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Autore: orphan_account    23/06/2014    1 recensioni
#1 Zayn si vergogna di provare un sentimento simile, ma non riesce a farne a meno. Alla fine è libero.
#2 Harry non ci crede, non può crederci. È ridicolo che Mallory stia per morire. Impossibile.
#3 Liam, già ansioso di suo, non pensa di riuscire a reggere la tensione della sala d'attesa. Men che meno le cattive notizie.
#4 Niall piange. Ha paura, si sente solo. È sotterrato dal dolore della sua perdita e dai 'se'.
#5 Louis prova solo rabbia. Per lui, tutto questo è sbagliato. Non è giusto che gli stia capitando questo proprio adesso.
//Cinque cortissime OS, ognuna incentrata su un personaggio diverso. Questa è una Deathfic, contiene, in caso non lo aveste capito, tematiche di morte. Sì, gente che muore. Se non vi piace, non leggete.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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And I looked around at all the eyes on the ground,
as the TV entertained itself.
‘Cause there’s no comfort in the waiting room,
just nervous pacers bracing for bad news.
And then the nurse comes round,

and everyone lift their heads,
but I’m thinking of what Sarah said;
that love is watching someone die.
So who’s gonna watch you die?


Se mi avessero chiesto quale luogo odiavo di più al mondo, le sale d'attesa degli ospedali avrebbero raggiunto il primo posto senza alcuna fatica. Non c'era nulla di più sconfortante che aspettare in una stanza dall'odore asettico, con niente da fare se non osservare le altre persone e disperarsi sulla sorte di una persona amata.
La sala d'attesa del reparto di cura intensiva, però, si stava rivelando un'esperienza anche più angustiante. Erano ore che stavo aspettando di sapere qualcosa su Sarah, e invece nessuno veniva a dirmi nulla. Lanciai uno sguardo distratto al grosso orologio sulla parete bianca, constatando che tra qualche minuto sarebbero state nove ore d'attesa.
Ero dilaniato dall'incertezza. C'era una vocina dentro la mia testa che mi sussurrava tutte le disgrazie che sarebbero potute accadere. C'erano milioni di complicazioni possibili in un parto. Per non parlare del fatto che non era di un banale parto di cui stavamo parlando, ma di quello di mia moglie. Quando le avevano fatto i primi test e le ecografie, era subito risultato ovvio che non sarebbe stata una gravidanza facile. Eravamo entrambi piuttosto avanti con l'età, e da quel che avevo capito ciò comportava diverse complicazioni.
Ma quel che Sarah voleva, avrebbe ottenuto. E Sarah desiderava con tutta se stessa un figlio, quindi avrei fatto di tutto per accontentarla, anche mettere a rischio la sua salute. Oh, non che non avessi provato a farle cambiare idea, ma non c'era stato niente da fare. Avevo proposto l'alternativa dell'adozione, dilungandomi su quanto sarebbe stato nobile e ammirevole adottare un bambino invece che metterne al mondo un altro. Sarah però non ne aveva voluto sapere, e così avevo ceduto al suo desiderio. Durante la gravidanza avevo cercato di autoconvincermi che nulla sarebbe andato storto, ma nel profondo sapevo già, con una lucidità sconcertante, che sarebbe finita in tragedia.
Il solo pensiero mi fece salire un conto di bile acida in gola, e mi alzai dalla scomoda seggiola di plastica per camminare su e giù lungo la sala d'attesa, ignorando le occhiate sporche che gli altri mi stavano lanciando. L'idea di vivere in un mondo senza Sarah mi privava del respiro, mi risultava così difficile da concepire che avrei quasi preferito veder morire la mia bambina che stava nascendo in quel momento.
Ma anche il pensiero di perdere mia figlia, l'esserino su cui avevo riposto così tanti sogni e speranze negli ultimi nove mesi, con cui avevo parlato tramite Sarah, che avevo sentito allegramente calciare nella pancia della sua mamma, mi lasciava agonizzante.
Lanciai un'altra occhiata all'orologio, notando con sconforto che erano ben nove ore e mezza che ero in sala d'aspetto. Chiusi gli occhi, tornando a sedermi di fronte al piccolo televisore, osservando senza vederlo veramente l'uomo del telegiornale, che stava guardando dritto verso la telecamera mentre parlava di una nuova legge che i liberali stavano cercando di far passare.
Per un istante mi domandai come fosse possibile che il mondo stesse andando avanti mentre mia moglie era in una stanza d'ospedale, e forse stava morendo proprio in questo momento.
Proprio in quel momento, prima che la frustrazione per la mia impotenza potesse diventare soffocante, una infermiera entrò nella stanza.
Alzai lo sguardo verso di lei, non riuscendo ad impedire che una scintilla di speranza si facesse strada nel mio cuore. Con la coda degli occhi vidi tutte le persone che, come me, stavano aspettando una comunicazione di qualsiasi tipo, scattare sull'attenti come un cane davanti ad un osso.
La donna si guardò attorno brevemente prima di pronunciare con voce secca: “Signor Payne? Il signor Payne è qui?”
Mi alzai in piedi di colpo, quasi inciampando sui miei stessi piedi nella foga di avvicinarmi a lei: “Come sta Sarah? Per favore, mi dica qualcosa.” supplicai la donna, mentre mi conduceva lungo il corridoio.
La maggior parte delle porte erano chiuse, ma alcune erano aperte, e non riuscivo a fare a meno di rabbrividire ogni volta che il mio sguardo cadeva sulle stanze sterili e bianche, con quei lettini color menta così duri e bitorzoluti, e i macchinari complicati che suonavano e sibilavano ogni secondo. Per non parlare dei visi pallidi e smunti delle persone distese nei letti, dei tubi che spuntavano dalle loro braccia e visi, delle espressioni scoraggiate e piene di dolore.
“Congratulazioni.” disse la donna, sorridendomi, “É una bambina perfettamente sana.”
“E Sarah?” domandai, sentendomi allo stesso tempo elettrizzato e terrorizzato.
L'espressione della donna si scurì: “Sua moglie è in condizioni critiche al momento, è stato un parto molto difficile. Potrebbe non farcela.”
Mi sentii mancare, e dovetti fermarmi in mezzo al corridoio e appoggiarmi ad un muro per non cadere. Davanti a me si prospettava una vita senza mia moglie, senza la donna che più amavo al mondo, e il pensiero era intollerabile. Se non ci fosse stata anche mia figlia a cui pensare, ora, non sapevo cosa avrei fatto.
“Quanto è alto il rischio che non ce la faccia?” balbettai infine, stringendo i denti e permettendomi di sperare per l'ultima volta.
“Molto alte. I medici non pensano che arriverà a domani mattina, ma al momento è ancora cosciente.” disse con compassione la donna, appoggiando una mano sulla mia spalla per conforto.
“Posso vederla? Posso vederle tutte e due?” domandai alla fine, voce fievole e spezzata, sentendomi sprofondare in un burrone infinito, senza alcuna via d'uscita.
La donna annuì e mi condusse quasi in fondo al corridoio, di fronte ad una porta socchiusa da cui provenivano i gemiti di un neonato. Feci un respiro profondo ed aprii la porta, temendo quello che avrei incontrato. Lo spettacolo che mi si presentò davanti era allo stesso tempo migliore e peggiore delle mie aspettative.
Sarah era semidistesa con la bambina in braccio, e la guardava con amore che scintillava chiaramente nei suoi occhi. Alzò gli occhi quando mi sentì entrare, e il sorriso che mi rivolse era abbagliante, il più felice che le avessi mai visto addosso. Ma non aveva il migliore degli aspetti, anche se rimaneva comunque bellissima ai miei occhi. Era ricoperta da un velo insistente di sudore, il suo viso era grigiastro e stava tremando visibilmente.
“Liam.” disse con voce raschiante, allungandomi la bambina. Mi avvicinai velocemente per prenderla dalle sue mani, cosciente del fatto che il tremore e la sua debolezza fisica avrebbero potuto portare Sarah a farla cadere.
La mia bambina non era altro che un fagottino rossiccio e piagnucolante, ma ai miei occhi era la più bella del mondo. E poi aprì gli occhi e mi guardò, e in quel momento mi innamorai di lei.
“Ha i tuoi occhi.” sussurrai, cercando di trattenere le lacrime mentre guardavo mia moglie, e strinsi la bambina più forte.
Cercai di immaginarmi come sarebbe stato vivere dovendo vedere tutti i giorni gli occhi di mia moglie riflessi nel volto di mia figlia, senza avere Sarah accanto a me, ma il pensiero era così ripugnante e orrido che il mio cervello si rifiutò di immaginarsi una scena simile.
“E il tuo naso.” rispose lei dopo un violento attacco di tosse, non smettendo mai di sorridere.
“Hai deciso come chiamarla?” domandai dopo qualche istante di contemplazione della bambina.
Sarah allungò le mani verso nostra figlia, e io la appoggiai tra le sue braccia: “Pensavo a Emily.”
Le sorrisi dolcemente, spostandole i capelli sudaticci dalla fronte e dandole un bacio veloce: “Mi piace. Un bel nome per la nostra bellissima principessa.”
“Liam, mi devi promettere che la educherai come si deve.” mi disse con occhi imploranti, stringendo debolmente una delle mie mani nella sua.
Cercai di deglutire attorno al groppo che mi si era formato in gola: “Non parlare così. Ci sarai anche tu a vederla crescere.”
Sarah sorrise tristemente e baciò prima il dorso della mia mano e poi, con fatica, la fronte della nostra piccolina: “L'infermiera ha detto che sarebbe passata tra qualche minuto a portare Emily nella Nursery. Voglio che tu vada assieme a lei. Non mi piace pensare che non ci sia nessuno a guardarla mentre dorme la prima notte della sua vita.”
“Sarah, non stai bene. Non ho nessuna intenzione di lasciarti sola durante quella che potrebbe essere la tua ultima notte.” ribattei con voce soffocata, sentendomi nuovamente sull'orlo delle lacrime.
Mia moglie mi rivolse uno sguardo sofferente: “So come ti senti, e capisco quanto tutto questo possa essere difficile per te, ma per favore, fai come ti dico.”
Soffocai un singhiozzo: “Mi spiace, non ce la faccio. Come fai a chiedermi di morire da sola?”
“Oh, Liam. Morirò comunque, anche se tu sarai qui con me. Ma Emily ha bisogno di te, ora.”
Mi lasciai cadere su una sedia, nascondendo la faccia tra le mani e cercando di asciugare le lacrime che avevano cominciato a scendere: “Sarah, non mi puoi lasciare. Non mi puoi chiedere una cosa così.”
“Ascoltami, Liam, non ho più tanto tempo. Io morirò, e tu ti dovrai prendere cura di nostra figlia. Ora, voglio che tu vada con lei e ti prenda le tue responsabilità.” disse mia moglie, con la voce sempre più dolce, “Io sarò qui, e saprò che mi ami e che mi stai pensando. Non potrei chiedere di meglio.”
La guardai tra le lacrime: “Non posso lasciarti da sola proprio ora.”
“Tu sei sempre qui con me, tesoro. Anche quando non ci sei.” rispose Sarah, portandosi una mano al cuore, mentre con l'altra teneva stretta Emily, “Non sarò sola.”
Quando passò l'infermiera a prendere nostra figlia, io andai con lei, senza guardarmi indietro per paura di perdere quel barlume di coraggio che mi stava portando ad allontanarmi da mia moglie.
E con ogni passo mi sentivo sempre più solo.
 
E anche la terza one-shot è andata!
Non sono contentissima di come è venuta fuori, ma poteva venirmi molto peggio.
La canzone iniziale appartiene ai Death Cab For Cutie, e si intitola “What Sarah Said”. Se l'avete mai sentita ve la consiglio molto vivamente.
Poi, siccome a scuola faccio Bioetica (che essenzialmente consiste nel discutere su cosa sia moralmente etico e non), sono incredibilmente piena di opinioni riguardo al problema dell'aborto. Però vorrei sapere cosa ne pensate VOI, lettori, dell'aborto. Fatemelo sapere in una recensione o via messaggio privato :) Mi farebbe molto piacere.
Alla prossima one-shot! (Possibilmente non con quasi due anni di stacco)
Ele
   
 
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