma dovresti fidarti di me.”

Daiki non si fidava. Non si fidava per niente.

Ma quanti danni avrebbe mai potuto fare?, si disse scrollando le spalle.

 

Nel giro di sei giorni Satsuki aveva scoperto, per quanto Aomine non avesse la minima idea di come diavolo ci fosse riuscita, quale fosse l'altra classe in cui il professore di geometria utilizzava i loro libri.

1B!, aveva dichiarato entusiasta all'ora di pranzo di martedì, e due minuti dopo Daiki stava venendo trascinato verso l'aula in questione, con una forza che non sapeva neanche la ragazza possedesse.

“Satsuki, Satsuki aspetta! Che diavolo ci stiamo andando a fare? Piantala!” tentò di lamentarsi, ma lei gli rispose semplicemente dicendogli di tacere e seguirla.

“Avevi detto ti saresti fidato,” gli ricordò canticchiando, e Aomine decise lì, in quel momento, che non le avrebbe mai più lasciato carta bianca per nulla.

“Non pensavo volessi trascinarmici a forza!” sbottò, cercando invano di strattonare il braccio ed allentare la presa dell'altra.

Ci volle poco più di un paio di minuti prima che la ragazza si fermasse, voltandosi verso di lui e facendogli segno di abbassare la voce, camminando poi in punta di piedi verso le finestre della classe che davano sul corridoio ed accovacciandosi sotto di esse.

“Che diavolo stai facendo?” le chiese lui con tono piatto, senza muoversi dal punto in cui lei l'aveva lasciato, e Satsuki si portò un indice alle labbra e sibilò uno shhhhhhhhhhhhhhh! talmente sottovoce da essere quasi inudibile. Poi gli fece segno con la mano di avvicinarsi, e lui sospirò sconfitto, coprendo la distanza a grandi falcate e lasciandosi cadere accanto a lei, schiena poggiata contro la parete e gambe incrociate davanti a sé.

“Che stiamo facendo?” domandò ancora, tono di voce moderatamente più basso, e lei gli rivolse uno sguardo eccitato.

“Puoi controllare se c'è il ragazzo del torneo!” esclamò esaltata, sempre a voce bassa, e Daiki sollevò un sopracciglio. Prima che potesse rispondere, però, lei riprese a parlare.

“Oppure! Se non c'è puoi vedere se riconosci qualcun altro! Così saprai chi è!”

Aomine sospirò ancora, guardandola storto.

“È ora di pranzo. Potrebbe essere ovunque.”

“Ma potrebbe anche essere in classe!”

“Potrebbe essere assente.”

“Oppure no!” si lamentò lei, esasperata, e Daiki la guardò ancora pochi secondi prima di decidere che, al diavolo, erano già abbastanza ridicoli seduti nel mezzo del corridoio a sussurrarsi a vicenda, tanto valeva controllare.

Sospirò un'altra, ennesima volta, per poi portarsi in posizione accovacciata, voltandosi verso la parete e sbirciando appena l'interno della classe dalla finestra sopra di lui.

 

Ci vollero circa due decimi di secondo prima che i suoi occhi ricadessero sulla familiare testa rossa, ed istintivamente si riportò a sedere il più velocemente possibile, assicurandosi di essere completamente nascosto dalla parete. Si sentiva, per qualche ragione che non era certo di capire, la faccia in fiamme ed il cuore in gola.

Satsuki, vista la reazione del suo migliore amico, si portò sulle punte e sbirciò a sua volta oltre la finestra, emettendo poi un verso eccitato e risedendosi accanto a lui con viso raggiante.

“È lì!” disse esaltata, e Daiki quasi le ruggì contro un ti dirò, me ne ero accorto.

“Era davvero lui il ragazzo del libro, Dai-chan!”

Satsuki stava saltellando sul posto, volto decorato dal sorriso più grande le avesse visto ultimamente, e Aomine si sentiva morire.

“Non-non è detto sia lui,” disse sottovoce, facendosi coraggio e rialzandosi a guardare nella classe; l'altra, al suo fianco, fece lo stesso, sistemandosi spalla a spalla accanto a lui.

Guardò più attentamente l'aula, Daiki, soffermandosi sulle varie facce e cercando il più possibile di non riportare lo sguardo sul ragazzo dai capelli rossi; si risedette, poi, afferrando l'amica per il braccio e portandola giù con sé.

“Ci sono almeno altri tre ragazzi che ho visto al torneo,” disse infine, cercando di mantenere la voce il meno delusa possibile. Nell'aula, oltre il rosso, c'era anche il biondino suo compagno di squadra e altri due ragazzi castani con cui aveva giocato – e che, ovviamente, aveva battuto.

Poteva essere uno chiunque dei quattro, sempre che fosse stato uno di loro.

“Ma deve essere lui!” esclamò la ragazza, battendogli ripetutamente una mano sul bicipite.

“Che ne sai!” le sibilò Aomine in risposta, e lei mise il broncio ed incrociò le braccia al petto.

“Fidati una buona volta, ti dico che è lui!”

“E io ti sto chiedendo come fai a esserne sicura!”

“Lo so e basta! Forza, vagli a parlare!” esclamò, spingendolo verso l'ingresso della classe. Daiki strabuzzò gli occhi, mantenendo la posizione sotto la finestra.

“Che?! E per dirgli cosa!” esclamò quasi indignato.

“Non lo so, qualsiasi cosa!”

“Uhm... che state facendo voi due qui sotto?”

La voce, arrivata da sopra di loro, li fece bloccare completamente. Aomine si sentì sbiancare e, talmente lentamente da avere anche dubbi si stesse effettivamente muovendo, spostò gli occhi all'apertura della finestra.

 

Le iridi che li stavano fissando incuriosite erano – per grande sollievo ed allo stesso tempo infinita delusione di Aomine – di un dorato quasi giallo, e Daiki ne riconobbe immediatamente il proprietario come il biondo che, ormai due sabati prima, era stato in squadra con il Power Forward dai capelli scarlatti.

Il ragazzo lo fissò con un sopracciglio alzato per un secondo, poi portò lo sguardo su Satsuki e sgranò gli occhi.

“Momocchi!” esclamò, e Aomine ebbe l'impressione che la ragazza stesse tentando, ovviamente invano, di farsi il più piccola possibile.

“Uhm...eh-ehilà, Ki-chan...”

Daiki si voltò di scatto a fissarla, socchiudendo le palpebre nell'espressione più minacciosa riuscisse a richiamare.

Lo conosci?” domandò in un sibilo, e Satsuki, quasi incredibilmente, si rannicchiò ulteriormente su se stessa.

“Uhm...circa?”

Circa?! Perché lo conosci? Da quando lo conosci?!” le chiese in un sussurro irato, cercando di non farsi sentire dal biondo che li stava ancora fissando dall'alto, e Satsuki aprì la bocca per rispondere, la richiuse senza dire una parola e sorrise come un bambino che è appena stato scoperto a rubare i biscotti e cerca di uscire dai guai sembrando adorabile.

Ma Daiki non ci sarebbe cascato.

“Satsuki!” le ruggì in un sussurro.

“Cosa!” rispose lei con lo stesso tono.

“Ma perché siete qui per terra?” domandò il biondo da sopra, e Aomine quasi si voltò per dirgli di andare a quel paese quando una quarta voce si aggiunse alle loro, distraendolo.

“Kise? Che stai guardando?” chiese, e due secondi dopo il volto del ragazzo dai capelli rossi apparve da dietro la spalla sinistra del biondo, sopracciglio alzato ed espressione incuriosita.

Aomine decise che, qualsiasi cosa fosse successa, quella giornata peggio di così non poteva andare.

 

Cosa che, comunque, si rimangiò nemmeno un minuto dopo – e, ci fosse stato Midorima, probabilmente gli avrebbe detto che facendo quel genere di affermazioni la sfortuna se la stava chiamando addosso.

Aomine stava iniziando a crederci.

Non appena il volto del rosso apparve nel riquadro della finestra, Satsuki saltò in piedi, scostando con una mano il biondo e portandosi esattamente dinanzi all'altro ragazzo.

“Ciao!” disse solare, mani sulla cornice e busto sporto verso l'interno della classe, ed il rosso fece, sorpreso, un passo indietro.

“Uhm...ehi?” rispose incerto, ed il sorriso sul viso della ragazza si fece, se possibile, ancora più ampio; non fosse stato praticamente paralizzato, Aomine avrebbe interpretato la cosa come il pessimo segno che era ed avrebbe trascinato via Satsuki di peso.

Purtroppo, era troppo occupato a fissare - con il volto in fiamme e gli occhi sgranati - il ragazzo appena apparso accanto al biondo per poter fare nulla di utile.

“So che potrà sembrarti una domanda strana, ma per caso sei tu quello che scrive in pastello rosso nel libro di geometria di Dai-chan?” chiese innocente Momoi, puntando un pollice contro l'amico ancora accovacciato al suolo.

Aomine si sentì come se gli avessero appena svuotato un secchio d'acqua congelata in testa; fu quasi certo di essere diventato bianco come un lenzuolo (per quanto il suo colorito gli permettesse).

Poi il volto gli tornò ancora più rosso di prima, ed istintivamente si catapultò in piedi verso l'amica.

Satsuki!” urlò, coprendole ormai troppo tardi la bocca con le mani – poteva sentirla sorridere contro il palmo della sua mancina, e fu seriamente tentato di strozzarla.

“Non è niente, - disse poi rivolto all'altro, incrociando per la prima volta il suo sguardo e tentando di mantenere il tono il più calmo e controllato possibile, sperando la tonalità scura della sua pelle nascondesse senza problemi il rossore delle sue guance - è solo cretina, fai come se non-”

“Oh, quindi eri davvero tu!”

Alle parole, Daiki si bloccò, allentando la presa sul viso di Satsuki e sgranando gli occhi, bocca ancora aperta per finire di dire qualcosa che ormai non ricordava neanche più cosa fosse.

L'altro lo fissò mezzo secondo senza dire nulla, poi il viso gli avvampò ed alzò le mani con i palmi rivolti verso Aomine, facendo un mezzo passo indietro.

“No, cioè, ti ho- uhm- ti ho visto giocare? Al torneo, ed ho pensato che dovevi essere tu il... il tipo del pastello blu. Non so... non so perché...?”

La sua faccia era talmente rossa da fare concorrenza ai suoi capelli, ed i suoi occhi non sembravano essere in grado di incontrare quelli blu dell'altro neanche provandoci. Ad un certo punto Satsuki doveva essersi liberata dalla presa dell'amico, e sia lei che il biondo li stavano guardando con sorrisi storti ed espressioni divertite, scambiandosi ogni tanto occhiate complici.

Tutto ciò a cui Daiki riusciva a pensare in quel momento, comunque, era ah, è davvero Pastello Rosso.

Si sentiva sollevato, in fondo.

“Aomine Daiki, - disse, rompendo il silenzio imbarazzato che era calato tra loro, - il mio nome, Aomine Daiki,” specificò quando l'altro lo guardò incerto.

“Ah! Kagami Taiga!” rispose allora il rosso, e Daiki sentì improvvisamente le labbra stirarsi in un sorriso contento ed il cuore battergli forse troppo velocemente.

Kagami Taiga.

Ora aveva un nome.

 

“Quindi sei tu quello per cui risolvo problemi che non mi sono stati assegnati,” disse poi una quinta voce, come apparsa dal nulla, e tutti e quattro i ragazzi si sentirono saltare, sorpresi.

“Maledizione Kuroko, piantala!” si lamentò per primo il rosso – Kagami – spostando gli occhi su un ragazzo solo di poco più alto di Satsuki, e Aomine si chiese, in tutta sincerità, se si fosse materializzato dal nulla più assoluto.

“Sul serio, Kurokocchi, le tue apparizioni improvvise non mi fanno bene!” piagnucolò il biondo, e il nuovo venuto scrollò semplicemente le spalle, tenendo gli occhi celeste ghiaccio puntati in quelli oltremare di Daiki.

“Uhm, no, in realtà sarebbero per me!” esclamò d'improvviso Momoi, attirando su di sé lo sguardo impenetrabile dell'altro, e Aomine, in qualche modo, le fu grato.

“A Dai-chan la geometria non interessa, gli esercizi glie li passo io quando riesco a risolverli – a proposito, grazie per quell'ultimo problema, mi hai proprio salvata!”

Il ragazzo dai capelli celeste sorrise piano, avvicinandosi a Satsuki e ringraziandola a sua volta delle soluzioni che lei aveva fornito, iniziando una conversazione riguardo la geometria che presto coinvolse anche il biondo, lasciando Aomine e Kagami da soli a guardarsi attorno in silenzio.

Daiki non capiva bene perché, ma ogni volta che gli occhi gli cadevano sull'altro ragazzo si sentiva la temperatura del volto aumentare ed il cuore salirgli in gola.

Non aveva senso, dopotutto era solo il solito cretino che perdeva i giochi di tris facendosi fregare sempre dagli stessi trucchi e che gli lasciava indovinelli idioti su fogli quadrettati tra le pagine del libro di geometria.

Era solo Pastello Rosso.

Il fatto che ora avesse un nome ed un volto non cambiava nulla.

Non avrebbe dovuto cambiare nulla.

L'altro sembrava frustrato quanto lui, almeno, visto il colore carminio delle sue guance ed il modo in cui i suoi occhi si ostinavano a non incrociare quelli di Daiki.

Aomine si rallegrò del fatto che, come minimo, pareva che non fosse l'unico dei due ad essersi momentaneamente rimbecillito.

Poi il rosso parve riscuotersi, all'improvviso, e finalmente portò lo sguardo sul volto del più alto, puntandogli un dito contro.

“One-on-one!” disse, il viso serio e gli occhi eccitati.

Aomine lo guardò con un sopracciglio sollevato, insicuro riguardo cosa volesse dire, e l'altro si avvicinò con un solo passo alla finestra, mantenendo ancora il dito puntato contro di lui.

“Te lo volevo chiedere da quando ti ho visto giocare, ma non ero certo fossi tu – avremmo dovuto incontrarci durante il torneo, ma per colpa della pioggia...” lasciò che la frase sfumasse senza completarla, roteando gli occhi e facendo schioccare la lingua infastidito - Aomine poteva simpatizzare con quel sentimento senza troppe difficoltà.

Poi il sorriso tornò a piegargli le labbra.

“Gioca uno-contro-uno contro di me! Dopo scuola!”

Daiki lo fissò incerto mezzo secondo, poi si ricordò di quanto fosse stato accattivante guardare il rosso giocare quel sabato mattina. Quanto la sua energia fosse stata travolgente, quanto avesse desiderato poterlo sfidare anche subito.

Lasciò che un sorriso di superiorità gli stirasse le labbra, sentendo ogni fibra del suo corpo vibrare dall'eccitazione.

“Come se tu potessi battermi,” disse, perché una qualsiasi altra risposta più impaziente non sarebbe stata per nulla da lui, e la cosa sembrò infervorare Kagami come niente altro.

“Ovvio che posso! Ti farò vedere!”

“Ah sì?” rispose Aomine, incrociando le braccia al petto ed assumendo una posizione rilassata. Kagami sollevò il mento in segno di sfida, guardando l'altro sicuro di sé.

“Certo! Dopo scuola, vedi di non scappare!”

“E chi scappa, Bakagami.”

“Sta zitto, Ahomine! Ti straccerò, tu aspetta!”

La campana che segnalava la fine dell'ora di pranzo suonò sopra le loro teste, ed Aomine – mani in tasca e spalle rilassate – si incamminò verso la propria classe senza controllare che Satsuki lo stesse seguendo.

“Non farmi aspettare troppo,” chiamò alle proprie spalle, ridendo poi quando Taiga gli urlò di andare al diavolo.

 

Quel pomeriggio, Kagami perse diciotto a ventuno. Aomine rise di lui per tutta la durata della cena a base di hamburger che ne seguì, ed il rosso gli promise che il giorno successivo glie l'avrebbe fatta vedere.

 

Mantenendo la parola data, il pomeriggio seguente Kagami vinse ventuno a venti, ed Aomine – non che l'avrebbe mai ammesso – si innamorò un po' di quella testa rossa troppo esaltata.

 

Un mese più tardi ed i due avevano iniziato a chiamarsi per nome, le sfide sul campo da streetball erano diventate all'ordine del giorno ed Aomine, perché i suddetti incontri facevano sì che saltasse più che spesso gli allenamenti del club, era stato costretto da Akashi a convincere Kagami ad unirsi alla squadra di basket scolastica.

Che poi, in generale, era la cosa migliore Daiki avrebbe mai potuto fare.

Adesso poteva non solo giocare contro Taiga in qualsiasi momento volesse, ma l'aveva anche come alleato nelle partite ufficiali; gli allenamenti giornalieri si erano fatti decisamente più divertenti ed interessanti e, come se non bastasse, Kagami si era portato dietro sia Kise che Kuroko – la cosa aveva, per qualche motivo, reso Akashi decisamente contento, ed un Akashi contento era sempre una buona cosa per il loro club.

Il libro di geometria continuava a riempirsi di scarabocchi e fogli a quadretti, e Taiga continuava a perdere quasi tutti i giochi di tris.

 

Due mesi e tre settimane dopo, Tetsu e Satsuki li avevano costretti a sospendere i loro incontri uno-contro-uno, che li impegnavano solitamente fino a tardi ogni sera, ed a sprecare pomeriggi praticamente perfetti per studiare la maledetta materia assieme, perché, se venivano bocciati in geometria a causa del fatto che sprecavano tutto il tempo a fare sciocchezze l'uno con l'altro, Satsuki gli aveva promesso che non gli avrebbe mai più passato nulla per il resto del liceo – e Kuroko aveva giurato di portare Nigou a casa di Kagami e svegliarlo ogni mattina facendogli leccare la faccia dal cucciolo.

(Quando Taiga gli aveva rivelato la sua fobia dei cani, Aomine aveva riso di lui per quasi un'ora di fila.)

(Poi Kagami aveva scoperto la paura delle api di Daiki, ed aveva ricambiato il favore con gli interessi.)

 

Fu durante uno di quei pomeriggi che Daiki si fece coraggio e baciò Taiga per la prima volta.

Il rosso aveva la testa abbandonata sul quaderno pieno di appunti e calcoli, lamentandosi di quanto avesse fame e quanta poca voglia avesse di studiare e perché dobbiamo stare qui se non ci capiamo niente comunque? Andiamo a giocare a basket! – e Aomine non aveva saputo resistere.

Si era piegato in avanti, abbastanza lentamente da rendere ovvio all'altro quello che stava per fare e dargli il tempo di spostarsi in caso avesse voluto, e l'aveva baciato di un bacio a timbro, durato meno di un paio di secondi.

Poi si era allontanato, aveva guardato Kagami sgranare gli occhi ed arrossire, ed era avvampato a propria volta.

Sul viso di Taiga, comunque, c'era anche un sorriso compiaciuto e contento, e quando la mano del rosso si allungò verso di lui, afferrandolo dal collo della maglia e trascinandolo verso di sé, Aomine si lasciò guidare verso il pavimento, ricoprendo di nuovo la bocca dell'altro con la propria e dimenticando definitivamente la vera ragione per cui erano lì con i libri davanti.

Quel pomeriggio, di geometria se ne fece ben poca.

Non che ad Aomine importasse, né interessava particolarmente a Kagami. Quando si trattava di quella materia, non era una novità i due non combinassero niente.

 

Era ormai passato quasi un intero anno scolastico e Daiki non aveva nemmeno una vaga idea di cosa avrebbe dovuto insegnargli il programma di geometria, in tutti quei mesi appena trascorsi. Le sue conoscenze a riguardo erano rimaste praticamente inesistenti ed il livello di distrazione durante le ore di quel professore non aveva fatto altro se non aumentare.

Ciò, comunque, non toglieva che, se gli avessero chiesto quale fosse la sua materia preferita, ultimamente avrebbe con ogni probabilità risposto senza un minimo di esitazione geometria.

  
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